VI
La
mattina di due giorni dopo la sua risoluzione notturna, Sherlock scese
in
salotto per trovarvi il proprio fratello pigramente seduto sulla sua
poltrona,
lo sguardo colmo di disapprovazione fisso su ogni angolo della stanza.
“Sherlock,
benedetto ragazzo. A malapena una settimana di permanenza e
già la casa è
ridotta in questo stato deplorevole” borbottò
Mycroft con un sospiro.
“Che
diavolo ci fai qui?” sibilò l’altro
imbracciando il suo violino e volgendogli
le spalle, deciso ad ignorarlo almeno fisicamente. “Nostra
madre ti manda a
spiarmi? Vuole sapere se il suo piccolo reietto è arrivato a
uccidersi per la
disperazione? Ha!” Gli brandì contro
l’archetto come una spada. “Dille che da
me può scordarsi certi disgustosi atti
sentimentali.”
Mycroft
si rigirò lentamente il bastone da passeggio fra le mani, lo
sguardo penetrante
fisso sul fratello minore.
“Nostra
madre è ancora furiosa con te ma questo non la
esimerà mai dal preoccuparsi.”
Gli rivolse un sorriso amaro. “Non che questo costituisca una
sorpresa,
d’altronde. Sei sempre stato il suo preferito.”
Sherlock
smise d’improvviso di suonare e si voltò a
guardarlo.
“Lo
sai” disse lento, stranamente esitante, “che io non
l’ho mai voluto, questo.”
Mycroft
sospirò.
“Sì,
so perfettamente che non hai mai fatto nulla per esserlo. Piuttosto il
contrario, direi.” Un altro sospiro, più profondo.
“Ciononostante…”
Sherlock
aggrottò le sopracciglia. Mycroft sorrise con fare
pensieroso.
“Non
tutto a questo mondo può essere facilmente spiegato, mio
diletto fratello”
disse in tono distratto. “L’amore, come oggetto di
studi razionali, è molto
elusivo.”
“Cosa
potrai mai saperne tu.”
Mycroft
rise di fronte a quella risposta così secca e immediata.
“Nulla,
nulla, ovviamente. Non pretendo di essere
un’autorità in merito.”
Sherlock
vide che stava stringendo forte il manico del suo bastone, come faceva
le rare
volte in cui provava emozioni così intense da richiedere uno
sforzo fisico per essere
tenute bada.
D’improvviso
non seppe più che dire e tra loro calò un
silenzio teso e scomodo.
Incapace
di sopportarlo a lungo, Sherlock fece schioccare la lingua e si sedette
con eccessivo
impeto sul divano.
“Dimmi
perché sei qui, Mycroft” mormorò con lo
sguardo ostinatamente fisso fuori dalla
finestra.
Suo
fratello si prese diversi attimi prima di rispondere, limitandosi a
guardarlo
con aria indecifrabile.
“Ti
credo” disse in tutta semplicità.
Si
fece sfuggire uno sbuffo esasperato di fronte allo sguardo allibito di
Sherlock.
“Dato
il perfetto funzionamento del tuo apparato uditivo, non è
certo necessario che
io mi ripeta.”
Sherlock
si riscosse subito dal proprio imbarazzante stupore e gli
lanciò un’occhiata supponente.
“Ce
ne hai messo di tempo per tornare in possesso di quel poco di sale in
zucca che
ti ritrovi, razza di stupido” sbottò.
Dopodiché si alzò in piedi e uscì
dalla
stanza con un teatrale svolazzo della propria vestaglia.
Mycroft
fece appena in tempo a notare sulle sue labbra un fugace sorriso.
*
“Lo
sai che mangiare carne cotta nuoce alla tua fragile salute.”
Un
ghigno crudele.
“O
meglio, lo sai che semplicemente mangiare
nuoce alla tua fragile salute.”
Mycroft
si pulì la bocca con il tovagliolo e lanciò uno
sguardo accigliato al proprio
fratello.
Sherlock,
al di là della tavola, stava giocherellando con un coltello,
un’espressione
arrogante in viso. Sembrava fermamente deciso a non toccare nulla del
piatto che
aveva davanti.
Mycroft
inspirò raccogliendo a sé tutta la pazienza di
cui disponeva e si portò alla
bocca un altro poco di arrosto.
“Ti
interesserà sapere che ho parlato con il tuo capitano, caro
fratello.”
Sorrise
quando udì il rumore metallico del coltello che cadeva con
malagrazia sulla
tavola.
“Che
cosa hai detto?” esalò Sherlock, le labbra strette
in una linea sottile.
Mycroft
notò che la mano che aveva lasciato cadere la posata tremava.
“Non
avendo più avuto più notizie, è
entrato in uno stato di grande preoccupazione
ed è venuto a chiedere di te.”
“Gli
hai-”
“Sì,
gli ho propinato la tua debole storiella della malattia.”
Bevve un sorso di
vino. Sherlock fece schioccare la lingua, innervosito da quella pausa
indesiderata. “Ma temo che abbia chiamato il tuo bluff. Si
è dimostrato affatto
stupido. Credevi davvero che un uomo con il fegato di chiederti in
matrimonio
avrebbe desistito così facilmente?”
Sherlock
si alzò da tavola con un movimento improvviso.
“Non
agitarti. Renderai difficile la digestione di tutto quello che non hai
mangiato” lo ammonì placidamente Mycroft.
“Al
diavolo tu e il tuo dannato cibo!” urlò Sherlock,
fuori di sé. Era divenuto
paonazzo in viso e stringeva il tavolo con nocche ormai divenute
bianche. “Cosa
significa quello che hai detto? Che cosa-”
“Significa
che ha capito tutto, Sherlock.” Mycroft appoggiò
con lentezza i gomiti sul
tavolo e gli rivolse uno sguardo intenso. “Ma la cosa
più importante è che mi
ha vivamente detto di riferirti che non gli importa.”
Sherlock
impallidì. Si risiedette di colpo, passandosi una mano fra i
capelli.
“Non
può essere vero” mormorò sbigottito.
“Concordo
con te che sia un comportamento inusuale per un alfa – un
soldato, per di più.
Solitamente i militari hanno il vizio di voler conquistare omega come
fossero
fortezze.”
Aveva
usato lo stesso tono pigramente vago che adottava di solito per parlare
del
tempo.
Sherlock
digrignò i denti, fulminandolo con un’occhiata.
“Mycroft,
ti avverto, se non cessi immediatamente
di prenderti gioco di me-”
“Calmati,
Sherlock. Non è mai stata mia intenzione.” Riprese
a tagliare la carne,
imperturbabile. “Il capitano mi ha detto di averlo capito
già durante il
vostro... Idillio.” Si forzò la parola dalle
labbra come se fosse qualcosa di
eccessivamente dolce rimastogli incastrato fra i denti.
Sherlock
assunse un’espressione confusa.
“Non
me ne ha mai parlato” mormorò.
“Non
voleva turbarti inutilmente, dato che aveva già deciso di
sposarti nonostante
questa incresciosa circostanza.”
“Sa
chi è stato?”
“No,
e nemmeno gli interessa. Ha espresso il più ardente
desiderio di riunirsi presto
a te e dimenticare questa orrenda storia il prima possibile.”
Sherlock
non riuscì a sopportare oltre quel discorso e
abbandonò la stanza senza una
parola in più.
Mycroft
sospirò, prendendo a massaggiarsi le tempie con la punta
delle dita.
Finì
di cenare in silenzio e in solitudine.
*
La
mattina seguente, in piedi sulla porta della sua camera da letto,
Mycroft
sbuffò e osservò con vago fastidio
l’involto di coperte che era suo fratello muoversi
con lentezza, raggomitolandosi più strettamente su un
fianco.
“Mi
rincresce rinunciare alla tua come sempre deliziosa compagnia, mio caro
fratello, ma temo di essere costretto a tornare a casa. Gli affari non
aspettano.”
Prevedibilmente,
non ottenne risposta.
“Buona
giornata, Sherlock” disse in tono conclusivo.
Stava
per chiudersi la porta alle spalle quando udì un sussurro
quasi
incomprensibile:
“Mycroft.”
La
sua mano si appoggiò sulla maniglia, ma non la spinse. Con
un sospirò, si voltò
per vedere Sherlock appoggiare la schiena ai cuscini e guardarlo con
un’espressione incerta che sul suo viso sembrava
completamente fuori posto.
Sei
sempre stato
il suo preferito.
“Sì?”
chiese, alzando un sopracciglio.
Sherlock
continuò a guardarlo, incapace, all’apparenza, di
parlare.
In
un lampo di deplorevole nostalgia Mycroft rivide il viso incerto di un
bambino
pallido e ricciuto che lo seguiva ovunque, chiedendogli con lo sguardo
domande
silenziose su ciò che non riusciva a capire del mondo.
Tu
lo sai che io
non l’ho mai voluto, questo.
“Puoi…
Mandarlo da me?” mormorò infine
Sherlock, abbassando gli occhi sulle lenzuola.
Mycroft
divenne immobile e sembrò ponderare la sua richiesta.
Infine, distogliendo lo
sguardo, disse:
“Implicherebbe
disobbedire a nostra madre.”
“Lo
farai?”
Strinse
forte la maniglia.
L’amore,
come
oggetto di studi razionali, è molto elusivo.
“Sì.”
Sherlock
abbandonò completamente la sua apparenza misera ed emise un
chiassoso verso di
giubilo. Saltato giù dal letto, prese a vestirsi in fretta e
furia, un sorriso
soddisfatto sulle labbra. Tremava di eccitazione.
Mycroft
si chiuse la porta alle spalle.
Sherlock
aveva un certo talento per la recitazione, ma la sua bravura non poteva
niente
contro i legami di sangue. Il suo tentativo di far passare la propria
supplica
per una manipolazione insincera era miseramente fallito.
Ma
per quanto si sforzasse non riusciva a biasimare il suo comportamento.
Non
erano mai stati capaci né di aiutarsi né di farsi
aiutare alla luce del sole:
persino le loro poche gentilezze reciproche erano mascherate da furbi
sotterfugi, da do ut des, da estorsioni. Ammettere di tenere
l’uno all’altro
pur immersi sino al collo nella loro faida fraterna,
d’altronde, era un
pensiero davvero paradossale.
Cosa
potrai mai
saperne tu.
Mycroft
si concesse un sorriso amaro. Uno solo. Poi reindossò la sua
usuale maschera di
indecifrabilità e, salito in carrozza, ordinò al
occhiere di partire.
Note
dell’autrice:
ritorno
dopo l’agognata pausa estiva *getta coriandoli*
Spero
vi sia piaciuto <3
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