Capitolo I
Silence
Fu un singhiozzo spezzato
a frantumare il silenzio [assordante]
sceso nella piccola stanza.
Hermione Granger piangeva,
il viso vicino a quello del
grifone. Le labbra si muovevano per pronunciare deboli bisbigli carichi
di
chissà cosa, ma senza che suono ne uscisse.
L’assassino
rifoderò la bacchetta, scrutando il cadavere.
La
vita di Potter era
stata una sfida continua, si ritrovò a pensare.
Anche in quel momento, da
morto, sembrava voler sfidare il
mondo intero con quelle due schegge di giada. Il volto era impassibile,
come
scolpito nel ghiaccio, la pelle marmorea. Le labbra si stavano
lentamente
tingendo di viola, mentre i capelli corvini erano sparsi sul pavimento
freddo.
Ma quello che colpiva
erano gli occhi.
Aperti, gelidi e vitrei,
sembravano voler deridere il
soffitto su cui erano puntati sprezzanti.
Tom Marvolo Riddle scosse
impercettibilmente la testa,
scostandosi con una mano una ciocca di capelli corvini dalla fronte
come per
allontanare simili pensieri.
Aveva
funzionato.
Il
suo piano aveva
funzionato, pensò, uscendo dalla Stamberga
Strillante e risalendo l’angusto
cunicolo fino al Platano Picchiatore. Immobilizzò
l’albero con un movimento
stizzito della mano.
Avvolto in un cupo
mantello scuro, scrutò il manto notturno.
Sembrava più
vicino del solito, forse a causa della mancanza
del firmamento e di Selene.
Il cielo era di un nero
innaturale. Si tingeva di vermiglio
solo in prossimità della
scuola.
Hogwarts bruciava.
Le fiamme si alzavano
alte, danzando tra le tenebre come
mutilate lingue ardenti.
Bagliori infuocati si
riflettevano sinistri sulle acque
scure del lago nero, lugubri mani di fuoco tese ad afferrare
chissà cosa. Gli
stessi bagliori che insanguinavano la notte, incendiando con i loro
crudeli sguardi
vermigli la foresta proibita e i fili d’erba del parco.
Gli occhi blu di Tom
brillarono nel buio.
Ci fu
un’esplosione violenta, e una spirale di fuoco
sembrò
voler toccare il cielo.
Miriadi di colonne di fumo
nero facevano lo stesso, ma
quella era sicuramente la più spettacolare.
Gli echi del combattimento
che si era svolto tra le
millenarie mura rimenavano muti, tacita rivelazione di una grande
vittoria.
Ma allora
perché non si sentiva soddisfatto?
Riddle se lo chiese
più volte, mentre osservava l’incendio ripiegarsi
su se stesso, scemando.
Il piano –il suo piano-
aveva funzionato.
Allora cos’era
quella strana sensazione nel torace, quella
gelida morsa che lo faceva sudare freddo?
Non lo sapeva. Si
voltò per un istante, per osservare in
lontananza la figura della Stamberga.
Sospirò. Quella
storia doveva finire quella notte. In un
modo, o nell’altro.
Estrasse la bacchetta,
puntandola minacciosa contro il legno
della casa.
Quello era
l’ultimo atto di una tragedia, e lui era uno dei
protagonisti di essa.
E, come risucchiato dal
nero vortice dei suoi pensieri,
ricordò quando aveva cominciato a tracciare con mano fluida
ed elegante la
parola ‘Fine’ di
quello spettacolo.
***
Non c’era il
sole. Non era nemmeno giorno.
Era una gelida notte
orfana di stelle, nessun diamante lucente
incastonato nel manto notturno.
Selene era intagliata
fredda e austera in quel nero denso e
scuro, luna piena che vegliava misteriosa
sull’oscurità. Osservava ogni
cosa, inargentando ogni anfratto su
cui poteva allungare i suoi fiochi raggi. Fu una nube nera a oscurarla,
forse
chiamata dalla luna stessa. Non voleva vedere, Selene.
Tutto, ma non quello.
- I vostri innumerevoli
insuccessi vi condannerebbero a
qualcosa di ben peggio della morte –
Fu una voce gelida e
serpentina a far tremare ogni mago e
strega presente.
Lo sguardo
dell’Oscuro vagò per il tavolo, senza
concentrarsi su nessuno in particolare.
Gli occhi, due schegge di
rubino, sembravano entrare fin
dentro l’anima.
Due occhi rossi che
scrutano [che uccidono].
I mangiamorte
rabbrividirono. Sapevano che non stava
scherzando. Lui, non scherzava mai.
[Non
più].
- Idioti, e voi sareste
dei purosangue? –
Chiese sprezzante,
tamburellando con le lunghe dita
affusolate sul tavolo.
Avvolto
in una lugubre vestaglia
nera, Lord Voldemort era debolmente illuminato dalla luce [che sembrava] delle torce appese ai muri [sangue].
Nessuno
fiatò, alcuni trattennero
il respiro. [Nessuno-si-opponeva].
-
Vi avevo ordinato di mettere a
ferro e fuoco Diagon Alley. E avete fallito. Di nuovo –
Era
una sala molto buia quella in
cui si trovavano.
Nei
sotterranei di uno dei
manieri di qualche mangiamorte.
Lord
Voldemort schioccò la
lingua, irritato.
-
Per lo meno, ho punito almeno
uno di voi
[Puniscine uno e istruiscine cento].
L’Oscuro
sire schioccò le dita, e
un corpo [un cadavere]
cadde dal soffitto sul tavolo.
Nessuno
lo aveva notato. La luce
fioca e sanguigna non arrivava fin là.
Rodolphus
Lestrange aveva
conservato inalterata l’espressione del viso nel momento in
cui era stato
assassinato. Era sorpresa, ancora prima della paura o del dolore,
quella a
piegargli le labbra in una smorfia. Gli occhi grigio cenere erano
opachi,
vitrei.
La
maggior parte dei mangiamorte
rabbrividì.
Faceva freddo, si dissero. [Mentivano-a-se-stessi].
Rodolphus
era stato il
responsabile della missione accennata poco prima dal loro padrone.
Ed
ora era morto. [Schifosamente Morto].
-
Voglio un infiltrato ad
Hogwarts –
La
voce serpentina del signore
oscuro li riportò alla realtà.
Lucius
Malfoy scrutò i propri
compagni con pochi sguardi gelidi, e ci vide una sola cosa. Paura.
Le
sue labbra sottili si
piegarono in un ghigno appena accennato, mentre si scostava una ciocca
dei
serici capelli d’oro dietro l’orecchio.
Già, la paura.
Subdola
e strisciante, si
infiltrava come il peggiore dei veleni nel cuore di ogni
uomo.
-
Ma non affiderò a nessuno di
voi questo incarico –
Continuò
l’Oscuro. Molti
respirarono più liberamente.
Malfoy
si limitò a osservare con
ancor più attenzione il proprio padrone.
Stava
progettando qualcosa. Lo
sapeva. Erano simili, loro due.
Glielo
confermò la smorfia
divertita in cui si piegarono le labbra sottili dell’Oscuro
prima che questo
parlasse.
-
Ci andrò io –
Il
tempo sembrò fermarsi,
improvvisamente congelato da quell’ultima frase.
Alcuni
mangiamorte smisero
persino di respirare, Malfoy ci avrebbe scommesso.
Il
Lord Oscuro li osservò
divertito, gli occhi rossi brillanti nel buio.
-
Se vuoi che una cosa sia fatta
bene… -
Sussurrò,
senza concludere la
frase fatta, ma fu come se avesse urlato.
Il
silenzio era assordante.
Le
iridi vermiglie guizzarono
improvvisamente su Lucius.
Uno
sguardo che penetrava fin
dentro l’anima [che la bruciava].
Malfoy
abbassò lo sguardo. [Non si sfida
più del necessario, la sorte].
-
Sei sorpreso, Lucius? –
Chiese
l’Oscuro, con voce
melliflua e fredda.
-
Non posso negarlo, mio signore
–
Il
ghigno di Lord Voldemort si
ampliò.
-
Ti chiedi in che modo agirò? –
-
Sì, mio signore –
Il
silenzio era frammentato solo
dal tamburellare delle dita del Lord sul tavolo.
[Il-silenzio-era-assordante].
-
Hai un nipote che frequenta la
scuola di Durmstrang, vero Lucius?
-
Sì, mio signore –
Rispose
con voce atona Malfoy. Cosa
diamine centrava questo?
La
risposta non venne mai. E due
stelle di sangue brillarono nel buio.
*
Era una notte gelida,
quella.
Le stelle brillavano
fredde nel cielo, lucenti diamanti
incastonati nel nero del manto notturno.
Si specchiavano sulla
superficie del lago come mille piccoli
occhi di ghiaccio.
Selene non era sorta.
Tom Riddle
ghignò, osservando il firmamento.
Il brusio indistinto degli
studenti lo infastidiva, ma fece
finta di nulla.
Avvolto in un mantello
interamente nero, Tom scese dal
treno, per poi prendere la sua valigia.
Da quanto tempo non lo
faceva…
La malinconia lo
assalì violenta e inaspettata, colmandogli
la mente.
Inspirò
profondamente, riacquistando il controllo in una
frazione di secondo.
Sì,
quell’anno si sarebbe rivelato più interessante
del
previsto.
Dopotutto, stava tornando
a casa, e mai il silenzio della
notte gli era sembrato più dolce.
*
Fu un tuono a scuotere
violento il cielo.
Come l’aspro
rimbombo di un martello calato con forza sul
ferro incandescente.
Scure nubi si stava
ammassando, simili a nere ali tese ad
oscurare il firmamento.
Tom Riddle non
alzò lo sguardo mentre saliva sulla carrozza.
Era solo, per il momento.
Meglio così.
Osservò il
manto notturno. Fu un lampo a squarciarlo.
Rapido schizzo di luce
nell’oscurità.
Cominciò a
piovere. Gelida pioggia che lavava via il sangue.
E le lacrime.
- Presto, di qua!
–
Udì la voce, ma
non ci fece caso. Gli occhi, due freddi
zaffiri, continuavano imperterriti a osservare il cielo. Il silenzio [assordante] era frammentato solo dal
ciclico ticchettio delle gocce d’acqua.
Cos’era poi il
silenzio, se non l’armonizzazione di tutti i
suoni?
Il brontolii dei tuoni, la
pioggia, tutto, tutto si
armonizzava.
Cosa alquanto rara di
questi tempi, il silenzio.
Riddle osservò
nuovamente il cielo, dove si stava svolgendo
una danza di lampi tra luce e buio.
Improvvisamente, tre
ragazzi entrarono nella carrozza.
Erano tutti avvolti in
cupi mantelli neri, i cappucci calati
ad oscurare il volto.
- Meno male che questa
è libera –
Tom socchiuse gli occhi,
indurendo i lineamenti del viso.
L’aveva già sentita, quella voce.
Ma fu solo quando un
ragazzo –quello che aveva parlato- si
svelò il volto, che i suoi occhi brillarono gelidi nel buio.
Sprezzanti, due
zaffiri lucenti nell’oscurità.
- Piacere –
Disse quello, osservandolo
sorridendo con due occhi smeraldini.
Si scostò una
ciocca di capelli corvini dalla fronte, e si
vide nettamente una cicatrice.
Se la sfiorò
come se lo infastidisse, poi si riconcentrò su
Tom.
- Il mio nome è
Harry Potter –
Il silenzio era stato
rotto.
[Il-silenzio-non-era-più-assordante].
|