Capitolo 4
-Buongiorno,
baby! –esclamò Ville seduto sul letto, con le
lenzuola che gli coprivano dal bacino in giù, le ginocchia
portate al petto,
sulle quali poggiava i gomiti. Si accese la prima delle tante
sigarette, che
avrebbe poi fumato in giornata. Fece il primo tiro e buttò
fuori il fumo, con
fare così elegante da far innamorare qualsiasi essere umano,
poi si voltò verso
me, carezzò la mia fronte sorridendo. Gli feci anche io un
leggero sorriso, poi
cercai il mio cellulare tra le coperte e per terra, finché
non lo trovai. Sgranai
improvvisamente gli occhi … avevo ben 8 chiamate perse di
Paula.
-Merda!-
esclamai, mettendomi seduta sul letto –devo andare
immediatamente, è tardissimo e poi saranno anche preoccupati
e non voglio che …
-proseguii cercando il mio vestito. Ville mi prese per un braccio e mi
tirò a
sé.
-Dove
credi di andare? –mi domandò poggiando il mio
volto
sul suo petto –magari anche loro si trovano così,
stretti l’uno a l’altro, che
si interrogano sulla notte appena passata …
-proseguì facendo correre la sua
mano lungo il mio braccio.
-Perché
è successo Ville?- gli chiese guardandolo dritto in
quegli occhi di ghiaccio.
Lui
fece un altro tiro, scrollando via della cenere che si
era accumulata nella sigaretta e poi buttò fuori il fumo.
-Perché
tu lo volevi, l’ho notato non appena siamo entrati
dentro questa casa –sorrise mordendomi delicatamente la
spalla destra.
-E
tu Ville? –gli domandai con voce flebile. Avevo paura di
qualsiasi risposta lui avesse dato, sapendo con certezza che non
sarebbe stata
quella che io mi aspettassi –è stato solo sesso?-
gli chiesi ancora.
Il
ragazzo schioccò un bacio sulla mia spalla e poi
tornò a
guardarmi in viso, sfiorando il mio naso, mentre poggiava la fronte
contro la
mia.
-Tu
cosa credi sia stato? –mi rispose con un’altra
domanda. Non
riuscivo a farlo parlare, voleva che io intuissi da sola i suoi
sentimenti,
come lui era in grado di comprendere i miei. Stavo per rispondere,
quando suonò
il cellulare.
-Insomma
si può sapere dove sei?- chiese Paula preoccupata.
-Paula
scusa ma avevo il silenzioso. Ieri sera ho incontrato
alcuni vecchi compagni e sono rimasta a dormire da una mia amica, tra
una
parola e l’altra il tempo è voltato e mi sono
dimenticata di avvertirti. Arrivo
subito!- terminai chiudendo la chiamata e rivestendomi velocemente.
Presi la
mia roba e mi avvicinai alla porta della camera.
-Ah
Ary … Jonna è fuori per le prossime due
settimane, se
vuoi fare visita a quella tua “amica” …
beh sai dove trovarla- sorrise
accendendosi una seconda sigaretta.
Uscii
da casa di Ville ripensando continuamente a ciò che
era successo e non potevo far altro che constatare quanto fosse stato
meraviglioso unirmi di nuovo a lui dopo tantissimo tempo. Non riuscivo
però a
comprendere il perché lo avesse fatto, sapevo benissimo che
il motivo non era stato
solo appagare un mio desiderio, c’era qualcosa in
più … un qualcosa che però
non riuscivo a decifrare con esattezza ancora, anche perché
non ero brava come
lui ad interpretare i pensieri della gente. Arrivai a casa e vidi Paula
seduta
sul divano, le raccontai la miglior scusa che avessi mai inventato in
tutta la
mia vita, mentirle non era quello che volevo, ma non mi sembrava il
caso
raccontarle ciò che era realmente accaduto quella notte.
Passarono
due giorni, non vidi né sentii Ville, chiedendomi
che cosa stesse facendo e perché quei giorni non si era
fatto vedere a casa di
Paula e Lauri. Volevo chiamarlo, avevo bisogno di sentire la sua voce
più di
ogni altra cosa, ma era ancora troppo presto per rivederlo,
poiché ancora
meditavo sulla sua domanda, che difficilmente riuscivo a decifrare,
come fosse
un messaggio criptato.
Il
terzo giorno, uscita da lavoro, decisi di fare una
piccola sosta al bar di Bam. Era tantissimo tempo che non lo vedevo,
volevo
approfittare per fare qualche parola con lui, oltre al fatto che avevo
assolutamente bisogno di un caffè per portare avanti la
giornata. Chiacchierai
con Bam del più e del meno, mentre sorseggiavo la bevanda
bollente, quando
improvvisamente qualcuno entrò nel locale.
-Vuoi
il solito? –chiese Bam al nuovo cliente, sorridendo,
tirando fuori una bottiglia di Jack Daniel’s.
-Sì,
metti anche il caffè della signorina sul mio conto-
affermò avvicinandosi al bancone –baby non sei
più andata dalla tua amica?-esclamò
sorseggiando il liquore. Mi domandavo se fosse tutta una coincidenza o
se
qualcuno lo avesse informato o, semplicemente, mi conosceva talmente
bene tanto
da ricordare che dopo la mia lezione di danza avevo urgentemente
bisogno di un
caffè. Bevemmo in silenzio, non volevo iniziare una
conversazione in un luogo
aperto a tutte le orecchie dei clienti che entravano ed uscivano.
Finimmo di
bere, poi mi mise un braccio attorno al collo e, insieme, ci dirigemmo
verso
l’uscita.
-Segna
tutto sul mio conto, Bam!- esclamò aprendo la porta.
Uscimmo dal locale, stretti l’uno all’altra, come
se avessimo paura che
qualcosa ci avrebbe improvvisamente diviso.
-Beh,
perché non ti sei più presentata? –mi
domandò aprendo
la macchina con il telecomando della chiave.
-Veramente
nemmeno tu mi hai più chiamata- replicai
spazientita.
Ville
scoppiò in una fragorosa risata. Che cosa aveva da
ridire ora? Ero confusa, cercavo in ogni modo di comprendere il
perché di
questo suo atteggiamento. Smise di ridere, si diresse verso me e si
avvicinò
talmente tanto, da essere in grado di contare ogni suo più
lieve respiro.
-Chiamarsi
o mandarsi messaggini idioti è una cosa da
quattordicenni non trovi?- domandò mettendomi
l’indice sotto il mento,
alzandolo con delicatezza verso il suo volto –è
arrivato il momento di viverci
l’un l’altra, in ogni istante, senza sprecare
nessuna occasione che questo
misero scorrere del tempo ci offre … -proseguì
avvicinando il suo volto al mio,
poggiando le sue labbra sulla mia fronte –sono già
passati due giorni e già se
n’è andata metà della nostra vita
… - terminò il discorso stringendomi forte a
sé. Più stavo tra le sue braccia e più
mi rendevo conto di quanto stessi bene,
di come tutto il dolore che mi aveva recato, svanisse in un istante,
dimenticandomi perfino del perché me ne fossi andata per due
anni, lontano da
tutto e da tutti e soprattutto … lontana da lui. Nella mia
mente si creò una
confusione tale da non essere più in grado di distinguere il
giusto dallo
sbagliato, un vortice unico in cui si intrecciavano piaceri, emozioni,
dolori e
delusioni, tutti insieme, senza riuscire più a distinguerli
gli uni dagli
altri. Ville mi fece salire in macchina e andammo a casa sua.
-Avverti
Paula … -esclamò attaccando il cappotto
all’appendiabito –dille che sei stata invitata a
cena dalla tua “amica”
–proseguì sorridendo. Le sue intenzioni non mi
erano del tutto chiare, forse mi
stava semplicemente usando per soddisfare le sue voglie sessuali, data
l’assenza di Jonna, però perché proprio
io? Quando stavamo insieme conosceva
così tante ragazze che gli facevano la corte,
perché chiamare proprio me? Forse
perché sapeva benissimo che non lo avrei rifiutato, che non
sarei mai riuscita
a dirgli di no, ma sicuramente sotto tutto questo c’era
qualcos’altro di
estremamente indecifrabile, che non riuscivo in nessuno modo ad
interpretare.
Uscii in giardino, mentre Ville stava facendo la doccia. Notai come non
era
cambiato nulla, sempre molto curato e privo di qualsiasi erbaccia. Mi
avvicinai
al cespuglio di rose rosse … le adoravo, erano semplicemente
meravigliose e
perfette, la loro delicatezza, la loro maestosità mi avevano
sempre affascinato,
in passato come ora. Ne odorai una, sublime leggerezza nel sentire il
suo aroma
entrarmi in testa e pervadermi tutta.
-Sono
bellissime, non trovi? –domandò Ville mentre
sorseggiava un liquore e, con l’altra mano, mi porse un
bicchiere pieno. Calò
un soave silenzio, veramente piacevole. Osservammo le rose,
scambiandoci sguardi,
sorridendo, mentre io finivo di bere il liquore e Ville stava fumando
la sua …
beh avevo perso ormai il conto di quante sigaretta avesse fumato! Il
ragazzo si
avvicinò a me e, con il braccio tatuato, mi strinse a
sé, mentre con l’altra
continuava a tirare la sua infinita dose di nicotina. Stavo bene,
volevo
chiedergli tante cose che ancora non riuscivo a comprendere,
perché mi avesse
tradita, perché non fece nulla per impedirmi di andar via
tutto quel tempo e,
soprattutto, volevo sapere perché desiderava a tutti i costi
passare del tempo
insieme a me, se poi sarebbe finito tutto, una volta che Jonna sarebbe
tornata,
ma non volli chiedergli nulla, poiché ogni singola e misera
parola avrebbe
rotto tutta quella bellissima armonia e intesa, che regnava
nell’aria.
-Non
è stato solo sesso, Ary –esclamò
improvvisamente Ville,
alzando il volto verso il cielo. Io lo guardai, osservando i suoi
occhi,
contornati da un infinito rossore che non se ne era mai andato
–quando ti
unisci alla persona che ti appartiene, non può essere solo
dello squallido e
insensato gioco di corpi, c’è e ci sarà
per sempre qualcosa di più –proseguì
posando
il suo sguardo su di me – c’è
complicità, affetto, passione … tutto quello che
può trasmettere una persona innamorata –disse
passandosi una mano tra i
capelli, facendola scivolare dietro la nuca, per poi posarsi sul collo,
sempre
sorridendo. Si era finalmente rivelato, senza che io gli chiedessi
nulla, perché
era consapevole del fatto che lo volessi sapere ardentemente, per
cercare di
mettere in ordine i tasselli di una confusione mentale, che non aveva
intenzione di placarsi in nessun modo. Non so perché, ma
ascoltando quelle
parole, una lacrima scese dai miei occhi, rigando il mio volto. Di
getto mi
buttai fra le sue braccia, comprimendo il viso contro il suo petto,
soffocandomi in quell’immenso profumo.
-Perché
devo essere ancora tua … perché Ville?- gli
chiesi
piangendo, anche se non sapevo nemmeno io il motivo del mio pianto. Lui
per
tutta risposta, mi strinse di più a sé,
accennando ad un leggero sorriso,
mentre socchiudeva leggermente gli occhi.
-Sai
già da sola che, senza di me, saresti come una coltre
di fumo incerta, che vaga ininterrottamente senza una guida che gli
indichi la
retta via. Tu hai bisogno di me, hai bisogno che io vegli costantemente
su di
te, senza mai lasciarti vagabondare da sola, stringendoti sempre la
mano,
qualsiasi sentiero tu voglia imboccare e, tutto questo, ti è
possibile solo se
continui ad amarmi come lo stai facendo ora- concluse dandomi un bacio
in
fronte. Erano le parole più belle che, in tutti gli anni
passati insieme, fossero
uscite dalla sua bocca, così perfetta. Le aveva pronunciate con una
sincerità ed una dolcezza
tale da far sciogliere il ghiaccio più resistente e crearvi
attorno un eden
meraviglioso e puro.
-Come
fai a sapere tutto questo? –gli domandai, asciugandomi
gli occhi. Ville poggiò la mano gelida sulla mia guancia,
carezzandomi la pelle
con il pollice.
-Perché
è stato già tutto prestabilito da
entità talmente
grandi e sconosciute a noi essere umani. Io e te siamo stati destinati
e questo
non può essere modificato da nessun’altra cosa al
mondo, siamo legati da un
vincolo inviolabile, un sigillo che non si aprirà, nemmeno
dopo la morte
–rispose sfiorando la mia bocca con le labbra. Un bacio
leggero, delicato e del
tutto inaspettato. I suoi discorsi mi fecero sempre più
rabbrividire, mi
spaventò come lui sapesse tutte queste nozioni, mentre io
ero ignara di tutto
quanto, non pensavo mai che il destino avesse un potere così
grande e fosse
così abile da nascondersi in qualsiasi persona o animale,
senza farsi mai
riconoscere. Si levò un leggero vento, il quale
iniziò a danzare con i nostri
capelli, mentre delle foglie cadute, circondavano le nostre due figure,
ancora
unite in quel bacio inatteso.
Eccoci di
nuovo qui cari lettori :)
Beh che ne pensate? Spero di non deludervi!
Ma questo finnico filosofo e saccente proprio la nostra Ary doveva
tormentare? E tu Ary proprio di lui dovevi innamorarti? Eh...quando si
dice il FATO, che in questo caso sembra proprio il padrone di tutta
questa vicenda!!
Alla prossima gente ;)
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