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Autore: Easily Forgotten Love    15/06/2008    3 recensioni
Brian e Stefan si sono appena lasciati. Sebbene sia stata una scelta consapevole, Stefan non sa ancora quanto possa fare male. E Brian, che quella scelta l’ha subita, non riesce ad accettare di arrendersi senza provare a riprendersi ciò che ama.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Ciao, Stevey. Hai del tempo per me?
-Alex?! Che succede, piccola?
-Mah, Stef è sparito, Brian è irrintracciabile e nessuno sembra avere più bisogno di me…Ci si sente soli quando succede così all’improvviso!
***
-Caffè.- annuncia Helena posando i bicchieri di Starbucks. Una busta di carta colorata segue subito dopo ed occupa quasi interamente il suo spazio visivo, Brian sorride e smette di scrivere, spingendo da parte carta e penna.- E ciambelle.- completa la donna, lasciandosi cadere a sedere di fronte a lui subito dopo. Agita una cartelletta scura che posa con un colpo deciso sul tavolo.- Provini.- aggiunge in tono intimidatorio.
Brian ride.
-Sì, immaginavo che non si mangiasse anche quella.- sogghigna.
Helena si scioglie dalla giacca, liberandosene con gesti impacciati mentre il brunetto infila risolutamente il naso nel sacchetto di carta.
-Sembrano deliziose.
-Sì, ma non sono opera mia.- confessa Helena, aprendo la cartelletta davanti a sé.- Ho incrociato Alex, le ha comprate lei per te ed i ragazzi. Dice che mangi poco, le ho risposto che ieri sera non mi è parso proprio.
-Le hai detto che siamo usciti assieme?- realizza Brian in tono piano tirando un morso alla ciambella.
-Noi non siamo usciti assieme, Brian!- esclama Helena scartabellando nervosamente tra le foto.- Non nel senso in cui la stai mettendo adesso, quanto meno.
-Quale senso?- finge di non capire lui.
Helena sospira e tira fuori gli scatti, appoggiandoglieli sul tavolo perché lui possa sfogliarli.
-O.k, ora non toccarli, li giro io. Altrimenti li sporchi.- ordina ignorando volutamente l’ultimo scambio di battute.- Tu dimmi solo quali ti piacciono e quali dobbiamo rifare.
Brian non ribatte, allunga una mano ad afferrare uno dei bicchieri di caffè e se lo porta affianco.
***
Vincent valuta che, nonostante tutto, questa amicizia con Stefan non è affatto spiacevole.
Nonostante tutto.
Perché al momento è solo questo: un’amicizia. Una cosa molto più informale del rapporto di lavoro che esisteva quando il ragazzo era in cura da lui, una cosa molto più soft e con meno difficoltà comunicative. Man mano che le cose vanno avanti, che il tempo passa ed il rapporto si approfondisce su quelle nuove basi, Vincent acquista mezzi per capire meglio ciò che lega il bassista e l’ex ragazzo. La natura della relazione tra i due, che aveva colto sotto una sfumatura meno personale e più fredda nelle lunghe ore passate allo Studio, ora gli appare sotto la luce molto più intima delle confessioni fatte ad un amico. Stefan si mostra in tutta la debolezza che la cicatrice di Brian ha lasciato, ed è una cicatrice profonda, che lo segna in un modo difficile da superare. Per certi versi, ciò che aveva solo intuito – la volontà di Stefan di non allontanarsi davvero, di non perdere completamente Brian e l’eredità della loro storia assieme – diviene una realtà concreta, fatta della consapevolezza che Brian è un’ossessione per l’altro, un qualcosa che continua ad essere vivo e presente in modo intollerabilmente vivido.
Stefan ama ancora Brian. Ma se si tratta di una verità che a Vincent non è mai sfuggita in tutti quei mesi di conoscenza, solo ora riesce a coglierne appieno il significato. E riesce a capire che per quanto lui – o chiunque per lui riuscirà ad occupare, alla fine, il posto lasciato vuoto da Brian – possano ottenere l’affetto di Stefan, Brian non potrà essere dimenticato, non sarà superato e non potrà “scomparire”.
Per assurdo, la consapevolezza di tutte queste piccole scoperte non rappresenta per Vincent un vero motivo per lasciar perdere. Razionalmente sa che si tratta di storie pericolose, che partono da presupposti sbagliati ed il cui trascinarsi inevitabilmente rovina la vita di tutti coloro che sono coinvolti, ma tutto ciò che scopre di Stefan invece di convincerlo dell’opportunità di allontanarsi da lui, finisce per avvicinarglielo. In tutti i suoi errori consapevoli, in tutte le sue debolezze così umanamente accettate, con tutti i limiti che l’altro non prova neppure a nascondere o dissimulare, Vincent trova Stefan qualcosa di assolutamente ammaliante, da cui non riesce a staccarsi. Qualcosa…qualcuno per cui vale la pena almeno di provare.
Così si ostina anche lui a mettere da parte la natura reale dei propri sentimenti. E si ostina a reimparare il proprio ruolo, ad assumere quello corretto di amico e confidente, appunto. Lo fa in modo sincero, perché sa che Stefan ha bisogno di questo e lui non vuole in alcun modo aggiungere sbagli ad altri già fatti.
E del resto, sa bene che è meglio così per entrambi.
Stefan gira lo sguardo intorno. Il locale è immerso in una penombra fatta di luci blu, basse e posizionate in punti strategici. È un posto di classe, in cui la musica jazz si diffonde ad un volume contenuto, idoneo a permettere la conversazione al tavolo e sufficiente a coprirne il senso per coloro che sono seduti agli altri. È uno dei posti preferiti di Vincent, Stefan lo sa perché è anche uno dei primi posti dove lui lo ha portato quando gli è toccato “scegliere il locale”. Così ha scoperto che a Vincent piace la musica jazz, oltre che quella classica, che di rock non sa nulla – ma questo lo ha scoperto quando è stato il suo turno di introdurlo negli ambienti del proprio “giro” - ed ha riso non poco nel vederlo fronteggiare con eleganza gaffe imbarazzanti con colleghi perplessi. Ha scoperto anche che gli piace ascoltare la musica dal vivo, in posti come quello, suonata da persone che la musica la sanno fare davvero e la vivono in un modo quasi religioso, mistico e ragionato. Non gli è dispiaciuto, anche se non era il suo mondo ci si è trovato bene quasi subito.
-A cosa pensi?
È una domanda ma suona comunque male, perché Vincent la accompagna con un sospiro quasi esasperato che induce Stefan a smettere per un momento di girovagare con gli occhi sulle persone chine nella penombra e bisbiglianti in tono accorto. Gli getta un’occhiata per studiare il suo viso ed accertarsi che non sia davvero così arrabbiato, stufo e deluso quanto gli sembra da quelle poche sillabe.
Ma Vincent non lo è. È solo sinceramente preoccupato, perché Stefan questa sera è più silenzioso del solito – e già di solito ci sono volte in cui fatica a strappargli di bocca qualche parola onesta su quello che gli passa per la testa. E lui ha paura di scoprire i motivi di questo silenzio così profondo e raccolto.
-Nulla di importante.- ribatte invariabilmente il bassista, allungandosi verso il tavolino tra loro per prendere il bicchiere alto in cui riposa il suo cocktail.
Si bagna le labbra per prendere tempo, mentre Vincent increspa la fronte in un’immagine evidente del proprio scetticismo e decide se sia il caso di farsi più insistente e provare a varcare le difese del suo naturale riserbo. Stefan abbassa lo sguardo sul contenuto del proprio bicchiere, studia le sfumature che prende nel blu del locale e così s’impedisce di soffermarsi a valutare l’espressione interrogativa del proprio interlocutore.
-È successo qualcosa con Brian?- prova ad indagare il ragazzo più grande.
-No, anzi.- si affretta a rispondere Stefan. Con esagerata sollecitudine per non destare sospetti. Abbassa il bicchiere sul tavolo producendo un suono educatamente misurato.- È tutto a posto ed il lavoro ha ricominciato a procedere speditamente.
-Davvero?- s’informa Vincent con falsa cortesia.
-…sì.- rincara Stefan meno convinto di prima.
Ed il fatto che continui a non guardarlo, preferendo affondare l’attenzione degli occhi castani tra le pieghe e le grotte che scava nel ghiaccio con l’estremità della cannuccia, da il senso esatto della menzogna che gli sta dicendo.
-Allora magari è proprio questo il problema.- sussurra Vincent quasi casualmente.
La frase cade tra loro con pesantezza. Si schianta tra i pensieri di Stefan obbligandolo a prenderne coscienza ed a sospirare rumorosamente, mentre Vincent, paziente come sempre, si sistema nella propria poltrona, posa il capo sul pugno chiuso ed aspetta.
-Non lo so.- mormora il bassista con difficoltà- Credevo onestamente che una volta che avesse smesso di darmi il tormento saremmo stati entrambi meglio…
-Ma ora ti manca davvero.- completa per lui Vincent. Stefan lo guarda e non conferma. Ma non smentisce nemmeno.- Prima, nel bene o nel male, ce l’avevi sempre attorno. Ti esasperava perché dovevi resistere alla tentazione di toccarlo, baciarlo, tornare a fare l’amore con lui…Ora però non sai cosa gli passa per la testa, cosa vuole…se stia ancora pensando a te…
-Non sta affatto pensando a me.- butta fuori Stefan con maggior amarezza di quella che avrebbe voluto concedersi. Ed anche con maggiore asprezza. Respira a fondo, rendendosi conto del senso esatto delle proprie parole e del tono usato, e poi spiega- Quando parliamo è solo di lavoro. Sembra che mi eviti volutamente, cerca di non restare mai solo con me, quando siamo rientrati agli Studi lunedì non mi ha neppure chiesto come fosse andato il weekend….
-E lo fa solo con te, immagino.
-Se lo facesse anche con Steve ed Alex penserei solo che non gl’importa, che ha altro per la testa. Ma fino a qualche giorno fa sembrava che io non potessi fare un passo senza dovergli in qualche modo rendere conto ed adesso è assolutamente assente…!
Vincent sorride, Stefan ricaccia in fondo alla gola il resto della frase, perché si rende conto di aver alzato la voce e si rende anche conto del fatto che ammettere così quanto quella cosa lo ferisca non serve a nulla se non a dargli l’esatta misura di come Brian sia ancora una presenza costante che gli avvelena il sangue. Sospira, afflosciandosi sulla sedia, come sgonfiandosi, lascia ricadere le braccia inermi lungo i fianchi e ricambia lo sguardo affettuoso di Vincent.
-Te lo dico onestamente, Stefan.- mormora lui in modo pacato.- Hai solo due strade davanti a te in questo momento: puoi cominciare davvero a dimenticarti di Brian, oppure ammettere con te stesso e con lui che hai fatto un errore e tornare da lui.
Sa che non dovrebbe essere così schietto. Che Stefan in questo momento è tragicamente fragile, che rigettarlo – o rischiare di farlo – tra le braccia di Brian è immensamente semplice ed allo stesso tempo immensamente pericoloso. Perché Stefan non ne uscirebbe illeso e Brian non è in grado, al momento, di mettere in piedi con chicchessia una relazione adulta e matura.
La cosa logica sarebbe che lui provasse a separarli davvero.
E sarebbe logico per aiutare Stefan, certo. Per fare in modo che si liberi del tutto dalla schiavitù di un amore finito e tragicamente ingombrante ed oppressivo.
Ma sarebbe logico anche per se stessi. Egoisticamente logico. Perché in un momento in cui Stefan è fragile ed ha bisogno solo di prendere le distanze da sé e dalla propria vita, è facile e logico riuscire a trovare un posto in cui accomodarsi all’interno di quelle macerie e metterci radici per offrire un riparo confortevole.
Vincent vaglia tutte queste considerazioni. Lo fa nel silenzio che segue a quell’ultimo scambio di battute, il silenzio in cui finiscono di bere e lui chiama una delle ragazze che servono ai tavoli per chiederle il conto, pagare ed uscire. La musica di sottofondo resta nel locale, sostituita dal rumore altrettanto artificiale ed altrettanto piacevole della brezza nel parco di notte e del fruscio delle foglie. Il jazz-bar non è lontano da casa di Stefan, lui gli chiede in tono sommesso se gli vada di accompagnarlo a piedi e Vincent annuisce. Ha la macchina lì vicino, tornerà a prenderla dopo con comodo. Attraversano il parco nello stesso silenzio, mentre le riflessioni prendono il medesimo corso della sonnolenza torpida del liquore.
Vincent considera che in fondo lui non deve nulla a Brian.
Magari deve qualcosa ad Alex. In nome di una vecchia amicizia fatta di complicità e comprensione.
Ma non deve niente nemmeno a Stefan. Se non nella misura in cui si concede di essere una persona onesta.
E pensare a tutto questo ridimensiona le considerazioni che hanno occupato la sua mente nel bar, le preoccupazioni per la vita degli altri. La sua di vita ha un corso proprio ed è già difficile da seguire, ed in fondo lui, nel momento in cui ha ammesso con Alex e con Stefan di non poter continuare a svolgere il proprio lavoro, ha esaurito anche gli obblighi connessi con la propria onestà.
Così quando si fermano sotto il portone e Stefan tira fuori le chiavi di casa, tutta quell’assurdità senza senso ha preso un gusto molto più vago. Torpido proprio come il liquore, ma altrettanto saporoso.
-Ti va di salire?- domanda il ragazzo più giovane.
E Vincent si risponde che la cosa giusta da dire è “no”. Ma sa anche che la risposta sincera, quella che tirerà fuori, è diversa.
Ed in fondo, lui a Brian non deve nulla.
Ed a Stefan dovrà qualcosa solo nella misura in cui avrà sbagliato davvero.
….però…ora come ora non lo sa, se sia un errore dire di “sì”.
***
-Si vede che hai fatto già un corso di fotografia…
-Sai che pensavo di non ricordare niente!
-Mah, generalmente è difficile dimenticare cose meccaniche come questa. Adesso però stai attento, ché se lasci l’obiettivo troppo aperto finisci per bruciare la pellicola.
Steve sospira e tira dentro il viso. Le figure di Brian ed Helena – in piedi sulla terrazza, macchine fotografiche alla mano e Londra ai propri piedi – scompaiono oltre il parapetto della finestra e lui si volta alla porta mentre questa si apre.
Alex entra ed intercetta l’occhiata perplessa del batterista, un momento prima che lui la faccia sparire dietro un più consono grugno burbero.
-…Steve?- lo interroga la donna, ferma sulla soglia.
Lui finge di non capire. Si siede al tavolo, preleva una rivista musicale a caso dal ripiano di cristallo ed inizia a sfogliarne con interesse le pagine, mentre alza i piedi sul piano ed il viso sulla donna.
-Cosa?- ritorce rispecchiando nella voce il medesimo grugno burbero che ancora sfoggia.
-Non me la racconti giusta.- afferma Alex avanzando verso di lui, mani sui fianchi e sguardo attento.- Cosa stavi guardando?- chiede quindi, sollevando quasi nello stesso momento l’attenzione sulla finestra.
Mentre lei avanza da quella parte il batterista sospira e si tira frettolosamente in piedi.
-Alex…- prova ad intervenire in tono preoccupato.
La donna non ha bisogno di affacciarsi: la risata di Brian e quella piccola e cristallina di Helena risalgono la parete degli Studi, infilandosi di prepotenza dentro la stanza, e le strappano un sorriso spento. Si appoggia al davanzale, tirando fuori la testa anche lei per vederli, poco sotto, confabulare tra loro. I capelli scuri di Helena si agitano al vento, sfiorano il volto di Brian e quando lei prova a raccoglierli indietro loro ricadono ancora in avanti, in un abbraccio quasi intimo…
-Sono carini.- sussurra la manager al batterista dietro di sè.
-…salvo il fatto che Stefan ci starà uno schifo appena li vedrà…- borbotta Steve, sporgendosi anche lui a guardare giù.
Lei si volta, si stringe nelle spalle e poi scuote la testa leonina.
-Stefan ha un altro.- confessa.
Steve la guarda. Alex riavvolge nella propria testa la telefonata del giorno prima con Vincent: lui le ha detto che le cose con Stefan sono cambiate, da un paio di settimane, non di più, ma adesso sono una coppia.
Le ha anche detto che Stefan ama ancora Brian e solo lui.
-Non stupirti così!- sbotta tirando una manata alla spalla del batterista, che non fa una piega ed incassa il colpo senza subirlo affatto.- Sai che a Stef non piace parlare dei fatti propri.
-Brian lo sa?- s’informa Steve.
-Certo che no.- risponde lei facendo spallucce.- E sarà meglio non dirglielo al momento.
-Ma lui ed Helena…-mormora Steve indicandoli, come se questo fosse già esaustivo.
Alex torna a guardare nella direzione di quella mano e poi sussurra solo.
-Sono amici e basta, Steve.
***
Helena sfoglia le fotografie con una riverenza quasi maniacale. Sì, perché la sua è riverenza e non semplice accortezza. Cura del particolare ma anche cura del mezzo espressivo. Guardare le sue dita, le unghie perfette che sfiorano la superficie lucida della stampa fotografica è quasi ipnotizzante. Quando picchiettano sul piano laccato, quelle stesse unghie producono un suono ticchettante, indice del suo nervosismo e della stanchezza che si accumula intorno agli occhi cerchiati di scuro. Il trucco si è sciolto, sbavando sull’angolo dell’occhio, Brian la guarda senza che lei se ne accorga e pensa che è presumibile che anche il trucco intorno ai suoi di occhi abbia avuto la stessa sorte: la matita si sarà allungata fin quasi a sparire ma avrà lasciato una macchia appena più scura, un alone buio che affonda lo sguardo e lo rende più fosco, e tira le rughe che il sonno disegna attorno al viso…
-Dovremmo piantarla qui.- sbotta all’improvviso, scostando da sé le stesse foto che la ragazza muove con attenzione.
Lui di attenzione non ce ne mette affatto ed osserva invece Helena mentre si affaccenda per raccogliere gli scatti ed evitare che i suoi gesti bruschi li sciupino irrimediabilmente.
-Sono stanco.- protesta intanto Brian.
Lei sospira ed inizia a raccogliere tutto nella cartelletta di pelle che porta sempre con sé a questo scopo.
-Sono stanca anch’io, Brian, ma domani questa roba deve andare in stampa…- spiega con pazienza.
-Non ce la faccio a restare concentrato ancora, Helena!- esclama lui esasperato, interrompendola solo per lasciarsi andare in avanti sul tavolo e sollevare le mani a strofinare gli occhi arrossati dalle ore passate al chiuso negli Studi.- Non avresti dovuto vedere con Alex queste cose? Perché tutto deve passare per me?!- afferma arrabbiato.
-Perché tanto alla fine se non sta bene a te non se ne fa nulla.- ritorce lei stizzita. Armeggia con la borsa, cacciando i provini, al sicuro nella cartelletta, tra le pieghe pesanti della pelle marcata. Roba di lusso, pensa Brian distrattamente mentre osserva le borchie firmate sui lati e sulla chiusura dorata. Respira a fondo, prendendo fiato per tentare di mantenere viva la concentrazione ed evitare di dire sciocchezze per via della stanchezza, Helena parla ancora e lui si concentra su quello che sta dicendo.- Alex pensava che coinvolgendoti nel processo decisionale si sarebbero potute evitare inutili perdite di tempo.- sta dicendo lei nello stesso modo piccato, litigando inutilmente con la borsa che non vuole accogliere e custodire il lavoro di giorni…- Se dobbiamo mandare alla produzione, poi far tornare indietro i provini per farli vedere a quelli della redazione e poi comunque aspettare che tu ci dica se possiamo mandare in stampa…
-Alex vuole solo che io tenga la mente impegnata- la interrompe Brian atono.
Helena lascia perdere. La borsa si apre di nuovo mentre lei sospira sconfitta e si volta, le foto e la loro custodia semirigida ricadono sul piano del tavolo e lei tira indietro i capelli la cui piega ormai è praticamente disfatta e si volta a ricambiare stancamente lo sguardo apatico dell’uomo di fianco a sé. Spalle all’indietro, la donna si abbandona contro la spalliera della sedia e punta gli occhi sul ripiano laccato.
-Riprendiamo domattina presto…
-Helena, io mi rifiuto di alzarmi all’alba dopo che stasera…- inizia precipitosamente Brian.
-…finiamo per ora di pranzo, mandiamo tutto alla redazione entro le tre…
-È una cazzata grossa come una casa pensare che in due possiamo fare il lavoro che dovrebbe fare un intero team di persone!- ringhia il bruno inferocito.
-…alle cinque massimo è tutto in stampa e per la presentazione di dopodomani siamo a posto.
-Volete per caso ammazzarmi per liberarvi di me?!
Nel silenzio fastidioso che si allarga, le poltrone di pelle scricchiolano quasi all’unisono mentre entrambi si muovono a disagio alla ricerca di una posizione maggiormente confortevole. Ma il fastidio che tira sotto la cute non accenna a diminuire nonostante quelle scossette educate di assestamento ed entrambi si concedono sbuffi esasperati che si diffondono nell’aria in successione asimmetrica.
Si guardano. Un sorriso identico, ugualmente stanco e frustrato si allarga sui volti di tutti e due, rispecchiandosi allo stesso modo nelle maschere similari di trucco ed acconciatura in disordine.
-…ti va il giapponese?- s’informa lui.
-…niente. Non impari proprio come s’invita una donna a cena.- ritorce lei scrollando appena il capo, come se un movimento eccessivo potesse costarle la capacità stessa di mantenersi dritta eretta con schiena e collo.
Brian ridacchia.
-Ho fame. E se domattina devo anche alzarmi presto, stasera pretendo di cenare bene.- notifica.
Lei ride. Esasperazione pura e semplice, a cui fa eco anche quella di Brian. Alla fine accetta l’invito – “o quello che è”, rimarca mentre prende la borsa e si alza, infilando la giacca.
Il ristorante Brian lo sceglie nel giro di quelli che frequentava quando lui e Stefan stavano assieme. Riuscire ad entrarci, sedersi ad un tavolo ed ordinare – sentendosi chiamare per nome ed apostrofare con familiarità da persone che s’informano su come stia e dove sia finito tutto quel tempo – è una vittoria che gusta e che ha un sapore ben diverso da quello che si era immaginato. Non sa di liberazione. Non sa nemmeno di gioia vera. Il sapore è molto più sottile, profumato come Helena, come l’odore ormai sfumato di profumo costoso. Raffinato e di classe, di lusso, come la borsa e come ogni cosa che circondi la donna. La osserva di sottecchi mentre ordina da mangiare, e poi quando inizia a litigare con le bacchette, ostinandosi ad usarle comunque nonostante la difficoltà.
Helena è una creatura costruita, proprio come lui, è una donna che per raggiungere i propri obiettivi nella vita si è forgiata nel modo che la vita le richiedeva. Ha fatto delle rinunce, probabilmente, ed ha fatto delle scelte, molto più spesso. Ha accettato di dover indossare abiti firmati – magari le piace anche farlo – di truccarsi per sembrare più giovane e bella di quello che è, di presentarsi come una vincente in qualunque situazione, di dare di sé un’immagine di posata affidabilità, di solidità costante e di professionalità accompagnata ad eleganza, buon gusto e raffinatezza…
Eppure quello che gli piace di lei è che litighi con i bastoncini per tirare su pezzetti di sushi che invariabilmente ricadono nel piatto.
Dopo cena le propone di fermarsi a bere qualcosa. Helena gli fa notare giustamente che l’indomani non possono concedersi di restare a poltrire fino a tardi, Brian però non l’ascolta ed indica al taxi che li sta accompagnando il nome di un locale alla moda, in una diversa zona della città. Mentre la macchina li accompagna lì, Helena protesta, ma quando si fermano davanti l’ingresso sospira e lascia che Brian scenda per primo dall’auto, dopo aver aperto la portiera, e l’aiuti a scendere tenendola aperta per lei. Non saprà come s’invita fuori una donna, ma di sicuro è molto galante, pensa ridendo. Dentro si siedono distanti dalla confusione, anche se di confusione vera non ce n’è perché è uno di quei posti dove la gente va per stare in pace e, quindi, è discreto ed ampio e lascia ad ognuno i propri spazi. Ordinano da bere entrambi e non si risparmiano la scelta di liquori forti ed intensi, che danno in fretta alla testa ed aiutano le confidenze.
Perché quando Brian la scruta in silenzio per troppo tempo, Helena se lo sente sulla pelle che quella che seguirà sarà una confessione. Non sa spiegarsi la ragione per cui accadrà, pensa che somigli molto a quelle situazioni improbabili eppure reali in cui due perfetti sconosciuti all’improvviso si trovano incredibilmente vicini. E dura lo spazio di una notte come quella, poche ore tirate assieme per non si sa che ragione contingente, ma è talmente forte che vale a superare tutti gli ostacoli che le distanze sociali impongono.
Per questo non è stupita quando Brian le racconta di Stefan – e, intelligentemente, si guarda dal dirgli che lo sa già, perché nei corridoi degli Studi non si parla di altro – e non è stupita nemmeno quando Brian le confessa della droga, dei motivi per cui è entrata nella sua vita e di quelli per cui ne è uscita. O almeno lui spera che lo sia. Ed ancora una volta Helena tace e non dice che anche questo circola in fretta ed in modo cattivo nei sussurri spietati di quegli stessi corridoi. Osserva invece Brian balbettare quelle cose tra un sorso e l’altro, tra un bicchiere e l’altro. E lei ne beve molti meno e non è così ubriaca come Brian quando lui decide di averne abbastanza e di voler tornare a casa.
E visto che non è così ubriaca.
Magari dovrebbe pensarci meglio.
Invece non pensa affatto.
***
Brian solleva la testa dal cuscino ed il suo primo pensiero è che stare in un loft ha un sacco di inconvenienti quando non ci stai da solo.
Ad esempio, il rumore che produce Helena, nel muoversi dall’unico ambiente spazioso al cucinino claustrofobico infilato oltre la “zona notte”, è spaventoso se hai la testa che rimbomba maleficamente. Ed è altrettanto spaventoso che lei canticchi a labbra chiuse mentre si muove, e tu ti domandi con esattezza se ci sia da ricordare un motivo specifico per il quale debba essere così felice, un motivo che tu hai rimosso nell’attimo stesso in cui hai chiuso gli occhi la notte prima…
Si rigira nel letto tra le coperte, approfittando che lei sia tornata a svanire dietro la porta scorrevole del cucinino, solleva la mano appiccicandosela alla fronte che pulsa dannatamente. Alza indietro i capelli arruffati ed incollati dal sudore alla pelle e tenta di mettere a fuoco gli eventi del giorno prima.
E di mettere a fuoco le valutazioni – se ci sono state, s’intende – che li hanno generati.
Helena tarda ad uscire, un odore denso di qualcosa di caramellato e dolciastro irrompe attraverso il vetro della porta scorrevole. Brian si mette a sedere, infila boxer, jeans ed una maglietta a caso, larga e comoda, poi si tira dritto, recuperando un elastico dalla mensola accanto al letto e legandoci frettolosamente i capelli in un codino arruffato che non reggerà. Apre la porta del cucinino e si appoggia allo stipite, perché tanto lì dentro non c’è affatto lo spazio per due persone.
Helena si volta.
Ha un sorriso più bello quando non è truccata ed in ordine, nota Brian.
-Buongiorno!- lo accoglie divertita, scrutando la sua espressione non troppo vigile.
Lui se ne rende conto e sbuffa un sorriso a propria volta, sollevando la mano per stropicciarsi gli occhi e cercare di darsi una svegliata seria.
-‘Giorno.- ritorce quindi pacatamente.- Che stai facendo?- s’informa poi, rinunciando al proprio tentativo per lasciar ricadere il braccio lungo il fianco con aria fiacca.
-Preparo la colazione.- risponde lei sogghignando, la cosa è così evidente che deve sembrare davvero ridicolo che lui lo chieda.
Brian strizza gli occhi.
-…sì, ma dove l’hai trovata quella roba?- si decide a specificare.
Lei lo fissa sorpresa, sollevando a mezz’aria la paletta che sta usando per rigirare il pancake.
-…nel frigo. O nella dispensa.- risponde lentamente, come se si stesse domandando seriamente dove abbia sbagliato.
-C’era del cibo in casa?- chiede quindi Brian genuinamente stupito.
Helena ride, capendo finalmente dove sia il problema.
-Sì!- ribatte- C’era del cibo in casa.- esplica poi.- Immagino che Alex si sia preoccupata di assicurarsi che non morissi di fame…
-Non ci mangio mai a casa. E non ci dormo nemmeno.- risponde lui voltandosi per tornare nella stanza principale.- Vado da Steve, è più comodo.
-Per te o per Steve?- sghignazza Helena seguendolo con il piatto ricoperto di pancake ed il flacone dello sciroppo d’acero.
Brian si lascia ricadere su una delle sedie intorno al tavolo, si appoggia con i gomiti al ripiano e sistema tra le mani aperte un faccino angelico e sorridente con cui la accoglie mentre lei posa piatto e flacone davanti a lui.
-Per Steve, ovviamente.- risponde cinguettante- Così non ha motivo di ingelosirsi di Stefan.- spiega.
Helena gli si siede davanti ridendo e contestando che dubita che Steve abbia di questi problemi al momento. Lui la guarda e pensa ai motivi per cui la sera prima le ha chiesto di salire a casa, di fermarsi per la notte. Gli stessi motivi che l’hanno spinto a baciarla ed a fare l’amore con lei.
Sono i motivi per cui Helena sorride felice, quelli che la inducono a parlare, scrutandolo di sottecchi ogni tanto per poi riprendere senza soluzione di continuità da dove aveva finito un momento prima. Brian s’interroga sull’opportunità di metterli a tacere subito, quei motivi, dandogli il giusto peso e riordinandoli nell’ottica corretta. Non vuole che Helena si faccia male, perché con Helena sta bene – in un modo così diverso da quello che condivideva con Stefan – e quello che c’è tra loro va bene così, lui non avrebbe dovuto complicarlo ma gli sembrava quasi assurdo continuare a guardarla da lontano senza neppure sfiorarla. Era solo questo che voleva fare, in fondo, toccarla ed assicurarsi che fosse vera e che non svanisse tra le sue mani come un’apparizione…
-Sai che all’inizio credevo che, vedendoti senza trucco, sarei rimasta spiacevolmente impressionata!- sbotta lei ad un certo punto. Brian torna a concentrarsi sulla sua presenza concreta e sorride senza dire nulla.- Mi sono talmente abituata a vederti in tiro! Trucco, capelli…vestiti…
-Già.- ribatte pacato lui, spostando il piatto da cui ha spilluzzicato appena.
-Invece sei solo un’altra persona.- continua Helena con meno brio ma più decisione.- Sei solo diverso. Non migliore o peggiore, solo diverso.
Brian la guarda alzarsi per raggiungere la propria borsa, ancora nell’angolo in cui la sera prima l’ha fatta cadere senza pensarci. Helena annuncia a gran voce la necessità di mettersi al lavoro, che di tempo ne hanno perso abbastanza e comunque devono consegnare quei provini. Ridacchia su quella frase, soffermandosi allusiva sul “comunque” che pesa come un macigno sulla testa di Brian.
“Diglielo adesso”.
Si muove con la familiarità distratta che prendono le persone quando si adattano in fretta ad un ambiente. Getta occhiate intorno a sé per assicurarsi del luogo in cui si sta muovendo, ne misura le distanze per paura di urtare i mobili.
“Dille che è stato tutto un tragico errore. Che non volevi. Che ti dispiace.”
Si assicura di trovare un proprio spazio, di conformarcisi anche quando si siede sul divano, tra i cuscini che sprimaccia di lato, cominciando a rovistare maggiormente a proprio agio nella cartelletta di pelle in cui ha riposto i provini.
“Diglielo. E poi torna a vivere la tua vita.”
-…allora?- domanda Helena puntandogli addosso uno sguardo morbido come il velluto.
Il punto è che con lei ci sta bene.
In un modo diverso da quello che condivideva con Stefan. Ma ci sta bene.
E fa decisamente meno male.
-Pranziamo assieme?- s’informa Brian alzandosi anche lui per raggiungerla sul divano.
-Dove?
-Qui.- ribatte lui sedendo e spostando nuovamente i cuscini per ammonticchiarli tra di loro.- Tanto c’è Alex che si occupa di fare la spesa.- ridacchia.
 
Fine.
 
A volte le cose finiscono
 
-Mi piacerebbe che tu venissi, Brian… Mi piacerebbe che voi due vi incontraste.
…in realtà, le cose finiscono quasi sempre.
-Non lo so, Stef, devo anche vedere se ad Helena va bene esserci…Sai…è comunque a lei che devo rendere conto ora come ora…non mi va di metterla in imbarazzo.
Solo che a volte fa male.
 
-…che vuol dire che ha detto che dipendeva da me, Stef?
Ed alcune di queste volte, fa così male da non avere nemmeno la forza di chiudere e basta.
-Vuol dire che mi ha mentito, Helena, nient’altro.
Così le cose, anche se finite, si trascinano.
 
E gli strascichi di una storia finita sono peggio, a volte, di tutto quello che di male.
Di cattivo.
Di doloroso ci si sia scambiati stando assieme.
 
Di come lo ha scoperto non si ricorda più.
Probabilmente ha origliato una discussione tra Steve e Stefan, che ne parlavano tra loro.
Di come ha scoperto che Vincent era andato a vivere da Stef se lo ricorda bene, perché è stato Stefan a dirglielo quando gli ha anche annunciato che lo avrebbe presentato loro – a lui, Steve ed Helena, s’intende, perché Alex lo conosceva già – quel pomeriggio stesso, quando Vincent li avrebbe raggiunti lì dopo il soundceck.
Il resto non ha bisogno di ricordarselo, perché lo sa.
Sa delle fughe con scuse idiote pur di non incontrarlo, sa dei tentativi ripetuti – infiniti – di Stefan per riuscire a stringerlo nell’angolo e costringerlo a parlargli…o almeno a vederlo. Sa di Helena che gli dice che così non può continuare – e glielo dice continuamente, tanto che Brian ha perso il conto delle volte e non le bada più, la sera prima di andare a dormire, quando lei lo insegue fino alla porta del bagno tentando invano di ottenere una risposta. Sa anche di Vincent, perché Alex gliene parla, sa di tutte le volte che attraverso lei cerca una mediazione “per il bene di Stefan”.
E sa che del bene di Stefan non gliene è mai importato così poco.
Sa tutto questo quando Stefan gli chiede di esserci. E sa che Helena ha lo sguardo fisso su di lui, quando la cosa viene fuori e lui – che ha mentito di nuovo – si sente sotto accusa e non ha voglia di affrontarla.
-E’ il compleanno di Stefan, Brian. Fai uno sforzo.- ordina la voce calda della donna, in una frase spezzata e secca da cui traspare il velo di esasperazione che l’affligge.
Sa tutto questo e cammina incontro alla verità di quella storia finita. Ci va perché ha bisogno di farlo e di mettere davvero la parola “fine” al termine di quella storia.
E quando Vincent si avvicina e gli parla, fuori dalla terrazza, lui guarda in giù. Si dice che è alto da morire, che a camminare sul bordo si rischia di cadere e che lui è davvero troppo grande – ormai – per continuare a fare l’equilibrista in bilico sul muretto dell’aiuola.
Vincent ha proprio ragione a rimproverarlo.
“Without you, I’m nothing”
2008
                                                                                                                      Easily Forgotten Love
 
Nota di fine capitolo:
Fa un po’ strano dirsi che è terminata, perché mi ci ero affezionata abbastanza.
Fatto sta che è terminata. Non so nemmeno io quanto tempo è che volevo fosse scritta, Without stata qualcosa a cui ho tenuto per un bel po’ e senza ragioni reali. È una storia che trovo molto amara ma piuttosto realistica, non fosse per il suo andamento apatico, smorzato e vagamente noioso la troverei decisamente migliore.
Considerazioni sceme di fine storia, comunque XDDD
A nome dell’Easily si ringraziano tutti coloro che hanno seguito la storia, in particolare Stregatta e Chemical Kira per averla anche commentata. Si dà un bacio enorme a tutti e ci si vede alla prossima.
MEM
  
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