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Autore: NoceAlVento    10/07/2013    1 recensioni
In quel periodo la S.S. Anne approdava al porto di Vermilion City. Non bisogna concepirla come una S.S. Aqua meno avanzata, per niente: erano due navi su livelli agli antipodi e, nell'eventualità di un confronto diretto, l'Anne ne sarebbe uscita ovviamente vincitrice. Ogni anno Vermilion si riempiva di gente desiderosa di salire, di salutare i propri familiari o di accoglierli nuovamente a casa, oppure semplicemente di vedere quel monumento al mare partire verso mete sconosciute e scomparire nell'immensità dell'oceano. Quello che tuttavia non sapevano, nell'oscurità in cui spesso il passato è celato, era che l'Anne pochi giorni dopo sarebbe realmente scomparsa nell'immensità dell'oceano.
 
Rivista e ripubblicata in data 10.07.2013.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo del Conflitto Globale'
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Legenda

Legenda

 

* * *

 

Nota: Aequor si svolge su due piani temporali differenti. Uno è ambientato nel periodo in cui i videogiochi Rosso, Blu, Verde e Giallo si stanno ancora svolgendo; l'altro è posizionato dopo i cambiamenti intercorsi che sono mostrati in Oro, Argento e Cristallo. Di conseguenza questa Legenda porrà l'accento anche su tali variazioni con la dicitura 13 a.p. – tredici anni prima – che li segnalerà al lettore.

 

Tilde (~): indica un ampio salto temporale (per i vuoti minori lascio semplicemente una riga bianca).

 

Celadon City: Azzurropoli.

Cerulean Cape: Miramare, tratto conclusivo del Percorso 25 sopra Celestopoli.

Cerulean City: Celestopoli.

Cianwood City: Fiorlisopoli.

Cinnabar Island: Isola Cannella.

Cycling Road: Pista Ciclabile.

Ecruteak City: Amarantopoli.

Fuchsia City: Fucsiapoli.

Goldenrod City: Fiordoropoli.

Ice Path: Via Gelata.

Indigo Plateau: Altopiano Blu.

Mount Moon: Monte Luna.

Olivine City: Olivinopoli.

Orange Islands: Isole Orange, nella mappa di Aequor situate a sud-est di Kanto.

Pallet Town: Biancavilla.

Pewter City: Plumbeopoli.

Power Plant: Centrale Elettrica abbandonata (13 a.p.) / Impianto Turbine (attualmente).

S.S. Anne: M/N Anna.

S.S. Aqua: M/N Acqua.

Saffron City: Zafferanopoli.

Sea Cottage: abitazione di Bill (13 a.p.) / residenza di suo nonno (attualmente).

Seafoam Islands: Isole Spumarine.

Silence Bridge: Ponte Silenzio, altro nome del Percorso 12 di Kanto.

Shamouti Island: Isola di Shamouti, isolotto centrale dell'arcipelago Orange.

Vermilion City: Aranciopoli.

Vermilion Harbor: Porto di Aranciopoli.

Victory Road: Via Vittoria.

Viridian Forest: Bosco Smeraldo.

 

Felina Ivy: Felina Ivy.

Samuel Oak: Samuel Oak.

 

 

 

III

“Ombre del futuro”

 

* * *

 

La S.S. Anne viaggiava ormai a relativamente ridotta distanza dal fulcro della tempesta, le Orange Islands, e il mare stava iniziando a risentire di quella posizione: le onde iniziavano a incresparsi nonostante il maltempo fosse ancora lontano e non accennavano a calmarsi nuovamente.

Bill stava passeggiando sul ponte della nave illuminato da un'abbagliante alba estiva che proveniva da prora. Avanzò fino a portarsi proprio sul lato più brillante del transatlantico e si appoggiò all'elegante balaustra intarsiata. Aleggiava il più completo silenzio sull'imbarcazione, dal momento che i pochi passeggeri svegli rispettavano la rigida quiete, magari meditando sui loro problemi personali per cercare di dimenticarli nell'assoluto della natura. Mentre Bill era assorto in questa contemplazione estatica udì dei passi dietro di lui, sorprendentemente armonizzati con il ritmo delle onde marine.

« Già sveglio? » gli domandò una voce indolente, e non semplicemente estenuata dall'ora come si poteva supporre a non conoscerne l'origine.

« Buondì, Andy. Potrei chiederti lo stesso ».

« Sono andato a letto abbastanza presto ieri ».

« Gli altri fino a quando sono rimasti alla festa? ».

« Voci di corridoio mi dicono fino a l'una ».

Bill replicò con una smorfia di sorpresa « Hai voglia ».

« Anche tu dissidente, dunque ».

« A Vermilion non facciamo le ore piccole ».

« Figurarsi a Pallet » rise Andy « Poi per gestire il Berries For Two's l'ideale è svegliarsi a mezzodì ».

« Immagino ».

« Che facevi, allora? ».

« Riflettevo ».

« C'entra il tuo nuovo amico? ».

A essere sinceri Bill non ci aveva ancora pensato, ma quella frase lo riportò, se così si può dire, alla realtà « James? ».

« Lui. Perché non me lo presenti? ».

« Non vuole ».

« Un asociale, capisco » dopo aver subito un'occhiataccia dell'amico, Andy corresse il tiro « Introverso. Volevo dire introverso ».

« È che… Non so, ha qualcosa di strano ».

« Di che parla? ».

« Di viaggi, cose molto interessanti, non è quello il punto. È come se… Io parlo, però è come se lui sapesse già quello che sto per dire. È una sensazione strana ».

« Magari è un viaggiatore nel tempo ».

« Grazie per la battuta, ma non ho voglia di scherzare ».

« Ma io mica scherzavo ».

« Mi parli di viaggi nel tempo, scusa se salto a conclusioni sbagliate ».

« Guarda che non è così assurdo » replicò Andy punto nell'orgoglio « I viaggi nel tempo sono teoricamente possibili ».

« Lo so anche io che in avanti si può. Relatività e quant'altro. Il problema è tornare indietro, giusto? Quindi il tuo grande suggerimento non mi aiuta ».

« In realtà anche all'indietro si potrebbe. Prendi i tachioni, ad esempio ».

« Tachioni? ».

« Particelle di massa negativa che viaggiano a velocità superiori a quella della luce e quindi vedono il tempo a ritroso ».

« Massa negativa? Questo è barare » rise Bill.

« Non lo è. Se qualcuno potesse sfruttare i tachioni, ammesso che esistano, non avrebbe problemi a viaggiare nel tempo. Certo, è da vedere chi userebbe questa possibilità per prendere in giro gente su una nave » soggiunse ironico Andy.

Bill tornò a osservare il poetico oceano che ondeggiava di fronte a lui e il sole che brillava nel cielo mattutino, e tutto gli sembrò ininfluente.

 

La giornata trascorse in modo estremamente banale. James, essendosi attardato fuori dalla nave anche alcune ore dopo mezzanotte a godersi la prima notte in mare, aveva dormito profondamente fino all'ora di punta, quando si era svegliato e alzato per pranzare. Non aveva incontrato Bill se non al Laghetto e non avevano parlato: l'uno trascinato dagli amici, l'altro ancora memore della sera prima e perso nel suo ricordo.

La notte, però, trovò la lucidità mentale per uscire e fare una passeggiata sul ponte principale, a contemplare nuovamente la stratificazione tipica di quel momento del giorno. Paradossalmente, durante le fasi notturne si trovava più a suo agio che in quelle diurne: nessuno a guardarlo, non un'anima viva a commentare ciò che faceva o a indicarlo come quello scorbutico lì. La notte era il suo regno personale, e dentro le sue tenebre lui si nascondeva.

E fu proprio nel suo momento preferito che lo vide. Stava ammirando dalla balaustrata le onde che, in prossimità ormai delle Orange, si facevano sempre più evidenti. E, tra esse, non passò ai suoi occhi inosservato un piccolo ammasso, se tale lo possiamo definire, di schiuma: qualcosa sembrava affiorare dall'acqua. A giudicare dalla quantità di bolle prodotte, qualcosa di grosso.

Mentre lo stava fissando, il corpo estraneo sembrò rallentare: era pressoché improbabile l'ipotesi che stesse indietreggiando, e non meno illogico che la nave avesse aumentato la velocità in piena notte e con una visuale pessima. A rigor di logica sarebbe dovuto anzi essere il corpo a proseguire. Ciò ovviamente se avesse avuto una velocità costante: se fosse stato un essere vivente il discorso cambiava.

James iniziò a spostarsi verso sinistra, nella direzione della poppa, per tentare di seguire quella sorta di incerta creatura che seguiva l’Anne. Si fermò alla parte posteriore dell’imbarcazione e si affacciò oltre il decorato parapetto della crociera, dal quale era visibile in lontananza Cinnabar Island, ormai quasi completamente sopita. Abbassò lo sguardo: lì quel corpo stava, quasi attaccato alla parte inferiore dello scafo. E seguiva la nave.

Il cuore iniziò a palpitare in modo incontrollato nel torace di James. Lo vedeva chiaramente, quella creatura le andava dietro! Era impossibile sbagliarsi, sembrava stare per uscire dall'acqua. Che cosa poteva fare? Doveva chiamare qualcuno?

« Si sente bene, signore? ».

Il giovane si voltò. Un marinaio in bianco, dallo sguardo visibilmente assonnato, era fermo a qualche metro da lui « Ha bisogno di aiuto? ».

Tentando di riprendere il controllo di sé James parlava, affannato, ancora a scatti.

« Si calmi signore. Riprenda fiato e si prenda tutto il tempo che le serve ».

Senza attendere James si voltò nuovamente verso il mare. Il marinaio d'istinto si accostò a lui, temendo dovesse rimettere. Entrambi si ritrovarono a fissare le onde, e nient'altro.

« Chiamo qualcuno che la assista? ».

James era ancora scosso e faticò ad alzare la testa « No… Non si preoccupi, torni pure alla timoneria… ».

« Allora la lascio. Se avesse ulteriori problemi non esiti a chiamare un membro dell'equipaggio, mi raccomando ».

Il marinaio si allontanò definitivamente, lasciando un giovane ventisettenne nella più completa mutezza interiore, incapace di distinguere la realtà da ciò che pensava di aver visto.

La notte, nel frattempo, si faceva sentire sempre maggiormente anche sulla S.S. Anne. Quando il marinaio arrivò alla timoneria sembrava quasi non ricordare cosa dovesse fare, esausto com'era. Poi in un lampo di memoria parlò « Virare a dritta ».

Il timoniere, un robusto uomo sulla cinquantina, annuì quasi avesse previsto l'indicazione e, con un gesto che lasciava trasparire tutta la sua stanchezza, eseguì. « Sempre le Orange? » soggiunse con voce assonnata.

« Ti aspettavi si muovessero? ».

« È una settimana che va avanti. Mi aspettavo che almeno calasse ».

« Se lo aspettavano tutti » il marinaio si sedette su un piccolo sgabello, cercando di rilassarsi come poteva.

« E cos'è andato storto? ».

« Tutto. Credevano fosse una corrente nordica deviata, e invece la tempesta continua. Brancolano nel buio ».

« Che Dio ci assista ».

« Che Dio ci assista » concordò il navigante rialzandosi e dirigendosi verso l'uscita « Ah, a proposito, quaggiù c'era un nottambulo con la nausea. Io… Insomma, se senti rumori manda giù qualcuno ».

Solo in quel momento, mentre varcava la porta spalancata, si rese conto, a scoppio ritardato, delle enigmatiche parole di quello strano personaggio. Torni pure alla timoneria, aveva detto. Non si ricordava di averla menzionata nel loro dialogo.

Ma forse lo sfinimento giocava davvero brutti scherzi. Diede un rapido sguardo all'orologio da polso: undici meno dieci, ancora mezz'ora al cambio. Sospirò, si stropicciò gli occhi e proseguì nel suo cammino.

 

La nave, proseguendo a una velocità di ventidue nodi con oltre un migliaio di viaggiatori a bordo, era ormai nei pressi delle Orange Islands. I fumaioli continuavano a rigettare sbuffi di vapore fuori dai loro tubi e l'imbarcazione falciava l'acqua con decisione, senza esitare neanche un attimo, con una sicurezza che avrebbe infuso speranza in chiunque: l'Anne procedeva, incurante di ciò che accadeva nel resto del globo terracqueo.

Nonostante la deviazione di rotta effettuata la sera precedente, il mare, il cielo e l'aria stessa portavano i segni tangibili della vicinanza al cataclisma, conferendo alla scena delle proporzioni solenni e maestose.

A prora, spostandosi leggermente a sinistra, era possibile osservare la quasi calcolata perfezione con cui all'orizzonte si stagliavano le nere nuvole che stazionavano sopra Shamouti: non una cura armoniosa e serena ma un'inquietante cumulo congesto che al solo vederlo infondeva insieme terrore per il rischio corso e speranza alla coscienza di avere evitato un possibile disastro. Non era possibile scorgere cosa stesse accadendo alle Orange Islands dal momento che l'imbarcazione era ancora troppo lontana, ciononostante anche la più materialista, razionale e scettica delle persone a bordo avrebbe avvertito l'alone innaturale che le avvolgeva.

Lo spazio rimanente del cielo che sovrastava l'Anne era coperto da stratocumuli dal colore grigio-biancastro, interrotti solo da sporadiche vene di luce che li facevano somigliare a un rompicapo incastrato malamente. I raggi di sole erano particolari: non fasci che penetravano le nuvole illuminando il livello sottostante, bensì spessi fili brillanti che percorrevano in modo apparentemente casuale la cappa e senza i quali l'intera atmosfera sarebbe sembrata solamente un semplice nembostrato, la consueta nube da temporale.

L'aria era pesante: seppur non umida e priva di nebbia, conferiva alla nave un senso di isolamento totale, soffocando virtualmente i passeggeri del transatlantico che avevano avuto il coraggio di uscire; a ciò si aggiungeva un vento pungente eppur non freddo che, spirando verso sud partendo dal Mt. Moon, faceva rabbrividire qualsiasi zona del corpo sfiorasse.

Quanto al mare, quello era il peggiore di tutti. Le onde si erano fatte notevolmente più alte e rapide e, benché la stabilità del transatlantico non ne risentisse ancora, qualsivoglia viaggiatore avrebbe potuto notare che la loro intensità andava incrementandosi. A un occhio più accurato non sarebbe sfuggito che l'epicentro dal quale apparivano diramarsi coincideva proprio con lo stesso luogo sul quale troneggiavano i cumuli cui avevo accennato prima: Shamouti Island. Il risultato era quello che si osserverebbe in qualsiasi mare mediterraneo sotto l'influsso del grecale, ma visto dalla nave e con le onde che apparivano procedere secondo uno schema di cerchi concentrici faceva tutt'altro effetto.

 

Tornato in cabina appena dopo l'incontro con il marinaio, James aveva speso diverse ore notturne a scrivere. Lo calmava fin da quando era un ragazzo stendere su carta i suoi problemi, le sue preoccupazioni e i suoi presentimenti; anche le decisioni le incideva con la penna come rito che ne confermasse la certezza. I fogli erano il suo psicologo personale.

Si svegliò verso le nove di mattina, vinto dagli incubi del sonno. Quando, vestendosi, uscì, lo investì una luce del tutto nuova per lui. Chiunque avrebbe visto in quel cielo grigio solo un pretesto per arrabbiarsi, ma anche una breve serenità nel mezzo del buio che lo aveva avvolto in quei due giorni scarsi sull'Anne gli pareva meravigliosa.

Si avvicinò all'elegante parapetto dell'imbarcazione e guardò la distesa acquea con gli occhi che brillavano. Nonostante le onde iniziassero a diventare sempre più inquietanti avvertì una sorta di calma liberatoria in quel momento. Davanti a lui si stagliava un monumento della natura a se stessa: le Seafoam Islands.

« Cosa guardi? » gli domandò una voce alle spalle. Subito dopo una figura ben conosciuta si avvicinò alla balaustrata e vi si appoggiò.

« Scusa se ieri non ti ho salutato, ero ancora stanco ».

« Ma non ti devi scusare » esclamò Bill interrompendolo « Tutti hanno giornate in cui si sta meglio da soli. È capitato anche a me ogni tanto ».

« Grazie per la comprensione » rispose sorridendo James.

Il vento di cui ho parlato prima aveva momentaneamente ceduto il passo a una leggera brezza, di quelle che d'estate rinfrescano entrando dalla finestra. Contemplare il cielo con tale aria è una delle sensazioni più uniche al mondo e, trovandosi anche in un ambiente evocativo e dalle immense sfaccettature emotive, né James né Bill intendevano sprecarne nemmeno un secondo.

« Cosa guardi? » ripeté l'amico a un tratto, forse per interrompere definitivamente il silenzio durato un giorno tra lui e il suo nuovo compagno di viaggio.

James per tutta risposta allungò la mano davanti a lui e puntò l'indice verso le isolette di fronte alla parte sinistra del piano diametrale dello scafo dell'Anne « Le Seafoam ».

« Cosa sono? Colline? ».

« Devi guardare oltre l'apparenza. Come pretendi di vedere il reale assetto del mondo altrimenti? » replicò James senza alcuna amarezza, con un tono che aveva più un sapore paterno « Sono due isole gemelle. La particolarità è che sotto si estende un'enorme caverna di ghiaccio e acqua che le collega articolandosi su cinque livelli successivi, tutti sotterranei. Estremamente affascinante ».

« Continuo a non vedere cosa ci sia di straordinario » rispose Bill « Una caverna di ghiaccio. Anche a Johto c'è l'Ice Path ».

« No » lo interruppe James « Non è la stessa cosa. Immagina un attimo Kanto, focalizza sulla sua pianta generale, dalla punta del Mt. Moon al vulcano di Cinnabar Island. È una regione assolutamente immensa, di estensione e varietà impressionanti. Pensi con quella cartina di avere un campione di tutto il conosciuto, di tutto lo scoperto a portata dell’occhio. Hai mai provato a tenere il mondo in mano? ».

« Ti seguo… Credo ».

« Eppure tutto quello che vedi non è tutto quello che esiste! » proseguì visibilmente preso dal discorso James « C'è altro, un'altra dimensione che non vedi e che c'è, potrebbe anche essere a pochi passi da te, ma tu non l'hai in mano, non importa se ti fosse persino di fronte, non puoi averla in un solo foglio senza sconvolgere il senso stesso di quel pezzo di carta! Su di esso tu vedi due colline alte meno della Cycling Road e non sembrano niente, c'è altro, non devi concentrarti su di esse, non ce n'è ragione. Ma sotto quei due schizzi sulla mappa si estendono cinque piani di dimensioni invidiabili che rendono l'estensione totale delle Seafoam superiore anche al Mt. Moon che tu però vedi lì, stagliato sul foglio che troneggia su qualsivoglia altra formazione artificiale e naturale! ».

Bill era silenzioso a guardarlo nei suoi occhi azzurri. Se prima aveva ancora pensato di ribattere, con le sue parole James aveva abbattuto, una dopo l'altra, ogni sua possibile replica. Era in sua balia.

« E ti accorgi, così, d'un tratto, che la tua cartina, la tua amata cartina con cui pensavi di avere il mondo stretto alle tue mani, è menzognera, non dice tutto. E non perché non voglia, ma perché non può! L'uomo non è in grado di controllare ogni aspetto della natura, è ben oltre la sua portata! Mi fanno ridere quelli che cercano di opporsi a questa evidenza: quelli che cercano di schematizzare il mondo dicendo cosa fare, quando farla, in che modo farla e cosa invece non azzardarsi neanche a pensare. Quelli che cercano di ridurre arti geniali come la scrittura o la pittura a qualche lezione accademica e tre o quattro direttive sul da farsi e il da non farsi. O anche solo quelli che pensano di sapere la geografia perché sanno dove si trova Saffron City! È tutto parte della stessa matassa di idiozie, tutto il frutto della mente malata e ossessionata dalla minuziosità che per la prima volta ha tentato di stabilire il divario tra romanzo giallo e poliziesco, o tra cubismo sintetico e analitico, dando origine ai pregiudizi che ovviamente ne conseguono! Sono ovviamente opere diverse, ma una suddivisione di lavori dovrebbe avvenire solo quando se ne richiede sul serio una necessità, perché senza tale divisione si rischierebbe di trarre in inganno particolari gusti: se un lettore volesse leggere un romanzo d'avventura dargli un saggio teorico ovviamente sarebbe un errore. Ma delle opere con differenze così ridicole richiedevano sul serio una ripartizione del genere per essere maggiormente comprensibili? L'arte non può essere ridotta in questi termini perché l'arte è una forma estremamente soggettiva di esprimersi e non può essere del tutto afferrata neanche dalle menti eccelse. La natura allo stesso modo sfugge alla concezione umana per una mole immane di motivi, e in primis perché l'uomo stesso ne è parte, anche se talvolta ci rifiutiamo di ammetterlo! Chi sei tu per decidere che l’universo è finito, o che un racconto è brutto? Sembrano situazioni distanti, ma non lo sono! ».

Dopo quest'ultimo, conclusivo accordo, James terminò di suonare le bizzarre e al contempo affascinanti note della sua mente. Bill era ancora in stato confusionale, e non bisogna pensare che ciò fosse causato dal fatto che il discorso del suo amico aveva saltato dalle Seafoam Islands al rapporto umano con la natura. Il suo disorientamento era dovuto al modo in cui quell'uomo della sua età appoggiato al parapetto a un passo da lui aveva messo in discussione con successo alcuni dei suoi più grandi capisaldi.

Cercò di recuperare il dialogo spostandolo su un piano razionale, risultando però inevitabilmente stupido a se stesso « Stasera ci sei a cena? ».

« Sì. Però credevo di averti già spiegato che non mi piace stare con troppa gente, non mi sento a mio agio » rispose James.

« Non ci saranno i miei amici. Sono stanchi. Le ore piccole… Mi hanno detto che cenano al caffè » replicò Bill « Non mi va di mangiare da solo la sera in un posto come il Laghetto ».

« Con queste premesse direi che non posso rifiutare » disse James sorridendo « Vienimi a trovare in cabina questa sera, sono alla 353, sul ponte Primavera ».

Bill fece un cenno di assenso e sorrise a sua volta. Entrambi ripresero a guardare l'oceano che sembrava lentamente scorrere verso la loro sinistra mentre l'Anne avanzava, e il vento gelido di quella mattina tornò a soffiare.

 

Il ponte Primavera non era altro che il secondo dei tre piani dell'Anne dedicato alle cabine dei passeggeri, pur essendo il pianterreno di fatto un ulteriore quarto. Il Primavera era in poche parole un corridoio che percorreva longitudinalmente quasi l'intera nave e la cui larghezza era tale da renderlo perfettamente agibile anche con l'invidiabile mole di gente che vi passava quotidianamente; si affacciava per i primi due lati opposti su un'interminabile serie di alloggi.

Per i secondi due la cosa si complica ulteriormente: se un lato era infatti collegato direttamente all’esterno, l’altro conduceva a un esteso soggiorno coperto dove una piccola orchestra suonava regolarmente e tramite il quale si accedeva a uno scalone di proporzioni ciclopiche che collegava tutti e quattro i ponti: il suddetto Primavera, il pianterreno Estate, il primo Autunno e, ultimo e quasi integralmente all'aperto, l'Inverno. Non vi è ragione di descrivere i restanti due ancora non affrontati in quanto, per assetto generale, ricordavano molto da vicino il ponte Primavera: l'unica differenza degna di nota riguarda l'Inverno, nel quale lo spazio occupato normalmente dalla sala degli strumentisti era invece destinato a un caffè, le Orchidee, più adatto per pasti rapidi rispetto al ristorante.

Il racconto riprende sul Primavera, dove si ritirò James dopo pranzo al fine di perdersi in una totalizzante riflessione sugli ultimi avvenimenti. Seduto alla scrivania, con la penna in mano, i suoi pensieri volavano dal discorso a Bill all'avvistamento e, più in generale, del profondo senso di solitudine che in quei due giorni o poco più sembrava attanagliarlo considerevolmente di più rispetto al solito.

Poteva essere che quello strano corpo fosse stata una falsa percezione, che all'esterno, là sotto, a due centimetri dalla carena dell'Anne non ci fosse stato niente? Suonava poco realistico. Passò dunque a esaminare che cosa poteva aver causato quella massa di schiuma: da escludere subito, infatti, che quel biancheggiare fosse lì per qualche assurda instabilità della corrente marina. L'ipotesi più ovvia era che si trattasse di un pokémon, eppure non ce n'era uno in quei mari che potesse corrispondere a ciò che aveva visto.

L'increspatura dell'oceano che ricordava era infatti sì ridotta, ma James non riteneva che rappresentasse le reali dimensioni del corpo che la causava: era fuori discussione che un pokémon di quelle relativamente ridotte fattezze potesse raggiungere la velocità di un transatlantico a mare liscio. No, c'era altro, quella era solo la punta dell'iceberg: il corpo estraneo era in gran parte sott'acqua, e lui non aveva potuto vederlo per il buio.

   
 
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