-Ciao,
Stevey. Hai del
tempo per me?
-Alex?!
Che succede,
piccola?
-Mah,
Stef è sparito,
Brian è irrintracciabile e nessuno sembra avere
più bisogno di me…Ci si sente
soli quando succede così all’improvviso!
***
-Caffè.-
annuncia Helena posando i bicchieri di Starbucks. Una busta di carta
colorata
segue subito dopo ed occupa quasi interamente il suo spazio visivo,
Brian
sorride e smette di scrivere, spingendo da parte carta e penna.- E
ciambelle.-
completa la donna, lasciandosi cadere a sedere di fronte a lui subito
dopo.
Agita una cartelletta scura che posa con un colpo deciso sul tavolo.-
Provini.-
aggiunge in tono intimidatorio.
Brian
ride.
-Sì,
immaginavo che non si mangiasse anche quella.- sogghigna.
Helena
si scioglie dalla giacca, liberandosene con gesti impacciati mentre il
brunetto
infila risolutamente il naso nel sacchetto di carta.
-Sembrano
deliziose.
-Sì,
ma non sono opera mia.- confessa Helena, aprendo la cartelletta davanti
a sé.-
Ho incrociato Alex, le ha comprate lei per te ed i ragazzi. Dice che
mangi
poco, le ho risposto che ieri sera non mi è parso proprio.
-Le
hai detto che siamo usciti assieme?- realizza Brian in tono piano
tirando un
morso alla ciambella.
-Noi
non siamo usciti assieme, Brian!-
esclama Helena scartabellando nervosamente tra le foto.- Non nel senso
in cui
la stai mettendo adesso, quanto meno.
-Quale
senso?- finge di non capire lui.
Helena
sospira e tira fuori gli scatti, appoggiandoglieli sul tavolo
perché lui possa
sfogliarli.
-O.k,
ora non toccarli, li giro io. Altrimenti li sporchi.- ordina ignorando
volutamente l’ultimo scambio di battute.- Tu dimmi solo quali
ti piacciono e
quali dobbiamo rifare.
Brian
non ribatte, allunga una mano ad afferrare uno dei bicchieri di
caffè e se lo
porta affianco.
***
Vincent
valuta che, nonostante tutto, questa amicizia con Stefan non
è affatto
spiacevole.
Nonostante
tutto.
Perché
al momento è solo questo: un’amicizia. Una cosa
molto più informale del
rapporto di lavoro che esisteva quando il ragazzo era in cura da lui,
una cosa
molto più soft e con meno difficoltà
comunicative. Man mano che le cose vanno
avanti, che il tempo passa ed il rapporto si approfondisce su quelle
nuove
basi, Vincent acquista mezzi per capire meglio ciò che lega
il bassista e l’ex
ragazzo. La natura della relazione tra i due, che aveva colto sotto una
sfumatura meno personale e più fredda nelle lunghe ore
passate allo Studio, ora
gli appare sotto la luce molto più intima delle confessioni
fatte ad un amico.
Stefan si mostra in tutta la debolezza che la cicatrice di Brian ha
lasciato,
ed è una cicatrice profonda, che lo segna in un modo
difficile da superare. Per
certi versi, ciò che aveva solo intuito – la
volontà di Stefan di non
allontanarsi davvero, di non perdere completamente Brian e
l’eredità della loro
storia assieme – diviene una realtà concreta,
fatta della consapevolezza che
Brian è un’ossessione per l’altro, un
qualcosa che continua ad essere vivo e
presente in modo intollerabilmente vivido.
Stefan
ama ancora Brian. Ma se si tratta di una verità che a
Vincent non è mai
sfuggita in tutti quei mesi di conoscenza, solo ora riesce a coglierne
appieno
il significato. E riesce a capire che per quanto lui – o chiunque per lui riuscirà ad occupare,
alla fine, il posto lasciato
vuoto da Brian – possano ottenere
l’affetto di Stefan, Brian non potrà
essere dimenticato, non sarà superato e non potrà
“scomparire”.
Per
assurdo, la consapevolezza di tutte queste piccole scoperte non
rappresenta per
Vincent un vero motivo per lasciar perdere. Razionalmente sa che si
tratta di
storie pericolose, che partono da presupposti sbagliati ed il cui
trascinarsi
inevitabilmente rovina la vita di tutti coloro che sono coinvolti, ma
tutto ciò
che scopre di Stefan invece di convincerlo
dell’opportunità di allontanarsi da
lui, finisce per avvicinarglielo. In tutti i suoi errori consapevoli,
in tutte
le sue debolezze così umanamente accettate, con tutti i
limiti che l’altro non
prova neppure a nascondere o dissimulare, Vincent trova Stefan qualcosa
di
assolutamente ammaliante, da cui non riesce a staccarsi.
Qualcosa…qualcuno per cui
vale la pena almeno di
provare.
Così
si ostina anche lui a mettere da parte la natura reale dei propri
sentimenti. E
si ostina a reimparare il proprio ruolo, ad assumere quello corretto di
amico e
confidente, appunto. Lo fa in modo sincero, perché sa che
Stefan ha bisogno di
questo e lui non vuole in alcun modo aggiungere sbagli ad altri
già fatti.
E
del resto, sa bene che è meglio così per entrambi.
Stefan
gira lo sguardo intorno. Il locale è immerso in una penombra
fatta di luci blu,
basse e posizionate in punti strategici. È un posto di
classe, in cui la musica
jazz si diffonde ad un volume contenuto, idoneo a permettere la
conversazione
al tavolo e sufficiente a coprirne il senso per coloro che sono seduti
agli
altri. È uno dei posti preferiti di Vincent, Stefan lo sa
perché è anche uno
dei primi posti dove lui lo ha portato quando gli è toccato
“scegliere il
locale”. Così ha scoperto che a Vincent piace la
musica jazz, oltre che quella
classica, che di rock non sa nulla – ma questo lo ha scoperto
quando è stato il
suo turno di introdurlo negli ambienti del proprio
“giro” - ed ha riso non poco
nel vederlo fronteggiare con eleganza gaffe imbarazzanti con colleghi
perplessi. Ha scoperto anche che gli piace ascoltare la musica dal
vivo, in
posti come quello, suonata da persone che la musica la sanno fare
davvero e la
vivono in un modo quasi religioso, mistico e ragionato. Non gli
è dispiaciuto,
anche se non era il suo mondo ci si è trovato bene quasi
subito.
-A
cosa pensi?
È
una domanda ma suona comunque male, perché Vincent la
accompagna con un sospiro
quasi esasperato che induce Stefan a smettere per un momento di
girovagare con
gli occhi sulle persone chine nella penombra e bisbiglianti in tono
accorto.
Gli getta un’occhiata per studiare il suo viso ed accertarsi
che non sia
davvero così arrabbiato, stufo e deluso quanto gli sembra da
quelle poche
sillabe.
Ma
Vincent non lo è. È solo sinceramente
preoccupato, perché Stefan questa sera è
più silenzioso del solito – e
già di
solito ci sono volte in cui fatica a strappargli di bocca qualche
parola onesta
su quello che gli passa per la testa. E lui ha paura di
scoprire i motivi
di questo silenzio così profondo e raccolto.
-Nulla
di importante.- ribatte invariabilmente il bassista, allungandosi verso
il
tavolino tra loro per prendere il bicchiere alto in cui riposa il suo
cocktail.
Si
bagna le labbra per prendere tempo, mentre Vincent increspa la fronte
in
un’immagine evidente del proprio scetticismo e decide se sia
il caso di farsi
più insistente e provare a varcare le difese del suo
naturale riserbo. Stefan
abbassa lo sguardo sul contenuto del proprio bicchiere, studia le
sfumature che
prende nel blu del locale e così s’impedisce di
soffermarsi a valutare
l’espressione interrogativa del proprio interlocutore.
-È
successo qualcosa con Brian?- prova ad indagare il ragazzo
più grande.
-No,
anzi.- si affretta a rispondere Stefan. Con esagerata sollecitudine per
non
destare sospetti. Abbassa il bicchiere sul tavolo producendo un suono
educatamente misurato.- È tutto a posto ed il lavoro ha
ricominciato a
procedere speditamente.
-Davvero?-
s’informa Vincent con falsa cortesia.
-…sì.-
rincara Stefan meno convinto di prima.
Ed
il fatto che continui a non guardarlo, preferendo affondare
l’attenzione degli
occhi castani tra le pieghe e le grotte che scava nel ghiaccio con
l’estremità
della cannuccia, da il senso esatto della menzogna che gli sta dicendo.
-Allora
magari è proprio questo il problema.- sussurra Vincent quasi
casualmente.
La
frase cade tra loro con pesantezza. Si schianta tra i pensieri di
Stefan
obbligandolo a prenderne coscienza ed a sospirare rumorosamente, mentre
Vincent, paziente come sempre, si sistema nella propria poltrona, posa
il capo
sul pugno chiuso ed aspetta.
-Non
lo so.- mormora il bassista con difficoltà- Credevo
onestamente che una volta
che avesse smesso di darmi il tormento saremmo stati entrambi
meglio…
-Ma
ora ti manca davvero.- completa per lui Vincent. Stefan lo guarda e non
conferma. Ma non smentisce nemmeno.- Prima, nel bene o nel male, ce
l’avevi
sempre attorno. Ti esasperava perché dovevi resistere alla
tentazione di
toccarlo, baciarlo, tornare a fare l’amore con
lui…Ora però non sai cosa gli
passa per la testa, cosa vuole…se stia ancora pensando a
te…
-Non
sta affatto pensando a me.- butta fuori Stefan con maggior amarezza di
quella
che avrebbe voluto concedersi. Ed anche con maggiore asprezza. Respira
a fondo,
rendendosi conto del senso esatto delle proprie parole e del tono
usato, e poi
spiega- Quando parliamo è solo di lavoro. Sembra che mi
eviti volutamente,
cerca di non restare mai solo con me, quando siamo rientrati agli Studi
lunedì
non mi ha neppure chiesto come fosse andato il weekend….
-E
lo fa solo con te, immagino.
-Se
lo facesse anche con Steve ed Alex penserei solo che non
gl’importa, che ha
altro per la testa. Ma fino a qualche giorno fa sembrava che io non
potessi
fare un passo senza dovergli in qualche modo rendere conto ed adesso
è
assolutamente assente…!
Vincent
sorride, Stefan ricaccia in fondo alla gola il resto della frase,
perché si
rende conto di aver alzato la voce e si rende anche conto del fatto che
ammettere così quanto quella cosa lo ferisca non serve a
nulla se non a dargli
l’esatta misura di come Brian sia ancora una presenza
costante che gli avvelena
il sangue. Sospira, afflosciandosi sulla sedia, come sgonfiandosi,
lascia
ricadere le braccia inermi lungo i fianchi e ricambia lo sguardo
affettuoso di
Vincent.
-Te
lo dico onestamente, Stefan.- mormora lui in modo pacato.- Hai solo due
strade
davanti a te in questo momento: puoi cominciare davvero a dimenticarti
di
Brian, oppure ammettere con te stesso e con lui che hai fatto un errore
e
tornare da lui.
Sa
che non dovrebbe essere così schietto. Che Stefan in questo
momento è
tragicamente fragile, che rigettarlo – o rischiare di farlo
– tra le braccia di
Brian è immensamente semplice ed allo stesso tempo
immensamente pericoloso.
Perché Stefan non ne uscirebbe illeso e Brian non
è in grado, al momento, di
mettere in piedi con chicchessia una relazione adulta e matura.
La
cosa logica sarebbe che lui provasse a separarli davvero.
E
sarebbe logico per aiutare Stefan, certo. Per fare in modo che si
liberi del
tutto dalla schiavitù di un amore finito e tragicamente
ingombrante ed
oppressivo.
Ma
sarebbe logico anche per se stessi. Egoisticamente logico.
Perché in un momento
in cui Stefan è fragile ed ha bisogno solo di prendere le
distanze da sé e
dalla propria vita, è facile e logico riuscire a trovare un
posto in cui
accomodarsi all’interno di quelle macerie e metterci radici
per offrire un
riparo confortevole.
Vincent
vaglia tutte queste considerazioni. Lo fa nel silenzio che segue a
quell’ultimo
scambio di battute, il silenzio in cui finiscono di bere e lui chiama
una delle
ragazze che servono ai tavoli per chiederle il conto, pagare ed uscire.
La
musica di sottofondo resta nel locale, sostituita dal rumore
altrettanto
artificiale ed altrettanto piacevole della brezza nel parco di notte e
del
fruscio delle foglie. Il jazz-bar non è lontano da casa di
Stefan, lui gli
chiede in tono sommesso se gli vada di accompagnarlo a piedi e Vincent
annuisce. Ha la macchina lì vicino, tornerà a
prenderla dopo con comodo.
Attraversano il parco nello stesso silenzio, mentre le riflessioni
prendono il
medesimo corso della sonnolenza torpida del liquore.
Vincent
considera che in fondo lui non deve nulla a Brian.
Magari
deve qualcosa ad Alex. In nome di una vecchia amicizia fatta di
complicità e
comprensione.
Ma
non deve niente nemmeno a Stefan. Se non nella misura in cui si concede
di
essere una persona onesta.
E
pensare a tutto questo ridimensiona le considerazioni che hanno
occupato la sua
mente nel bar, le preoccupazioni per la vita degli altri. La sua di
vita ha un
corso proprio ed è già difficile da seguire, ed
in fondo lui, nel momento in
cui ha ammesso con Alex e con Stefan di non poter continuare a svolgere
il
proprio lavoro, ha esaurito anche gli obblighi connessi con la propria
onestà.
Così
quando si fermano sotto il portone e Stefan tira fuori le chiavi di
casa, tutta
quell’assurdità senza senso ha preso un gusto
molto più vago. Torpido proprio
come il liquore, ma altrettanto saporoso.
-Ti
va di salire?- domanda il ragazzo più giovane.
E
Vincent si risponde che la cosa giusta da dire è
“no”. Ma sa anche che la
risposta sincera, quella che tirerà fuori, è
diversa.
Ed
in fondo, lui a Brian non deve nulla.
Ed
a Stefan dovrà qualcosa solo nella misura in cui
avrà sbagliato davvero.
….però…ora
come ora non lo sa, se sia un errore dire di
“sì”.
***
-Si
vede che hai fatto già un corso di fotografia…
-Sai
che pensavo di non ricordare niente!
-Mah,
generalmente è difficile dimenticare cose meccaniche come
questa. Adesso però
stai attento, ché se lasci l’obiettivo troppo
aperto finisci per bruciare la
pellicola.
Steve
sospira e tira dentro il viso. Le figure di Brian ed Helena –
in piedi sulla
terrazza, macchine fotografiche alla mano e Londra ai propri piedi
– scompaiono
oltre il parapetto della finestra e lui si volta alla porta mentre
questa si apre.
Alex
entra ed intercetta l’occhiata perplessa del batterista, un
momento prima che
lui la faccia sparire dietro un più consono grugno burbero.
-…Steve?-
lo interroga la donna, ferma sulla soglia.
Lui
finge di non capire. Si siede al tavolo, preleva una rivista musicale a
caso
dal ripiano di cristallo ed inizia a sfogliarne con interesse le
pagine, mentre
alza i piedi sul piano ed il viso sulla donna.
-Cosa?-
ritorce rispecchiando nella voce il medesimo grugno burbero che ancora
sfoggia.
-Non
me la racconti giusta.- afferma Alex avanzando verso di lui, mani sui
fianchi e
sguardo attento.- Cosa stavi guardando?- chiede quindi, sollevando
quasi nello
stesso momento l’attenzione sulla finestra.
Mentre
lei avanza da quella parte il batterista sospira e si tira
frettolosamente in
piedi.
-Alex…-
prova ad intervenire in tono preoccupato.
La
donna non ha bisogno di affacciarsi: la risata di Brian e quella
piccola e
cristallina di Helena risalgono la parete degli Studi, infilandosi di
prepotenza dentro la stanza, e le strappano un sorriso spento. Si
appoggia al
davanzale, tirando fuori la testa anche lei per vederli, poco sotto,
confabulare tra loro. I capelli scuri di Helena si agitano al vento,
sfiorano
il volto di Brian e quando lei prova a raccoglierli indietro loro
ricadono
ancora in avanti, in un abbraccio quasi intimo…
-Sono
carini.- sussurra la manager al batterista dietro di sè.
-…salvo
il fatto che Stefan ci starà uno schifo appena li
vedrà…- borbotta Steve,
sporgendosi anche lui a guardare giù.
Lei
si volta, si stringe nelle spalle e poi scuote la testa leonina.
-Stefan
ha un altro.- confessa.
Steve
la guarda. Alex riavvolge nella propria testa la telefonata del giorno
prima
con Vincent: lui le ha detto che le cose con Stefan sono cambiate, da
un paio
di settimane, non di più, ma adesso sono una coppia.
Le
ha anche detto che Stefan ama ancora Brian e solo lui.
-Non
stupirti così!- sbotta tirando una manata alla spalla del
batterista, che non
fa una piega ed incassa il colpo senza subirlo affatto.- Sai che a Stef
non
piace parlare dei fatti propri.
-Brian
lo sa?- s’informa Steve.
-Certo
che no.- risponde lei facendo spallucce.- E sarà meglio non
dirglielo al
momento.
-Ma
lui ed Helena…-mormora Steve indicandoli, come se questo
fosse già esaustivo.
Alex
torna a guardare nella direzione di quella mano e poi sussurra solo.
-Sono
amici e basta, Steve.
***
Helena
sfoglia le fotografie con una riverenza quasi maniacale. Sì,
perché la sua è
riverenza e non semplice accortezza. Cura del particolare ma anche cura
del
mezzo espressivo. Guardare le sue dita, le unghie perfette che sfiorano
la
superficie lucida della stampa fotografica è quasi
ipnotizzante. Quando
picchiettano sul piano laccato, quelle stesse unghie producono un suono
ticchettante, indice del suo nervosismo e della stanchezza che si
accumula
intorno agli occhi cerchiati di scuro. Il trucco si è
sciolto, sbavando
sull’angolo dell’occhio, Brian la guarda senza che
lei se ne accorga e pensa
che è presumibile che anche il trucco intorno ai suoi di
occhi abbia avuto la
stessa sorte: la matita si sarà allungata fin quasi a
sparire ma avrà lasciato
una macchia appena più scura, un alone buio che affonda lo
sguardo e lo rende
più fosco, e tira le rughe che il sonno disegna attorno al
viso…
-Dovremmo
piantarla qui.- sbotta all’improvviso, scostando da
sé le stesse foto che la
ragazza muove con attenzione.
Lui
di attenzione non ce ne mette affatto ed osserva invece Helena mentre
si
affaccenda per raccogliere gli scatti ed evitare che i suoi gesti
bruschi li
sciupino irrimediabilmente.
-Sono
stanco.- protesta intanto Brian.
Lei
sospira ed inizia a raccogliere tutto nella cartelletta di pelle che
porta
sempre con sé a questo scopo.
-Sono
stanca anch’io, Brian, ma domani questa roba deve andare in
stampa…- spiega con
pazienza.
-Non
ce la faccio a restare concentrato ancora, Helena!- esclama lui
esasperato,
interrompendola solo per lasciarsi andare in avanti sul tavolo e
sollevare le
mani a strofinare gli occhi arrossati dalle ore passate al chiuso negli
Studi.-
Non avresti dovuto vedere con Alex queste cose? Perché tutto
deve passare per
me?!- afferma arrabbiato.
-Perché
tanto alla fine se non sta bene a te non se ne fa nulla.- ritorce lei
stizzita.
Armeggia con la borsa, cacciando i provini, al sicuro nella
cartelletta, tra le
pieghe pesanti della pelle marcata. Roba di lusso, pensa Brian
distrattamente
mentre osserva le borchie firmate sui lati e sulla chiusura dorata.
Respira a
fondo, prendendo fiato per tentare di mantenere viva la concentrazione
ed
evitare di dire sciocchezze per via della stanchezza, Helena parla
ancora e lui
si concentra su quello che sta dicendo.- Alex pensava che
coinvolgendoti nel
processo decisionale si sarebbero potute evitare inutili perdite di
tempo.- sta
dicendo lei nello stesso modo piccato, litigando inutilmente con la
borsa che
non vuole accogliere e custodire il lavoro di giorni…- Se
dobbiamo mandare alla
produzione, poi far tornare indietro i provini per farli vedere a
quelli della
redazione e poi comunque aspettare che tu ci dica se possiamo mandare
in
stampa…
-Alex
vuole solo che io tenga la mente impegnata- la interrompe Brian atono.
Helena
lascia perdere. La borsa si apre di nuovo mentre lei sospira sconfitta
e si
volta, le foto e la loro custodia semirigida ricadono sul piano del
tavolo e
lei tira indietro i capelli la cui piega ormai è
praticamente disfatta e si
volta a ricambiare stancamente lo sguardo apatico dell’uomo
di fianco a sé.
Spalle all’indietro, la donna si abbandona contro la
spalliera della sedia e
punta gli occhi sul ripiano laccato.
-Riprendiamo
domattina presto…
-Helena,
io mi rifiuto di alzarmi all’alba dopo che
stasera…- inizia precipitosamente
Brian.
-…finiamo
per ora di pranzo, mandiamo tutto alla redazione entro le
tre…
-È
una cazzata grossa come una casa pensare che in due possiamo fare il
lavoro che
dovrebbe fare un intero team di persone!- ringhia il bruno inferocito.
-…alle
cinque massimo è tutto in stampa e per la presentazione di
dopodomani siamo a
posto.
-Volete
per caso ammazzarmi per liberarvi di me?!
Nel
silenzio fastidioso che si allarga, le poltrone di pelle scricchiolano
quasi
all’unisono mentre entrambi si muovono a disagio alla ricerca
di una posizione
maggiormente confortevole. Ma il fastidio che tira sotto la cute non
accenna a
diminuire nonostante quelle scossette educate di assestamento ed
entrambi si
concedono sbuffi esasperati che si diffondono nell’aria in
successione asimmetrica.
Si
guardano. Un sorriso identico, ugualmente stanco e frustrato si allarga
sui
volti di tutti e due, rispecchiandosi allo stesso modo nelle maschere
similari
di trucco ed acconciatura in disordine.
-…ti
va il giapponese?- s’informa lui.
-…niente.
Non impari proprio come s’invita una donna a cena.- ritorce
lei scrollando
appena il capo, come se un movimento eccessivo potesse costarle la
capacità
stessa di mantenersi dritta eretta con schiena e collo.
Brian
ridacchia.
-Ho
fame. E se domattina devo anche alzarmi presto, stasera pretendo di
cenare
bene.- notifica.
Lei
ride. Esasperazione pura e semplice, a cui fa eco anche quella di
Brian. Alla
fine accetta l’invito – “o quello che
è”, rimarca mentre prende la borsa e si
alza, infilando la giacca.
Il
ristorante Brian lo sceglie nel giro di quelli che frequentava quando
lui e
Stefan stavano assieme. Riuscire ad entrarci, sedersi ad un tavolo ed
ordinare
– sentendosi chiamare per nome ed apostrofare con
familiarità da persone che
s’informano su come stia e dove sia finito tutto quel tempo
– è una vittoria
che gusta e che ha un sapore ben diverso da quello che si era
immaginato. Non
sa di liberazione. Non sa nemmeno di gioia vera. Il sapore è
molto più sottile,
profumato come Helena, come l’odore ormai sfumato di profumo
costoso. Raffinato
e di classe, di lusso, come la borsa e come ogni cosa che circondi la
donna. La
osserva di sottecchi mentre ordina da mangiare, e poi quando inizia a
litigare
con le bacchette, ostinandosi ad usarle comunque nonostante la
difficoltà.
Helena
è una creatura costruita, proprio come lui, è una
donna che per raggiungere i
propri obiettivi nella vita si è forgiata nel modo che la
vita le richiedeva.
Ha fatto delle rinunce, probabilmente, ed ha fatto delle scelte, molto
più
spesso. Ha accettato di dover indossare abiti firmati –
magari le piace anche
farlo – di truccarsi per sembrare più giovane e
bella di quello che è, di
presentarsi come una vincente in qualunque situazione, di dare di
sé
un’immagine di posata affidabilità, di
solidità costante e di professionalità
accompagnata ad eleganza, buon gusto e raffinatezza…
Eppure
quello che gli piace di lei è che litighi con i bastoncini
per tirare su
pezzetti di sushi che invariabilmente ricadono nel piatto.
Dopo
cena le propone di fermarsi a bere qualcosa. Helena gli fa notare
giustamente
che l’indomani non possono concedersi di restare a poltrire
fino a tardi, Brian
però non l’ascolta ed indica al taxi che li sta
accompagnando il nome di un
locale alla moda, in una diversa zona della città. Mentre la
macchina li
accompagna lì, Helena protesta, ma quando si fermano davanti
l’ingresso sospira
e lascia che Brian scenda per primo dall’auto, dopo aver
aperto la portiera, e
l’aiuti a scendere tenendola aperta per lei. Non
saprà come s’invita fuori una
donna, ma di sicuro è molto galante, pensa ridendo. Dentro
si siedono distanti
dalla confusione, anche se di confusione vera non ce
n’è perché è uno di quei
posti dove la gente va per stare in pace e, quindi, è
discreto ed ampio e
lascia ad ognuno i propri spazi. Ordinano da bere entrambi e non si
risparmiano
la scelta di liquori forti ed intensi, che danno in fretta alla testa
ed
aiutano le confidenze.
Perché
quando Brian la scruta in silenzio per troppo tempo, Helena se lo sente
sulla
pelle che quella che seguirà sarà una
confessione. Non sa spiegarsi la ragione
per cui accadrà, pensa che somigli molto a quelle situazioni
improbabili eppure
reali in cui due perfetti sconosciuti all’improvviso si
trovano incredibilmente
vicini. E dura lo spazio di una notte come quella, poche ore tirate
assieme per
non si sa che ragione contingente, ma è talmente forte che
vale a superare
tutti gli ostacoli che le distanze sociali impongono.
Per
questo non è stupita quando Brian le racconta di Stefan
– e, intelligentemente,
si guarda dal dirgli che lo sa già, perché nei
corridoi degli Studi non si
parla di altro – e non è stupita nemmeno quando
Brian le confessa della droga,
dei motivi per cui è entrata nella sua vita e di quelli per
cui ne è uscita. O
almeno lui spera che lo sia. Ed ancora una volta Helena tace e non dice
che
anche questo circola in fretta ed in modo cattivo nei sussurri spietati
di
quegli stessi corridoi. Osserva invece Brian balbettare quelle cose tra
un
sorso e l’altro, tra un bicchiere e l’altro. E lei
ne beve molti meno e non è
così ubriaca come Brian quando lui decide di averne
abbastanza e di voler
tornare a casa.
E
visto che non è così ubriaca.
Magari
dovrebbe pensarci meglio.
Invece
non pensa affatto.
***
Brian
solleva la testa dal cuscino ed il suo primo pensiero è che
stare in un loft ha
un sacco di inconvenienti quando non ci stai da solo.
Ad
esempio, il rumore che produce Helena, nel muoversi
dall’unico ambiente
spazioso al cucinino claustrofobico infilato oltre la “zona
notte”, è
spaventoso se hai la testa che rimbomba maleficamente. Ed è
altrettanto
spaventoso che lei canticchi a labbra chiuse mentre si muove, e tu ti
domandi
con esattezza se ci sia da ricordare un motivo specifico per il quale
debba
essere così felice, un motivo che tu hai rimosso
nell’attimo stesso in cui hai
chiuso gli occhi la notte prima…
Si
rigira nel letto tra le coperte, approfittando che lei sia tornata a
svanire
dietro la porta scorrevole del cucinino, solleva la mano
appiccicandosela alla
fronte che pulsa dannatamente. Alza indietro i capelli arruffati ed
incollati
dal sudore alla pelle e tenta di mettere a fuoco gli eventi del giorno
prima.
E
di mettere a fuoco le valutazioni – se
ci
sono state, s’intende – che li hanno
generati.
Helena
tarda ad uscire, un odore denso di qualcosa di caramellato e dolciastro
irrompe
attraverso il vetro della porta scorrevole. Brian si mette a sedere,
infila
boxer, jeans ed una maglietta a caso, larga e comoda, poi si tira
dritto,
recuperando un elastico dalla mensola accanto al letto e legandoci
frettolosamente i capelli in un codino arruffato che non
reggerà. Apre la porta
del cucinino e si appoggia allo stipite, perché tanto
lì dentro non c’è affatto
lo spazio per due persone.
Helena
si volta.
Ha
un sorriso più bello quando non è truccata ed in
ordine, nota Brian.
-Buongiorno!-
lo accoglie divertita, scrutando la sua espressione non troppo vigile.
Lui
se ne rende conto e sbuffa un sorriso a propria volta, sollevando la
mano per
stropicciarsi gli occhi e cercare di darsi una svegliata seria.
-‘Giorno.-
ritorce quindi pacatamente.- Che stai facendo?- s’informa
poi, rinunciando al
proprio tentativo per lasciar ricadere il braccio lungo il fianco con
aria
fiacca.
-Preparo
la colazione.- risponde lei sogghignando, la cosa è
così evidente che deve
sembrare davvero ridicolo che lui lo chieda.
Brian
strizza gli occhi.
-…sì,
ma dove l’hai trovata quella roba?- si decide a specificare.
Lei
lo fissa sorpresa, sollevando a mezz’aria la paletta che sta
usando per
rigirare il pancake.
-…nel
frigo. O nella dispensa.- risponde lentamente, come se si stesse
domandando
seriamente dove abbia sbagliato.
-C’era
del cibo in casa?- chiede quindi Brian genuinamente stupito.
Helena
ride, capendo finalmente dove sia il problema.
-Sì!-
ribatte- C’era del cibo in casa.- esplica poi.- Immagino che
Alex si sia
preoccupata di assicurarsi che non morissi di fame…
-Non
ci mangio mai a casa. E non ci dormo nemmeno.- risponde lui voltandosi
per
tornare nella stanza principale.- Vado da Steve, è
più comodo.
-Per
te o per Steve?- sghignazza Helena seguendolo con il piatto ricoperto
di
pancake ed il flacone dello sciroppo d’acero.
Brian
si lascia ricadere su una delle sedie intorno al tavolo, si appoggia
con i
gomiti al ripiano e sistema tra le mani aperte un faccino angelico e
sorridente
con cui la accoglie mentre lei posa piatto e flacone davanti a lui.
-Per
Steve, ovviamente.- risponde cinguettante- Così non ha
motivo di ingelosirsi di
Stefan.- spiega.
Helena
gli si siede davanti ridendo e contestando che dubita che Steve abbia
di questi
problemi al momento. Lui la guarda e pensa ai motivi per cui la sera
prima le
ha chiesto di salire a casa, di fermarsi per la notte. Gli stessi
motivi che
l’hanno spinto a baciarla ed a fare l’amore con
lei.
Sono
i motivi per cui Helena sorride
felice, quelli che la inducono a parlare, scrutandolo di sottecchi ogni
tanto
per poi riprendere senza soluzione di continuità da dove
aveva finito un
momento prima. Brian s’interroga
sull’opportunità di metterli a tacere subito,
quei motivi, dandogli il giusto peso e riordinandoli
nell’ottica corretta. Non
vuole che Helena si faccia male, perché con Helena sta bene
– in un modo così
diverso da quello che
condivideva con Stefan – e quello che
c’è tra loro va bene così, lui non
avrebbe dovuto complicarlo ma gli sembrava quasi assurdo continuare a
guardarla
da lontano senza neppure sfiorarla. Era solo questo che voleva fare, in
fondo,
toccarla ed assicurarsi che fosse vera e che non svanisse tra le sue
mani come
un’apparizione…
-Sai
che all’inizio credevo che, vedendoti senza trucco, sarei
rimasta
spiacevolmente impressionata!- sbotta lei ad un certo punto. Brian
torna a
concentrarsi sulla sua presenza concreta e sorride senza dire nulla.-
Mi sono
talmente abituata a vederti in tiro! Trucco,
capelli…vestiti…
-Già.-
ribatte pacato lui, spostando il piatto da cui ha spilluzzicato appena.
-Invece
sei solo un’altra persona.- continua Helena con meno brio ma
più decisione.-
Sei solo diverso. Non migliore o peggiore, solo diverso.
Brian
la guarda alzarsi per raggiungere la propria borsa, ancora
nell’angolo in cui
la sera prima l’ha fatta cadere senza pensarci. Helena
annuncia a gran voce la
necessità di mettersi al lavoro, che di tempo ne hanno perso
abbastanza e comunque devono
consegnare quei provini.
Ridacchia su quella frase, soffermandosi allusiva sul
“comunque” che pesa come
un macigno sulla testa di Brian.
“Diglielo
adesso”.
Si
muove con la familiarità distratta che prendono le persone
quando si adattano
in fretta ad un ambiente. Getta occhiate intorno a sé per
assicurarsi del luogo
in cui si sta muovendo, ne misura le distanze per paura di urtare i
mobili.
“Dille
che è stato tutto un tragico errore. Che non volevi. Che ti
dispiace.”
Si
assicura di trovare un proprio spazio, di conformarcisi anche quando si
siede
sul divano, tra i cuscini che sprimaccia di lato, cominciando a
rovistare
maggiormente a proprio agio nella cartelletta di pelle in cui ha
riposto i
provini.
“Diglielo.
E poi torna a vivere la tua vita.”
-…allora?-
domanda Helena puntandogli addosso uno sguardo morbido come il velluto.
Il
punto è che con lei ci sta bene.
In
un modo diverso da quello che condivideva con Stefan. Ma ci sta bene.
E
fa decisamente meno male.
-Pranziamo
assieme?- s’informa Brian alzandosi anche lui per
raggiungerla sul divano.
-Dove?
-Qui.-
ribatte lui sedendo e spostando nuovamente i cuscini per
ammonticchiarli tra di
loro.- Tanto c’è Alex che si occupa di fare la
spesa.- ridacchia.
Fine.
A
volte le cose finiscono
-Mi
piacerebbe che tu
venissi, Brian… Mi piacerebbe che voi due vi incontraste.
…in
realtà, le cose finiscono quasi sempre.
-Non
lo so, Stef, devo
anche vedere se ad Helena va bene
esserci…Sai…è comunque a lei che devo
rendere
conto ora come ora…non mi va di metterla in imbarazzo.
Solo
che a volte fa male.
-…che
vuol dire che ha
detto che dipendeva da me, Stef?
Ed
alcune di queste volte, fa così
male
da non avere nemmeno la forza di chiudere e basta.
-Vuol
dire che mi ha
mentito, Helena, nient’altro.
Così
le cose, anche se finite, si trascinano.
E
gli strascichi di una storia finita sono peggio, a volte, di tutto
quello che
di male.
Di
cattivo.
Di
doloroso ci si sia scambiati stando assieme.
Di
come lo ha scoperto
non si ricorda più.
Probabilmente
ha
origliato una discussione tra Steve e Stefan, che ne parlavano tra
loro.
Di
come ha scoperto che
Vincent era andato a vivere da Stef se lo ricorda bene,
perché è stato Stefan a
dirglielo quando gli ha anche annunciato che lo avrebbe presentato loro
– a
lui, Steve ed Helena, s’intende, perché Alex lo
conosceva già – quel pomeriggio
stesso, quando Vincent li avrebbe raggiunti lì dopo il
soundceck.
Il
resto non ha bisogno
di ricordarselo, perché lo sa.
Sa
delle fughe con scuse
idiote pur di non incontrarlo, sa dei tentativi ripetuti – infiniti – di Stefan per riuscire a stringerlo
nell’angolo e costringerlo a parlargli…o almeno a
vederlo. Sa di Helena che gli
dice che così non può continuare – e
glielo dice continuamente, tanto che Brian
ha perso il conto delle volte e non le bada più, la sera
prima di andare a
dormire, quando lei lo insegue fino alla porta del bagno tentando
invano di
ottenere una risposta. Sa anche di Vincent, perché Alex
gliene parla, sa di
tutte le volte che attraverso lei cerca una mediazione “per
il bene di Stefan”.
E
sa che del bene di
Stefan non gliene è mai importato così poco.
Sa
tutto questo quando Stefan
gli chiede di esserci. E sa che Helena ha lo sguardo fisso su di lui,
quando la
cosa viene fuori e lui – che
ha mentito di nuovo
– si sente sotto accusa e non ha voglia di affrontarla.
-E’
il compleanno di
Stefan, Brian. Fai uno sforzo.- ordina la voce calda della donna, in
una frase
spezzata e secca da cui traspare il velo di esasperazione che
l’affligge.
Sa
tutto questo e
cammina incontro alla verità di quella storia finita. Ci va
perché ha bisogno
di farlo e di mettere davvero la parola “fine” al
termine di quella storia.
E
quando Vincent si
avvicina e gli parla, fuori dalla terrazza, lui guarda in
giù. Si dice che è
alto da morire, che a camminare sul bordo si rischia di cadere e che
lui è
davvero troppo grande – ormai – per continuare a
fare l’equilibrista in bilico
sul muretto dell’aiuola.
Vincent
ha proprio
ragione a rimproverarlo.
“Without you, I’m
nothing”
2008
Easily
Forgotten Love
Nota di fine capitolo:
Fa un po’ strano dirsi che è terminata,
perché mi ci ero
affezionata abbastanza.
Fatto sta che è terminata. Non so nemmeno io
quanto tempo è
che volevo fosse scritta, Without stata qualcosa a cui ho tenuto per un
bel po’
e senza ragioni reali. È una storia che trovo molto amara ma
piuttosto
realistica, non fosse per il suo andamento apatico, smorzato e
vagamente noioso
la troverei decisamente migliore.
Considerazioni sceme di fine storia, comunque XDDD
A nome dell’Easily si ringraziano tutti coloro che
hanno
seguito la storia, in particolare Stregatta e Chemical Kira per averla
anche
commentata. Si dà un bacio enorme a tutti e ci si vede alla
prossima.
MEM
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