CAPITOLO 7
Monaco
Non
era poi tanto male.
Certo,
le toccava fingere che la pazienza fosse il suo forte, che assecondare i
capricci di un miliardario fosse la sua massima aspirazione, che ogni mattina
si svegliasse con l'unico scopo di sorridere educatamente e sfarfallare le
ciglia in direzione di maître, camerieri, giornalisti,
diplomatici e quant'altro per convincerli a concedere questa o quell'assurda
cosa ad un uomo che poteva avere tutto e a cui non piaceva tenere praticamente
niente, non troppo a lungo, comunque.
Di una cosa era già piuttosto
convinta: Tony Stark era un narcisista da manuale. Un
miliardario annoiato, vagamente tendente alla depressione e – dopo gli
avvenimenti del pomeriggio le era apparso fin troppo chiaramente –
all'autodistruzione. La TV della lussuosa camera dell'Hotel de Paris in cui avrebbe alloggiato anche per quella notte,
continuava a trasmettere immagini del terribile incidente che aveva visto
coinvolto Mr. Stark e una specie di terrorista
dell'est Europa dall'identità non meglio identificata. Aveva ricevuto ordini
dal direttore Fury di attenersi alle linee guida della missione, di intervenire
solo se ce ne fosse stata l'assoluta necessità. E nonostante tutti i suoi
difetti, Stark se la sapeva cavare.
Natasha – Natalie, per il
momento – non era ancora del tutto sicura di provare più ammirazione o
compassione per Pepper Potts,
il nuovo CEO delle Stark Industries,
amica e babysitter a tempo pieno di un bambinone con un conto in banca da
capogiro. C'era dell'altro tra i due: la gelosia di Miss Potts
sarebbe passata inosservata agli occhi di chiunque, ma non ai suoi. D'altra
parte, aveva compreso fin da subito che, se avesse voluto restare nelle buone
grazie di Stark, non avrebbe dovuto sfidare o mettere
apertamente in discussione la posizione di Pepper Potts. Era per questo che il direttore Fury le aveva
assegnato un compito che, si fosse trattato di un soggetto di minore spicco,
sarebbe ricaduto su qualcun altro. I suoi punti forti, Natasha lo sapeva, erano
tutt'altri: eppure era stata scelta per osservare e dare il suo parere su Tony Stark in merito ad un programma che avrebbe riunito persone
dalle straordinarie capacità: supereroi. La parola le faceva storcere il naso ogni volta.
Conquistarsi un posto nel suo entourage non era stato affatto difficile: Tony Stark amava le cose nuove e luccicanti e lei sapeva
esattamente come stuzzicare il suo interesse.
La parte complicata era venuta
dopo, quando si era trovata a gestire una quantità improbabile di situazioni a
dir poco assurde, a sostenere ed ignorare l'evidente e sorpreso disappunto di
Miss Potts, che – le risultò più che evidente - aveva
scoperto della sua assunzione solo a cose fatte, a tenere a bada i giornalisti
che insistevano per sapere cosa fosse successo sulla pista di Monaco solo
qualche ora prima. La tempie le pulsavano fastidiosamente ad ogni riverbero
luminoso della TV. Ombre informi si proiettavano sul soffitto della stanza.
Natasha socchiuse gli occhi. Il
direttore Fury le aveva ordinato di mantenere la copertura, di assecondare le
decisioni di Stark (o meglio, di Miss Potts), le quali prevedevano il rientro negli Stati Uniti
all'indomani e l'obbligo di far fronte alla crisi mediatica che stava già facendo
calare a picco le quotazioni borsistiche della Stark Industries. In un qualche momento, avrebbe pure dovuto
mettere nero su bianco le sue considerazioni sulla personalità di Stark, ed era tornata in camera proprio con
quell'intenzione prima che il mal di testa finisse per avere la meglio.
Erano passati anni dall'ultima
volta che aveva sofferto di mal di testa. Era annoiata, aveva bisogno di sciogliere i
muscoli, di scaricare la tensione... aveva bisogno di prendere a pugni qualcosa
o qualcuno. Sbuffò, coprendosi il viso con entrambe le mani. Aveva persino
preso in considerazione la possibilità di intrattenersi con qualcuno al bar
dell'albergo ma, dopo aver dato una rapida occhiata alla fauna presente (troppi
giornalisti e troppi ficcanaso) e dopo aver deciso che era meglio non
compromettere il suo status di giochino nuovo
di zecca di cui godeva agli occhi di Stark, aveva optato per andare a letto presto. Magari
svuotare il minibar a spese del suo attuale datore di lavoro. A dirla tutta le
sarebbe bastato avere qualcuno con cui parlare in veste di Natasha Romanoff
e non di Natalie Rushman. Non era certamente nuova ad
inganni del genere, ma questo non solo si prospettava più lungo del solito, ma
la costringeva di fatto a prendersi una pausa dalla sua vita reale.
Vita reale, pensò con un certo sarcasmo. Clint. Le mancava Clint. Le
mancava condividere con lui le missioni, le mancava confrontarcisi
per decidere un piano d'attacco, le mancava sentire la sua voce nell'orecchio
quando la teneva sott’occhio a distanza, le mancava vederlo trascinarsi in giro
nelle case sicure mentre attendevano di essere estratti e riportati a casa, le
mancava prenderlo in giro e guardarlo male, le mancava coglierlo di sorpresa,
le mancava persino sforzarsi di non sorridere o ridere troppo apertamente.
Sembrava passata un'eternità dall'ultima missione che avevano portato a termine
insieme a Budapest. Clint era rimasto bloccato in infermeria per un bel po' di
tempo e lo SHIELD aveva bisogno di insistere sulla questione dei super soldati.
Dopo aver scoperto il collegamento tra le attività in Corea del Nord e il
progetto Red Room, la naturale conseguenza era stata
coinvolgere Natasha, anche se quello aveva significato dividerla da Clint,
mandarla in missione da sola per la prima volta dacché era arrivata allo
SHIELD.
Si accoccolò su un fianco,
osservando la vista mozzafiato di cui si godeva attraverso le grandi vetrate
della stanza. La vita di Natalie Rushman – una vita
pressoché normale (per quanto potesse essere normale una vita al servizio di
Tony Stark) – non faceva proprio al caso suo. Nascose
la faccia sotto al cuscino quando partì l'ennesimo servizio dedicato agli
eventi del pomeriggio, soffocando un grido esasperato. In un primo momento la
voce francese che si diffondeva dalla TV, coprì il bip del suo laptop. Se ne accorse alla seconda, forse terza
ripetizione.
Emerse in tutta fretta dalla sua
coltre di coperte e cuscini di seta, recuperando l'apparecchio da sotto al
letto. Lo aprì rapidamente, sperando con tutta stessa che fosse il direttore
Fury che la informava di aver ricevuto abbastanza informazioni riguardo Stark e che aveva bisogno di lei per un'altra missione, una
che includeva un sacco di azione e – preferibilmente – anche la presenza di
Clint.
Rimase delusa solo in parte: una
schermata piuttosto scarna l'avvertiva che qualcuno – un certo HotShot – stava cercando di contattarla su una linea
sicura. Aveva un'idea piuttosto precisa di chi si nascondesse dietro quel
nickname, ma esitò. Stark era un mostro dei computer:
avrebbe trovato il modo di hackerare un sistema di
sicurezza utilizzando una gomma da masticare e una chiave inglese se ce ne
fosse stato bisogno, il che rendeva un qualsiasi tipo di comunicazione virtuale
decisamente sconsigliato. D'altro canto, Stark era impegnato
a far visita all'individuo che l'aveva attaccato durante la corsa, nell'ala di
massima sicurezza della prigione monegasca. Era sicura – o almeno tentò di
convincersene – che avesse tutt'altro a cui pensare.
Concesse l'autorizzazione e
lasciò che HotShot la contattasse per via testuale,
trattenendo inconsciamente il respiro.
“Ehi, Malefica!”
Alzò gli occhi al soffitto
all'appellativo, scoccando uno sguardo di rimprovero allo schermo. Un gesto
tanto familiare da farla sentire immediatamente – anche se marginalmente –
meglio.
“Scusa, pensavo fossi un altro”,
digitò rapidamente.
“Un altro? Un altro cosa?”
“Un'altra... persona?”
“No, cara mia, c'è un solo vero HotShot in circolazione e quello sono io.”
Natasha sorrise.
“Sono anche conosciuto come HotGuy.”
“HotGuy...
nel senso che hai la febbre? O magari stai andando letteralmente a fuoco?”
“Ah-ah.
Molto divertente, Malefica.”
“Malefica?”
“Non potresti capire.”
“Ne sono sollevata.”
Breve pausa, mentre scorreva
rapidamente la conversazione per decidere cosa aggiungere subito dopo. Clint fu
più veloce di lei.
“Coulson mi ha fatto vedere le
foto.”
“Quali foto?”
“Le foto.”
Il pensiero andò immediatamente
alle foto che aveva scattato come parte della copertura: Natalie Rushman aveva lavorato come modella a Tokyo. Se qualcuno
gliel'avesse chiesto, un modo come un altro per mantenersi agli studi.
“Le foto che sarebbero dovute
rimanere confidenziali...”
“Sono un pezzo grosso, mia cara,
credi seriamente che avresti potuto tenermele nascoste?”
“Sì.”
“Che ti serva di lezione.”
Natasha non aveva il benché
minimo problema con la propria nudità, né si sarebbe potuta dire una sfegatata
protettrice del pudore: un corpo era un corpo, il che non le causava nessuno
scompenso, né aveva intenzione di preoccuparsi se qualcuno l'avesse vista nuda.
Eppure, partecipare ad un servizio fotografico per una fittizia maison di
biancheria intima, per poi vedere le foto sparse per tutto lo SHIELD Center,
non la rendeva esattamente felice.
“Ti avverto: se trovo anche una
sola di quelle mie foto in lingerie sparse per l'ufficio...”
Una minaccia appena accennata,
ma sperò che Clint cogliesse al volo. E probabilmente non avrebbe avuto
problemi a decifrare il tono del messaggio, se non si fosse distratto con
tutt'altro.
“No, aspetta, di che razza di
foto in lingerie stai parlando?”
“Le foto... del servizio
fotografico.”
“Hai fatto un servizio
fotografico in lingerie? Perché non sono stato invitato?” Pausa. “Il mio culo
ha un aspetto straordinario in un perizoma.”
“Sei stato tu a tirare in ballo
le foto!”
“Coulson mi ha detto di
chiederti delle foto e io l'ho fatto.”
“Coulson... ti ha detto di
chiedermi delle foto?” Le pareva piuttosto difficile da credere.
“Coulson”, confermò. “E'
innamorato, non ci sta più con la testa.”
Natasha inarcò un sopracciglio,
perplessa.
“Di me. Se te lo stessi
chiedendo (e so che lo stai facendo). Siamo una coppia, adesso.”
“Immagino me lo sarei dovuto
aspettare dopo Budapest...”
“Hai perso un'occasione, tesoro. Non sono un'ultima spiaggia,
avresti dovuto rispettarmi quando ne avevi la possibilità.”
“Me ne sto già pentendo.
Amaramente.”
“Fai bene, Malefica.”
Sorrise tra sé, stiracchiando le
braccia al di sopra della testa.
“Che tu ci creda o no, ho bevuto
del tè.”
“Hai bevuto acqua sporca con una busta piena di erbette maleodoranti che ci sguazza
dentro?” Ricordava il definitivo
parere di Clint riguardo la sua bevanda preferita in modo straordinariamente
preciso.
“Quello. Solo che ci ho messo un
calzino dentro.”
“Un calzino... nel tè.”
“Un calzino nel tè”, confermò.
“Sono un uomo dalle mille risorse.”
“Ho paura di scoprire cosa
succederà tra sei mesi. Comincerai a bere caffè senza panna?”
“Giammai.”
Il telefono cellulare,
abbandonato sul copriletto, prese a vibrare. Sul display il nome di Pepper Potts. Doveva aver
ricevuto una email. L'ennesima.
“Devo andare”, annunciò,
chiedendosi perché diavolo stesse chattando nel bel mezzo di una missione. Sperò con tutto il
cuore che il direttore Fury non venisse mai a saperlo.
“Ehi, non è che hai una di
quelle foto da inviarmi, vero?”
“Ovviamente no, HotGuy.”
“Peccato. Erano settimane che
avevo intenzione di comprarmi un bel reggicalze. Suppongo di dover attendere il
tuo ritorno per il catalogo completo.”
“Ti porterò un reggicalze a mio
gusto, che ne dici?”
“Sarebbe fantastico, Malefica.”
“Smettila di chiamarmi
Malefica.”
“Ma è il tuo nickname, non
vedi?”
Natasha controllò e, in effetti,
Malefica stava avendo un'intensa conversazione con HotShot.
Alzò gli occhi al soffitto, comprendendo al volo.
“Ricordami di non prestarti mai
più il mio computer per nessun motivo al mondo.”
“Sarà fatto, mademoiselle.”
“Ci risentiamo appena torno”,
digitò, anche se sapeva fin troppo bene di non poterlo contattare finché la
missione non si sarebbe conclusa.
“Datti una mossa, mi raccomando.
Non vedo l'ora.”
“I lavori in solitaria ti
rendono fastidiosamente sentimentale.”
“Perché? Non vedo l'ora di avere
il mio reggicalze e con questo?”
Rise, dimenticandosi per un
istante di quanto dovesse sembrare stupida, vista da fuori, a ridersela con uno
schermo. Per una volta tanto, però, non provò a trattenersi in nome di una
reputazione da mantenere e di un ego (quello di Clint) da non alimentare.
“E' perfettamente
comprensibile.”
“A presto, Malefica.”
“A presto.”
Richiuse la conversazione con un
clic e un leggero sospiro. Non esitò ad afferrare il telefono e aprire l'email che aveva ricevuto da Miss Potts.
Natalie Rushman era richiesta all'aeroporto di Monaco
al più presto.
Scese dal letto e si
preparò a ripartire.
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N.d.A: Grazie a tutti,
come sempre! Ci stiamo avvicinando alla fine, gente. Meno due città!
Alla prossima ;)