Ciao, Attilio. Come stai?
Che notte che è stata. Tuonava forte, l'hai sentito?
Ci credi? Ho ancora paura dei tuoni e del buio.
Ho cercato di pensare a te. Ha funzionato.
Mi sono tenuta stretta quell'abbraccio di ieri e sono rimasta con il
ricordo fino a che non ne ho ricevuto un'altro, perché ogni
volta temo che potrebbe essere l'ultimo che mi dai.
Ogni volta che ti vedo chiudere gli occhi, strillo: "No!"
Tu, ridacchi, li apri, mi guardi e mi dici: "Sono qui, accanto alla tua
sedia."
Ma ti sento ogni volta sempre più distante, qualcosa ti
vuole strappare da qui.
Resisti, ti prego. Hai ancora tante cose da fare. Hai sopportato tanto
nella tua vita, non farti battere dalla leucemia. Puoi farcela, avanti!
E già devo uscire.
Mi alzo, ti saluto e me ne vado dalla tua sala.
Qualcuno mi prende per mano. La mia amica più silenziosa,
più fedele, più sincera è tornata come
ai vecchi tempi a tenermi compagnia. Si intrufola nella tua vita quando
meno te lo aspetti, si nutre delle tue angoscie e illusioni.
È un telefono senza messaggi, una foto in bianco e nero di
un mondo a colori, il ricordo di un sorriso sbiadito, lontano nel tempo.
Un grido nell'indifferenza, una porta socchiusa, la luce debole della
luna.
Il riflesso di uno specchio, una frase detta a sé stessi,
una chiamata senza risposta.
La voce più assordante tra i sussurri nella tua testa.
È un ultimo, disperato tentativo di rinascere.
La chiamano solitudine.
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