Sei mesi prima...
"Ehi, l'hai mai sentita la
storia di Senza Faccia?"
Lì per
lì, non seppi cosa
rispondere.
Ero appena arrivato in quel
paesino di
provincia un mese prima: era ovvio che non sapessi di che diavolo di
storia stesse parlando! D'altra parte, però, non volevo fare
la
figura del novellino sprovveduto.
Quindi, con aria sicura di
me e
sprezzante, risposi soltanto un: "perché
dovrebbe interessarmi?”
Mi
maledii per ogni
singola parola, nel momento esatto in cui mi uscivano dalla bocca.
Perché
dovevo sempre
essere così odioso con le persone?! Di questo passo, non mi
sarei
fatto nemmeno un amico!
Eppure,
mentre guardavo
quel sorriso carico di aspettativa rivolto verso di me, non feci
alcun tentativo di ritrattare quello che avevo detto o di stemperarlo
con una risata.
Non ero
mai stato bravo
con le persone, motivo per cui nella mia vecchia scuola non avevo
praticamente amici, e trovavo stressante il cercare di esserlo.
Più
o meno come per uno che non sa disegnare può essere
stressante
copiare la Gioconda, immagino. Desideravo anche io essere circondato
da facce allegre e risate, come tutti, eppure appena qualcuno si
avvicinava pregavo soltanto che si allontanasse il prima possibile
dal mio spazio vitale – possibilmente lasciandolo proprio
come
l'aveva trovato.
Di
solito, le persone lo
percepivano quasi istintivamente, e imparavano in fretta a lasciarmi
in pace.
“Andiamo!! Non sai
nemmeno di cosa parla questa storia!”
Non
quella ragazza,
purtroppo.
“Ti ho detto che non
mi interessa...” replicai, senza troppa convinzione.
Sapevo
perfettamente che
non avrebbe mollato.
“Scommetto che lo
dici solo per non ammettere che non la sai!”
Colpito e affondato.
Interpretando il mio
successivo silenzio come un invito a continuare il discorso, la mia
attuale persecutrice si lanciò senza altri indugi a
raccontarmi
quella sorta di leggenda metropolitana.
“E'
una specie di storia
di fantasmi. La conoscono tutti da queste parti. E non solo qui a
scuola! In tutto il paese i ragazzi parlano di Senza Faccia. E'
famoso! Si dice che porti sfortuna anche solo nominarlo...”
“E allora non
dovresti evitare di raccontarmelo?”
La
ragazza rise, i
riccioli ramati che si agitavano intorno al suo viso – che,
per
inciso, era piuttosto grazioso, dovevo ammetterlo.
“Su,
non essere stupido!
E' solo una di quelle leggende metropolitane!”
Si
chiamava Alice, era in
classe con me ed era forse l'essere di sesso femminile ad avermi
prestato più attenzione in vita mia dopo mia madre. Non
sapevo
perché ci tenesse tanto a socializzare, nonostante non fossi
di
certo incoraggiante. Probabilmente aveva un po' di ragazzi che le
facevano il filo: per quale motivo perdeva il suo tempo con uno
scontroso come me?
“Senza
Faccia... nessuno
sa dove viva, o quando sia nato. Non si sa nemmeno quanti anni abbia:
forse ha secoli o magari ha la nostra età, chi lo sa?! Lui
esiste. E
basta. Un giorno è arrivato in questo paese, e non se
n'è più
andato. Come se stesse aspettando qualcuno: quando quella persona
sarà arrivata, allora forse lui se ne
andrà.”
“Qualcuno lo ha mai
visto?”
“Tutti, prima o poi,
lo vedono. E' proprio là, negli angoli bui, dove si riesce
appena a
intravedere qualcosa. Non lo puoi incontrare né di notte
né di
giorno: solo l'alba o il crepuscolo.”
La voce
di Alice si era
fatta pensierosa.
“Però,
una volta una
ragazza mi ha detto che, se vuoi che si avvicini, basta andare nel
parco dietro la scuola e dire il suo nome.”
Non
feci nemmeno uno
sforzo per cercare di nascondere il mio sorriso di sufficienza: le
solite storielle di fantasmi che si tramandavano in ogni scuola!
“Si,
certo... e che nome
dovrei dire? "Senza Faccia"?”
La mia
compagna di
classe mi fulminò con lo sguardo.
“Lui non
ce l'ha un
nome, scemo! Non ha una faccia e non ha un nome. Devi essere tu a
dargliene uno!”
“Quindi, fammi ricapitolare. In
questo paesello sperduto c'è una
specie di spirito che non ha una faccia e che nessuno ha mai visto, e
per vederlo si deve pronunciare un nome a caso nel parchetto qua
dietro?! Wow! Davvero una storia fantastica!”
Buttai
lo zaino sul mio banco, senza più degnarla di uno sguardo.
“Ah,
scusami, dimenticavo: sta anche aspettando qualcuno.”
Stranamente
non giunse nessuna replica, cosa questa che mi spinse ad arrischiare
un'occhiata verso Alice. Quasi sussultai quando incrociai il suo
sguardo piantato su di me: sembrava mortalmente seria.
“Non
sta aspettando un qualcuno
qualsiasi:
aspetta la persona che gli ha portato via la faccia.”
Per
qualche motivo che non sapevo spiegare, fu con un sospiro di sollievo
che accolsi il suono della campanella.
Le
parole di Alice continuavano a girarmi nella testa come farfalle
impazzite mentre tornavo a casa: aveva cominciato a parlarne come
fosse uno scherzo, ma poi quella storia di Senza Faccia sembrava
essersi fatta terribilmente importante per lei. Non l'avevo mai vista
così seria. Quasi arrabbiata.
O
forse mi stavo solo facendo suggestionare?
Il
fatto poi che la via più breve per casa mia passasse dal
parco
dietro la scuola non aiutava di certo.
Era
autunno e gli alberi spogli avevano un che di sinistro: delle dame
scheletriche che protendevano le loro braccia rinsecchite verso di
me.
Di
colpo accelerai il passo, desiderando solo uscire da lì.
Mi
fermai di botto.
Cosa
stavo facendo?! Credevo davvero a quella storia ridicola?! I mostri
non esistevano, e io ero ormai un po' troppo grande per tremare di
paura al pensiero del babau nascosto sotto il mio letto!
Con
una risata forzata, decisi di fare un tentativo.
Che
nome potevo dare a qualcuno che non aveva una faccia?
Alzai
il mento in segno di sfida e, con voce chiara, pronunciai un'unica
parola: “Persona”.
In un
primo momento mi sentii stupido.
Poi
sentii freddo. Tanto freddo.
Era
come aveva detto Alice.
Lui
era
lì.
Era
come se ci fosse sempre stato: semplicemente io non l'avevo mai
notato.
Una
sagoma appena accennata, i capelli lunghi che si mischiavano con la
nebbia e i vestiti che stormivano insieme alle foglie. Il suo corpo
pareva non esistere davvero: una semplice illusione che sarebbe stata
spazzata via dal vento insieme agli ultimi fiori d'estate.
Ero
così terrorizzato da non riuscire nemmeno a urlare.
Senza
Faccia – che avevo chiamato Persona – non si
muoveva, ma restava
lì, a fissarmi – o almeno una qualsiasi azione
equivalente al
"guardare" che si potesse compiere senza avere un viso.
Mi
mossi, come se le mie gambe fossero state dotate di vita propria,
verso di lui.
Era
altissimo. Più mi avvicinavo a lui, più diventava
imponente.
La
maschera bianca, perfettamente liscia, che gli faceva da faccia
seguiva ogni mio movimento, dondolando come la testa di un gigantesco
gufo.
Avevo
paura ma non riuscivo a non avvicinarmi ancora. E ancora. Sempre
più
vicino.
“Senza
Faccia...
nessuno sa dove viva, o quando sia nato. Non si sa nemmeno quanti
anni abbia: forse ha secoli o magari è uno della nostra
età, chi lo
sa?! Lui esiste. E basta. Un giorno è arrivato in questo
paese, e
non se n'è più andato. Come se stesse aspettando
qualcuno: quando
quella persona sarà arrivata, allora forse lui se ne
andrà.”
Mi
terrorizzava ma mi attraeva in modo irresistibile. Come un incubo
bellissimo.
Come
baciare uno stupendo mostro.
Perché
continuavo ad avvicinarmi a lui?!
Mi
resi conto che era più solido di quanto mi fosse sembrato in
un
primo momento – o forse ero io, fissandolo con tanta
intensità, a
renderlo tale? Di colpo mi resi conto che quella creatura non abitava
gli angoli alla periferia della nostra coscienza: semplicemente
eravamo noi a relegarlo lì scegliendo di fingere di non
vederlo.
Probabilmente
mi osservava da quando mi ero trasferito. Proprio come osservava
chiunque passasse per quel parco solitario.
Senza
che nessuno ricambiasse mai il suo sguardo.
Senza
che nessuno potesse o volesse chiamarlo con il suo vero nome, che
forse non era mai esistito.
Eravamo
molto vicini ormai, e mi accorsi che in effetti li aveva, gli occhi:
semplicemente erano bianchi e senza pupille, e si confondevano
perciò
con il candore della maschera.
“Non
sta aspettando
un qualcuno qualsiasi: aspetta la persona che gli ha portato via la
faccia.”
Lo
guardai come avrei guardato una paura ormai superata.
Mi
sentivo la febbre, ma era una sensazione stranamente piacevole.
Chissà
se anche lui, come me, desiderava amici ma allo stesso tempo temeva
il contatto con gli altri? Forse ero anche io un po' Senza Faccia.
Forse,
un giorno, sarei stato esattamente come lui.
“Mentre
aspetti, ti dispiace se ti bacio?”
Posai
le labbra sulla maschera fredda, lì dove avrebbe dovuto
esserci una
bocca che non esisteva più.
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