Note: Ci ho messo un
po', ma ecco il nuovo capitolo. Ho iniziato anche una revisione
dell'HTML dei vecchi, che finirò in brevissimo tempo. Non
cambierà molto, ma credo che questo modo di gestire i
capitoli risulterà più ordinato.
Se pensate che questo capitolo sia triste allora per il prossimo
preparate i fazzoletti, perché sarà orribile :D
Fatemi sapere che ne pensate! Enjoy!
09 Broken hearts
(pt. 1)
“Non lo
facciamo da un po', ricordi come funziona?”
Tommy
annuì, mentre la rabbia ed il dolore già
iniziavano a gonfiarsi nella gola, ma il dottor Davis decise che gli
avrebbe spiegato lo stesso cosa doveva fare. Non sapeva cos'altro dire,
d'altronde. Aveva un nodo in gola e le lacrime premevano per bagnargli
il viso, e glielo avevano detto che ai clienti non ci si può
affezionare, gliel'avevano anticipato che quel caso sarebbe stato un
fallimento, ma Matthew non aveva voluto crederci. Poi era successo, poi
aveva realizzato la verità. Aveva ascoltato le poche parole
che intramezzavano i lunghi silenzi di Tommy e aveva capito che non
c'era più speranza. Aveva fallito. Thomas non sarebbe
guarito, il dolore l'aveva sommerso da troppo tempo, l'aveva soffocato
e l'unica persona capace di salvarlo non l'avrebbe mai fatto.
È macabro ed incredibile pensare a come una malattia
invisibile a qualunque macchinario possa distruggere ed uccidere una
persona nel peggiore dei modi.
Tommy Joe Ratliff era
sempre stato una persona ordinariamente fantastica. Matthew adesso
sapeva tutto di lui. Conosceva piccoli dettagli della sua infanzia
serena, le pene e la gioia della sua adolescenza complicata esattamente
come quella di ogni ragazzo; sapeva capire la sua
sensibilità da artista e apprezzare la gentilezza e la
pacatezza che lo caratterizzavano; lo amava, il suo essere un eterno
ribelle, un bambino che non crescerà mai e soprattutto
ammirava la forza con cui, anche dopo tutto quello che era successo,
era capace, nel profondo del suo cuore, di essere fiero di quello che
era, di non pentirsi, di non giudicarsi e di accettare pacatamente le
sua vita per ciò che era, nonostante fosse una pozza di
dolore nero e soffocante. Una persona magnifica in ogni sua
sfaccettatura, distrutta da un male invisibile e incurabile, da un
sentimento, da qualcosa di astratto eppure eccessivamente reale.
E lui, Matthew Davis,
che aveva studiato medicina per far del bene al mondo, lui che aveva
scoperto grazie a suo padre che i mali peggiori sono quelli che stanno
nella testa delle persone, la stessa persona che non aveva potuto
accettarlo e perciò aveva deciso di diventare
psicoterapeuta, ora doveva restare impassibile, doveva guardare negli
occhi un paziente ed amico e doveva fingere che tutto andasse bene,
mentre dentro di sé sapeva di aver fallito. Un amico,
già, perché Tommy ormai era anche quello per lui,
e forse era per questo che faceva così male sapere di essere
stato incapace di salvarlo.
Fino a quel giorno era
sempre riuscito a mantenere un comportamento professionale durante le
sedute, ma quella volta, quella volta si lasciò andare al
sentimentalismo.
“Chiudi gli
occhi e immagina di parlare ad Adam.” lo istruì,
come tutte le altre volte che aveva provato a farlo parlare in quella
maniera. Ma poi, dopo un profondo sospiro, proseguì
diversamente. “So che pensi che sia inutile, che lui non
può sentirti, lo hai sempre pensato ed io l'ho sempre
saputo. Ma, Tommy, oggi voglio dirti che non lo è. Non
è inutile perché se è vero quello che
sai, se è vero che ti ama e non vuole accettarlo, se
è vero che siete fatti l'uno per l'altro, se è
vero che il vostro amore non finirà mai, allora nulla
è inutile. Ogni tuo respiro vale, ogni secondo che combatti
per vivere, ogni attimo in cui ti sforzi di portare il fardello del tuo
dolore, ogni momento serve a non farlo morire. A non farvi morire. Come
hai detto una volta, il vostro è l'amore più
bello del mondo, la fiaba che nessuno si stancherebbe mai di
raccontare. È vostro ed è di tutti gli innamorati
del mondo. È la canzone senza fine che fa muovere
l'universo. È per questo che cinque anni dopo sei qui,
ancora pronto a morire per lui, ed è per questo che non puoi
arrenderti. Lo sai che se anche solo uno di voi due si arrendesse per
davvero, se solo uno di voi due morisse, allora neanche l'altro
potrebbe sopravvivere, perché siete una cosa sola. Le sai
queste cose, Tommy. Me le hai fatte capire tu. Ora, ti prego, non
mollare. Non farlo, perché non può finire
così. Non smettere di sperare, Tommy. Digli quanto male ti
ha fatto, urlamelo, e anche lui lo sentirà,
perché siete legati indissolubilmente. Credici, Tommy.
Credici perché è l'unica cosa a cui valga la pena
di credere.”
Nessuno gli aveva mai
parlato in quel modo di loro, nessuno era mai stato così
partecipe, nessuno lo aveva mai davvero capito come Matt era riuscito a
fare. Adam era stato per tanto tempo il malvagio della
situazione, la causa dei suoi mali, l'essere orrendo che l'aveva
ferito, e lo era stato per tutti tranne che per Tommy stesso. In quel
momento si rese conto di quanto gli facesse male dover nascondere come
in realtà – nonostante tutto – lui
pensasse ad Adam come ad una persona magnifica, come ogni notte
sognasse il suo sorriso gentile, come gli avesse già
perdonato ogni istante di dolore passato e come, alla fine della
giornata, spendesse sempre qualche minuto a sussurrare a sé
stesso cosa gli stesse perdonando quella volta. Per la prima volta da
tanto tempo si sentiva compreso, sentiva di poter dire qualunque cosa
su Adam senza essere attaccato o giudicato. Finalmente poteva amarlo
senza doversene vergognare.
Così chiuse
gli occhi ed iniziò a parlare.
“Sai, Adam,
quando ti ho conosciuto pensavo tu fossi perfetto. Dolce, comprensivo,
altruista, gentile, sincero. Il cuore mi batte ancora tanto forte da
farmi male quando ripenso al giorno in cui ti ho incontrato e la mia
mia vita è cambiata per sempre.” Tommy, gli occhi
ancora chiusi, rilassò il viso in un breve sorriso, che per
una volta sembrava sereno. “Mi sono innamorato di te quando
ti ho visto, e lo so che non l'ho mai ammesso, ma sei diventato il
centro della mia vita in quell'istante. Poco importa che ti sei
rivelato essere il contrario di ciò che credevo. Poco
importa che dolce non lo sei quasi per nulla, che dici bugie su bugie,
che spesso mi hai trattato male, che sei egoista, che vuoi sempre tutto
e non dai mai niente in cambio. Ti amo così, esattamente
come sei. E vorrei tanto capire come è possibile. Mi
piacerebbe spiegarti perché, mi piacerebbe elencarti una
serie di aspetti del tuo carattere che ti rendono così
amabile ai miei occhi, ma non ne conosco. So solo che quando non ci sei
sono un guscio vuoto, un corpo senz'anima, un sorriso senza allegria.
Vorrei poter 'andare
avanti'. Quando mi dicono che devo dimenticarti, che dopo tutto questo
tempo dovrei farmene una ragione, che ti ho perso ormai e non
c'è nulla che io possa fare se non voltare pagina, vorrei
chiedere loro cosa pensano di me. Credono che io sia felice di non
esserne capace? No, non è felice la parola giusta. Vorrei
non riuscire a perdonarti, vorrei odiarti
per tutte quelle volte che mi hai ferito, per tutte le
volte che ho pianto per te, perché hai distrutto la mia
vita, mi hai tolto sogni, speranze, amore. Dovrei odiarti
perché tutto ciò che volevo era starti accanto,
non importava quale fosse il prezzo, ma tu non me l'hai permesso. Non
volevo possederti, sapevo che non potevi essere mio, l'ho sempre
saputo. Semplicemente, non volevo neanche respirare se non nella tua
stessa stanza. Mi sarebbe bastato poterti essere amico, poterci essere
per te, invece tu mi hai dato tutto ciò che potevi darmi ed
io mi sono illuso di poter essere felice per sempre, con te; e poi, poi
mi hai tolto tutto ciò che mi avevi dato e tutto
ciò che ti avevo dato io in cambio. Ti sei preso tutto e mi
hai privato di persino di me stesso.
Eppure, Adam, io non
ti odio.
Ogni sera ti perdono
per ogni lacrima che ho versato, ogni giorno mi sveglio pensando a te,
in ogni istante spero di vederti tornare. Puoi immaginare quanto male
mi fa, Adam? Puoi capire quanto soffro ad essere sempre pronto ad
accoglierti anche se sono consapevole che tu di me non hai alcun
bisogno? Ti rendi conto di che tortura sia per me accorgermi ogni
giorno che non posso fare altro che sceglierti, nonostante
tutto?”
A quel punto Tommy si
fermò per qualche momento, quasi come se volesse solo
riprendere fiato, ma poi si nascose il viso tra le mani ed
iniziò a singhiozzare sommessamente. Piccoli tremiti lo
scuotevano ogni tanto, e si strofinava le dita sulla faccia quasi
tentando disperatamente di nascondere quelle lacrime, di eliminarle, di
cancellarle per poi far finta che non fossero mai esistite. Ma persino
dalla sua postura si evinceva il dolore che portava dentro, ed era
più grande ed oscuro che mai. Matt aveva quasi freddo, si
sentiva come se quelle lacrime stessero gelando il mondo, e voleva
correre da lui e stringerlo forte, voleva dirgli che sarebbe andato
tutto bene, voleva giurarglielo e poi mantenere la promessa, voleva
dirgli che andava bene così, che non doveva parlare ancora,
non se faceva così male. E stava per farlo, ognuna di quelle
cose, ma il biondo aprì gli occhi a fissare la moquette e
tra le lacrime riprese a parlare e lui non ebbe il coraggio di muovere
un dito. Restò ad ascoltarlo pietrificato, stregato,
sopraffatto da tutte le emozioni contrastanti che provava nel guardarlo.
“Perché
hai scelto me? Tra tutte quelle puttane che volevano darti il culo e
suonavano da Dio, Adam, perché quel giorno all'audizione hai
scelto me? Perché mi hai voluto, mi hai amato? Ci deve
essere una ragione, deve esserci un perché, deve esistere
qualcosa in cui io possa credere!” La sua voce si era alzata
di volume, e si era fatta disperata. Matthew non l'aveva mai sentito
parlare con un tono così alto. La cosa lo spaventava, quasi.
“Credevo in
mio padre, ma poi è andato via. Credevo in te, ma mi hai
lasciato anche tu. Come hai potuto farlo? Mi avevi promesso che non
sarebbe accaduto, che non sarebbe successo mai! Perché mi
hai fatto questo? Ti giuro...” Tommy smise all'improvviso di
parlare. Riprese fiato, tirò su col naso e pareva si stesse
calmando, ma alla fine si abbandonò ad una nuova serie di
singhiozzi. “Ti giuro, ci sto provando a credere in
qualcos'altro! Ma so che non può funzionare,
perché sei l'unico: ci sei solo tu, il resto non importa, il
resto non vale, il resto non esiste. Ci sono io che cado nel vuoto e
poi ci sei tu, solo tu puoi salvarmi, e lo so che verrai.
Verrai...”
Tommy
sospirò, asciugandosi ancora le lacrime che non smettevano
di scorrergli lungo le guance pallide. Sembrava riflettere su quello
che aveva appena detto, e tra le labbra sussurrava quella parola, in
continuazione. 'Verrai'.
Era il ritmo che scandiva il suo respiro, il suo mantra, la sua unica
speranza, la forza che lo spingeva a tentare di vincere la sua guerra.
A guardarlo in quegli istanti sembrava davvero pazzo, ma
d'altronde cosa sono i pazzi se non persone sconfitte dalla vita?
“Ti
supplico...” mormorò piano il biondo. Si
interruppe per alcuni istanti, stringendo il lembo della felpa tra le
dita sottili e fissando il dottore quasi fosse lui Adam. “Non
lo voglio questo cuore spezzato, questo corpo distrutto, questa vita
insensata. Non ho mai chiesto al tuo ricordo di farmi impazzire. Ma
è così che va, ed io ti amo, e non posso farne a
meno, non ce la faccio, non sono così forte, non adesso, non
più, non con te.”
Un bastardo, piccolo
pensiero si insinuò nella mente di Matthew Davis.
Più che un pensiero, una vocina, una stupida vocina convinta
e stronza che era tornata a dimostrargli di aver ragione. 'Che ti avevo detto? Sapevi che
sarebbe finita così, Matt!'
Già, lui
aveva sempre saputo che Tommy avrebbe perso la sua guerra con la vita,
eppure ci aveva provato lo stesso ad aiutarlo. Che stupido che era
stato a sperare di poter essere lui a cambiare quel terribile destino.
L'unico uomo al mondo che poteva farlo era stato la causa di tutto.
“Sai
qual'è la cosa più divertente, Adam?
Io non me ne pento.
Ancora oggi, anche adesso che so come andrebbe a finire, rifarei tutto
da capo. Tutto. Da quando sono nato fino ad oggi, ripeterei ogni
scelta, ogni errore, ogni successo ed ogni fallimento, ogni pianto ed
ogni risata. Rivivrei ogni istante, meticolosamente, perché
so che mi porterebbe da te. Capisci? Non voglio altro che poter vivere
ancora un giorno in quel passato così bello e
così lontano, con te, prima di morire. Mi accontenterei di
un giorno solo. E se esiste un'altra vita, quando la vivrò
cercherò te. Solamente te. Perché ne vale la
pena.”
Tommy
sospirò con aria sfinita, si prese la testa tra le mani e
restò lì, in silenzio, a pregare che quel giorno
arrivasse, che Adam riuscisse finalmente a restituirgli quel paradiso
che da cinque anni gli chiedeva. Si sentiva svuotato, senza forze
neanche per abbandonarsi al proprio dolore. Quando un cupo Matthew gli
diede il permesso di andare via, un permesso che pareva quasi una
supplica, Tommy eseguì senza fare domande. Uscì,
in silenzio, con una lentezza esasperante, e chiuse la porta dietro di
sé senza neanche rendersene conto. Si stava muovendo o era
qualcuno a muovere lui?
Fuori trovò
Isaac ad aspettarlo, un sorriso nervoso sul volto. Gli si
trovò vicino senza neanche accorgersi di essersi spostato e
poi, in una muta e quasi inconsapevole richiesta d'aiuto, gli strinse
la mano.
–
– –
–
Matthew si concesse di
piangere solo quando fu sicuro che nessuno l'avrebbe sentito. Non era
un pianto disperato, non era doloroso, erano solo leggere lacrime che
gli solcavano le guance perché piangere fa bene. Piangeva
perché aveva perso le speranze, piangeva perché
quel pensiero gli grattava il cervello nel disperato tentativo di non
essere buttato via. Avrebbe voluto essere lui Adam. Avrebbe voluto
essere l'oggetto di quell'amore così grande, appassionato e
forte, avrebbe voluto essere lui ad amare Tommy, curare le ferite del
suo cuore con una parola sola e poi cullarlo in quell'abbraccio che
tanto bramava e cercava.
Matthew
Davis, perché fai questo a te stesso? Perché non
l'hai lasciato andare quando ti sei accorto di provare affetto?
Perché pensavi di poter gestire questa cosa? I sentimenti
non si gestiscono, Matt, si provano, e tu lo sai bene!
Questo gli diceva il
raziocinio, questo gli avrebbero detto amici, colleghi, parenti. Ma
Tommy, lui gli avrebbe detto che l'amore era bello lo stesso. Era
quello che in cinque anni gli aveva insegnato quel ragazzo biondo, ed
era uno degli insegnamenti più belli e toccanti che avrebbe
ricevuto nella sua vita. Lo avrebbe sempre ricordato, che amare non
è mai inutile, che finché ce la fai devi giocarti
tutto ciò che hai, non solo i tuoi sentimenti, ma tutto te
stesso. Che devi buttarti a capofitto nelle emozioni e amare con corpo
e anima, offrire più di quello che hai e non desiderare
nulla indietro. Devi essere te stesso, e seguire i desideri del cuore.
Ed era quello che Matt aveva fatto. Eppure in quel momento si trovava
distrutto dall'idea che forse non avrebbe mai avuto il coraggio di
confessare a Tommy quanto bene gli volesse, quanto quei suoi occhi
vuoti e quei suoi silenzi eloquenti lo attraessero e lo affascinassero.
Ci aveva riflettuto molto, e a lungo, e c'è chi dice che con
il tempo i sentimenti, come le fotografie, passano e sbiadiscono, ma
era una stronzata e lo stesso Tommy ne era prova vivente. Neppure per
Matt era stato così.
Non sapeva cosa fosse
esattamente quello che provava, ma era certo che era un desiderio. Un
desiderio forte, profondo e quasi incontrollabile di dare a Tommy tutto
quello che nella vita gli era mancato, tutto quello che desiderava,
tutto quello che gli avrebbe chiesto ed anche di più. Era
certamente affetto, paura di perderlo, preoccupazione per lui, per come
stava, per come andava la sua vita. Era interesse nei suoi confronti,
voglia di starlo ad ascoltare, qualunque cosa dicesse. Ed era
– di questo era certo – disprezzo nei confronti di
Adam, quell'uomo che lui non conosceva ma che tanto aveva fatto
soffrire Tommy; disprezzo ma allo stesso tempo curiosità di
conoscerlo, di capire le sue ragioni, il suo punto di vista –
tutto ciò non prima di averlo pestato diligentemente a
sangue, ovviamente.
Si asciugò
le lacrime e si guardò allo specchio, fissando con amarezza
i suoi stessi occhi verdi tutti arrossati e rivolgendosi uno sguardo
quasi sprezzante: quarant'anni e ancora piangeva così.
Quarant'anni, una moglie, un figlio, una famiglia che amava e ancora si
comportava come l'adolescente illuso che era una volta, con quella sua
utopica speranza e fiducia in futuro che non faceva che deludere le sue
aspettative.
–
– –
–
Isaac chiuse la porta
dietro di sé e si abbandonò alle lacrime.
Finalmente era solo, finalmente poteva ammettere a se stesso quanto
male gli facesse il cuore, quanto si odiasse per aver scaricato il
fardello della sua esistenza e di quella di Tommy su Sophie e averla
costretta a fuggire. Non sopportava più quella vita, ed in
quel periodo era giunto al punto di desiderare egoisticamente di non
dover più avere a che fare con Tommy. Sentiva che si stava
piegando alla depressione, giorno dopo giorno, ed ora che Sophie non
c'era, nessuna forza gli avrebbe impedito di farlo: sarebbe
sprofondato. Aveva paura, era questa la verità. Aveva paura
che sua moglie non sarebbe tornata, che anche la sua vita sarebbe
precipitata nel nulla di un errore non suo, nella frustrazione, nella
nostalgia. E non voleva, non voleva finire come Tommy. Si sentiva
crudele a pensare quelle cose, una parte di sé scaricava
tutta la responsabilità sul suo amico e sulla sua
incapacità di reagire, e il senso di colpa lo divorava. Il
fatto era che lui capiva perfettamente Tommy, si immedesimava in lui,
sapeva che in fondo non erano così diversi e ciò
scatenava in lui il terrore di precipitare nello stesso baratro.
“Salvami....”
disse all'assenza di Sophie, o forse a se stesso, affondando la faccia
nel cuscino che ancora profumava di lei. “Mi
trascinerà giù con lui se tu non torni. Io ci sto
provando ad essere forte, ma non ce la faccio... Ti prego, Soph, non
lasciarmi.”
Sapeva che era stupido
parlare al nulla, ma erano cose che nessuno gli avrebbe mai sentito
dire, o almeno così credeva. In quel momento doveva essere
forte, ed essere forti è difficile: ogni tanto era bello
sfogarsi. Sospirò, si asciugò il viso dalle
lacrime, prese il telefono e compose il numero di sua moglie. Alle sue
spalle, Tommy decise che aveva ascoltato abbastanza. Non era sua
intenzione origliare, era accaduto per caso, ma non si poteva tornare
indietro, purtroppo. Raccolse l'ultima briciola di autocontrollo che
gli restava per socchiudere la porta e tornare in camera, cercando di
far finta di nulla.
–
– –
–
Sauli entrò
nella casa che era stata sua già con le lacrime agli occhi.
Erano passate quasi tre settimane da quando se n'era andato da
lì, da quando aveva messo un punto a quella relazione tanto
importante per lui quanto insignificante per Adam. Ormai la notizia
della loro separazione era su tutti i giornali, completa di intervista
al povero Sauli, brutalmente abbandonato per una 'vecchia fiamma'. Lui
avrebbe volentieri fatto il nome di Tommy, ma il management di suo
marito gliel'aveva proibito; si era quindi accontentato di farlo capire
ai fan tramite delle frecciatine su Twitter.
Posò le
chiavi sul tavolo della cucina, pensando con malinconia che non avrebbe
mai più visto quella casa. Non aveva più nulla,
la sua vita era in pezzi, e l'unico piacere che poteva concedersi,
l'unico che gli era rimasto, era tentare di rovinare la
felicità di Adam, come lui aveva rovinato la sua. Ma la
vendetta era un'amara consolazione: non avrebbe mai recuperato gli anni
persi, non avrebbe mai dimenticato quell'umiliazione. Eppure poteva
fargliela pagare e aveva intenzione di farlo con ogni mezzo a propria
disposizione, non solo in tribunale, nella speranza che già
sapeva essere vana che i soldi e il dolore di Adam potessero in qualche
modo guarirlo dalla propria sofferenza. Lo avrebbero fatto stare
meglio, sì, ma quanto? E per quanto?
Aveva passato le sue
serate senza lui ad ubriacarsi e ad andare per locali, non ottenendo
nulla che non fossero orribili risvegli in preda al mal di testa o ai
ricordi della nottata trascorsa. Si rendeva ridicolo, ma che gli
importava? Voleva solo che Adam sapesse che lui poteva divertirsi da
solo, che tutti dicessero che l'aveva presa davvero bene, quella
separazione, che era forte. Già, era forte.
Trattenne le lacrime e si diresse in camera da letto, dove suo marito
gli aveva lasciato alcune scatole già pronte e delle valige
ancora da riempire con tutte le sue cose, buttate sul letto in caotici
ammassi. Si sentiva umiliato. Avrebbe dovuto cacciare Adam di casa,
piuttosto che andarsene, sarebbe dovuto essere lui a raccogliere la sua
roba a testa bassa e a chiedere ospitalità a qualcuno. Ma a
che scopo prendersi la loro casa? Non voleva restare in America ancora
a lungo, voleva tornare in Finlandia al più presto.
Mentre rifletteva
prendeva i suoi vestiti sparsi disordinatamente sul letto, li piegava e
li riponeva in una delle valige. Pensava all'appartamento in cui era
cresciuto, ai suoi amici, alla sua famiglia, a come sarebbe stato
tornare finalmente a casa. Col pensiero stava già
assaggiando uno dei manicaretti di sua madre, o guardando un programma
stupido stravaccato sul divano con suo padre. Immaginava di tornare ad
uscire con i suoi vecchi amici, si chiedeva se la sua vecchia e adorata
felpona grigia gli calzasse ancora bene, e gli mancava persino il suo
giardino sempre infestato dai corvi.
I suoi pensieri
nostalgici si interruppero quando, ad un certo punto, sotto la matassa
di panni trovò l'iPhone di Adam. Era spento e il retro era
rotto, probabilmente in seguito ad una caduta alquanto violenta. Sauli
sorrise, fulminato dall'eccitazione per quella fantastica occasione di
farla pagare al marito ed anche a Tommy che gliel'aveva portato via.
Una mossa davvero stupida, quella di lasciare lì il
cellulare, anche se probabilmente non era stata una cosa voluta. Sauli
lo accese e subito aprì i messaggi: sapeva cosa doveva fare.
La sua vendetta sarebbe stata molto più soddisfacente di
quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Gli ultimi SMS inviati
erano poco interessanti. Adam aveva scritto a suo padre, a sua madre, a
suo fratello, a Brad... Sempre le stesse persone. Sauli ne lesse
qualcuno – non riuscì a resistere alla tentazione
– e scoprì che in quel momento Adam era da suo
padre e che vi era andato proprio per evitare lui. Lesse che aveva
scritto a Brad di come si sentisse in colpa ad aver lasciato Tommy
cinque anni prima. Ma di sensi di colpa per come aveva trattato suo
marito non ne aveva, eh? Un brivido di rabbia lo scosse quando si rese
conto che il suo cuore spezzato e torturato aveva però
ancora la forza di sperare, di credere nel buon cuore di colui che
aveva amato e che in fondo amava ancora. Era sconcertato al pensiero di
quello che Adam si era rivelato essere. Nessuno al mondo si era mai
comportato con lui in una maniera così ignobile, nessuno
aveva mai dimostrato di possedere una natura tanto egoista e vile. Adam
meritava la sua vendetta ancor più di quel verme del suo ex.
Meritava di soffrire perché faceva soffrire tutti quelli
attorno a sé. Persino Tommy si aggiudicò un po'
della sua solidarietà, quando comprese quella
realtà, perché era stato una vittima prima ancora
di essere un carnefice, proprio come Sauli. Ma questo non
cambiò le intenzioni del finlandese, né
impedì che la sua vendetta si compisse. Scorrendo tra i
messaggi ecco che finalmente Sauli trovò ciò che
gli interessava: un sms della madre di Tommy con il numero del figlio;
diceva 'fanne buon uso'.
“Oh,
tranquilla signora Ratliff, ne farò un uso più
che buono” sussurrò, un sorriso soddisfatto
stampato sul volto. I suoi presentimenti erano stati giusti, ed ora che
aveva tutti gli strumenti non avrebbe mai sprecato quell'occasione,
come invece sembrava aver fatto Adam, che ancora non aveva inviato a
quel numero alcun messaggio.
A: Tommy
Lasciami in pace.
Lasciami vivere la mia vita. Fattene una ragione, Tommy: non ti amo,
non ti ho mai amato, non ti amerò mai.
Adam.
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