scozia an eala bhan
Ciao a tutti cari lettori! ^__^
La mia vena di ispirazione celtica continua a produrre! Dopo
“Di fate celtiche e inglesi incantati” (per chi se l’è persa >>> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2254027&i=1)
ecco una nuova fanfic hetaliana ispirata da una poesia in gaelico, che ho
trovato in forma di canzone su you tube , e che avrà per protagonista il nostro
Scozia!
Si tratta di una poesia scritta da un soldato scozzese
durante la Prima Guerra Mondiale, di cui ho fatto una mia traduzione basata
sulla versione in inglese e che vi accompagnerà lungo il racconto. Sarà un po’ triste,
vista l’ambientazione, ma la poesia-canzone è molto bella, e mi auguro piaccia anche a voi ^__^
Buona lettura, commentate!
NDA: Ascoltate la canzone mentre
leggete! >>> http://www.youtube.com/watch?v=6qWWgntTdO0
Per quanto potesse fare per
condividere in tutto la stessa sorte dei soldati della sua terra, sapeva non
sarebbe stato possibile essere fino in fondo come loro, provare ciò che provavano.
Che una pallottola lo avesse
trapassato o fosse corso indenne fino alle linee nemiche, che la guerra fosse
stata vinta o persa, la Scozia avrebbe continuato ad esistere.
Di loro invece, non sarebbe rimasto nulla del poco che ormai
la guerra li aveva ridotti ad essere.
Salvo forse, nel caso di Dòmhnall, quei versi in gaelico, la
loro antica lingua celtica.
Triste io considero la mia condizione
Col cuore imprigionato nella mestizia
Ecco perché non ci pensava
nemmeno a mettere mano a carta e penna e tirar fuori quel mare che aveva dentro.
Non era mai stato bravo con le lettere, figurarsi con la poesia, ma soprattutto
né mai sarebbe riuscito ad essere altrettanto vero, altrettanto sentito quanto
loro.
Solo loro potevano. Loro
morivano.
Ma dal canto suo, si sarebbe
sempre fermato più che volentieri a leggere quel che le loro anime avevano da
dire.
Dal primo istante in cui ho lasciato
Le alte colline nebbiose
Le piccole valli quiete
I laghi, le baie e le scogliere
Mentre Scozia chinava il capo sul
foglio di carta logora, Dòmhnall, accomodata la schiena stanca contro la parete
fangosa della trincea, si accendeva una sigaretta, e lo osservava mentre
leggeva.
Ed il cigno bianco che ivi dimora
E che inseguo ogni giorno.
Una poesia d’amore, certo diversa
da tante altre che aveva letto. Sin dai primi versi non gli comunicò alcuna
esaltazione celebrativa, alcuna dolcezza gratuita, solo un forte,
indescrivibile, angoscioso senso di disillusione.
Maggie, non essere triste
Amore mio, se io dovessi morire
Chi tra gli uomini
Perdura in eterno?
Ecco cosa provavano i suoi
soldati, quelli di Inghilterra, di Francia, gli uomini di tutte le nazioni
gettatisi in quella bolgia assurda, quella rissa come mai il mondo aveva
veduto. Erano tutti lì, specchiati nella grafia lenta e ordinata di quel
soldato-poeta, tutti come lui, a dire continuamente addio, giorno dopo giorno,
a chi è vicino e a chi è stato lasciato lontano.
Siamo tutti quanti in viaggio
Come fiori in un campo deserto
Che i venti e le piogge dell’anno piegheranno
E che il sole non potrà rialzare.
Che follia era mai quella? Lui
che pure era una testa calda si sentiva svuotato di ogni furore, ogni volontà
battagliera.
Perché non ci voleva certo una
poesia per capire che i tedeschi nell’altra trincea sospiravano, gemevano e
piangevano quanto loro. Amavano come loro.
E come loro dicevano addio ogni
giorno all’amata che non avrebbero mai portato all’altare, che non avrebbero
mai reso felice; addio a figli mai nati e sogni mai realizzati; addio, un altro
poveraccio come me mi aspetta lì fuori per farmi la pelle, e poi tornare a
struggersi, stanco, nella melma e nelle pozzanghere.
Acquattato nelle trincee
La mia mente è fissa su di te, amore
Nei miei sogni penso a te
Io non sono destinato a sopravvivere
Non pensava di arrivare a
piangere, ma non si trattenne. Quei versi erano colmi di un disincanto che
faceva male, faceva dannatamente male.
Il mio spirito si colma
Di irrinunciabile desiderio
E i miei capelli una volta così rossicci
Adesso sono quasi bianchi.
Gli bruciava dentro: sentiva
l’impulso di alzare gli occhi e dire a quell’uomo accanto a sé di tirarsi su,
che ce l’avrebbe fatta, che non sarebbe dovuto morire per forza, ma chi era lui
per promettergli questo, proprio lui che era al di sopra dell’ombra nera che
incombeva su tutti loro, e che aveva reso, purtroppo, possibili quei versi che
gli ora gli mordevano il cuore. Restò zitto, e continuò a leggere
Se il fato
mi concederà
Di tornare a casa vivo
E di rivedere ancora una volta
Il luogo in cui crebbi
Noi saremo lì, mano nella mano
Le nostre labbra si scambieranno baci
Quel punto non sembrò gli sembrò
affatto discordante. Lo conosceva benissimo, quel lumicino di speranza che se
ne sta in disparte anche nel più cupo rimuginio, alle spalle del sofferente che
però non può fare a meno di sentirne la presenza.
E la promessa che ti ho fatto
Sarà sigillata con un anello al tuo dito.
Provò ad immaginarsela quella
speranza. Come un bambino che non sa né gli importa dell’inferno che sta
accadendo intorno a sé, e sorride ingenuo al povero soldato: non è ipocrita, né
vuole schernirlo, è solo tanto sciocco e tanto buono.
E il soldato lo vede, non può
farne a meno. Continua a vedere quella specie di spiritello così fuori luogo
continuare a sorridergli, anche mentre i barellieri portano via un altro
compagno morto di tifo, anche quando al suo battaglione è ordinato l’attacco,
anche mentre percorre la terra di nessuno.
Lo vede fino all’ultimo istante,
in cui la pallottola lo trafigge, o la granata gli strazia le carni.
Ma se dovesse succedere
Che io sia ucciso in Francia
E poi eccola tornare, quella
rassegnazione. Come se quel lumicino avesse brillato per un fugace istante
mentre vergava quelle lettere, come se per un attimo, mentre sfogava le sue
angosce su quel foglio, il bambino gli avesse riso nelle orecchie offrendosi di
dire a Maggie di aspettarlo solo un altro po’.
E debba giacere in una tomba
Come migliaia di altri
E poi, veloce come era arrivato,
eccolo sparire, e le sue parole farsi nuovamente pesanti, trascinate, tristi ma
senza rancore, buttate giù nella serenità di chi ormai ha rinunciato e si è
messo il cuore in pace.
La
mia benedizione raggiunga la fanciulla
Così gentile ed graziosa
Possa ogni suo giorno essere libero da pensieri
E la sua vita una fonte d’orgoglio.
L’ultimo desiderio di un
condannato. Quello che nessuno vorrebbe negargli. Il suo non era per sé stesso,
ma per lei. Morte, malattie, fame, freddo, solitudine giocavano crudelmente con
lui ogni secondo delle sue giornate, ma quel guscio vuoto, come si riducevano
tutti in poco tempo, lì sul fronte occidentale, aveva ancora la forza e la
bontà di pensare al suo bene.
Buonanotte a te, amore
Nel tuo letto caldo e profumato
Addio Maggie, leggeva Scozia.
Voglio salutarti volendoti bene fino in fondo.
Possa e tu avere sonni quieti e poi
Possa tu svegliarti in salute e allegra.
Con te la guerra non è riuscita a
ridurmi una bestia, una larva senza sentimenti: il tuo amore ha protetto la mia
anima dall’appassire. Non mi salverà dalla morte, e mi strazierà col rimpianto
fino al mio ultimo respiro, ma con esso, potrò divenir morto sapendo di non
esserlo già diventato da tempo.
Io sono qui nella fredda trincea
Col clamore della morte nelle mie orecchie
Ma quali nemici?
Dall’altra parte, oltre i fili
spinati, non c’erano che altri Dòmhnall coi suoi stessi occhi spenti, che
pensavano ai loro cigni bianchi, che mai più avrebbero rivisto.
Senza alcuna speranza di tornare vittorioso
L’oceano è troppo vasto da nuotare
Tossicchiò, rendendo il suo sospirare meno palese.
“Ehi…” –si schiarì la voce- “Ce l’hai una sigaretta anche
per me?”
Dòmhnall gliela porse e i loro sguardi si incrociarono.
Scozia non aveva sperato neanche
un attimo che non si accorgesse delle sue lacrime; quanto al suo volto, vi
lesse un sorriso comprensivo, un cenno di gratitudine per averlo ascoltato e
compreso, e quello stramaledettissimo sguardo senza più luce che ha chi non da
più valore alla propria vita.
Prese un paio di boccate, poi si
ricordò del foglio rimastogli tra le dita e glielo restituì.
“Ci hai dato giù pesante, eh? Sai
che se un ufficiale te la scopre potrebbe sequestrartela perché abbassa il
morale della truppa? A volte controllano la posta e…”
“Non ha importanza.” –rispose
l’uomo con voce trascinata- “In ogni caso, stavo pensando di gettarla.”
“Perché?”
“Non lo so. Forse una parte di me
non vuole che Maggie la legga.”
Scozia ci pensò su. Si tolse
dalle labbra la sigaretta, gettandola via nemmeno a metà, e rivolto al cielo
disse: “Se sei davvero così convinto che morirai, lei soffrirà, che la legga o
meno, senza alcun consolo.”
“Pensi che la consolerà?”
“No, la farà piangere ancora di più.”
“E allora?”
“Saprà che in tutto questo schifo
avevi ancora un appiglio, cioè lei, anche se con quei versi ti sei dato tanto
da fare per dire che ci avevi rinunciato. Saprà che non sei morto soffrendo, ma
amandola. E secondo me è una cosa che deve sapere. Se la ami tanto glielo
devi.”
L’uomo fissò i suoi stivali, poi
il suo foglio e mormorò qualcosa.
“Però!” –sbottò in un sorriso la
nazione- “Che belle parole mi sono uscite! Hai fatto diventare poeta anche a
me!”
L’altro sorrise un po’ meno
triste, pur se solo un istante.
“Ci penserò.”
“Inviala, dammi retta.”
Per la trincea non si udiva quasi
suono, se non un commilitone che si rigirava senza pace su una cuccetta sporca.
Scozia e il soldato guardavano
entrambi in alto, verso il cielo bigio.
“Il cigno bianco…” –mormorò il
primo.
Sopra di loro, in alto, passarono
veloci delle sagome, lontane che potevano essere anitre, come falchi, o corvi.
Gli sarebbe tanto piaciuto
vederne uno.
Si conclude così questa
struggente storia di morte e di amore, magari anche con una bella preghiera per
tutti i poveri combattenti di ogni epoca, morti nella maniera più crudele e
ingiusta.
Però, cari lettori, non voglio
lasciarvi con l’amaro in bocca!
Infatti Dòmhnall (o Donald se
preferite) sopravvisse alla guerra, tornò a casa e sposò Maggie, e i due ebbero
due bambini. ^___^
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Alla prossima!
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