Akito
“Voglio vedere la mia mamma!!” ringhia il
piccoletto contro i due adulti vestiti di quel verde squallido, che
personalmente detesto.
Degli
infermieri stanno impedendo a mio figlio di entrare in sala parto, dove
sua madre sta dando alla luce suo fratello. Non ho nulla in contrario,
finché non alzano le mani su di lui. Peccato che la
situazione si complica.
Il nanerottolo
si dimena, scalcia, urla e combatte con le unghie e con i denti per non
lasciare sua madre (cioè mia moglie, se non si fosse
capito), da sola a soffrire in quella ‘dannata
stanza’, come la sta definendo lui nei suoi pensieri. Lo so
perché, toccandolo, posso avvertire i suoi pensieri. Non
è quello a sorprendermi; la cosa che mi colpisce
è che ha poco più di due anni e già
attaccabrighe. L’ho visto gattonare, camminare e dirgli
‘papà’, ma l’idea che
diventasse così simile a me non mi aveva mai sfiorato.
“Accidenti
a te, Chiharu, quando dicevi che nostro figlio sarebbe diventato un
ribelle come me…” sospiro, strattonandolo via
dagli infermieri.
Probabilmente
non è l’approccio giusto, perché
reagisce in modo solo più combattivo. Comincio ad
accarezzargli la testa nel modo più amorevole che conosco.
Ho scoperto che è il metodo più efficace per
tranquillizzarlo. Inoltre mi piacciono molto i folti capelli mori che
ha ereditato da me.
Gli racconto
che quello che sta facendo sua madre dentro quella ‘dannata
stanza’ è normale a questo mondo, che non deve
preoccuparsi o avere paura, che andrà tutto bene.
“Sì,
andrà tutto bene, vedrai… E presto avrai un
fratellino con cui condividere le gioie e i dolori della
vita.” gli ripeto con tono tranquillo.
Funziona…
per tre minuti scarsi. Dopo un altro urlo, ricomincia a preoccuparsi,
cammina avanti indietro, neanche fosse il padre del bambino. Beh,
tecnicamente però adesso è l’ometto di
casa. Provo di nuovo a calmarlo, prima che arrivi un’altra
infermiera a provare a schiaffeggiarlo, come quella di dieci minuti fa,
ma non ci riesco.
La
verità è che non sono portato a fare
l’angelo custode. Ho a malapena saputo essere un padre negli
ultimi due anni! A chi diavolo è venuta questa balzana idea
di affibbiarmi mio figlio come protetto, poi? A Dio? Credevo di essere
una specie di ateo (perché alla “Divina
Provvidenza” ci credo ben poco), ma a quanto pare non
è così. Non si salva nessuno e se provi a
strapparti queste ‘ali d’acqua’ (anche se
mi ricordano più un mantello), il tuo protetto ne soffre.
Bella fregatura! Smette di credere nel bene e viene insediato in lui il
seme di un demone.
Brutte bestie.
Non vorrei che
in questo momento torturassero mia moglie. Al solo pensiero, comincio a
girare avanti e indietro assieme a Ikki, entrambi preoccupati, ma poi
mi viene un’idea.
“Ikki,
siediti e aspetta qui. Farò stare meglio la mamma,
vedrai.”
Detto questo,
attraverso la porta e accorro in aiuto di mia moglie. So che non dovrei
lasciare Ikki da solo col rischio di quell’infermiera
manesca, ma non ho molte altre scelte; o aiuto Chiharu a partorire o
mio figlio maggiore troverà il modo di entrare e di
assistere al ‘miracolo della nascita’ in un momento
troppo prematuro della sua vita.
La vedo
lì, distesa sul lettino, che soffre come la prima volta
quando diede alla luce Ikki; e io sono nervoso e determinato di vedere
mio figlio vivere proprio come quella volta. Giro intorno e decido di
rimanere dalla parte sinistra della mia bella Chiharu, esattamente come
successe per Ikki. Tuttavia, vedo c’è qualcun
altro che vuole rovinare la festa.
I demoni
detestano la vita e farebbero qualsiasi cosa per sedarla.
“Sparite! Andatevi a
cercare qualcuno che non sia mio figlio!”
ringhio a quelle due entità fluttuanti e senza forma, se non
quella di due nuvole di fumo alte come un uomo; una è grigio
argentata, mentre l’altra ha una sfumatura più
dorata.
Dato che
sembrano non capire, formo nel pugno il pensiero di una sfera infuocata
e questa si plasma nel mio palmo, ora aperto. Mi auguro che basti per
spaventarle; non mi va di far scoppiare una guerra in una sala parto.
Queste si allontanano, ma percepisco degli occhi e un ghigno che non mi
tranquillizza molto.
Un altro urlo
di spasmo mi riporta alla realtà.
Sfrutto i miei
‘poteri’ - se così si possono chiamare -
per vedere il feto. Meglio di un’ecografia, devo ammetterlo.
“La
posizione c’è, il problema è che non
vuole uscire.” dice l’aiutante, che noto solo ora.
Almeno una che
si spiega con termini comprensibili! Però Chiharu soffre
molto e questa propone seriamente all’ostetrica un cesareo.
Mia moglie supplica con tutte le sue forze di non farglielo. Sono
d’accordo; non ha mai avuto una buona resistenza fisica.
Nella peggiore delle ipotesi - ovvero se fosse morta - avrebbe lasciato
i suoi bambini soli al mondo. Fortunatamente per noi,
l’ostetrica ne è a conoscenza e si rifiuta a una
soluzione così drastica. Incita Chiharu a respirare con
più calma e di spingere ancora.
Se soltanto
Chiharu spingesse di più…
Ricordo che da
quando sono morto, ha mangiato molto meno. Forse è per
questo che ha meno forza per spingere il feto fuori; o forse
è vero che l’amore tra due persone rende il parto
meno doloroso… Non lo so. Però mi dà
fastidio che il suo angelo custode non sia lì ad aiutarla.
Ora che ci penso, non l’ho mai visto prima d’ora.
Che non ce l’avesse? Non era il momento di pensarci.
Avvolgo la sua
mano tra le mie trasparenti e comincio a sussurrare il suo nome.
“Chiharu…
Fatti forza, Chiharu. Ti basta poco, per farlo uscire. Ricordi come hai
fatto la prima volta? Non è molto diverso da allora. Ce la
puoi fare.” mormoro, anche se so che
probabilmente non sentirà una parola.
“Akito!”
Aveva urlato
il mio nome ed aveva lo sguardo rivolto verso di me. Mi tendeva la
mano, come quando stava per nascere Ikki. Voleva aiuto.
“Puoi sentirmi? Puoi
vedermi? Chiharu.” la chiamo ancora, provando
ad accarezzarle il viso. Detesto essere incorporeo.
“Aiutami,
Akito, ti prego.” piagnucola lei in preda agli spasmi.
Sta
decisamente peggio della volta scorsa. Raccolgo un po’ di
forza e con un semplice gesto del dito, muovo un refolo di vento che le
dà un po’ di sollievo e le sposta un paio delle
lunghe ciocche verdi.
“Sono
qui, Chiharu. Respira regolarmente e pensa a spingere. Come hai fatto
per Ikki. Non è difficile.”
Un altro
spasmo, un’altra spinta e il bimbo prende ad agitarsi, il che
non aiuta la situazione. Infatti, Chiharu lancia un altro urlo acuto.
“Ma
fa male!!” si lamenta.
“Anche
l’altra volta faceva male, ma non ti sei arresa! Forza
Chiharu! Pensa a come sarà dopo per…
per… per…” Per chi, Akito?
“Per…
Per Shun! Non lo vuoi vedere, il nostro bambino?”
Ora mia chiedo
questo da dove mi è saltato fuori. Giuro di aver sparato il
primo nome che mi era venuto in mente. Io coi nomi facevo pena e per
Ikki avevo lasciato scegliere a Chiharu. Credevo che sarebbe stato
così anche per l’altro bambino. Lei
però lo prese per buono e sussurrandolo, cominciava a
respirare sempre più tranquillamente.
“Sentito,
Shun? Addirittura papà incita la tua nascita.”
“E
piantala di distorcere la realtà come ti pare e
piace!”
La sento e la
vedo ridere. Dev’essere dura per lei riuscire anche solo a
sfoderare un mezzo sorriso in quella situazione, figuriamoci una risata
intera.
“Delira…”
mormora l’aiutante, infermiera, quel che è nel
frattempo. Devo ricordarmi di fare qualcosa per quella donna
così grossolana ed inutile.
“Akito,
aiutami per favore…” dice con tono più
calmo e indica la pancia.
Annuisco e le
ricordo di nuovo di spingere più forte che può.
Metto le mie mani sulla pancia della mia adorata Chiharu e mi volto
verso di lei. Sorride fiduciosa e gliela massaggio in modo da aiutarla
a spingere Shun fuori da lì. Gli spasmi diminuiscono, ma
Chiharu urla ancora.
La mia
opinione che sia una fortuna non essere nato donna si rafforza proprio
in momenti come questi.
“Avanti, non mi
deludere adesso, Shun…” mormoro.
Prendo un bel
respiro e vado a vedere la situazione assieme alla dottoressa. Ora
ricordo perché mi rifiutai di studiare medicina. Quella
situazione mi faceva un senso pazzesco, era peggio di un film horror.
Torno accanto a Chiharu e lei mi guarda con uno sguardo preoccupato. Mi
volto verso uno specchio e noto nel mio riflesso che sono
più bianco di un cadavere… Sì, posso
vedere il mio riflesso. Sono un angelo, non un vampiro. Ed è
una fortuna che gli angeli non vomitino.
“Va
tutto bene, Chiharu. Hai quasi finito, stai facendo un ottimo
lavoro!”
“Davvero?”
“Cosa
succede?” s’intromette la dottoressa, senza
staccare gli occhi dalla testa del feto. Mi chiedo come faccia a
resistere.
“Akito
mi dice che sto facendo un buon lavoro.” spiega la mia
Chiharu, mentre le sposto un’altra ciocca.
“Ha
ragione, ci sei quasi Chiharu. Forza!”
Un ultimo
urlo. Poi un pianto. Giusto in tempo per l’alba.
E’
arrivato proprio quando Ikki, stanco di combattere a destra e a manca
con gli infermieri, stava per addormentarsi sulla seggiola fuori dalla
sala parto. Ma si è rialzato subito e ora si guarda intorno
confuso. Quando oltrepasso di nuovo la porta, lo trovo che mi fissa
come se avesse visto un fantasma. Effettivamente, io sono un
fantasma…
“Chi
piange?” mi chiede.
“Com’è
che tutti mi vedono, adesso?” gli chiedo io a
mia volta, ma non ottengo risposta.
Ikki continua
a fissarmi con quei grandi occhioni che hanno tutti i bambini
nell’età dell’innocenza. Scuoto la testa
e mi inginocchio vicino a lui; in risposta, lui mi segue con lo sguardo.
“E’
Shun.” gli dico con un sospiro di sollievo. I
parti erano troppo stancanti anche per me.
“Shun?”
domanda di nuovo lui, sgranando gli occhi blu.
Non ha capito
di chi sto parlando e la cosa mi fa sorridere. Non è
stupido, solamente è ingenuo. E’ ancora troppo
piccolo per capire come gira il mondo.
“Il tuo
fratellino.” chiarisco.
Lui mi guarda
esterrefatto, come se non avesse capito quando la
‘cicogna’ gliel’abbia portato e
perché, ma glielo si legge in faccia che è
contento.
“Ho
un fratellino!!” strilla, saltando giù dalla
seggiola.
Ride e corre
in cerchio felice, e nessun infermiere lo riesce a fermare quando lo
beffa passandogli sotto le gambe ed entra in sala parto veloce come una
lepre. In un primo momento sono divertito dalla scena e dalla faccia di
quell’imbecille che si è fatto giocare da un
bambino di due anni, ma poi mi ravvedo; la sala parto dopo un parto non
è un bello spettacolo. Corro dietro Ikki per cercare di
fermarlo e sono felice di vedere che l’aiutante ha
già pulito tutto quanto. Forse non è
così inutile dopotutto.
E poi la vedo.
Sotto i raggi del sole che sorge, la mia famiglia felice: Chiharu
mostra a Ikki il nuovo arrivato, Shun e il fratello che lo accoglie con
un raggiante sorriso.
Finalmente riesco a vedere l’angelo custode di Chiharu.
E’ un uomo sulla cinquantina che la guarda malinconico. Ci
metto un po’ a riconoscerlo: è il padre morto anni
fa. E’ quello delle foto e che veniva continuamente citato
dalla vecchia signora Sanae, quando chiesi formalmente in sposa
Chiharu. La cosa che mi allarma è il suo sguardo stanco e
dispiaciuto che si posa su di me.
“E’ un bel
bambino.” dice, lasciando in sospeso qualcosa.
Si avvicina a
me, camminando dritto con le mani dietro la schiena. Li osserviamo
ridere e scherzare e cullare Shun per una buona decina di minuti,
finché Chiharu non è costretta a lasciare la sala
parto. Mi rivolge un sorriso amorevole e se ne va con il solito stuolo
di infermieri e i suoi bambini.
Però
il suo angelo custode non la segue. Rimane lì fermo a
fissare l’orizzonte schiarirsi sempre più oltre la
finestra.
“Peccato che non si
ricorderà mai di sua madre.” conclude
in tono grave.
Mi sento
appesantire di colpo.
Sollevo quel
vecchio uomo senza problemi e mi viene voglia di sbatterlo per terra,
ma evito almeno questo. Anche se non possiamo toccare la
‘realtà’, noi angeli possiamo
tranquillamente toccarci tra noi nella nostra dimensione spirituale.
“Che
vuoi dire? Parla!”
“Ho
fatto del mio meglio con quei dèmoni, ma Chiharu era troppo
debole e…”
Non
c’era bisogno che finisse la frase. Quel poco che disse rese
fondate le mie paure peggiori. Ero stato troppo lento e Chiharu ne ha
pagato le conseguenze un’altra volta.
Lo lasciai
cadere e lui non si prese la briga di rimanere in piedi sulle sue
gambe. Si accasciò sul pavimento, avvilito e sconfortato.
Poco ci mancava che mi unissi a lui, ma i pensieri corsero a
Ikki… e a Shun.
I miei bambini
sarebbero rimasti orfani. Era una delle cose più orribili
restare orfani. Il mondo sarebbe stato privato di
quell’angelo di Chiharu e i miei figli probabilmente non si
sarebbero nemmeno ricordati di lei.
Non
c’era epilogo più triste di quello.
Corsi fuori
dalla sala parto e raggiunsi la camera assegnata a Chiharu. Se proprio
doveva morire, volevo che lo facesse con la certezza che avrei vegliato
sui nostri figli con tutte le mie forze.
***
Ed
eccoci con un nuovo capitolo, dove affrontiamo il simpatico(?) parto
della mamma di Ikki e Shun, e il papà che la deve
sostenere... Ok, mi prenderete sicuramente per pazza con questo
capitolo. Uhm... Se vi chiedete perché i dialoghi sono
scritti in corsivo è per fare una distinzione tra mondo
spirituale e reale...
Mi auguro che questo capitolo sia stato di vostro gradimento^^ Al
prossimo!^^
|