Legenda
Legenda
* * *
Nota:
Aequor si svolge su due piani
temporali differenti. Uno è ambientato nel periodo in cui i videogiochi Rosso,
Blu, Verde e Giallo si stanno ancora svolgendo; l'altro è posizionato dopo i
cambiamenti intercorsi che sono mostrati in Oro, Argento e Cristallo. Di
conseguenza questa
Legenda
porrà l'accento anche su tali variazioni con la dicitura
13 a.p.
– tredici anni prima – che li
segnalerà al lettore.
Tilde (~):
indica un ampio salto temporale (per i vuoti minori lascio semplicemente una
riga bianca).
Celadon City: Azzurropoli.
Cerulean Cape: Miramare, tratto
conclusivo del Percorso 25 sopra Celestopoli.
Cerulean City:
Celestopoli.
Cianwood City:
Fiorlisopoli.
Cinnabar Island: Isola Cannella.
Cycling Road: Pista Ciclabile.
Ecruteak City: Amarantopoli.
Fuchsia City:
Fucsiapoli.
Goldenrod City:
Fiordoropoli.
Ice Path: Via Gelata.
Indigo Plateau: Altopiano Blu.
Mount Moon:
Monte Luna.
Olivine City: Olivinopoli.
Orange Islands:
Isole
Orange, nella mappa di Aequor situate a sud-est di Kanto.
Pallet Town:
Biancavilla.
Pewter City:
Plumbeopoli.
Power Plant: Centrale Elettrica
abbandonata (13 a.p.) / Impianto Turbine (attualmente).
S.S. Anne: M/N Anna.
S.S. Aqua: M/N Acqua.
Saffron City: Zafferanopoli.
Sea Cottage:
abitazione di
Bill (13 a.p.) / residenza di suo nonno (attualmente).
Seafoam Islands: Isole Spumarine.
Silence Bridge: Ponte Silenzio,
altro nome del Percorso 12 di Kanto.
Shamouti Island:
Isola di
Shamouti, isolotto centrale dell'arcipelago Orange.
Vermilion City: Aranciopoli.
Vermilion Harbor:
Porto di
Aranciopoli.
Victory Road: Via Vittoria.
Viridian Forest: Bosco Smeraldo.
Felina Ivy: Felina Ivy.
Samuel Oak: Samuel Oak.
III
“Ombre del futuro”
* * *
La
S.S. Anne viaggiava ormai a relativamente ridotta distanza dal fulcro della
tempesta, le Orange Islands, e il mare stava iniziando a risentire di quella
posizione: le onde iniziavano a incresparsi nonostante il maltempo fosse ancora
lontano e non accennavano a calmarsi nuovamente.
Bill
stava passeggiando sul ponte della nave illuminato da un'abbagliante alba estiva
che proveniva da prora. Avanzò fino a portarsi proprio sul lato più brillante
del transatlantico e si appoggiò all'elegante balaustra intarsiata. Aleggiava il
più completo silenzio sull'imbarcazione, dal momento che i pochi passeggeri
svegli rispettavano la rigida quiete, magari meditando sui loro problemi
personali per cercare di dimenticarli nell'assoluto della natura. Mentre Bill
era assorto in questa contemplazione estatica udì dei passi dietro di lui,
sorprendentemente armonizzati con il ritmo delle onde marine.
« Già
sveglio? » gli domandò una voce indolente, e non semplicemente estenuata
dall'ora come si poteva supporre a non conoscerne l'origine.
«
Buondì, Andy. Potrei chiederti lo stesso ».
«
Sono andato a letto abbastanza presto ieri ».
« Gli
altri fino a quando sono rimasti alla festa? ».
«
Voci di corridoio mi dicono fino a l'una ».
Bill
replicò con una smorfia di sorpresa « Hai voglia ».
«
Anche tu dissidente, dunque ».
« A
Vermilion non facciamo le ore piccole ».
«
Figurarsi a Pallet » rise Andy « Poi per gestire il Berries For Two's l'ideale è
svegliarsi a mezzodì ».
«
Immagino ».
« Che
facevi, allora? ».
«
Riflettevo ».
«
C'entra il tuo nuovo amico? ».
A
essere sinceri Bill non ci aveva ancora pensato, ma quella frase lo riportò, se
così si può dire, alla realtà « James? ».
«
Lui. Perché non me lo presenti? ».
« Non
vuole ».
« Un
asociale, capisco » dopo aver subito un'occhiataccia dell'amico, Andy corresse
il tiro « Introverso. Volevo dire introverso ».
« È
che… Non so, ha qualcosa di strano ».
« Di
che parla? ».
« Di
viaggi, cose molto interessanti, non è quello il punto. È come se… Io parlo,
però è come se lui sapesse già quello che sto per dire. È una sensazione strana
».
«
Magari è un viaggiatore nel tempo ».
«
Grazie per la battuta, ma non ho voglia di scherzare ».
« Ma
io mica scherzavo ».
« Mi
parli di viaggi nel tempo, scusa se salto a conclusioni sbagliate ».
«
Guarda che non è così assurdo » replicò Andy punto nell'orgoglio « I viaggi nel
tempo sono teoricamente possibili ».
« Lo
so anche io che in avanti si può. Relatività e quant'altro. Il problema è
tornare indietro, giusto? Quindi il tuo grande suggerimento non mi aiuta ».
« In
realtà anche all'indietro si potrebbe. Prendi i tachioni, ad esempio ».
«
Tachioni? ».
«
Particelle di massa negativa che viaggiano a velocità superiori a quella della
luce e quindi vedono il tempo a ritroso ».
«
Massa negativa? Questo è barare » rise Bill.
« Non
lo è. Se qualcuno potesse sfruttare i tachioni, ammesso che esistano, non
avrebbe problemi a viaggiare nel tempo. Certo, è da vedere chi userebbe questa
possibilità per prendere in giro gente su una nave » soggiunse ironico Andy.
Bill
tornò a osservare il poetico oceano che ondeggiava di fronte a lui e il sole che
brillava nel cielo mattutino, e tutto gli sembrò ininfluente.
La
giornata trascorse in modo estremamente banale. James, essendosi attardato fuori
dalla nave anche alcune ore dopo mezzanotte a godersi la prima notte in mare,
aveva dormito profondamente fino all'ora di punta, quando si era svegliato e
alzato per pranzare. Non aveva incontrato Bill se non al Laghetto e non avevano
parlato: l'uno trascinato dagli amici, l'altro ancora memore della sera prima e
perso nel suo ricordo.
La
notte, però, trovò la lucidità mentale per uscire e fare una passeggiata sul
ponte principale, a contemplare nuovamente la stratificazione tipica di quel
momento del giorno. Paradossalmente, durante le fasi notturne si trovava più a
suo agio che in quelle diurne: nessuno a guardarlo, non un'anima viva a
commentare ciò che faceva o a indicarlo come quello scorbutico lì. La
notte era il suo regno personale, e dentro le sue tenebre lui si nascondeva.
E fu
proprio nel suo momento preferito che lo vide. Stava ammirando dalla balaustrata
le onde che, in prossimità ormai delle Orange, si facevano sempre più evidenti.
E, tra esse, non passò ai suoi occhi inosservato un piccolo ammasso, se tale lo
possiamo definire, di schiuma: qualcosa sembrava affiorare dall'acqua. A
giudicare dalla quantità di bolle prodotte, qualcosa di grosso.
Mentre lo stava fissando, il corpo estraneo sembrò rallentare: era pressoché
improbabile l'ipotesi che stesse indietreggiando, e non meno illogico che la
nave avesse aumentato la velocità in piena notte e con una visuale pessima. A
rigor di logica sarebbe dovuto anzi essere il corpo a proseguire. Ciò ovviamente
se avesse avuto una velocità costante: se fosse stato un essere vivente il
discorso cambiava.
James
iniziò a spostarsi verso sinistra, nella direzione della poppa, per tentare di
seguire quella sorta di incerta creatura che seguiva l’Anne. Si fermò alla parte
posteriore dell’imbarcazione e si affacciò oltre il decorato parapetto della
crociera, dal quale era visibile in lontananza Cinnabar Island, ormai quasi
completamente sopita. Abbassò lo sguardo: lì quel corpo stava, quasi attaccato
alla parte inferiore dello scafo. E seguiva la nave.
Il
cuore iniziò a palpitare in modo incontrollato nel torace di James. Lo vedeva
chiaramente, quella creatura le andava dietro! Era impossibile sbagliarsi,
sembrava stare per uscire dall'acqua. Che cosa poteva fare? Doveva chiamare
qualcuno?
« Si
sente bene, signore? ».
Il
giovane si voltò. Un marinaio in bianco, dallo sguardo visibilmente assonnato,
era fermo a qualche metro da lui « Ha bisogno di aiuto? ».
Tentando di riprendere il controllo di sé James parlava, affannato, ancora a
scatti.
« Si
calmi signore. Riprenda fiato e si prenda tutto il tempo che le serve ».
Senza
attendere James si voltò nuovamente verso il mare. Il marinaio d'istinto si
accostò a lui, temendo dovesse rimettere. Entrambi si ritrovarono a fissare le
onde, e nient'altro.
«
Chiamo qualcuno che la assista? ».
James
era ancora scosso e faticò ad alzare la testa « No… Non si preoccupi, torni pure
alla timoneria… ».
«
Allora la lascio. Se avesse ulteriori problemi non esiti a chiamare un membro
dell'equipaggio, mi raccomando ».
Il
marinaio si allontanò definitivamente, lasciando un giovane ventisettenne nella
più completa mutezza interiore, incapace di distinguere la realtà da ciò che
pensava di aver visto.
La
notte, nel frattempo, si faceva sentire sempre maggiormente anche sulla S.S.
Anne. Quando il marinaio arrivò alla timoneria sembrava quasi non ricordare cosa
dovesse fare, esausto com'era. Poi in un lampo di memoria parlò « Virare a
dritta ».
Il
timoniere, un robusto uomo sulla cinquantina, annuì quasi avesse previsto
l'indicazione e, con un gesto che lasciava trasparire tutta la sua stanchezza,
eseguì. « Sempre le Orange? » soggiunse con voce assonnata.
« Ti
aspettavi si muovessero? ».
« È
una settimana che va avanti. Mi aspettavo che almeno calasse ».
« Se
lo aspettavano tutti » il marinaio si sedette su un piccolo sgabello, cercando
di rilassarsi come poteva.
« E
cos'è andato storto? ».
«
Tutto. Credevano fosse una corrente nordica deviata, e invece la tempesta
continua. Brancolano nel buio ».
« Che
Dio ci assista ».
« Che
Dio ci assista » concordò il navigante rialzandosi e dirigendosi verso l'uscita
« Ah, a proposito, quaggiù c'era un nottambulo con la nausea. Io… Insomma, se
senti rumori manda giù qualcuno ».
Solo
in quel momento, mentre varcava la porta spalancata, si rese conto, a scoppio
ritardato, delle enigmatiche parole di quello strano personaggio. Torni pure
alla timoneria, aveva detto. Non si ricordava di averla menzionata nel loro
dialogo.
Ma
forse lo sfinimento giocava davvero brutti scherzi. Diede un rapido sguardo
all'orologio da polso: undici meno dieci, ancora mezz'ora al cambio. Sospirò, si
stropicciò gli occhi e proseguì nel suo cammino.
La
nave, proseguendo a una velocità di ventidue nodi con oltre un migliaio di
viaggiatori a bordo, era ormai nei pressi delle Orange Islands. I fumaioli
continuavano a rigettare sbuffi di vapore fuori dai loro tubi e l'imbarcazione
falciava l'acqua con decisione, senza esitare neanche un attimo, con una
sicurezza che avrebbe infuso speranza in chiunque: l'Anne procedeva, incurante
di ciò che accadeva nel resto del globo terracqueo.
Nonostante la deviazione di rotta effettuata la sera precedente, il mare, il
cielo e l'aria stessa portavano i segni tangibili della vicinanza al cataclisma,
conferendo alla scena delle proporzioni solenni e maestose.
A
prora, spostandosi leggermente a sinistra, era possibile osservare la quasi
calcolata perfezione con cui all'orizzonte si stagliavano le nere nuvole che
stazionavano sopra Shamouti: non una cura armoniosa e serena ma un'inquietante
cumulo congesto che al solo vederlo infondeva insieme terrore per il rischio
corso e speranza alla coscienza di avere evitato un possibile disastro. Non era
possibile scorgere cosa stesse accadendo alle Orange Islands dal momento che
l'imbarcazione era ancora troppo lontana, ciononostante anche la più
materialista, razionale e scettica delle persone a bordo avrebbe avvertito
l'alone innaturale che le avvolgeva.
Lo
spazio rimanente del cielo che sovrastava l'Anne era coperto da stratocumuli dal
colore grigio-biancastro, interrotti solo da sporadiche vene di luce che li
facevano somigliare a un rompicapo incastrato malamente. I raggi di sole erano
particolari: non fasci che penetravano le nuvole illuminando il livello
sottostante, bensì spessi fili brillanti che percorrevano in modo apparentemente
casuale la cappa e senza i quali l'intera atmosfera sarebbe sembrata solamente
un semplice nembostrato, la consueta nube da temporale.
L'aria era pesante: seppur non umida e priva di nebbia, conferiva alla nave un
senso di isolamento totale, soffocando virtualmente i passeggeri del
transatlantico che avevano avuto il coraggio di uscire; a ciò si aggiungeva un
vento pungente eppur non freddo che, spirando verso sud partendo dal Mt. Moon,
faceva rabbrividire qualsiasi zona del corpo sfiorasse.
Quanto al mare, quello era il peggiore di tutti. Le onde si erano fatte
notevolmente più alte e rapide e, benché la stabilità del transatlantico non ne
risentisse ancora, qualsivoglia viaggiatore avrebbe potuto notare che la loro
intensità andava incrementandosi. A un occhio più accurato non sarebbe sfuggito
che l'epicentro dal quale apparivano diramarsi coincideva proprio con lo stesso
luogo sul quale troneggiavano i cumuli cui avevo accennato prima: Shamouti
Island. Il risultato era quello che si osserverebbe in qualsiasi mare
mediterraneo sotto l'influsso del grecale, ma visto dalla nave e con le onde che
apparivano procedere secondo uno schema di cerchi concentrici faceva tutt'altro
effetto.
Tornato in cabina appena dopo l'incontro con il marinaio, James aveva speso
diverse ore notturne a scrivere. Lo calmava fin da quando era un ragazzo
stendere su carta i suoi problemi, le sue preoccupazioni e i suoi presentimenti;
anche le decisioni le incideva con la penna come rito che ne confermasse la
certezza. I fogli erano il suo psicologo personale.
Si
svegliò verso le nove di mattina, vinto dagli incubi del sonno. Quando,
vestendosi, uscì, lo investì una luce del tutto nuova per lui. Chiunque avrebbe
visto in quel cielo grigio solo un pretesto per arrabbiarsi, ma anche una breve
serenità nel mezzo del buio che lo aveva avvolto in quei due giorni scarsi
sull'Anne gli pareva meravigliosa.
Si
avvicinò all'elegante parapetto dell'imbarcazione e guardò la distesa acquea con
gli occhi che brillavano. Nonostante le onde iniziassero a diventare sempre più
inquietanti avvertì una sorta di calma liberatoria in quel momento. Davanti a
lui si stagliava un monumento della natura a se stessa: le Seafoam Islands.
«
Cosa guardi? » gli domandò una voce alle spalle. Subito dopo una figura ben
conosciuta si avvicinò alla balaustrata e vi si appoggiò.
«
Scusa se ieri non ti ho salutato, ero ancora stanco ».
« Ma
non ti devi scusare » esclamò Bill interrompendolo « Tutti hanno giornate in cui
si sta meglio da soli. È capitato anche a me ogni tanto ».
«
Grazie per la comprensione » rispose sorridendo James.
Il
vento di cui ho parlato prima aveva momentaneamente ceduto il passo a una
leggera brezza, di quelle che d'estate rinfrescano entrando dalla finestra.
Contemplare il cielo con tale aria è una delle sensazioni più uniche al mondo e,
trovandosi anche in un ambiente evocativo e dalle immense sfaccettature emotive,
né James né Bill intendevano sprecarne nemmeno un secondo.
«
Cosa guardi? » ripeté l'amico a un tratto, forse per interrompere
definitivamente il silenzio durato un giorno tra lui e il suo nuovo compagno di
viaggio.
James
per tutta risposta allungò la mano davanti a lui e puntò l'indice verso le
isolette di fronte alla parte sinistra del piano diametrale dello scafo
dell'Anne « Le Seafoam ».
«
Cosa sono? Colline? ».
«
Devi guardare oltre l'apparenza. Come pretendi di vedere il reale assetto del
mondo altrimenti? » replicò James senza alcuna amarezza, con un tono che aveva
più un sapore paterno « Sono due isole gemelle. La particolarità è che sotto si
estende un'enorme caverna di ghiaccio e acqua che le collega articolandosi su
cinque livelli successivi, tutti sotterranei. Estremamente affascinante ».
«
Continuo a non vedere cosa ci sia di straordinario » rispose Bill « Una caverna
di ghiaccio. Anche a Johto c'è l'Ice Path ».
« No
» lo interruppe James « Non è la stessa cosa. Immagina un attimo Kanto,
focalizza sulla sua pianta generale, dalla punta del Mt. Moon al vulcano di
Cinnabar Island. È una regione assolutamente immensa, di estensione e varietà
impressionanti. Pensi con quella cartina di avere un campione di tutto il
conosciuto, di tutto lo scoperto a portata dell’occhio. Hai mai provato a tenere
il mondo in mano? ».
« Ti
seguo… Credo ».
«
Eppure tutto quello che vedi non è tutto quello che esiste! » proseguì
visibilmente preso dal discorso James « C'è altro, un'altra dimensione che non
vedi e che c'è, potrebbe anche essere a pochi passi da te, ma tu non l'hai in
mano, non importa se ti fosse persino di fronte, non puoi averla in un solo
foglio senza sconvolgere il senso stesso di quel pezzo di carta! Su di esso tu
vedi due colline alte meno della Cycling Road e non sembrano niente, c'è altro,
non devi concentrarti su di esse, non ce n'è ragione. Ma sotto quei due schizzi
sulla mappa si estendono cinque piani di dimensioni invidiabili che rendono
l'estensione totale delle Seafoam superiore anche al Mt. Moon che tu però vedi
lì, stagliato sul foglio che troneggia su qualsivoglia altra formazione
artificiale e naturale! ».
Bill
era silenzioso a guardarlo nei suoi occhi azzurri. Se prima aveva ancora pensato
di ribattere, con le sue parole James aveva abbattuto, una dopo l'altra, ogni
sua possibile replica. Era in sua balia.
« E
ti accorgi, così, d'un tratto, che la tua cartina, la tua amata cartina con cui
pensavi di avere il mondo stretto alle tue mani, è menzognera, non dice tutto. E
non perché non voglia, ma perché non può! L'uomo non è in grado di controllare
ogni aspetto della natura, è ben oltre la sua portata! Mi fanno ridere quelli
che cercano di opporsi a questa evidenza: quelli che cercano di schematizzare il
mondo dicendo cosa fare, quando farla, in che modo farla e cosa invece non
azzardarsi neanche a pensare. Quelli che cercano di ridurre arti geniali come la
scrittura o la pittura a qualche lezione accademica e tre o quattro direttive
sul da farsi e il da non farsi. O anche solo quelli che pensano di sapere la
geografia perché sanno dove si trova Saffron City! È tutto parte della stessa
matassa di idiozie, tutto il frutto della mente malata e ossessionata dalla
minuziosità che per la prima volta ha tentato di stabilire il divario tra
romanzo giallo e poliziesco, o tra cubismo sintetico e analitico, dando origine
ai pregiudizi che ovviamente ne conseguono! Sono ovviamente opere diverse, ma
una suddivisione di lavori dovrebbe avvenire solo quando se ne richiede sul
serio una necessità, perché senza tale divisione si rischierebbe di trarre in
inganno particolari gusti: se un lettore volesse leggere un romanzo d'avventura
dargli un saggio teorico ovviamente sarebbe un errore. Ma delle opere con
differenze così ridicole richiedevano sul serio una ripartizione del genere per
essere maggiormente comprensibili? L'arte non può essere ridotta in questi
termini perché l'arte è una forma estremamente soggettiva di esprimersi e non
può essere del tutto afferrata neanche dalle menti eccelse. La natura allo
stesso modo sfugge alla concezione umana per una mole immane di motivi, e in
primis perché l'uomo stesso ne è parte, anche se talvolta ci rifiutiamo di
ammetterlo! Chi sei tu per decidere che l’universo è finito, o che un racconto è
brutto? Sembrano situazioni distanti, ma non lo sono! ».
Dopo
quest'ultimo, conclusivo accordo, James terminò di suonare le bizzarre e al
contempo affascinanti note della sua mente. Bill era ancora in stato
confusionale, e non bisogna pensare che ciò fosse causato dal fatto che il
discorso del suo amico aveva saltato dalle Seafoam Islands al rapporto umano con
la natura. Il suo disorientamento era dovuto al modo in cui quell'uomo della sua
età appoggiato al parapetto a un passo da lui aveva messo in discussione con
successo alcuni dei suoi più grandi capisaldi.
Cercò
di recuperare il dialogo spostandolo su un piano razionale, risultando però
inevitabilmente stupido a se stesso « Stasera ci sei a cena? ».
« Sì.
Però credevo di averti già spiegato che non mi piace stare con troppa gente, non
mi sento a mio agio » rispose James.
« Non
ci saranno i miei amici. Sono stanchi. Le ore piccole… Mi hanno detto che cenano
al caffè » replicò Bill « Non mi va di mangiare da solo la sera in un posto come
il Laghetto ».
« Con
queste premesse direi che non posso rifiutare » disse James sorridendo « Vienimi
a trovare in cabina questa sera, sono alla 353, sul ponte Primavera ».
Bill
fece un cenno di assenso e sorrise a sua volta. Entrambi ripresero a guardare
l'oceano che sembrava lentamente scorrere verso la loro sinistra mentre l'Anne
avanzava, e il vento gelido di quella mattina tornò a soffiare.
Il
ponte Primavera non era altro che il secondo dei tre piani dell'Anne dedicato
alle cabine dei passeggeri, pur essendo il pianterreno di fatto un ulteriore
quarto. Il Primavera era in poche parole un corridoio che percorreva
longitudinalmente quasi l'intera nave e la cui larghezza era tale da renderlo
perfettamente agibile anche con l'invidiabile mole di gente che vi passava
quotidianamente; si affacciava per i primi due lati opposti su un'interminabile
serie di alloggi.
Per i
secondi due la cosa si complica ulteriormente: se un lato era infatti collegato
direttamente all’esterno, l’altro conduceva a un esteso soggiorno coperto dove
una piccola orchestra suonava regolarmente e tramite il quale si accedeva a uno
scalone di proporzioni ciclopiche che collegava tutti e quattro i ponti: il
suddetto Primavera, il pianterreno Estate, il primo Autunno e, ultimo e quasi
integralmente all'aperto, l'Inverno. Non vi è ragione di descrivere i restanti
due ancora non affrontati in quanto, per assetto generale, ricordavano molto da
vicino il ponte Primavera: l'unica differenza degna di nota riguarda l'Inverno,
nel quale lo spazio occupato normalmente dalla sala degli strumentisti era
invece destinato a un caffè, le Orchidee, più adatto per pasti rapidi rispetto
al ristorante.
Il
racconto riprende sul Primavera, dove si ritirò James dopo pranzo al fine di
perdersi in una totalizzante riflessione sugli ultimi avvenimenti. Seduto alla
scrivania, con la penna in mano, i suoi pensieri volavano dal discorso a Bill
all'avvistamento e, più in generale, del profondo senso di solitudine che in
quei due giorni o poco più sembrava attanagliarlo considerevolmente di più
rispetto al solito.
Poteva essere che quello strano corpo fosse stata una falsa percezione, che
all'esterno, là sotto, a due centimetri dalla carena dell'Anne non ci fosse
stato niente? Suonava poco realistico. Passò dunque a esaminare che cosa poteva
aver causato quella massa di schiuma: da escludere subito, infatti, che quel
biancheggiare fosse lì per qualche assurda instabilità della corrente marina.
L'ipotesi più ovvia era che si trattasse di un pokémon, eppure non ce n'era uno
in quei mari che potesse corrispondere a ciò che aveva visto.
L'increspatura dell'oceano che ricordava era infatti sì ridotta, ma James non
riteneva che rappresentasse le reali dimensioni del corpo che la causava: era
fuori discussione che un pokémon di quelle relativamente ridotte fattezze
potesse raggiungere la velocità di un transatlantico a mare liscio. No, c'era
altro, quella era solo la punta dell'iceberg: il corpo estraneo era in gran
parte sott'acqua, e lui non aveva potuto vederlo per il buio.
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