Without You, I'm Nothing di Easily Forgotten Love (/viewuser.php?uid=26557)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
I
personaggi qui usati,
chiaramente, non ci appartengono.
Ovviamente
non fanno
nulla di quanto qui descritto.
Ovviamente
niente di
quanto qui descritto corrisponde alla realtà dei fatti.
Ovviamente
non s’intende
offendere nessuno (per quanto possa apparire strano, siamo davvero fan
dei
Placebo).
Ovviamente
non ci danno
una lira per perdere il nostro tempo a scrivere ‘ste cose, lo
facciamo perché ci
diverte e perché in modo contorto dimostra
l’affetto che nutriamo verso Brian e
compagni.
Ciò
detto, due note
pratiche per chi volesse leggere la storia che segue.
Le
vicende qui
raccontate si collocano spiritualmente nel periodo immediatamente
antecedente
“They have trapped me in a bottle…”,
tuttavia non si tratta di un vero e
proprio prequel nel senso pieno del termine. Chi si fosse posto domande
oziose
sul come e perché Brian e Stef si siano lasciati e sul come
e perché Vincent
sia entrato nella vita di Stefan, avrà qui una versione del
fattaccio.
Ciò
detto si fa notare
che:
Vincent
Cavendish non è
un personaggio reale ed è di legittima proprietà
dell’Easily Forgotten Love.
Allo
stesso modo anche
Abba “Pongo” Olsdal è
proprietà privata dell’Easily.
Un
bacio e buona lettura
dall’Easily ^_^
A
volte le cose finiscono.
-Si
tratta di un favore
personale, Vincent.
…in
realtà, le cose finiscono quasi sempre.
-Di
questo non dubitavo,
Alex, generalmente non mi chiami se non
è un
favore personale.
Solo
che a volte fa male.
-Starò
benone, Steve. E
poi, credimi, continuare a vivere assieme sarebbe stato solo un
problema.
Questa cosa renderà più facile a tutti e due
ricominciare.
Ed
alcune di queste volte, fa così
male
da non avere nemmeno la forza di chiudere e basta.
-Sarà,
ma io vedo tutta
questa storia piuttosto incasinata, Stef. Insomma…tu e Brian
non vi siete davvero
lasciati.
Così
le cose, anche se finite, si trascinano.
E
gli strascichi di una storia finita sono peggio, a volte, di tutto
quello che
di male.
Di
cattivo.
Di
doloroso ci si sia scambiati stando assieme.
Cammina
lungo l’aiuola,
passeggiando sul bordo sottilissimo che la delinea. Al di là
dell’orlo, nel
manto di erba è infisso un cartello che ammonisce dal
calpestare il prato.
Gli
sembra di sfidare
l’autorità dei guardiani del parco, un paio sono
già passati gettandogli da
lontano un’occhiata perplessa ed infastidita. Va bene dover
riprendere i
ragazzini perché si comportano in modo stupido, ma una
persona adulta…!
Sa
che dovrebbe
piantarla, voltarsi nel freddo grigio di Londra e rifare al contrario
lo stesso
percorso. Mollare il parco, il vialetto con l’aiuola
ricoperta di verde umido e
tornare a casa.
Ma
il problema è che non
riesce nemmeno più a chiamarla “casa”.
…vorrebbe
che gli agenti
immobiliari si sbrigassero a trovargli un altro appartamento. E
vorrebbe che si
sbrigassero a vendere quello.
Vorrebbe
addormentarsi
in un letto diverso. Svegliarsi e dimenticare di essere se stesso.
Vorrebbe,
in definitiva, sentirsi meno stupido.
E
meno solo.
Il
cellulare squilla nella tasca del cappotto, infila la mano a prenderlo
e guarda
il nome che appare sul display un momento prima di aprire la
comunicazione.
-Alex…
-Brian,
dove accidenti sei? L’intervista era mezz’ora fa.-
ricorda pazientemente la
manager dall’altro lato della comunicazione.
Immagina
che dovrebbe provare qualcosa. Tipo un minimo di contrizione per aver
– tanto
per cambiare – mandato a puttane un impegno di lavoro.
-Ah.
Lo
immagina, ma da qui a provare davvero qualcosa il passo è
lungo.
Un
po’ troppo di questi tempi.
Sospiro
di Alex.
-O.k.,
quanto pensi di metterci ad arrivare adesso?- chiede.
-Non
so…una decina di minuti.- risponde guardandosi attorno.
La
quiete sonnacchiosa del parco gli dice che ci vorrà molto
più tempo. Quanto
meno per scrollarsi di dosso il desiderio di restare lì, a
non fare
assolutamente nulla…Nemmeno vivere.
-Bene,
allora muoviti.- ordina lei prima di chiudere la comunicazione.
-Non
lo so, Alex, non vedo a cosa dovrebbe servirmi andare da uno
psicologo…
Lo
guarda. Scettica solleva un sopracciglio, ma si astiene da ogni
commento.
Per
Stefan è più facile cogliere la sua
perplessità in quei pochi gesti che in un
milione di parole, benefici del passare tanto tempo a stretto contatto
con una
persona. Sospira, ma insiste lo stesso.
-Pensavo
dovesse essere Brian a farsi vedere da qualcuno.- obietta pacatamente.
La
donna nota comunque la sottile sfumatura di cui si colora
l’espressione. Non è
nel tono usato, quello è talmente inespressivo e piano da
sembrare quasi
disinteressato, ma è nella natura del rapporto che lega quei
due. Da lì trae
origine il fatto che Stefan parli di Brian e dei suoi problemi
– del suo doversi “far
vedere da qualcuno”
– con una naturalezza disarmante. Brian è uno
specchio di acqua per Stefan, ci
vede attraverso, e sul fondo limaccioso di quella
personalità contorta ha visto
qualcosa che lo determina ad
accettare Brian in ogni sfumatura. Per quanto assurda, anormale,
fastidiosa e
pericolosa per il prossimo possa essere.
-Ci
sto lavorando.- ridacchia lei, e torna verso il tavolo con il the.
Stefan
le sorride riconoscente quando gli posa davanti una delle due tazze,
Alex si
volta a recuperare anche il bollitore e lo sistema accanto a loro. Sa
che sarà
una cosa lunga. E difficile.
In
qualche modo per entrambi.
-Ha
fatto scappare anche l’ultimo, vero?- s’informa
intanto Stefan, prendendo a
bere a piccoli sorsi la bevanda troppo calda.
-Avevi
dubbi?- chiede lei storcendo il naso- La risposta è sempre
la stessa “mi
spiace, signorina, non posso continuare a curare il Sig. Molko, per il
semplice
fatto che lui non intende affatto
farsi curare”.- Sospira ancora, sollevando la tazza che
sembra decisamente
grande tra le sue dita sottili.- A volte mi chiedo se non sarebbe stato
meglio
aspettassi ancora un po’ per piantarlo…- ammette a
voce bassa, fuggendo lo
sguardo dell’altro ragazzo.
-Non
sarebbe cambiato nulla.- ribatte paziente Stefan.
Alex
si agita infastidita sulla sedia. Stefan sa che si sente in imbarazzo a
parlarne, perché questa storia è davvero
difficile per tutti loro e non è
nemmeno giusto che ci vadano di mezzo. Ma era inevitabile che
succedesse, e lui
e Brian avrebbero dovuto metterlo di conto a suo tempo, ben prima di
fare
iniziare tutto. Il finale era quasi scontato già allora e,
quindi, sarebbe
stato corretto che ne prendessero atto e si comportassero con
più diligenza per
tutelare gli interessi di chi stava loro intorno. Alex per esempio, ma
anche
Steve. E non è solo un problema di lavoro, è
proprio un problema di amicizia.
-Senti,
Stef!- sbotta lei all’improvviso, appoggiando rumorosamente
la tazza e
fissandolo bellicosa.
Stefan
la guarda più che ascoltarla, e pensa che è
piccola quasi quanto le sue dita.
Senza trucco ha il viso di una bambina, ed i capelli sono quasi sempre
in
disordine se può evitare di pettinarli. Se fosse
più sottile di così si
spezzerebbe a metà e, decisamente, meriterebbe un uomo che
la amasse davvero,
un matrimonio da favola ed una vita da principessa.
Ed
invece è solo Alex…La piccola, bellicosa,
bellissima Alex. Gli fa decisamente
tenerezza.
Così
sorride.
Lei
se ne accorge e capisce che sprecherà fiato,
s’imbroncia e fa un verso buffo
per indicare che si sta spazientendo. Stefan, richiamato
all’ordine, si scuote
ed annuisce per dirle che ascolterà ubbidiente.
-Beh…-
esordisce Alex. E non sa neppure dove andare, come dimostra il fatto
che si
perda subito dopo aver iniziato. Continua comunque, anche se a fatica,
raccogliendo le idee dal fondo della testa.- Stef,- chiama piano,
affettuosa
nella propria preoccupazione.- ascolta il consiglio di una scema,
parlarne con
qualcuno ti farà solo bene.- sussurra.
A
Stefan viene quasi voglia di abbracciarla. Le sorride ancora.
-Facciamo
a modo tuo.- concede con facilità.
Lo
Studio non è in centro, è in una periferia
profumata, con un parco enorme a due
passi dal palazzo e viali alberati in cui passeggiano persone che non
hanno la
fretta consueta della Londra di sempre. Stefan lo apprezza. Anche
perché ha
dovuto lasciare la macchina distante ed ha avuto un bel pezzo di strada
da fare
a piedi, durante il quale pensare lucidamente alla propria vita.
È un lusso di
questi periodi, lo è ancora di più riuscire a
fare quelle riflessioni sotto il
profumo carico delle foglie e dell’erba, senza il frastuono
delle auto ed il
grigio pesante della città.
Così
gli è stato molto più facile sorridere alla
signorina compita che gli ha aperto
la porta, lei gli ha chiesto se voleva del the e poi lo ha rassicurato
che il
dottore sarebbe stato subito da lui ed è uscita dalla
saletta d’attesa, linda
ed ordinata, in cui lo ha rinchiuso con i propri pensieri.
Stefan
si guarda attorno. Gli piace la scelta di colori, sembra un
proseguimento
dell’ambiente esterno: marrone ocra, tendente al rosso, sul
legno chiaro dei
mobili, il gusto profumato di un’antichità un
po’ autentica un po’ riprodotta
con stile, un verde chiarissimo, che si mescola di beige e di rossi
soffusi
sulla tappezzeria e nei tappeti orientali…e libri. Stefan
pensa che non vedeva
così tanti libri dal giorno che ha lasciato casa. Dal giorno
che ha lasciato
Brian.
Brian
legge moltissimo.
…ma
è molto più disordinato.
Sorride.
Lui
i libri li affastella. Li mette uno
sull’altro quando finisce lo spazio a disposizione sugli
scaffali. Anche a
terra. Non ha mai badato al fatto che potessero rovinarsi,
perché Brian i libri
li vive,
gli piace leggerli, sottolinearli, farci segni e note a
margine. E legge qualsiasi cosa. Dai trattati scientifici ai romanzetti
rosa
per signore. C’erano pile intere di libri in casa loro e la
stanza di Brian era
un campo minato di queste pile disordinate, sempre pronte a crollarti
addosso
al minimo movimento sbagliato. Lui non trovava mai nulla di quello che
cercava.
Si arrabbiava e cominciava a creare un disordine anche peggiore.
Disfaceva le
pile, le trasformava in un profluvio casuale di volumi sul pavimento,
ci
zampettava in mezzo alla ricerca inutile di qualcosa ed era capace di
sedersi
sui libri che non poteva spostare per avere spazio a sufficienza per
cercare in
mezzo agli altri.
-Stefan
Olsdal?
Si
volta per trovarsi davanti un ragazzo, poco più vecchio di
lui, trenta o
trentuno anni. Ha un viso magro, dai tratti decisi: zigomi alti, naso
dritto e
fronte ampia. Gli occhi sono chiarissimi, con ciglia folte e dorate, la
bocca
sottile e disegnata con precisione. È un viso piacevole,
molto bello, con
un’espressione serena e rilassata, rassicurante. È
alto – anche se non quanto
lui – con un fisico asciutto dai muscoli definiti e magri,
che denota cura di
sé costante e paziente, così come
l’abbigliamento impeccabile – un casual di
classe, portato con disinvoltura ed eleganza – o il taglio
preciso dei capelli
castani – né troppo lunghi né troppo
corti. Riflessi dorati anche lì, nota
Stefan, così come nota il mento e le guance perfettamente
rasate e la mano
curata, che gli viene testa in un gesto di saluto.
-Sì,
sono io.- risponde a quel punto, ricambiando la stretta.
-Io
sono Vincent Cavendish.- si presenta lui.- Vogliamo accomodarci di
là?- chiede
poi sciogliendo le dita ed accennando alla porta da cui è
entrato.
Lascia
che Stefan lo superi, tirando poi l’uscio dietro di
sé e lo segue per
accelerare il passo sul manto soffice di tappeti che copre il parquet
dello
studio. Stefan si concede più tempo, gira intorno lo sguardo
per cogliere
nell’insieme i quadri alle pareti, gli scaffali infiniti di
libri che ricoprono
anche questa stanza, le sculture di bronzo sistemate con cura sulla
scrivania
enorme e pesante e poi lo stereo a parete – così
fuori luogo ed anacronistico –
con i cd ordinatamente disposti sotto, su una mensola apposita.
-Bello
studio, dottore.- si complimenta pianamente lo svedese, mentre accoglie
l’invito
dell’altro a prendere posto in una delle due poltrone davanti
la scrivania.
-Chiamami
pure Vincent.- sorride lui.- Siamo praticamente coetanei.
Stefan
ricambia il sorriso con uno molto più falso ed imbarazzato.
Si sistema sulla
poltrona, che è troppo piccola, ed allunga le gambe davanti
a sé, scivolando
sulla seduta quel tanto che basta a posare le mani intrecciate sul
ventre
piatto sotto la maglietta attillata.
-Immagino
che adesso dovrei dire perché sono qui…-
esordisce a quel punto.
-Perché
Alex ti ci ha mandato.- ridacchia Vincent rubandogli la risposta.- Sa
essere
incredibilmente inopportuna quando vuole, vero?- s’informa
poi, sistemandosi a
sua volta contro lo schienale della sedia e fissandolo accondiscendente
da lì.
Stefan
si rilassa, il sorriso si fa meno forzato ed una punta più
sincero. Inclina il
capo e posa la tempia sul pugno chiuso, contro il bracciolo della
poltrona.
-Conosci
Alex?- realizza.
-Eravamo
compagni di scuola.- confessa Vincent.- Lei era la ragazza
più carina della
scuola.
-E
tu le andavi dietro.- ipotizza Stefan, divertito.
Vincent
ricambia quel divertimento.
-No.-
risponde però.- Io ero già gay allora.- confessa
quindi con semplicità.
-Non
posso crederci!
Stefan
ride di Alex ed ottiene come punizione un colpo in testa da un vecchio
e
rovinatissimo pupazzo di peluche, che vorrebbe essere ancora un
leoncino ma è
ormai ridotto a poco più di un gattaccio spelacchiato e
sbiadito di un biondo
inconsistente. Lo svedese lo recupera al volo quando gli rimbalza
addosso e con
cura lo posa accanto a sé sul divano che lo ospita in casa
della manager.
Lei
sparisce dietro la porta della cucina e continua a protestare
imperterrita
mentre mette su l’acqua per il the.
-Io
ti mando da Vincent perché tu parli dei tuoi problemi con
Brian e voi parlate di me?!
-Non
posso crederci io, Alex. Prendersi una cotta per il migliore amico gay
è un
tale clichè!- la deride Stefan impietoso.
Alex
torna in salotto, mani sui fianchi e capelli più arruffati
del solito. Lui la
osserva pacificamente dallo stesso divano, semisdraiato tra i cuscini
affastellati su un lato e con il capo all’indietro sullo
schienale imbottito.
-Punto
numero uno,- inizia
ad elencare lei con
precisione, sfoderando anche le dita per poter tenere il conto sulla
punta
delle unghie smaltate di rosso – che fosse gay l’ho
saputo solo al ballo di fine anno,
quindi un bel po’ dopo essermi presa
una cotta ed ancora dopo averlo invitato ed aver fatto la figura della
scema.
Punto numero due,- prosegue con la stessa flemma metodica- prendersi
una cotta
per l’amico gay non è un clichè, ma un
classico intramontabile. Prova ne è il
fatto che nel gruppo sei tu il mio preferito.
Il
bollitore fischia educatamente richiamando l’attenzione della
donna ed Alex
torna indietro, mentre è il turno di Stefan di uscirsene con
una blanda
protesta a mezza voce.
-Qui
stai mentendo.- afferma- Il tuo preferito è Brian e,
nonostante tutto, lui è
molto meno gay di me.
Alex
armeggia tra tazze e cucchiaini, il rumore delle stoviglie copre il suo
sospiro
paziente, quando torna nuovamente nella stanza lo fa accompagnandosi
all’odore
carico del the aromatizzato. Porge la tazza all’altro e gli
si lascia cadere
accanto appena lui la accetta, ripiegando le gambe al petto e poi sotto
di sé e
puntando gli occhi verdi dritti sul muro di fronte. Il televisore cupo
e nero
la occhieggia dalla parete, rimandandole l’immagine sua
– in tuta e calzerotti
di lana – e di Stefan – in jeans e maglietta a
mezze maniche come non sentisse mai il
freddo.
-Che
ne pensi, allora?- s’informa sbirciando la risposta di Stef
nel riflesso nero.
Lui
la guarda un momento e poi segue il suo sguardo ed incrocia anche lui
quelle
due figure più scure su un fondo già tetro. Ci
rimane impigliato dentro proprio
come lei e si osserva mentre scuote la testa in un gesto che mima
perplessità.
-Mi…piace…-
ammette a fatica.- Ma non vuol dire che mi fidi di lui.
Alex
ride, allontanando la tazza per non farne uscire il contenuto bollente.
-Quindi
devo riferirgli che il tentativo di aggirare le tue difese con la
storia del
“siamo tutti amici” è fallito?-
s’informa lei.
Stefan
gli ricambia la risata con una piccola e soddisfatta.
-Beh,
dai, è stato smaccato!
Alex
sta in silenzio, posa la tazza sulle ginocchia e prende a tirare i
riccioli,
guardandoli allungarsi sulla televisione fino a raggiungere una
lunghezza
invidiabile. Se li stirasse sarebbero quasi indecenti
da portare.
-Vincent
non imbroglia, Stefan.- dice alla fine, stringendosi nelle spalle.-
Puoi
fidarti di lui.
Stefan
si volta ancora e stavolta i loro occhi s’incrociano in
silenzio, quando torna
a guardare i due riflessi alla televisione respira a fondo ed annuisce.
-…magari
però sono io a non voler essere sincero.- ammette a mezza
voce.- L’ultima volta
mi sono fatto un po’ male.
Si
sveglia perché dalla stanza accanto arriva un rumore
ovattato e confuso,
coperto ogni tanto da due voci che, pur mantenendosi basse, sono irate
e si
accapigliano per un predominio rabbioso. Si rigira nel letto, ha mal di
testa
perché la notte prima ha dormito male e poco e, per prendere
sonno, ha finito
per concedersi una dose generosa di alcolici. Posa una mano sulla
fronte,
provando un benessere fugace nel premere contro il dolore sordo che gli
pulsa
al di là delle dita, ma poi le lascia scivolare via, lungo i
capelli
cortissimi, e le allarga sul materasso a fare da sostegno mentre
solleva il
busto e ruota le gambe per portarle a terra sulla moquette. Cammina
scalzo,
recuperando da una poltrona una maglietta bianca, ed esce nel salottino
adiacente la camera da letto.
Una
delle due figure la riconosce subito. Lo fa il suo sangue, che sembra
svegliarsi di colpo dal torpore innaturale dell’alcol, e la
sua pelle, che
prende a fremere appena in un solleticare fastidioso. Porta una mano al
braccio
nudo e gratta via quella sensazione, avvicinandosi mentre anche
l’altra figura
diventa più chiara e lui riconosce uno dei camerieri
dell’Hotel dove alloggia.
-Che
sta succedendo?- chiede con voce impastata.
A
voltarsi è quello più basso. Piccolo e magro. Il
viso di sempre, truccato
perché pare che ormai non riesca a farne a meno neppure
quando non sono in
scena su un palco. La vita di Brian Molko sembra essersi trasformata in
un
unico palco, fatto delle recite in cui nasconde le occhiaie dietro il
correttore ed il pallore innaturale dietro il fondotinta. Eppure
è perfetto
come sempre, dal rimmel sulle ciglia già lunghe, al
lucidalabbra chiarissimo
che gli rende la bocca più turgida e bella che mai, sono
perfetti perfino i
capelli corti e sparati dal gel, che gli si aprono attorno come un
ventaglio impossibile
di frecce nere.
È
perfetto lui. Bello come sempre. Bello peggio del solito.
Ed
è la solita tortura trovarselo davanti.
-Stefan!-
sbotta appena lo vede.
Ma
a coprire le voci di entrambi - i pensieri di entrambi - ci pensa
quella
concitata dell’altro uomo, che s’infila tra le loro
con prepotenza incalzante.
-Non
sono riuscito ad impedirgli di entrare, Sig. Olsdal!- si giustifica
affrettatamente. Stefan annuisce distratto ed intontito, cercando di
ricordare
il nome del ragazzo che gli si agita davanti preoccupato.- Mi ha anche
rubato
il passepartout!
-Non
l’ho rubato!- ribatte Brian petulante, facendo apparire tra
le mani una chiave magnetica
attaccata ad una cordicella, la lascia oscillare offrendola
all’uomo, che
gliela strappa di mano senza troppa delicatezza mentre lui arriccia il
naso in
una smorfia ridicola e prosegue- Era un prestito!
-Sì,
sì, va bene.- s’intromette Stefan prima che il
cameriere possa riprendere ad
inveire.- È tutto a posto, Oscar.- lo rassicura, ricordando
il nome ed
utilizzando per spingere l’uomo con educata fermezza verso la
porta della
stanza.- Ti ha restituito la chiave, è entrato nella
stanza…Non c’è nessun
problema.
-È
sicuro, Sig. Olsdal? Aveva detto che non voleva essere disturbato
e…
-Sono
sicuro, Oscar, grazie.- risponde lui pianamente, aprendo il battente ed
aspettando che esca in corridoio.
L’uomo
getta un’occhiata affatto convinta a Brian, che gli ritorce
contro una
linguaccia che Stefan intercetta voltandosi a fissarlo con aria di
disapprovazione paterna, poi il bassista richiude la porta e si volta a
fronteggiare il proprio cantante.
-Tu
la frase “voglio stare un po’ da solo”
non la capisci quando è qualcun altro a
dirlo a te, vero?- domanda colloquiale.
Brian
sbuffa. Gli da le spalle e prende a muoversi nella stanza, ignorando
volutamente la domanda mentre si libera a fatica
dell’ingombro offerto dal
cappotto che ha addosso. Lo abbandona in un mucchio disordinato su un
divano e
poi si lascia cadere proprio lì accanto, incrociando le
braccia sul petto con
aria agguerrita e tornando a puntargli addosso uno sguardo ostinato e
silenzioso.
Stefan
sospira, passandosi ancora la mano tra i capelli, la lascia ricadere
sul fianco
e si dirige verso il telefono posato sul tavolino dietro il divano di
Brian.
-Io
intendo ordinarmi la colazione,- gli annuncia- ti unisci a me o digiuni
per
protesta?- s’informa premendo i tasti per contattare la hall.
-Vuol
dire che posso restare?- arguisce Brian a mezza voce.
-L’unico
modo che ho per metterti alla porta allo stato dei fatti è
farlo fisicamente.- afferma Stefan
pacato,
buttando giù prima che dall’altro lato gli
rispondano.- E questo magari non
sarebbe un problema, ma penso che lederebbe definitivamente quel
po’ di dignità
che ancora hai.- conclude ricomponendo il numero e portando la cornetta
all’orecchio.
Quando
riattacca dopo aver parlato con la signorina alla hall, Brian
è ancora lì, che
lo scruta con quegli occhi troppo verdi, in un silenzio che spaventa
Stefan con
la propria intensità. Storce il naso, muovendosi per
allontanarsi il più
possibile da quella presenza tanto “ingombrante” ed
intanto si informa.
-Non
saresti dovuto essere con Alex agli Studi per una riunione?- chiede
colloquiale.
Brian
si stringe nelle spalle, socchiudendo lo sguardo e lasciando per un
istante Stefan
libero di respirare senza costrizioni. Il bassista si avvicina al
tavolo che
occupa il centro della sala e sposta una sedia per potersi accomodare
lì. Tra
lui e Brian ci saranno forse tre o quattro metri, troppo pochi si dice
mentre
osserva l’altro riaprire gli occhi e tornare a puntarglieli
addosso.
-Non
avevo voglia e non sono andato.- ammette Brian come se fosse una cosa
perfettamente normale.- E poi Alex non ha davvero bisogno di me per
tenere a
bada quella gente…
Stefan
si concede di ridacchiare un po’, dovrebbe rimproverarlo ma
non si sente di
farlo. Tanto per cominciare sarebbe una cosa troppo
“intima”, troppo simile ai
ruoli che ricoprivano quando erano una coppia, per potersela permettere
senza
conseguenze. Così registra la decisione di Brian e non la
commenta che con quel
sorriso divertito.
-E
poi oggi non è mica un giorno qualunque!- afferma intanto
Brian, ritrovando
d’un colpo la stessa euforia infantile con cui ha inscenato
il “litigio” di
poco prima con l’inserviente. Sorride come un bambino ed a
Stefan fa male
davvero e lo spinge a sollevarsi in piedi d’impulso
un’altra volta. Gli gira le
spalle con la scusa di raggiungere il mobile bar ed aspetta che lui
vada avanti
e si spieghi.- Sai che ricorrenza è?- insiste invece il
cantante.
Stefan
trova sul fondo del frigo una bottiglietta d’acqua, la
preleva voltandosi a
guardarlo mentre svita il tappo.
-…no-
ammette pianamente.
Il
sorriso di Brian si vena di una tristezza un po’ troppo
accentuata per poter
continuare a mascherarsi dietro la finzione di plastica di cui si
è ricoperto
prima di uscire di casa. Ma la voce non vacilla lo stesso, il tono
rimane fermo
quando riprende a parlare in modo leggero.
-Un
mese esatto che ti ho promesso che non avrei più toccato
quella merda.- gli
ricorda, puntando felice un dito verso di lui.- Sono stato bravo, no?
“…sei
uno stronzo.”, pensa Stefan distintamente, fissando ora il
dito piccolissimo e
smaltato di nero che gli si pianta dritto all’altezza del
cuore, ora quel viso
di ragazzino trentenne, in cui le occhiaie ed il pallore sotto il
trucco
diventano d’improvviso fin troppo evidenti. Solleva di scatto
la bottiglia e se
la porta alle labbra, rifuggendo quella vista e cercando inutilmente di
sfuggire anche al suono che fa la gola di Brian quando lui inizia a
ridere sommessamente.
Abbassa
lo sguardo per ritrovarselo comunque davanti. Serafico e soddisfatto,
la mano
di nuovo accanto, posata sulle gambe accavallate, il viso inclinato,
appoggiato
sul pugno chiuso al bracciolo della poltrona.
-Speravo
di festeggiare.- ammette Brian.
-Non
penso.- soffia fuori Stefan, tornando a piegarsi per infilare la
bottiglia al
proprio posto. Ringrazia la porta quando qualcuno fa suonare il
campanello.
Brian si solleva dal divano e va ad aprire, permettendo allo stesso
cameriere
di prima – che gli getta un’occhiata gelida
avanzando nella stanza e che viene
ripagato da una risatina soffocata in risposta – di entrare
accompagnato da un
carrello pieno.
-Grazie.-
lo congeda Brian accompagnandolo nuovamente oltre la soglia e
sbattendogli la
porta in faccia, per potersi poi allungare subito a sbirciare sotto gli
scaldavivande ordinati sul carrello.- Mmh!- mugola felice.- Croissant.-
annuncia a Stefan, servendosi da uno dei vassoi.
Il
bassista non dice nulla e non si muove. Osserva da lontano Brian mentre
sbrindella la brioche, reggendola con grazia tra le dita
impiastricciate di
zucchero, e ne ingoia i pezzettini piccolissimi in cui la riduce,
talmente
assorto e felice compiendo un’operazione tanto semplice da
sembrare
assolutamente innocuo. Solo che lui continua lo stesso ad averne paura.
Paura
di avvicinarsi, circumnavigare il baluardo offerto dal tavolo del
mobile bar e
doversi trovare a distanza troppo ravvicinata, da soli e senza scuse
per
continuare quel ridicolo balletto di bugie a mezza voce…
-Allora
mi dicesti che ci saresti stato.- riprende a parlare Brian
all’improvviso. Non
lo guarda mentre affonda quel rimprovero tra la paura ed il rimorso che
Stefan
si sente addosso e sotto pelle, continua imperterrito la propria opera
metodica
di distruzione del croissant, ignorando volutamente la marmellata densa
che si
riversa fuori macchiandogli le dita nemmeno fosse un moccioso.- Io ti
ho
creduto.- gli ricorda ancora. Finisce la brioche e cerca sul carrello,
accanto
al vassoio, un tovagliolo con cui pulirsi le mani.- E per quel che mi
riguarda
ho mantenuto la mia promessa.- gli dice continuando a non guardarlo. Si
muove
per raggiungere il divano e raccoglie il cappotto infilandolo
rapidamente.- Ci
vediamo, Stef.- saluta pacatamente uscendo nel silenzio pesante
dell’altro.
Lo
Studio ha un colore più tetro quando fuori piove. La luce
non arriva ed il
marrone rossastro diventa meno luminoso e più pesante, come
l’odore di carta e
di antico. È quasi opprimente ed è scoraggiante.
Stefan
ricaccia la sensazione in fondo alla pancia. Dietro di lui Vincent
Cavendish
dice qualcosa in tono basso alla segretaria, lei esce chiudendo la
porta e lui
non fa nessun rumore nel tornare a sedersi alla scrivania che si
frappone tra
loro. Gli solleva addosso quello sguardo troppo chiaro, Stefan ci
affonda
dentro e prova a dimenticare il resto.
-Allora.-
esordisce colloquiale Vincent.
Stefan
prende fiato e continua a ricambiare il suo sguardo in attesa.
-Volevi
sapere perché mi trovo qui.- gli ricorda.
Vincent
sorride e si mette comodo sulla poltrona.
Stefan
contraccambia il sorriso.
-Il
motivo si chiama Brian.- comincia a raccontare.
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Capitolo 2 *** 2 ***
-A cosa
devo questa
telefonata, Vin?
-…che
tipo è questo
Brian, Alex?
-…il
tipo che non
s’incontra tanto spesso…
***
-Steve!-
chiama la donna a voce alta.- È Brian!
-Non
vi ho disturbati, vero Rita?- chiede il bruno mentre sfila il cappotto
di
dosso.
-Ma
no, figurati!- gli sorride lei, aiutandolo ed appendendo
l’indumento accanto
alla porta.- Vai pure di là, io recupero Emily e la
accompagno a danza.
-Grazie.-
mormora lui, avviandosi da solo nel corridoio in penombra.
Dal
fondo della casa gli arriva il rumore dello stereo acceso a tutto
volume, una
porta tra le ultime si apre di botto ed il suono si riversa fuori con
prepotenza, un rock distorto e potente che fa vibrare la casa ed
annuncia
l’apparire dell’espressione incuriosita di Steve.
-Ah.-
realizza puntando gli occhi sulla figuretta bassa che avanza.- Sei tu.-
aggiunge poi ributtandosi dentro la stanza.
Mentre
Brian entra ridendo nello studio dell’altro, lui abbassa il
volume da un
telecomando che getta sul ripiano dello scrittoio.
-Buonasera.-
saluta Brian appropriandosi con arrogante disinvoltura di una delle
poltrone.
-Ciao.-
ricambia il batterista con un sorriso storto, fissandolo da sotto le
ciocche
ribelli che si sono sciolte dalla coda in cui ha raccolto i capelli.- A
cosa
devo l’onore?- ironizza.
Brian
storce il naso in una smorfia risentita.
-Tu
e Stefan mi odiate in questo periodo!- nota stizzoso, scalciando via un
cuscino
che si ritrova accanto al piede, posato sulla moquette che ricopre il
pavimento.
Il
cuscino rimbalza su un tavolino basso sistemato tra i divani e Steve lo
afferra
al volo e lo lascia cadere sulla seduta di quello che ha dietro di
sè.
-Ahah,
Brian.- annuisce senza farsi trarre in inganno da quei capricci- E
immagino che
tu sia stupito del fatto che Stefan “ti odi” in
questo periodo.- aggiunge in
tono piano.
Brian
si lascia scivolare più a fondo nella poltrona, stendendo le
gambe davanti a sé
e risultando comunque così piccolo, perfino sbracato nel
sedile, da essere
perfettamente a proprio agio nello spazio angusto tra i divani. Si
mordicchia
nervosamente un dito, sfuggendo lo sguardo e la domanda di Steve, che
sospira e
si muove, avvicinandosi ad una vetrina che ospita un paio di bottiglie
di
liquore e qualche bicchiere abbandonato tra file di dischi in vinile.
-…ad
essere onesti, sì.- risponde alla fine Brian in un borbottio
che Steve coglie
di sfuggita. Si volta a gettargli uno sguardo da sopra la spalla,
mentre versa
da bere ad entrambi.- E’ stato lui a lasciarmi, non ha senso
che continui a rimproverarmi di
questo!- esplicita il
concetto il bruno.
Steve
sospira ancora. Di serate come quella nell’ultimo periodo ne
ha vissute
parecchie e, se deve essere sincero, uno dei pochi motivi per cui
ancora non ha
buttato fuori Brian con il calcio nel sedere che si meriterebbe
è sua moglie ed
il suo continuo ripetergli che “Brian ha bisogno di lui in un
momento in cui ha
perso l’unica persona che riuscisse a farlo ragionare
davvero”.
In
realtà Steve sa bene che non esiste nessuno
in grado di fare ragionare davvero Brian, ma questo a Rita
non lo ha detto.
Non se l’è proprio sentita di dirle, davanti al
suo sguardo sereno di “mamma”,
che il motivo vero per cui Stefan ha mollato è stato proprio
la tragica
comprensione che non sarebbe mai riuscito a recuperare Brian dal fondo
in cui
si dibatteva da anni. O magari, se pure ci fosse riuscito, il prezzo
sarebbe
stato davvero troppo alto. A Rita, come a tutte le mamme, piace credere
che non
esistano problemi che un po’ di buona volontà e
tanto affetto non possano
aiutare a sistemare.
Per
questo lei gli ha chiesto di essere paziente. E per lei –
oltre che per Alex,
Stefan…ed in fondo anche per Brian stesso – lui
sopporta ancora l’inutile
ripetersi di questa pagliacciata patetica che il brunetto inscena per
tutti
loro ogni volta che può.
Gli
allunga il bicchiere pieno, aspettando che Brian lo prenda con un
ringraziamento a fior di labbra che sta tanto bene a quel suo nuovo
atteggiamento da “ragazzina” affranta. Reprime uno
sbuffo infastidito e si
cerca un posto tra i cuscini del divano di fronte all’altro.
-Credo
che il problema non sia che vi siete lasciati, Brian, quanto
più che lui ti
abbia pregato in tutti i modi di accettarlo e tu continui ad insistere
per
torturarlo.- spiega Steve pazientemente.
Brian
beve un sorso ed alza il viso ad incrociare i suoi occhi.
-Non
ha senso, Steve.- protesta ancora.- Io lo amo. Lui mi ama. Ma non vuole
stare
con me.
-Non
è sempre il fatto di non amarsi più a far
naufragare una storia.- afferma
ragionevole il batterista.
***
-E
per quale motivo è finita tra voi, Stefan?
Si
obbliga a ripensarci. Si prende il tempo che gli serve, ruota lo
sguardo per
non incrociare gli occhi chiari ed attenti che lo studiano. Di Vincent
Cavendish ha scoperto che gli piace la discrezione. Non avrebbe mai
pensato
esistessero degli psicologi in grado di essere
“discreti”, è un controsenso in
termini: scavare nella vita e nei pensieri di un paziente implica
l’essere
indiscreti, curiosi, anche un po’ morbosi…In
Vincent non c’è niente di tutto
questo. Le loro sedute sono chiacchierate piacevoli, dalle quali Stefan
esce
con l’impressione di aver solo bevuto un thè con
un conoscente; parlano di un
po’ di tutto, parlano di cose che con la psicoanalisi non
c’entrano nulla – il
lavoro, Alex, i ricordi di scuola di entrambi… - e poi alla
fine parlano anche
di Brian.
E
Stefan pian piano raccoglie intorno al nome l’impressione che
i ricordi
lasciano, i sentimenti che rimangono attaccati alle ossa nonostante
tutto e gli
odori che s’imprimono con la presenza, quando non si
può farne a meno.
La
prima cosa a cui pensa quando deve pensare a Brian sono i litigi.
Quelli che
avevano di rado, perché lui – Stefan –
li evitava ad ogni costo. I litigi con
Brian non danno nessuna soddisfazione, fanno un male fottuto
perché Brian è
bravo a fare male, e non portano da nessuna parte, perché
lui si ostina nelle
proprie convinzioni anche quando sbaglia. Soprattutto quando sbaglia.
Il punto
è che non puoi davvero ragionare con qualcuno che
è disposto a distruggere se
stesso pur di dimostrarti la propria teoria, tutto ciò che
ottieni è che sia tu
che lui sarete entrambi doloranti, dopo, e tu dovrai trovare il modo
per
rimettere insieme dei pezzi sempre più piccoli ogni volta.
I
litigi tra lui e Brian, comunque, sono la prima cosa a cui pensa. Poi
vengono i
motivi per cui litigare.
All’inizio
erano i modi di Brian, le difficoltà enormi che avevano a
trovare un equilibrio
nella band, un equilibrio con la produzione, un equilibrio con i fan.
Superato
questo, diventarono i tradimenti. Avere una storia con qualcuno e non
avercela
davvero, perché quel qualcuno si impegna strenuamente per
farti capire a fondo
– bene a fondo – che la vostra relazione ha delle
regole che non sei tu a
dettare ed alle quali ti conviene adeguarti in fretta.
Ma
questo è superabile. Lo è di meno vederlo darsi
via per non si sa bene quale
presunto guadagno.
Poi,
però, subentrò altro.
L’altro al
quale Stefan non era stato disposto ad adeguarsi. L’altro che
glielo portava
via, Brian, in un modo molto più pericoloso e doloroso di
quanto non fosse
vederlo strusciarsi addosso a qualcuno che non era lui e sentirsi sulla
pelle
quelle moine da puttana che lo ferivano a morte.
Quell’altro
era un gioco a cui Stefan aveva anche provato, stupidamente, a
partecipare. Non
era un santo, non lo era mai stato, e Brian aveva la
capacità orribile di
risucchiare via le energie in poco tempo, prosciugarti in fretta e
lasciarti
senza fiato. Farsi trascinare da lui, adeguarsi ai suoi ritmi ed alle
sue
regole rendeva tutto molto più semplice. E quindi, per un
po’, Stefan aveva
anche provato a stare dietro a Brian, all’alcool, alla droga
ed al gioco idiota
di bruciarsi la vita in fretta. Sembrava un cliché comodo da
adottare, in
fondo, era anche quello che un po’ tutti si aspettavano da
loro e nessuno
sembrava intenzionato a giudicarli per questo.
-Il
motivo è stato proprio Brian…credo.- risponde
incerto Stefan, e lo sguardo
azzurro non muta nell’attesa paziente con cui accoglie le sue
parole- Non è
così semplice mandare avanti una storia con una persona tesa
solo a dimostrare
per forza che ogni cosa al mondo finisce per giustificare
così la propria
mancanza di volontà nell’impegnarsi a farla
funzionare. - prosegue spiegando i
propri pensieri e riassumendoli in quel concetto- Io mi ci sono
impegnato
finché ci sono riuscito.
E
si era impegnato anche dopo. Quando all’improvviso si era
reso conto che il
modo “comodo” di vivere, il bruciarsi tutto nello
spazio di un attimo, non era
davvero ciò che voleva. E non lo voleva per Brian tanto
quanto non lo voleva
per sé, e non riusciva proprio ad accettare di doverlo
recuperare nei backstage
dei concerti che abbandonava in fretta – troppo ubriaco o
troppo fatto per poter portare
avanti lo
spettacolo – a vomitare in un angolo, chiuso nel suo mutismo
rabbioso, che
traspariva intatto dagli occhi chiari anche quando si ricoprivano di
quella
strafottenza irritante che Stefan avrebbe voluto levargli di dosso a
schiaffi
tanto quanto i modi da gatta in calore.
Quando
si era reso conto che tutto questo non gli andava più, aveva
dato un ultimatum.
Era servita una volta di troppo, una serata peggiore delle altre, i
rimproveri
feroci di Alex e Steve che si moltiplicavano e facevano eco ai suoi e
la
sensazione sempre più viva per Brian di qualcosa che
rapidamente gli stesse
sfuggendo di mano e che non era più così
divertente come all’inizio. Quella
depressione strisciante che si tirava addosso già da troppo
e che le droghe e
la vita sregolata avevano solo peggiorato era finita per sfociare in
una presa
di coscienza, Stefan aveva dato una spinta decisa in questo senso e
Brian si
era arreso. Alla fine.
-Sì,
ma perché lasciarlo proprio ora.- chiede Vincent. E la sua
domanda ricalca
esattamente quella che Stefan si è posto anche troppo spesso
negli ultimi
giorni, ogni singola volta che ha avuto Brian davanti ed il suo
profumo, la sua
bellezza, il suo sorriso lo hanno trafitto come se non se ne fosse mai
andato.-
Hai detto tu che dalla droga stava uscendo, che le cose tra voi
sembravano
essersi sistemate e che Brian sta cambiando…Non trovi che
sia illogico averlo
lasciato proprio quando poteva cominciare ad andare tutto per il verso
giusto?
Come
spiegare che è proprio “la fine” a
rendere il senso alle cose?
Che
è solo quando ci si ferma stremati a riprendere fiato che si
tirano davvero le
somme.
Brian
si è arreso, ma anche Stefan in qualche modo si è
arreso all’idea che non può
essere lui a salvarlo davvero. Ha letto troppe volte negli occhi di
Brian
l’immensità distorta di quello che prova,
l’assurdità palese dei suoi pensieri,
dei loro percorsi contorti lungo sentieri che nessuno di loro
può percorrere
insieme a lui.
Forse
l’unico modo per dirlo è quello vero e sincero
delle cose…
-Sì,
ma io non ce la faccio più.- ammette quindi, in tono
incolore come il cielo
plumbeo che la finestra non rende meno grigio, né lo
può la luce artificiale
della stanza.- Penso anche…che la decisione di lasciarlo
l’avessi maturata già
da prima che Brian iniziasse a cambiare, ma non potevo farlo allora.-
spiega
allo stesso modo, senza giustificarsi anche se a lui per primo suona
meschino
quello che dice- Avrebbe voluto dire lasciarlo morire.- confessa- Alex
e Steve
vogliono a Brian lo stesso affetto che gli voglio io, ma nessuno dei
due ha con
lui un qualche dialogo…Nessuno a parte me…e forse
suo fratello Barry, ha con
Brian un vero dialogo. Spettava a me farmi carico di questa cosa
finché non
fossi stato sicuro che lui sarebbe stato bene comunque.
-Ed
ora ne sei sicuro? Che lui starà bene, comunque.
Stefan
ci riflette. Quel giorno, quando gli ha estorto la promessa di
piantarla con la
droga, ha promesso a Brian che lui ci sarebbe sempre stato. Brian gli
ha
creduto e Stefan è deciso a mantenere la promessa, anche se
non può farlo nel
modo in cui l’altro vorrebbe.
-Sì.-
sospira infine, stendendo il petto nel farlo e prendendo un respiro
profondo
per dare aria allo stomaco, che tira e brucia in modo fastidioso.- Io
credo di
sì.
***
-Dio,
Brian!
Lui
alza impudente uno sguardo divertito e giocoso, solleva le gambe sulla
sedia
girevole, le incrocia sotto il sedere e si sistema soddisfatto in
attesa del resto.
Alex
ruota gli occhi esasperata, allontanandosi da lui con un mezzo grugnito
di
protesta.
-E’
il secondo solo questo mese!- ruggisce infine agitando le mani.- E
dobbiamo
iniziare la registrazione del nuovo album tra tre giorni!- gli ricorda
puntando
un dito contro di lui.
Brian
ride, lei ci rinuncia e sbottona rapida la giacchetta di velluto che le
costringe il seno ed aumenta il senso di soffocamento che si sente
addosso in
quel momento.
-Ti
odio.- confessa esausta.
-Può
essere.- concede lui annuendo.- Andiamo, Alex!- cambia tattica subito
dopo- Ma
non ti viene il dubbio che non mi serva
un dannatissimo psichiatra?! Sto bene!
-Psicologo,
Brian.- ritorce lei tornandogli incontro per girare attorno alla
scrivania e
lasciarsi cadere di schianto sulla poltrona- E non stai affatto bene.-
continua
impietosa.- Salti gli appuntamenti di lavoro, bevi ancora troppo, sei
sempre
depresso, isterico, di cattivo umore, assente e…
-E’
il quadro di uno psicopatico.- ammette Brian interrompendola per
sporgersi a
rubare una caramella dal porta bon bon sulla scrivania.- Aggiungici che
mangio
anche un sacco di schifezze.- piagnucola scartando il dolce.
-Ci
aggiungerò “morto” se non la smetti di
angosciare tutti noi, Brian.- gli
promette lei in tono minaccioso. Ma poi sospira e si tira dritta
avvicinando il
viso a quello dell’altro attraverso la superficie chiara del
legno di
ciliegio.- Ascoltami. Facciamo un patto. Tu ti comporti bene con il
prossimo
psicologo che ti trovo…
-Se
ne troverai un altro.- obietta lui ridacchiando in modo affatto
rassicurante.
Alex
gli allunga uno schiaffo leggero sulla guancia e, quando Brian torna a
guardarla un po’ stupito, lei riprende con calma.
-Ed
io in cambio vedo di vendere quel dannato appartamento, trovartene uno
nuovo
tutto tuo e farti avere una vacanza da passare a Parigi da solo per
almeno un
mese ed a spese della produzione appena finiamo di incidere.
-…Parigi.-
ripete lui interessato.
-Parigi,
Brian.- conferma Alex annuendo.
Brian
ci pensa su. Poi torna a fissare la ragazza bionda che lo scruta
speranzosa e
vagamente terrorizzata. Dovrebbe dirle che di Parigi gliene frega meno
di
niente allo stato dei fatti, ma si oppongono due cose: la prima
riguarda il
fatto che un mese intero di vacanza da
solo è allettante, visto che si sente scoppiare
all’idea di tutto il tempo
che lui e Stefan dovranno passare insieme per registrare il nuovo
album. La
seconda è che, anche se sa che sta per mentirle, vuole bene
davvero ad Alex e
non desidera farle venire un esaurimento nervoso in anticipo quando
può
posticiparlo quel tanto che basta a salvaguardarla un altro
po’.
-Uhm.-
mugugna quindi servendosi di un’altra caramella.
Alex
sa che quello non è affatto un
“sì” e sa di non avere alcun motivo per
sentirsi
sollevata, ma vuole fingere che lo sia e concede a Brian un sorriso
sofferto,
mentre lui si alza dalla sedia ed agita la mano uscendo
dall’ufficio ed
annunciandole che non sarà reperibile fino a sera.
Lei
sospira pesantemente, osserva per un momento la porta e poi sposta lo
sguardo
sulla cornetta del telefono, allunga una mano di scatto –
quasi avesse paura di
ripensarci – e compone a memoria il numero, aspettando che
dall’altro lato
squilli libero.
La
voce che le risponde è divertita.
-Non
ti fai sentire per tre anni e poi ricompari e sembra che non riesca a
stare un
giorno senza di me.
-Vai
al diavolo, Vin.- ribatte la donna in tono colloquiale.
L’altro ride ma non
dice nulla.- Ho ancora bisogno di te.- ammette Alex sospirando di nuovo.
-Anche
questo sta diventando un vizio.- annuisce lui calmo.- E di cosa hai
bisogno
stavolta?- s’informa.
-Brian.-
risponde lei borbottando. Vincent non aggiunge nulla ed Alex prende
fiato e
continua.- Immagino di non dirti niente che tu non sappia
già: teoricamente è
in terapia per disintossicarsi, ma nella pratica dei fatti continua a
fare
scappare i medici che lo hanno in cura.
-Ed
a farsi?- domanda lui atono.
-No,
quello no.- sussurra Alex e poi ride nervosamente.- Dio, mi taglierei
le vene
in caso contrario! Già così è
assolutamente ingestibile!
-Immagino.-
le concede Vincent piano.- Vorresti che me ne occupassi io?- chiede.
-Non
so più a che santo votarmi.- confessa lei sfinita.- Direi
che sei l’ultima
risorsa che mi rimane e, credimi, non avrei mai voluto farti questo.
Vincent
ride ancora, sereno come sempre.
-Mi
lusinga molto la tua fiducia, Alex, ma temo di dover ammettere che non
sarei la
persona più indicata per gestire uno come il tuo Brian, se
è davvero il tipo di
persona che tu e Stefan descrivete.- risponde alla fine.
Alex
scuote la testa anche se lui non può vederla.
-Bene,
allora dovrò arrendermi all’idea che questo album
non vedrà mai la luce!-
sbotta irritata.- Brian continua a saltare con metodo ogni singolo
appuntamento
di lavoro ed io non dubito che per le sessioni di registrazione
succederà
esattamente lo stesso!- si lamenta a ruota libera.- Giuro che se non
fosse per
Steve e Stefan mi licenzierei oggi stesso! Non lo sopporto
più e…
-Si
vede che gli volete tutti un gran bene.- la interrompe pacato Vincent.
Lei
quasi si soffoca con le parole che le rimangono in gola, strozzandola.
E quella
finzione di risentimento va a farsi benedire, come il pensiero di poter
ribattere qualcosa di velenoso per liberarsi della sensazione di essere
stata
scoperta. Invece respira a fondo e Vincent dall’altro lato
borbotta un “va
bene” affaccendato ed armeggia con cassetti e fogli di carta
– almeno dai
rumori che Alex distingue in sottofondo. Ma poi torna a parlarle e lei
aguzza
istintivamente le orecchie, pendendo dalle sue labbra in cerca di una
qualche
soluzione magica che le permetta di aggiustare la vita di Brian con un
colpo di
bacchetta.
-Ti
do il nome di una persona.- ricomincia a parlare Vincent.- Prendi un
appuntamento e portale Brian. Se non ne viene a capo lei non ci
riuscirà
nessuno.
-…lei?-
mormora Alex.
-Sì.
Si chiama Dunja Bennet.- dice lui, aggiungendo poi un numero di
telefono ed un
indirizzo che Alex segna al volo sul risvolto dell’agenda
aperta davanti a sé.
-È
anche lei un’allieva del professor Chapman?-
s’informa mentre tiene in bilico
la cornetta tra la spalla e l’orecchio per poter scrivere.
-Lo
è stata.- risponde Vincent.- È più
vecchia di me.
Alex
biascica un ringraziamento che la stanchezza rende stentato e butta la
penna
sul tavolo, abbandonandosi all’indietro contro lo schienale
della sedia.
-Come
va?-le chiede Vincent premuroso.
-A
te come va?- ritorce lei sorridendo amaramente.
-Beh,
se vuoi dire con Stefan…è una persona davvero
speciale.- ammette il ragazzo.-
Ed è forte.
-…uhm.-
mugugna Alex.- Lo spero. O qui non ne usciremo più.
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Capitolo 3 *** 3 ***
-Ed
è venuto a dormire a
casa tua anche ieri sera?
-Sì,
che ci è venuto,
Stef! Io non lo sopporto più! Trova il modo per farlo
ragionare o giuro che…
-Andiamo,
Steve, non sei
credibile. Lo sappiamo tutti che in realtà ti senti
più tranquillo anche tu ad
avercelo sempre sotto gli occhi.
***
Stefan
osserva affascinato le gocce di inchiostro che rotolano nella clessidra
ad
acqua. La gira di nuovo, un momento prima che l’ultima
scivoli giù dal ripido
sentiero di vetro e finisca per impattare nel mare blu che si
è raccolto sul
fondo. Il gocciolare ordinato riprende coscienziosamente, ubbidiente
alle leggi
della fisica…
-Ti
piace così tanto?- ridacchia Vincent.
Stefan
alza il viso ed incrocia i suoi occhi. Ci sta facendo
l’abitudine a quel
ghiaccio gentile, comincia quasi a piacergli. Gli sorride di rimando e
mette
via la clessidra per seguirlo fino alla scrivania e sedersi con lui,
ognuno al
proprio posto.
-The?-
s’informa Vincent. Stefan ringrazia e lui riporta
l’ordine alla segretaria
dall’altro lato dell’interfono.- Allora, che mi
dici di nuovo?- chiede
educatamente.
-Ho
deciso di comprare casa.- annuncia Stefan.- Ne ho trovata una molto
carina da
queste parti.
-Davvero?-
ritorce Vincent sollevando le sopracciglia con interesse.- Io amo
questa zona.-
confessa poi.- Mi sembra di essere tornato nel villaggio dove vivevo da
bambino.
-Pensavo
fossi nato a Londra.
-Sì,
ci sono nato.- ammette lui.- Ma mia madre la trovava insalubre e ci
siamo
trasferiti quasi subito fuori città. Ci sono tornato per
studiare.- Ride e Stefan
si unisce a lui.- Non fraintendermi,- precisa- adoro Londra, ma a volte
si
soffre un po’ di nostalgia per le cose buone
dell’infanzia!
-E’
vero.- concede Stefan.- A me è piaciuto subito, qui.-
chiarisce dopo.
Vincent
annuisce.
-E’
comunque un dato molto positivo che tu abbia trovato la voglia di
imbarcarti in
un trasloco.- fa notare pacatamente.- Tanto più che ora come
ora sarete anche
impegnati…
-Per
il disco, sì.
-Hai
voglia di rimetterti al lavoro?- gli chiede Vincent.
Stefan
si stringe nelle spalle.
-A
lavoro, sì,- ammette.- di vedere Brian tutti i giorni per
ore, no.- Sospira,
distogliendo lo sguardo- C’è questo fatto che lui
continui a cercarmi…a starmi
addosso anche quando gli chiedo un po’ di tempo per
respirare…
-Perché
credi che lo faccia?
-Non
lo so.- mormora a mezza voce Stefan, esausto.- Immagino che sia un
po’ perché
non riesce a stare da solo…tortura anche Steve e non lo fa
con Alex solo perché
lei passa il proprio tempo a rimproverarlo senza pietà!-
afferma.- Un po’ credo
che sia un modo per farmela pagare per averlo lasciato. Brian
è molto
vendicativo. E cattivo.
Vincent
lo fissa perplesso, Stefan si volta e se ne accorge così
modifica il tiro.
-Lo
è quando vuole qualcosa, quando qualcuno gli fa del male,
quando focalizza
l’attenzione su qualcuno che odia…
-Pensi
che ti odi?
-Lo
fa senz’altro!- sbuffa Stefan in un accenno di sorriso
spento.- Lo fa in un
modo tutto suo, di cui probabilmente non si rende nemmeno conto.
-Non
hai pensato che potrebbe semplicemente rivolerti indietro?- prova a
suggerire
Vincent.
-Sì,
certo.- conferma Stefan con un cenno- Ed è anche
così. Mi ossessiona perché sa
che se ci ricadessi non troverei più la forza di andarmene.
Non è facile
liberarsi da Brian. È molto più che amore quello
che lega a lui.
-…e
tu non vuoi davvero liberarti, Stefan.- sussurra Vincent girando lui il
viso
stavolta.
Stefan
lo fissa senza capire. Il suo sguardo interrogativo si punta
sull’altro,
scrutandolo in attesa di una spiegazione. Vincent respira a fondo e si
tira
dritto sulla sedia, solo quando ha la schiena bene eretta e le mani
posate
rigidamente davanti a sé torna a ricambiare gli occhi dello
svedese.
-Se
avessi voluto tagliare con Brian, sarebbe bastato mollare la band e non
rivederlo mai più.- gli dice calmo.- Avrebbe fatto lo stesso
male che fa ora,
magari anche per un tempo più lungo, ma alla fine saresti
stato completamente
libero. La verità, però, è che tu non
vuoi essere completamente libero, a te
sta bene appartenergli e stai solo cercando di ridefinire i margini del
vostro
rapporto.- aggiunge.
Stefan
non ribatte. Ha paura di chiedere, paura di capire fino in fondo. Sa
inconsciamente che tutto quello che gli viene detto è vero,
non è rimasto
accanto a Brian per la band, è rimasto con lui per quella
promessa. E nel farlo
ha ammesso con se stesso e con Brian che il legame che li tiene assieme
esiste
ancora ed è forte proprio come lo è sempre stato.
Così
ha paura.
Di
sentirsi dire che torneranno a stare insieme, ad esempio.
Ma
anche di sentirsi dire che magari Brian non condivide quello stesso
sentire. E
che lui magari ci arriverà a tagliare di netto il filo
invisibile che li
unisce.
Ha
paura. Di dirsi quanto lo ama ancora.
***
-Dunja…?
Lei
sorride.
Ha
un viso avvenente, nonostante non sia più una ragazzina.
Anzi, avrà sicuramente
più di cinquant’anni e li dimostra anche tutti
quanti: i capelli di un biondo
incolore tipico delle persone un po’ avanti con
l’età e che si curino senza
eccessi; un volto ed un corpo, magri e spigolosi, vestiti di chiaro in
accordo
con la chioma, acconciata sulla testolina piccola con un enorme
fermaglio da
cui si liberano vaporosi ciuffi ricciolosi, che cadono attorno al volto
in una
corona ideale. La fascia che è sistemata intorno alla testa,
la gonna ampia in
stile gitano, il maglioncino di lana a trama larga e la collana
d’avorio e
conchiglie contribuiscono ad un quadro New Age che fa molto
“figlia dei fiori”
e che suona inquietante.
…ed
il rosa confetto dovrebbe essere tra i colori vietati per i
lucidalabbra
superati i venti.
-Brian.-
ritorce lei con quella sua aria svampita un po’ fattucchiera
buona di Harry
Potter un po’ santona pranoterapeuta e veggente ad ore.
-…che
razza di nome è Dunja?- continua lui imperterrito.
-Il
mio, direi.- ribatte lei serafica.- Potrei chiederti che razza di nome
sia
Brian, ma anni di banalizzazione ti hanno esonerato da simili domande.
Del
the?- s’informa senza soluzione di continuità.
Brian
riflette sulla possibilità di risponderle per le rime, ma
prima che possa
farlo, Dunja ha già versato un the odoroso ed inebriante,
che riposava nel
bollitore di fianco a lei, e gli ha piazzato sotto il naso una tazza
fumante ed
un piatto di…biscotti fatti in casa.
-C’è
qualcosa di surreale in questa situazione- afferma Brian scostando la
tazza con
due dita, come se solo toccarla lo disgustasse.
-Cielo,
no!- protesta inorridita Dunja. Ed ha una voce profonda affatto adatta
al suo
aspetto- E’ solo the al gelsomino!
-E
questo cosa c’entra?!- scatta Brian infastidito.
-Questo
dovresti dirmelo tu, Brian, sei tu a trovare la situazione
“surreale”.- gli fa
notare lei amorevole, respingendo la tazza verso di lui attraverso il
piano.-
Su, bevi il tuo the prima che si freddi.
-Ho
smesso di bere il the quando avevo quindici anni, è
conformismo spicciolo!-
afferma bruscamente lui, ricacciando la tazza con molta meno
gentilezza,
cosicché oscilla e schizza il ripiano.
Dunja
non si scompone, tira fuori da un cassetto un tovagliolo di stoffa e
pulisce le
gocce, commentando con indifferenza.
-Anche
truccarsi da donna lo è, ma io sono più educata e
non te lo faccio notare.-
Brian arrossisce violentemente, ma lei non fa sentore di averci fatto
caso e
lascia cadere il fazzoletto al suo posto.- In ogni caso, immagino che
sia
proprio da questo che dipende il tuo nervosismo.- specifica spingendo
ancora la
tazza davanti all’altro.- Questo ed il karma negativo che ti
aleggia addosso.
Dovremmo verificare il tuo quadro astrale, sono quasi certa che sia
pessimo.
Brian
spalanca occhi e bocca, fissandola come fosse un marziano.
-Il
mio quadro astrale.- ripete.
-Sì.-
annuisce lei.
-Il
mio quadro astrale?!- ribadisce
Brian
sottolineando le parole.
-E’
quello che ho detto.- conferma Dunja.
-Io
non credo in Dio e dovrei
verificare
il mio quadro astrale?!- sbotta Brian come se questo fosse esaustivo
del
concetto.
-Oh,
non pensare!- ritorce lei agitando una manina sottilissima, nervosa e
dalle
dita lunghe.- Non credere in Dio non influenzerà minimamente
il tuo quadro
astrale.
Brian
si alza di colpo, scaraventando la sedia dietro di sé e
fissandola incredulo.
-Voglio
ben sperare, dottoressa!- afferma
risoluto.
-Dunja.-
lo corregge lei per nulla impressionata.
-Se
non c’è altro, dottoressa
– ribadisce
Brian incolore.- io andrei a consultare un astrologo, così
da risolvere i miei
problemi di quadri astrali e karma negativi!
-A
te non farebbe piacere se io ti chiamassi
“cantante”.- gli fa notare lei
pazientemente.
-“Cantante”
non è un titolo, “dottoressa”
sì.- ritorce lui, braccia incrociate sul petto e
sguardo ostile.
-Piuttosto
inflazionato di questi tempi, si perde tragicamente in
individualità a
servirsene. Ora siedi, Brian, è molto più facile
parlare quando si sta alla
stessa altezza, la mia cervicale non mi permette di tenere il viso
alzato per
molto tempo.- lo invita lei indicando la stessa poltrona che lui ha
allontanato
bruscamente.
-…lei
non ha capito.- mormora Brian in tono pericolosamente basso.- Io me ne
vado da
qui e non ci rimetterò più piede
finché campo e…
-Che
pessima sconfitta.- lo interrompe lei con un sorrisetto divertito. E
Brian
ammutolisce, squadrandola perplesso.- Finora hai fatto in modo che
fossero gli
altri a rinunciare ed io ti batto in una sola seduta di…-
getta uno sguardo
all’orologio a pendolo che se ne sta sul muro di fronte.-
quattordici minuti e
sedici secondi.
-E’
il trucco più vecchio del mondo.- fa notare lui a mezza voce
agitando il capo
con una smorfia incredula.- Poteva fare di meglio.- aggiunge quindi- Ha
fatto
di meglio per ben quattordici minuti e sedici secondi!
-No,
ora sono ventitre.- lo corregge lei.
-…è
davvero surreale.
-Lo
hai già detto.- gli fa osservare.- Siedi, Brian, il the
è freddo e freddo è
disgustoso.- nota posizionando ancora la tazza di fronte al ragazzo
bruno.
Lui
sospira, sbuffando poi una protesta poco convinta, afferra la sedia
trascinandosela vicino e si lascia cadere sulla seduta.
-So
già che me ne pentirò.- ammette.
-Oh,
dillo che ti diverte.- ridacchia lei versandogli ancora del the dalla
teiera di
rame.- I biscotti li ha fatti mia nipote.- gli confida poi in tono
complice.-
E’ molto brava.
***
Vincent
Cavendish fa il proprio lavoro da molto tempo ormai. E lo fa bene. Per
acclamazione corale, lo fa bene. Ha imparato da un grande maestro del
resto,
una persona di cui lui è un fervente seguace
– perché appartiene a quel genere di individui di
cui non puoi essere
semplicemente uno studente – e del quale applica le teorie
con convinzione,
oltre che con impegno.
Tuttavia,
sebbene il Prof. Robert Chapman sia un teorico di una nuova tipologia
di
rapporti che devono legare paziente ed analista, ci sono alcune
regole…
“classiche” della psicologia che non possono essere
ignorate ed i cui principi
devono essere tenuti ben fermi.
Una
di queste regole riguarda il coinvolgimento emotivo.
Vincent
sa che il coinvolgimento emotivo, nel suo caso, non coincide con la
partecipazione alle vicende che vedono protagonista Stefan ed il suo ex
compagno, vive tutto questo con il distacco professionale richiesto
dall’etica
del suo lavoro. Perché fare il suo lavoro gli piace e farlo
bene gli piace
ancora di più. Il coinvolgimento emotivo, per quanto lui
abbia faticato a
riconoscerlo per ciò che era, riguarda molto più
semplicemente Stefan stesso e,
se si è ritrovato con tanta facilità a chiedersi
cosa ci sia in lui che riesce
a farglielo vedere in un’ottica completamente distorta,
significa che c’è qualcosa
di sbagliato di partenza. E significa che lui è moralmente
tenuto a porvi
rimedio.
Non
si stupisce che possa essere andata in questo modo. Di Stefan ha
imparato
davvero tanto in uno spazio incredibilmente breve, un mese appena e gli
sembra
di avercelo davanti da una vita intera.
Di
lui ha imparato che, pur non essendo bellissimo, ha
quell’eleganza naturale ed
un po’ indolente che gli da un fascino tutto suo. Ha uno
sguardo sincero, che
si accorda bene a quello che è il suo sentire, altrettanto
sincero, semplice e
privo di ombre. Del resto, il modo stesso in cui ha vissuto e vive la
sua
storia con Brian a Vincent appare in una prospettiva ben precisa, che
magari
Stefan non coglie perché è preso in un mondo
personale fatto di rimorsi e
ripensamenti, ma che lui afferra appieno da fuori e che restituisce
allo
svedese la piena luce su quello che è e che prova. Non
è da tutti riuscire a
dire “basta” ad una storia dalla quale si
è tragicamente presi come lo è ancora
Stefan, e non è da tutti riuscire a tenere fermo il proprio
proposito, pur
senza troncare i rapporti e senza sparire e far sparire
l’oggetto dei propri
desideri. Non è da tutti voler ostinatamente ricostruire un
equilibrio partendo
da un punto assolutamente traballante. Quel gioco pericoloso su una
corda
sospesa è qualcosa di così assurdamente difficile
da portare avanti che
Vincent, malgrado proprio, non può non trovarsi ad ammirare
la persona che lo
persegue con tanta determinazione.
Quindi
sì, sa di avere infranto una regola fondamentale della
psicologia classica. E
sa esattamente che è proprio dovere porvi rimedio.
E
sa anche come fare.
Alex
arriva con un sorriso enorme stampato in faccia. Vincent, seduto ad un
tavolino
fuori dal caffè dove le ha dato appuntamento, la vede da
lontano, incedere sicura
e leonina sui tacchi alti, il tailleur attillato ed un po’
troppo bizzarro per
una donna in carriera ed il trucco perfetto, da trentenne decisamente
avvenente
che comunichi al mondo la propria posizione di forza ed ai maschi la
propria
disponibilità. Sorride anche lui, più di una
testa si è voltata a guardarla tra
gli uomini per strada intorno a lei, Alex è bella e viva
esattamente come se la
ricordava e lui vorrebbe dirglielo perché un po’
gli è mancato quel modo di
camminare e di essere così travolgente.
Così,
quando lei gli arriva davanti e si china a baciarlo sulla guancia
–
avvolgendolo in una nuvola di profumo maschile
che s’intona perfettamente al suo look – lui lo fa.
-Sei
splendida più di quanto ricordassi.- le confessa,
stringendole un braccio in
segno di saluto, un momento prima che lei si sollevi ridendo e si lasci
cadere
su una sedia davanti a lui.
-Non
farmi i complimenti!- protesta vivace.- Sono io che devo ringraziarti,
non tu!
Mi hai fatto due favori enormi!- argomenta.
Vincent
accenna un assenso vago ed indefinito, sistemandosi dritto sulla sedia
mentre
lei affastella cappotto e borsa su quella libera accanto a
sé. Scosta indietro
i riccioli ribelli, agganciandoli al fermaglio spesso che ne regge la
massa
maggiore, e sbuffa un sospiro soddisfatto.
-Sono
talmente di buon umore da aver voglia di fare shopping.- afferma a quel
punto,
guardandosi attorno per cogliere in un’occhiata
d’insieme le vetrine colorate
dei negozi intorno alla piazza.
-Sei
una donna strana!- ridacchia Vincent.- Di solito lo shopping
è un rimedio al
malumore, no?
-No,
io preferisco tapparmi in casa e fissare il televisore con sguardo
spento.-
confessa Alex semplicemente. Si volta di nuovo e riporta su di lui i
propri
occhi verdi, sottolineati dalla matita chiara. Sorride.- Mi fa piacere
vederti.- gli dice serena.- Avrei dovuto chiamarti prima.- annuisce poi.
-Avresti
dovuto.- concorda Vincent.- Ma avrei potuto anche io, quindi siamo
pari. E poi
immagino che il tuo lavoro ti porti via un mucchio di tempo.- le
concede.
-Mmh.-
mugugna lei.- Non me lo ricordare, tra un’ora devo essere in
ufficio!- sbotta
stizzita.- Comunque, ti devo davvero due favori enormi.- ribadisce
quindi.-
Dunja è semplicemente meravigliosa
ed
oggi Brian è arrivato in orario alla riunione, ha protestato
tutto il tempo
borbottando contrariato, ma ha lavorato come tutti: ha seguito,
è intervenuto,
ha fatto osservazioni pertinenti… Credo non succedesse da
anni!- esclama
soddisfatta.- E la cosa stupenda è stata che lui e Stefan si
sono comportati
civilmente!- aggiunge con euforia crescente.- Niente trincerarsi da un
lato
della stanza, da una parte, e passare il tempo a punzecchiare in modo
cattivo,
dall’altra!
-Non
durerà.- la disillude lui lapidario.- Lo sai.- commenta
subito dopo,
affrontando con tranquillità lo sguardo ferito di Alex.-
Erano entrambi
psicologicamente preparati a rivedersi ed affrontare questa riunione,
ma non
saranno mai preparati a fronteggiare gli imprevisti di una convivenza
prolungata. La tensione salirà e loro riprenderanno ognuno
il proprio metodo di
difesa.
-…non
parlare dei miei ragazzi come se fossero uno dei tuoi innumerevoli
casi!-
ringhia lei infastidita.- Sono i miei ragazzi!- ribadisce.
Vincent
ride senza lasciarmi fuorviare dal tono inferocito ed Alex sbuffa e si
mette
comoda sulla poltrona.
-Al
telefono hai detto che dovevi parlarmi.- ricorda
all’improvviso, mentre una
cameriera carina e sorridente si avvicina loro per prendere le
ordinazioni.
Vincent
aspetta che entrambi abbiano comunicato le proprie preferenze e che la
ragazza
si sia allontanata con un cenno di assenso prima di rispondere.
-Sì,
infatti.- conferma per prima cosa.- E non ti piacerà.- ci
aggiunge per
prepararla.
Alex
inarca le sopracciglia e lo fissa in attesa.
-Si
tratta di Stefan.- esordisce Vincent con qualche
difficoltà.- Io non posso
continuare a seguirlo. Ti darò il nome di un collega che lo
faccia al posto
mio…- le comunica precipitosamente.
Alex
sbotta una risata ironica ed appena isterica, interrompendolo in modo
brusco.
-Un
collega?- ripete lei.- Hai una vaga idea di cosa mi sia costato
convincere
Stefan a farsi seguire da qualcuno in questa storia, Vincent?- domanda
poi
retoricamente, sporgendosi sulla sedia, tesa come una corda di
violino.- Si
fida di te per non so quale miracolo di Dio e tu speri che io riesca a
dirgli
“dovrai finire la terapia con qualcun altro”?! Mi
manderà piacevolmente al
diavolo, Vin!- esclama sconvolta.- E tu non puoi farmi questo adesso!
Vincent
sospira paziente.
-Credimi,
Alex, la mia non è una presa di posizione gratuita,
è una necessità. Se potessi
continuare ad aiutarti lo farei volentieri e, per quello che posso, lo
farò
anche. Ma non posso più seguire Stefan.- sottolinea con
calma.- Non è un
capriccio.
-Ci
mancherebbe che lo fosse!- scatta Alex infuriata.
Volta
di scatto il viso, incrociando le braccia al petto e tirando su il viso
per non
doverlo guardare in faccia. Vincent interpreta con facilità
la sua chiusura, ma
non dice nulla e sospira ancora mentre aspetta e la cameriera carina
torna con
le loro ordinazioni. Mentre lui fa girare tra le dita il bicchiere
dell’aperitivo, Alex sembra lentamente riprendersi e comincia
ad agitarsi sulla
sedia, piccoli scatti nervosi come se volesse rimettersi comoda e
dovesse farlo
su una seduta di spilli. Alla fine si volta ancora verso di lui,
agitando le
mani come per iniziare un discorso, ma non apre bocca e si capisce la
difficoltà evidente che ha nel trovare le parole migliori
per esprimere quel
concetto.
Probabilmente
vorrebbe solo chiedergli delle spiegazioni, ma sa che in fondo non ha
molto
diritto di continuare a contestare la decisione che lui ha preso.
-…ti…rendi
conto che io ho un dannatissimo album da registrare ed una band di tre
elementi
in cui due si parlano a stento?!- esclama alla fine esasperata.- Come
puoi
dirmi che devo arrangiarmi da sola?!
-Non
è quello che ho fatto.- le fa notare Vincent.
-Beh,
è qualcosa di molto simile, Vin!- sbuffa lei.
-Alex.-
la richiama lui piano.- C’è un problema, ed io non
posso semplicemente
cancellarlo ed andare avanti come se niente fosse.
-Che
cavolo di problema puoi avere che non si possa risolvere?!- ritorce lei.
Vincent
prende fiato profondamente, si lascia andare all’indietro
contro lo schienale e
la guarda. Così Alex si ferma improvvisamente e, nel
ricambiare il suo sguardo,
si ritrova ragazzina a condividere il segreto troppo pesante del
proprio
migliore amico, di cui è pazzamente innamorata da sempre.
Quel pensiero la
calma improvvisamente, insieme con la tristezza malinconica che le
mette
addosso in qualche modo le trasmette una sorta di empatia strisciante,
che la
porta a capire la natura del “problema” di Vincent
ancora prima che lui lo dica
esplicitamente.
-Mi
piace Stefan.- le comunica lui comunque.
Lei
però lo sa già e non ne è davvero
sorpresa. Si sgonfia come un palloncino sulla
sedia, si appoggia con i gomiti al tavolo ed incastra il mento tra i
pugni
chiusi, guardandolo con aria afflitta e rassegnata.
-Ti
odio.- gli comunica provocando una risatina nervosa.- Non posso nemmeno
dire
che tu non ne abbia motivo.- aggiunge poi in un borbottio sofferto.
-Ah
beh…- sbotta lui senza sapere che dire. E si rifugia nel
bicchiere per non
dover dire altro.
-Stefan
lo sa?- s’informa Alex, sconfitta.
Vincent
scuote la testa mentre mette giù l’aperitivo.
-Chiaramente
no.- esplicita – Non potevo dirglielo. Non al momento, almeno.
-Al
momento?- ripete lei.- Quindi conti di dirglielo.
-Certo.-
annuisce Vincent senza alcun problema.
-…Stefan
è ancora innamorato di Brian.- sussurra Alex dopo un momento
in cui lo ha
scrutato così intensamente da fargli credere che potesse
arrivare fino in fondo
alla sua anima e ritorno.
Vincent
ricorda che c’è stato un tempo in cui è
successo davvero.
-Credo
di essere la persona che ne è maggiormente consapevole al
mondo, in questo
periodo.- le ricorda con un sorriso spento.
-E
allora cosa intendi fare?- insiste lei pressante.
Vincent
si concede un sospiro pesante e poi si stringe nelle spalle,
ricambiando lo
sguardo preoccupato di lei.
-Niente,
Alex. Ci sono cose che si dicono senza aspettarsi niente in cambio.-
spiega
ancora.
Lei
gli sorride. Un sorriso tirato che ricambia quello spento di lui.
-Avrei
voluto che non fossi gay.- ammette fingendo un divertimento che non
prova.-
Saresti stato perfetto per le mie esigenze.
-Non
avresti nemmeno dovuto pagarmi per occuparmi dei tuoi ragazzi.-
annuisce lui,
afferrando un’oliva dal piattino degli stuzzichini.
***
-Secondo
me è a posto così.
-Sì,
lo penso anch’io.
-…fa
schifo.
Steve
e Stefan ridacchiano e poi
lo guardano.
Brian, perplesso, ricambia le loro occhiate con la propria espressione
interrogativa e sgrana un po’ di più gli occhioni
già enormi.
-Fa
schifo!- ribadisce indicando la partitura davanti a sé.-
Dai, lo sapete anche
voi che fa schifo!- ribadisce concitato.
Nessuno
dei compagni di band si spreca a rispondergli. Altro scambio di
occhiate
complici tra Stef e Steve e nuovo coro di risatine divertite.
-…voi
due mi state prendendo per il culo, vero?- s’informa il
cantante in tono
colloquiale.
La
porta si apre sulla risata del bassista e del batterista, impendendo
qualsiasi
forma di protesta o di ritorsione del brunetto. Alex entra insieme con
quello
che sarà il regista del primo singolo in uscita –
almeno a seguire gli
appuntamenti segnati in agenda, perché nessuno dei tre
ragazzi lo ha mai visto
prima.
Brian
raccoglie la partitura e la mette via ordinatamente
all’interno di una
cartelletta, liberando il tavolo che torna ad essere vuoto e lucido
sotto le
luci al neon.
-Buonasera.-
esordisce il nuovo arrivato con un sorriso enorme.
-Salve.-
ricambia Brian per tutti ed Alex respira e si rilassa, come sempre
quando le
cose sembrano mettersi per il verso giusto.
***
Stefan
si è seduto davanti alla scrivania. Vincent gli ha sorriso
come tutte le altre
volte. Gli chiede come vada il trasloco, Stefan gli dice che
è quasi tutto a
posto e che nel fine settimana spera di trasferirsi lì.
Vincent gli fa i
migliori auguri e Stefan ride e gli dice che adesso saranno
“vicini”.
Poi
il centro dei pensieri del bassista si sposta impercettibilmente.
-Abbiamo
cominciato a lavorare all’album nuovo.- annuncia.
-E
come va con Brian?- s’informa Vincent con un cenno di
assenso, portandolo
subito dove lo svedese voleva arrivare.
-Bene.
Sembra si sia calmato. Parla solo di lavoro in questo periodo.
-…ti
dispiace che lo faccia?- domanda Vincent, esitando un momento di troppo
e
pregando che Stefan non lo noti.
E
lui sembra non notarlo davvero. Sorride ed ammette:
-Sì.
Un po’ sì. Ma va meglio così, no?
Dovrebbe
dire anche a lui che non durerà. Dirgli che
arriverà un momento in cui Brian
ricomincerà a stare male – perché Dunja
è brava, ma non è la psicoanalisi a
cancellare i sentimenti dal cuore delle persone – dirgli che
quando succederà
Stefan ricomincerà ad avercelo contro. E magari anche in
modo diverso, Brian in
tutto quel tempo maturerà energie e pensieri nuovi e li
indirizzerà in modo
differente. Dovrebbe dirgli tutto questo, ma non lo fa e nel proprio
silenzio
si rende conto più che mai della necessità di
essere chiaro con l’altro.
-Non
posso più continuare a seguirti nella terapia, Stefan.- gli
annuncia senza
guardarlo.
Segue
un silenzio carico, che viene venato appena del sospiro paziente e
stanco che
Vincent si concede. Non può dare spiegazioni,
irrazionalmente prega che Stefan
non gliene chieda neppure, sa che sarà difficile che non
succeda però e si
prepara mentalmente a trovare un modo per sfuggire senza dire nulla.
-Perché?-
domanda ovviamente Stefan dopo un po’.
Finalmente
Vincent trova la forza di guardarlo negli occhi. Stefan non ci legge
niente
dietro, la solita calma glaciale e gentile freddezza di sempre.
-Si
è creata una situazione di incompatibilità, non
posso continuare il mio lavoro
nel modo corretto.- articola girandoci attorno.
Stavolta
è lo svedese a sospirare e ruotare gli occhi sulla stanza.
Un po’ gli mancherà
il marrone caldo di quell’ambiente, riscalda davvero il cuore.
-Non
penso che dovrei interrompere la terapia adesso.- ritorce arrabbiato.
Vincent
registra quella rabbia, registra la sfumatura che la voce di Stefan
prende
quando i suoi sentimenti mutano in quel senso. Non alza la voce, non
è
aggressivo, non attacca quando si arrabbia, diventa solo più
freddo e distante
e mette i propri sentimenti in gioco davvero, li mostra, anche solo un
momento,
ma li mostra completamente.
E
ci riesce solo con una sfumatura.
Sa
che non dovrebbe farlo, perché è scorretto e
sbagliato, ma decide comunque che
dal momento stesso in cui gli ha comunicato di non poter continuare ad
essere
il suo analista il loro rapporto professionale sia da considerare
interrotto.
Quindi, tutto quello che dirà da questo momento in poi
farà parte di un diverso
rapporto. Molto più personale.
Si
mette dritto sulla sedia ed affronta gli occhi scuri di Stefan quando
il loro
giro si conclude su di lui.
-Non
farlo, allora.- gli risponde seccamente.- Ho già detto ad
Alex che vi avrei
dato il nome di un collega, molto bravo, che è anche un mio
amico, lei sarà
felice di sapere che tu sei d’accordo nel proseguire la
terapia.
-Non
con un altro specialista.- ribatte Stefan pacatamente.
Vincent
ride.
-Non
cominciare a comportarti da ragazzino anche tu, Stefan, credo che Brian
sia
sufficiente in questo senso per i nervi di Alex.- lo redarguisce
ironico.
-Non
sono capricci.- ritorce lui.- Non penso davvero di poter essere in
grado di
ripartire da zero con qualcun altro. Non al momento. Ho bisogno di un
minimo di
serenità e di sicurezza, devo potermi fidare…
-Il
mio è un lavoro come un altro.- lo interrompe Vincent
abbastanza brusco, pur se
in tono educato.- Un professionista vale l’altro,
purché sia preparato. Puoi
“fidarti” di uno qualunque di noi.
-Sai
perfettamente che non è quello che intendo. Voglio dire che
il rapporto di
fiducia che si crea con una persona, non si ricrea automaticamente con
chiunque.
Vincent
scuote la testa ed affonda inesorabile.
-Si
riproduce esattamente con chiunque
allo stesso modo. Siamo pagati per fare in modo che sia così.
Stefan
si morde la lingua per non ribattere in modo velenoso
sull’evenienza di
considerare quella una sorta di “prostituzione
intellettuale”. Si rende conto
prima di dirlo ad alta voce che anni di relazione con Brian lo hanno
decisamente forgiato in modo sbagliato riguardo alle discussioni con
un'altra
persona. Vincent però lo capisce lo stesso, quello che stava
per dire, glielo
legge in faccia che era una battuta cattiva e gratuita e Stefan si
sente
immensamente stupido ed anche immensamente esposto sotto i suoi occhi.
Non sono
affatto gentili adesso, sono irridenti e fanno dannatamente male mentre
lo
scrutano in quel modo.
-Io
non ti seguirò più, Stefan.- ribadisce Vincent.-
Peraltro sono convinto che, se
davvero non ritieni di trovare un altro analista, sarai perfettamente
in grado
di gestire da solo la situazione con Brian…
-Stai
mentendo.- lo interrompe Stefan senza variare il tono incolore con cui
si è
espresso finora.
-Sì,
ma non posso certo costringerti a continuare qualcosa contro la tua
volontà.-
risponde Vincent con semplicità, stringendosi nelle spalle.-
Puoi provare con
qualche esercizio più classico, tipo…comprare una
pianta o un animale, per
vedere se sei in grado di prendertene cura e poter dire di essere
guarito.- lo
deride con uno scherno educato e discreto.- Magari alla fine deciderai
da solo
di trovare qualcuno.
Lo
svedese si alza. Il tono, il discorso ed il modo di fare
dell’altro lo hanno
irritato, ma lui controlla rigidamente la postura e
l’atteggiamento fin nei
minimi particolari mentre allunga una mano per stringere le dita gelide
di
Vincent in un saluto formale.
-Ti
ringrazio per quello che hai fatto per me, Vincent.- dice atono un
momento
prima di ritirare la mano e voltarsi.
-Dovere.-
risponde lui allo stesso modo.
Ma
quando la porta si chiude dietro Stefan sa già che il passo
successivo sarà
perfino più difficile di questo. E sa che lo farà
lo stesso, perché ha mentito
anche ad Alex ed in fondo qualcosa vuole aspettarsela davvero da tutta
quella
storia.
***
-Non
mi fai entrare?
Stefan
lo guarda. La risposta corretta è “no”.
La cosa giusta da fare è chiudere la
porta, voltarsi, tornare a sedersi sul divano e riprendere a leggere il
giornale da dove il suono del citofono lo ha interrotto.
Il
punto è che non avrebbe nemmeno dovuto rispondere al
citofono.
Di
fatto, già nel permettere al portiere di lasciarlo passare
si è arreso all’idea
di ritrovarselo davanti come in quel momento succede. Di ritrovarsi i
suoi
occhi chiari, limpidi, luccicanti, puntati addosso in modo sfacciato,
allusivo.
Di dover tornare ad affrontare le proprie paure, quelle stesse che gli
fanno
stringere convulsamente lo stipite della porta ma non gli danno
comunque la
forza sufficiente per scegliere di richiuderlo. O in alternativa di
spostarsi
ed affrontarle.
Sospira
profondamente, lascia cadere il braccio lungo il corpo in un gesto che
è un
arrendersi stancamente all’impossibilità di
fuggire. Brian è più forte di lui,
a suo modo ma lo è.
Il
bruno accentua quel sorriso plastificato che lo contraddistingue, ci
lascia
guizzare lo stesso accenno di soddisfazione che colora gli occhi, poi
attraversa la soglia scivolandogli di fianco –
perché Stefan è stanco anche per
precederlo e spostarsi – ed entra, sfilando il cappotto in un
gesto elegante e
morbido.
-Che
ci fai qui, Brian?- chiede in un sussurro strozzato il bassista.
Lui
ridacchia, fingendosi divertito.
-Cosa
vuoi che ci faccia?- ritorce stringendosi nelle spalle magrissime sotto
la
maglietta nera. Abbandona il cappotto su uno dei divani che occupano
l’ingresso-salone.- Ero curioso di vedere come ti eri
sistemato.
Stefan
vorrebbe rispondergli che non è vero, che di come si sia
“sistemato” non gliene
importa nulla e che questo è evidente anche se Brian finge,
gira attorno lo
sguardo catturando l’immagine del salotto bianco ed enorme
– quasi vuoto, per
lasciare che la luce lo riempia il più possibile –
si concede un borbottio di
approvazione ostentata. Quella casa rispecchia Stefan, rispecchia il
bisogno
spasmodico di luminosità, di pace e di silenzio che lo ha
afferrato da quando
la loro storia è finita. Il legno chiaro, i tessuti
altrettanto incolore –
impalpabili – l’assenza di superfluo, rispecchiano
la necessità di equilibrio.
Ma
a Brian tutto quello non interessa davvero.
L’abbaiare
concitato di qualcosa che arriva rapidamente dalla porta aperta della
cucina
richiama l’attenzione di entrambi. Il qualcosa ruzzola ai
piedi di Brian,
continuando a manifestare vivacemente il proprio dissenso, e lui
abbassa gli
occhi ed individua il cucciolo bianco e marrone ai propri piedi,
fissandolo
perplesso.
-Cos’è?-
s’informa.
Stefan
un po’ ringrazia quell’intrusione provvidenziale.
È un rifugio sicuro dove
infilare i pensieri prima che prendano percorsi non voluti.
-Lei è Abba.- presenta.
Si
muove subito dopo, ignorando l’abbaiare del cane, che sposta
la propria
attenzione dal bruno al padrone in un pietoso tentativo di rendere
evidente a
quest’ultimo la propria volontà di cacciare il
disturbatore. Stefan condivide
la sua opinione, ma le regole della buona educazione e le esigenze di
lavoro
sono più forti della sua semplice volontà. Punta
alla cucina, annunciando in
tono blando.
-Preparo
un caffè.
Brian
si aggrappa all’invito implicito nelle sue parole per
seguirlo con scioltezza,
mentre la cucciola, contrariata, gli va dietro continuando a
trotterellare in
un silenzio ringhioso.
-No.-
commenta intanto, vagamente- E’ Pongo!- specifica.- Pongo gli
sta molto meglio
come nome.
Il
cantante si arrampica su uno degli sgabelli che girano attorno
all’isola
centrale, in cucina, si sistema lì sopra, appollaiato come
un cucciolo di
rapace, e solleva gli occhi chiari a seguire la schiena di Stefan
armeggiare
vicino al ripiano dei fuochi. Cerca qualcosa per attirare
l’attenzione del
bassista, un argomento di conversazione che sia utile a sciogliere un
po’ della
tensione fastidiosa – e giustificata – che lo ha
accolto al suo ingresso in
casa. Sa che non dovrebbe trovarsi lì, stava andando tutto
bene seguendo i
consigli di Dunja, il lavoro procedeva tranquillamente e lui avrebbe
dovuto
accontentarsi di questo.
Ma
poi è successo che Alex lo ha chiamato. Gli ha detto
“Brian, ho una buona
notizia per te” e poi gli ha anche comunicato la buona
notizia. Gli ha detto
che l’appartamento era sistemato, che lui poteva anche
lasciarlo perché lei era
riuscita a trovare un acquirente e che doveva solo comunicarle dove
volesse
trasferirsi, perché avrebbero pagato quelli della casa
discografica.
Sapere
di dover lasciare la casa che avevano diviso insieme è stato
un piccolo colpo.
Uno scossone leggero, perché in fondo lui non ci tornava
seriamente a vivere da settimane
ormai. Ma è stato
sufficiente. Aveva preso le chiavi dalla tasca, si era fatto portare
lì da un
taxi e si era infilato in casa, osservandosi intorno con aria stupita,
come se
non riuscisse più a riconoscere l’ambiente
colorato e chiassoso che aveva
attorno. Quando lo avevano comprato, anche quel posto era luminoso
–
esattamente come la casa di Stefan ora – ma poi lui, Brian,
lo aveva talmente
riempito di roba da renderlo quasi
invivibile. Stefan aveva subito l’invasione delle
cianfrusaglie inutili con lo
stesso stoicismo con cui subiva qualsiasi cosa da Brian e lui aveva
preso a
trasformare l’appartamento in una “tana”
tutta loro, che li rispecchiasse
fedelmente.
Non
è così assurdo che adesso separarsene in via
definitiva lo colpisca.
Ad
Alex ha risposto solo che un posto lo ha già trovato, le ha
dato l’indirizzo ed
il recapito dell’Agenzia che se ne occupa. E’ un
loft in pieno centro, non è
grandissimo ma arredato in modo talmente essenziale da sembrare vuoto,
grigio
come i palazzi attorno, infilato in un condominio di lusso e costoso
come poche
altre cose sono mai state nella sua vita, ha una vetrata gigantesca che
si apre
su Londra. Lui lo trova tragicamente in accordo con i propri pensieri,
sogna di
sedersi dietro la vetrata e guardare in basso, le persone che corrono
come
formiche microscopiche, costruendoci attorno una trama intessuta di
storie
ipotizzate a tempo perso.
Alex
si è limitata a dirgli di sì e Brian la conosce
abbastanza da sapere che già
domani avrà le chiavi del loft in tasca ed un contratto di
affitto al sicuro in
un cassetto della scrivania della manager. E sa anche che
già domani se ne
starà davvero seduto dietro la vetrata, osserverà
Londra finché non si svuoterà
di tutte le sue formiche ed a quel punto si alzerà,
prenderà il cappotto ed
andrà a dormire da Steve.
Perché
da solo non ce la fa proprio.
Ma
ora s’impone di smettere di pensarci. S’impone di
tornare al presente fatto dei
gesti meccanici di Stefan che sono comunque eleganti come sempre,
perché quando
si muove sembra che sia stato creato per farlo occupando solo lo spazio
indispensabile nel mondo, accordandosi a tutto ciò che gli
sta attorno in modo
da fondersi con l’aria stessa. Il suo esatto contrario.
L’esatto contrario del
suo modo cattivo e maldestro di imporsi, di far baccano per farsi
vedere, di
arrogarsi il diritto esistere e di farlo con l’attenzione
degli altri fissa su
di sé.
-Dov’è
finito Pongo?- sbotta all’improvviso Brian.
Lo
dice per dire qualcosa. Una cosa che spezzi il silenzio e riporti le
spalle di
Stefan verso di lui ed i suoi occhi addosso. Si sporge oltre il tavolo
sondando
il pavimento a piastrelle, intravede la cucciola che scodinzola girando
attorno
al padrone ed ogni tanto gli rivolge un’occhiata per
assicurarsi delle sue
manovre.
-Ehi,
Pongo, vieni qui!- la apostrofa Brian, battendosi una mano sul
ginocchio.
Stefan
sospira.
-E’
anche femmina, Brian.- la difende
lo
svedese.
Posa
tra loro il caffè e si siede sullo sgabello
dall’altro lato del tavolo, le
tazze fanno un rumore sordo quando urtano il ripiano di legno e poi
strisciano
attraverso lo spazio per essere posizionate ai due lati
dell’isola.
Brian
intercetta la propria con le dita, pensando a quante volte si sono
seduti a
quel modo in casa loro la mattina per fare colazione – anche
se con la
“mattina” l’orario al quale si tiravano
fuori dal letto aveva di solito poco a
che fare. Sorride a quel pensiero e sente Stefan sospirare,
così immagina che i
suoi ricordi abbiano seguito la stessa strada.
-…non
dovresti essere qui.- borbotta Stefan sorseggiando il caffè
ed infilandoci
dentro a forza le proprie parole.
Brian
lo imita, per prendersi il proprio tempo.
-Comunque
che cos’è?- chiede puntando un dito verso il cane
ed eludendo l’affermazione di
Stefan e la necessità di rispondergli.
-Un
bulldog americano.- risponde il bassista.- Sarebbe meglio che tu mi
chiamassi
prima di presentarti a casa mia.- aggiunge subito dopo, deciso quanto
mai a non
lasciargliela vincere con tanta facilità.
-Non
capisco perché tu abbia comprato un cane. Una volta te
l’ho anche chiesto
perché non prendevamo un animale e mi hai detto che non ne
volevi per casa.-
ricorda l’altro senza dargli retta.
-Avevo
già te.- sbuffa Stefan in modo talmente scontato da annoiare
perfino se
stesso.- Brian, ti prego!- scatta quindi esasperato.- Smettila!
La
parola fa un suono sordo esattamente analogo a quello della tazza sul
ripiano
di legno. Lo stesso suono che la accompagna peraltro, perché
Stefan scaraventa
entrambi – l’ordine secco e sfinito e la tazza
ancora piena – sul tavolo in
mezzo a loro due. Brian osserva per un po’ il bordo di coccio
tra le mani
dell’altro, quasi in quel punto si fosse concentrata anche la
forza dell’esasperazione
che ha sentito nella voce di Stefan. Si chiede come siano arrivati fin
lì, si
chiede se valga la pena di insistere e continuare a trascinare la
realtà in un
gioco che ha smesso di essere tale tanto tempo prima e che ora esige un
prezzo
terrificantemente alto. Loro lo hanno già pagato e
dovrebbero cominciare a
scontarlo…
-…magari
lo prendo anch’io, un animale.- ricomincia invece a parlare,
sollevando in viso
al bassista lo stesso muso sfacciato ed arrogante di sempre. Quel
sorriso finto
che fa sospirare lo svedese e gli fa capire che è una guerra
da cui uscirà
molto peggio che sconfitto. Stefan si alza portandosi dietro la tazza.-
Però
penso che preferirei un gatto…Un cane è
eccessivamente impegnativo per me…
-Per
te è impegnativo chiunque, Brian.- ritorce Stefan
volutamente cattivo.
Il
caffè scorre giù lungo il tubo del lavandino, lui
posa la tazza al centro ma
non si volta.
-Pensi
che non saprei prendermene cura?- ridacchia Brian ignorando i
sottintesi nella
frase di Stefan.
Lui
ragiona sulla possibilità di tirare avanti il discorso, di
parlarne seriamente.
Ma siccome sa che Brian non ha voglia di essere serio – o, dannazione, avrebbe capito che trovarsi
lì in quel momento è un
fottutissimo errore! – ci rinuncia e non gli
risponde.
-Alex
ha venduto l’appartamento.- si decide ad informare la voce
del bruno, forse
sperando di vederlo tornare a voltarsi.
Ma
Stefan non lo fa, registra l’informazione e si scopre
indifferente.
-Ah
sì?- chiede aprendo l’acqua per lavare la tazza.
No.
Non indifferente. Sollevato.
-Sì.-
riprende Brian.- Non so a chi, però, non mi ha spiegato i
dettagli. Immagino li
comunicherà ad entrambi, comunque.
Sta
quasi per dirgli che non ha importanza e può anche tenersi i
soldi, ma si ferma
in tempo. Sarebbe fuori luogo e cattivo, come voler
“pagare” Brian per ciò che
loro due sono stati e non sono più, ma Stefan ha sempre
rifiutato di Brian
quell’immagine di “puttana” che da di
sé ed arrendercisi adesso, anche solo per
un errore nel formulare un concetto, sarebbe qualcosa che non potrebbe
mai
perdonarsi. Così lascia perdere la casa, perché
quello che vorrebbe dire è un
concetto più complesso, che ha che fare con la soddisfazione
al pensiero di
aver messo un altro paletto fisso per non poter tornare indietro.
-E
tu?- domanda invece.- Dove andrai?
-Ho
trovato un altro appartamento.- spiega Brian in modo piano,
stringendosi nelle
spalle per dire che non importa, anche se Stef non può
vederlo.- Ma penso che
per un po’ continuerò ad approfittare
dell’ospitalità di Rita.- sghignazza sincero.
Stefan
ride con lui. Uno sbuffo che non può evitarsi e che tradisce
il suo affetto.
Non ha mentito a Steve, sono entrambi più tranquilli a
sapere Brian con il
batterista e sotto il suo controllo. Stef posa la tazza sul
portapiatti,
osservando un momento le gocce che cadono e si raccolgono sul fondo
piatto
dello scolapiatti argentato. Richiude l’anta e si volta.
-…devo
andare, vero?- chiede Brian quando il silenzio tra i loro sguardi si fa
troppo
pesante.
Stefan
annuisce soltanto.
Brian
sospira, voltando attorno gli occhi ed osservando il cagnolino
affannarsi a
girare intorno al suo sgabello studiando il modo per cacciarlo fuori.
-Il
tuo cane mi odia.- notifica indicando la bestiola.
Stefan
non ribatte. Che lo pensi, se serve a farlo stare meglio.
Brian
stende le gambe davanti a sé e si lascia cadere
giù, mentre la cucciola si
sposta rapida per osservarne sospettosa i movimenti. Per tutta la
strada che fa
a ritroso verso il salotto, il cane lo segue insieme con Stefan, si
ferma a
spiarlo quando Brian si ferma ad infilare il cappotto, e poi si siede
di fianco
alla porta aspettando che esca.
-Ci
si vede, Stef.- saluta Brian.
Lui
apre il battente tenendolo aperto accanto a sé.
-La
prossima volta chiamami, per favore.- chiede nonostante sappia che
è inutile.
Ed
infatti Brian se ne va senza acconsentire alla sua richiesta.
Continuerà a
presentarsi lì a qualunque ora del giorno e della notte,
senza nessun preavviso
e senza nessun rispetto. Continuerà a farlo con
l’arroganza prepotente di un
bambino viziato. E sarà così fino a quando lui,
Stefan, non si sarà riabituato
ad averlo intorno e quelle apparizioni improvvise avranno smesso di
essere
motivo per desiderare di non essersi mai alzati dal divano.
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Capitolo 4 *** 4 ***
-Ti
piace?
-Ci
fa un freddo cane.
-Accendi
i
riscaldamenti!
-Ci
fa freddo lo stesso,
Alex.
-…vai
a dormire da Steve
allora, Brian, io ci rinuncio.
***
La
nicotina scivola in circolo. Unica droga concessa, ormai. A parte
l’alcool
certo. Ma almeno sul breve periodo la nicotina ha anche meno effetti
negativi,
e quindi se la concede con più facilità, con
maggiore spensieratezza.
Ad
esempio quando, come in quel momento, si sente troppo pieno, troppo
teso e
troppo pesante per continuare a restare seduto con gli altri in una
stanza
vuota, in cui l’aria è viziata dopo le ore che ci
hanno passato dentro e greve
per tutte le cose che aleggiano sopra la musica e che con la musica non
hanno
nulla a che fare. Stefan e Steve sono rimasti dov’erano,
attorno al tavolo e con
decine di fogli pasticciati davanti, stavano ancora parlando tra loro
dell’opportunità di scegliere tra l’una
e l’altra versione della canzone…cazzo!
non riesce nemmeno a ricordarne
il titolo.
Sbuffa.
Una nuvola piena e densa, l’ultima, che consuma
definitivamente il mozzicone
tra le sue dita. Lo osserva un po’, poi si decide e lo butta
oltre il muretto
su cui se ne sta a gambe incrociate, mentre già riflette
sull’opportunità di
accenderne un’altra.
Lui
in realtà ha smesso in fretta di ascoltarli. Ha provato un
paio di interventi
privi di alcun interesse reale, ha cercato blandamente di orientare la
discussione verso la soluzione che gradiva di più e poi
– quando Stefan ha reagito
zittendolo – ha preferito non soffermarsi
sulle implicazioni di un litigio ed è rimasto seduto in
silenzio per i dieci
minuti successivi, fissandosi la punta delle scarpe allungate davanti a
sé.
Quindi si è alzato ed ha annunciato che usciva a fumare.
Davanti
agli Studi la giornata è grigia e pesante anche lei. Fa
anche un po’ freddo e
lui rabbrividisce nel maglione troppo leggero e si pente di non aver
preso il
cappotto prima di uscire. Gioca con l’accendino e con il
pacchetto di
sigarette, fissando distrattamente il piazzale davanti al palazzo, un
gruppo di
tecnici passa spingendo un carrello colmo di casse di legno, parlano a
voce
alta e ridono forte. Sospira e sfila dal pacchetto un’altra
sigaretta.
-Ciao.
È
la voce di una donna. Non la conosce, per cui si volta a guardare e
cerca di
capire chi sia. Ma no, non la conosce davvero: bassa, carina, capelli e
pelle
scura, occhi scuri anche loro. Non bellissima, anzi…una come
tante. Molto
curata, però. La classica tipa alla moda,
l’aspetto ed il modo di fare della
donna rampante e sicura di sé.
Ah.
E poi asiatica. Almeno di origine.
-Brian
Molko, giusto?- s’informa lei con un sorriso che, quello
sì, è molto bello.
-…complimenti
per la perspicacia.- la deride lui lieve.
Lei
non si offende, ride con una sincerità spontanea che
è contagiosa.
Brian
sbuffa un sorriso anche lui, nonostante tutto.
-Tu
invece non hai idea di chi io sia, vero?- domanda lei avvicinandosi.
Brian
lascia trasparire la propria perplessità.
-Dovrei?-
ritorce.
-Non
esattamente.- ammette lei fermandoglisi di fronte ed allungando una
mano.-
Helena Berg.- si presenta.- Sono la nuova fotografa.- spiega quindi.
Lui
stringe la mano che gli porge.
-Mi
piacerebbe rispondere “Brian Molko”, ma mi sentirei
incredibilmente stupido.-
dice poi.
Helena
annuisce con una smorfia comprensiva.
-Sì,
suonerebbe stupido.- ne conviene.
-Piacere,
io.- articola a quel punto Brian con
convinzione e lei scoppia a ridere di nuovo e scioglie le dita dalle
sue,
accomodandosi sul muretto accanto a lui.
-Me
ne offri una?- s’informa intanto, indicando il pacchetto che
Brian tiene tra le
mani, così come la sigaretta già pronta
accomodata tra due dita.
Brian
esita un istante, poi le rivolge l’imboccatura stretta del
pacchetto e lei
afferra uno dei filtri con dita smaltate di rosso acceso.
-Grazie.-
sussurra intanto.
Lui
non risponde, accende per sé e poi per lei, che gli tende il
viso socchiudendo
gli occhi scuri e profondi.
No,
non è bella. Ma ha qualcosa che gli piace istintivamente e
che lo fa sentire a proprio
agio. Mentre Helena torna a raddrizzarsi al suo fianco, Brian si chiede
cosa
sia, distrattamente perché non è davvero un
argomento che possa interessarlo ma
è un argomento come un altro per tenere impegnata la mente e
non dover tornare
a concentrarsi sull’opportunità di filarsela via.
O
sulla necessità di non farlo e di tornare invece dentro a
cercare di concludere
qualcosa.
La
frustrazione di quelle sessioni inutili sta diventando intollerabile.
Si
accumula e lui comincia a sentirsene soffocare. Vorrebbe dirlo anche ad
Alex,
la sua pervicacia nell’imporre loro il prolungarsi di ore di
tortura è assolutamente
fuori luogo e controproducente…
-Non
pensavo che fossi un tipo così silenzioso.
La
fissa, riportando l’attenzione su di lei anche se il suo
sguardo – almeno
ufficialmente – non l’ha mai abbandonata, studiando
quel profilo dai tratti un
po’ troppo duri e spigolosi per una donna, che
però si accordano bene all’idea
di forza pacata che filtra da lei.
Anche
quello gli piace.
-Non
sono un tipo silenzioso.- ribatte, voltandosi per ricominciare a fumare
anche
lui.
Aspira
una boccata lunga, mentre lei ridacchia appena in modo insolente. Si
lascia
trasportare per un momento da quel suono, pensando che dovrebbe essere
infastidito dall’eccessiva dimestichezza che lei manifesta
nello stargli
accanto.
-Allora
sono fortunata.- lo deride Helena.
Brian
si lascia scappare un sorriso che rovinerà inevitabilmente
qualunque tentativo
di rimbrottarla. Ci rinuncia in partenza e le scocca solo
un’occhiata complice.
-Sì,
sei fortunata.- le concede malizioso.
-Ti
spiace se approfitto ancora un po’ della mia fortuna?-
ritorce Helena
storcendogli contro la sua stessa malizia in uno sguardo sottile e
penetrante.
Ma
ha gli occhi troppo fondi, si rende conto Brian, sono immancabilmente
sinceri e
vellutati in un nero intenso tra le ciglia lunghissime e scure. Non
riuscirebbe
ad ingannare nessuno con quella scorza costruita ad arte da donna in
carriera.
È troppo vera, troppo donna, per giocare con lui a fare la
ragazzina
intrigante.
Solo
che invece di dirglielo resta in silenzio ancora. E la fissa un
po’ sorpreso,
perché lo sorprende sempre il modo in cui le persone
mascherano se stesse solo
per essere smascherate dal proprio corpo. Allunga una mano in modo
involontario, le dita sfiorano la fronte della donna e scostano via una
ciocca
di capelli caduta in avanti sul volto, la agganciano dietro
l’orecchio
nonostante lei lo scruti senza capire, seguendo il movimento leggero
della sua
mano fino a che non torna a posarsi sul muretto, tra i loro corpi.
-Scusa.-
si affretta a farsi sfuggire Brian. E se ne pente subito,
perché lui non chiede
mai “scusa” e meno che meno quando è
palesemente nel torto come in questo
momento.
Ma
lei ride e si rimette dritta, rinunciando a continuare quel gioco di
sguardi e
battutine sottili ed insinuanti.
-Sei
molto bello.- dice invece senza nessun legame con il discorso
precedente e
senza guardarlo, aspirando una boccata dalla sigaretta accesa.
È
il turno di Brian di concedersi una risatina divertita, mettendo da
parte
quella punta d’imbarazzo che ha preso il sopravvento
nonostante tutto il suo
autocontrollo. Ma l’autocontrollo, del resto, sta andando a
farsi benedire
nell’ultimo periodo e, dunque, perché non godersi
gli effetti benefici di una
chiacchierata imbarazzante con una sconosciuta.
-Scommetto
che lo dici a tutti quelli che vuoi portarti a letto.- ribatte cattivo.
Lei
dovrebbe offendersi a questo punto.
Oppure
ribattere in modo allusivo, giusto per confermargli che sì,
portarselo a letto
non le dispiacerebbe. E Brian magari ci starebbe anche, e ne sarebbe
felice
perché una simile prospettiva la riporterebbe
nell’alveo delle “persone
comuni”, quelle con cui ha a che fare di
solito.
Invece,
potrebbe semplicemente stare al gioco e rispondergli allo stesso modo.
-Oh
beh, è ovvio no? E tu? Ci provi con tutti i fotografi nuovi?
Ed
in quel caso, magari, sarebbe più difficile limitarsi a
metterla da parte come
qualcosa di “già visto”.
-No.-
sbuffa buttando via anche il secondo mozzicone e guardandola.- Solo con
quelli
bruni e carini che abbiano meno di trentanni.
Lei
storce il naso.
-Trentacinque,
spiacente.- scrolla le spalle.
-Che
sfortuna, eh?- ride Brian.
-Che
vuoi farci, il destino.- sospira lei.
Brian
balza giù dal muretto, le allunga la mano per aiutarla a
scendere ma lei lo
ignora – fingendo di non accorgersene – e salta
giù accanto a lui nonostante i
tacchi alti e la gonna troppo stretta.
-Hai
detto di chiamarti Helena, vero?- chiede Brian mentre entrano
affiancati agli
Studi.
***
-Alex?
Posso salire?
Alex
Weston lo scruta attraverso il citofono, Stefan Olsdal non
può vederla ma
intuisce comunque la sua presenza oltre la videocamera. Un dito sfiora
il
pulsante che apre la cancellata, Stefan la spinge ed entra seguendo la
propria
voce, su per i fili metallici che la portano all’appartamento
della manager.
Alex
gli apre e già sorride, Stefan si piega a schioccarle un
bacio sulla guancia,
poi entra mentre la ragazza chiude la porta.
-Come
va?- s’informa lei tranquillamente.
-Pensavo
fossi furiosa.- ribatte il bassista senza risponderle.
Alex
sospira.
-Per
le registrazioni?- chiede, ma non ha bisogno che lui confermi.- Stef,
Vincent
mi aveva avvisato che sarebbe finita così, per cui diciamo
che mi aspettavo che
la bomba esplodesse già da un po’.
Lo
precede all’interno dell’appartamento, camminando
scalza sul parquet fino a
raggiungere la cucina. Recupera sulla soglia un paio di improbabili
ciabatte
rosa, due pattine con disegni di orsacchiotti e cuoricini stampigliati
su, che
fanno un adorabile pendant con i pantaloni larghi della tuta-pigiama
altrettanto rosa che Alex sfoggia.
-Dio,
sono un disastro!- realizza la donna con un altro sospiro, sconfortato,
lasciandosi cadere sul primo sedile disponibile.
Stefan
ride, raggiungendola anche lui dopo aver appeso il cappotto
all’ingresso.
-Sta
piovendo?- domanda Alex stordita, gettando un’occhiata alla
finestra.
-Non
ancora, ma le previsioni dicono che pioverà. Evita i tacchi
quando esci.-
consiglia lui.
Lei
gli punta un dito contro.
-Dovresti
rimproverarmi perché non ho decenza!- afferma seccamente.
Tira un lembo della
tuta indicandosi.- Dirmi che non è modo di presentarsi alla
porta!- rincara.
-Servirebbe
a convincerti dell’opportunità di stare in
tailleur anche in casa?- domanda lui
serafico, muovendosi con padronanza nella cucina per mettere su il
bollitore
del the.
-Stef,
che stai combinando?- sbotta lei girando su se stessa per metterlo a
fuoco
mentre apre sportelli ed ante della cucina.
-Rilassati.
Te lo meriti.- ridacchia lui continuando tranquillamente la propria
opera.
-Mi
merito un uomo!- ritorce Alex imbronciandosi.- Uno vero! Non voi tre
checche
isteriche!- protesta.- Uno che mi porti alle Maldive…E paghi
lui! E che mi
organizzi una festa tutta per me, per il mio compleanno, e mi regali un
diamante gigantesco chiedendomi di sposarlo…Ed invece sono
tutti gay! È come la
maledizione di “In & Out”!
Stefan
non le bada, lasciandola sproloquiare felice mentre la teiera inizia a
fischiare discretamente, la spegne e torna al tavolo con tazze,
cucchiaini,
miele e tisane.
-Steve
non apprezzerebbe questa generalizzazione.- fa notare sedendosi davanti
a lei.
-Steve
è l’unico che mi ami davvero.- annuisce Alex con
convinzione.- Ed ovviamente è
già sposato!
-Ovviamente.-
ammette Stef.- A questa età sono tutti sposati, gay
o…Brian.
-Quello
è tutto tuo!- strilla lei roteando gli occhi sconfortata.
Affoga il naso nella
tazza, pensandoci su un momento prima di riemergere e borbottare.-
Forse dovrei
proporre a Steve una relazione clandestina.
-No,
sarebbe un disastro.- confida Stefan.- Steve non è tipo da
relazioni
clandestine, è completamente assoggettato a sua moglie come
ogni etero che si
rispetti.
Alex
annuisce, ritornando ad affondare nella tazza per un po’.
-Come
stai?- ripete ancora quando emerge in via più stabile. Posa
la tazza davanti a
sé ed osserva Stefan fare altrettanto e stringersi nelle
spalle.- Brian ti ha
detto della casa?- domanda ancora.
-Sì,
ma è ok, tranquilla.- la rassicura lui brevemente.
-Beh,
lieta di sentirtelo dire, perché lui, tanto per cambiare,
è scoppiato!-
ridacchia debolmente Alex.- E sì che ha preteso un loft che
costa di affitto
quanto una piccola reggia…
-Davvero?-
chiede Stefan senza nessun interesse reale.
-Tanto
mica paga lui!- sogghigna Alex.
Stefan
si unisce ridendo, ma poi torna serio quasi subito.
-E
dorme ancora da Steve.- aggiunge al discorso della manager.
-Ti
ha chiamato per lamentarsi?- s’informa lei stringata.
-Avevi
dubbi? Uno rompe le scatole a te, l’altro a me.
Un’equa distribuzione.
-Ma
io ho anche te!- si lamenta Alex senza troppa convinzione.
Così che Stef non si
spreca ad offendersi e ribattere, ma registra la battuta e la lascia
cadere.-
Hai pensato alla possibilità di riprendere la terapia?-
indaga titubante.
Il
ragazzo scuote la testa, mettendo da parte quella
possibilità e la propria
tazza. Spinge entrambe fino al bordo del tavolo e le lascia
lì.
-Io
credo di stare bene, Alex.- spiega piano.- Non bene tanto da dirti che
non fa
più male,- specifica ricambiando il suo sguardo scettico.-
ma bene abbastanza
da potermela gestire.
-…preferirei
sentirti dire “bene abbastanza da avere un’altra
storia, con un’altra persona,
di cui sono follemente innamorato”. Allora sarei sicura che
non menti.- sospira
sconfortata la donna.- E preferirei ancora di più sentire
dire la stessa cosa a
Brian.
Stefan
si stringe nelle spalle. L’idea di Brian e qualcun
altro è un’ipotesi che non vuole
affrontare ancora, ma non lo dice ad Alex.
Così come non le dice che non crede di essere pronto nemmeno
lui a sostituire
Brian con qualcun altro che non sia
Abba e la sua presenza silenziosa.
***
“Eppure
il mondo si ostina a camminare sui propri binari senza mai considerare
i nostri
desideri”.
Stefan
lo pensa in un lento flashback che lo riporta con la mente ai pensieri
che solo
il giorno prima nascondeva ad Alex, seduto nella sua cucina davanti a
lei –
così come ora è seduto nella propria cucina
davanti a lui.
Vincent.
Poi
però la mente sfila avanti veloce, riduce al minimo le
distanze che separano il
filo dei due ragionamenti e le due situazioni che li hanno prodotti.
Così
ricostruisce quell’incontro che di casuale non ha mai preteso
di avere nulla,
in cui lui torna a casa, infila le dita nella tasca del cappotto e
cerca le
chiavi sul fondo della stoffa. E quando alza lo sguardo non
è da solo, perché i
suoi occhi incrociano quelli chiarissimi di Vincent, che gli sorride
fermo
davanti al portone del palazzo, in una posa che è quasi
speculare con le mani
affondate anche lui nelle tasche.
-Ciao.-
lo saluta in modo piano.
Stefan
resta in attesa. Non sa cosa rispondere, accenna con il capo per
ricambiare il
saluto ma non parla lo stesso.
-Sì,
lo so.- ridacchia il ragazzo più grande a quel punto- Non ho
nemmeno un valido
motivo per essere qui.
-…io
non l’ho detto.
Il
resto ha il sapore di un film di quelli dalla trama scontata, che
guardi al
cinema solo perché passano per film
“d’autore”, cervellotici, di quelli in
cui
si mettono a nudo i sentimenti e poi finisce che nude ci restano solo
le
meschinità. Stefan non li ha mai sopportati quei film, i
loro luoghi comuni gli
danno la nausea, la loro presunta intelligenza da salotti socialmente
impegnati
è disgustosa, ma ci si ritrova dentro ugualmente e quindi si
attiene al
copione.
Lo
invita a salire. Vincent accetta di prendere un caffè
assieme. Il silenzio
sembra carico di aspettative mentre l’ascensore li accompagna
al piano e li
abbandona lì. Le chiavi nella toppa fanno un rumore discreto
e la porta si apre
sul salotto.
…l’arrivo
scodinzolante di Abba dalla cucina riempie la scena con un diversivo
più vero e rompe la
monotonia della
pellicola.
-E
questa?- s’informa Vincent con una nota genuinamente umana
nella voce.
-Abba.-
presenta Stefan sorridendo.- Ribattezzata di recente Pongo ad opera di
Brian.-
aggiunge poi divertito.
Ma
quando si siedono intorno al tavolo e tra le chiacchiere – “sai che scherzavo quando ti ho detto di
prenderti un animale?!” -
ed il caffè viene fuori quella confessione un po’
innocente ed un po’
sinceramente imbarazzata, il sapore di pellicola torna di nuovo e
Stefan
riavvolge il nastro dei propri pensieri, considerando che il mondo si
ostina
davvero a tentare di smentire ogni nostro proposito.
-Non
ti sto chiedendo nulla, Stefan.- si sente in dovere di specificare
Vincent
nonostante lui lo ascolti solo in parte e, comunque, non abbia detto
niente.
Era
solo ieri che ammetteva con se stesso di non essere affatto pronto alla
prospettiva di andare avanti, di superare Brian per gettarselo davvero
alle
spalle.
-Mi
rendo conto che una situazione come quella che si è venuta a
creare tra
noi…l’inevitabile…intimità
di un rapporto tra terapista e paziente pregiudica
qualunque tua decisione di approfondire la conoscenza in altro senso.-
spiega
Vincent suonando quasi professionale mentre analizza i propri
sentimenti ed i
suoi.
Era
solo ieri che si diceva che l’idea di avere qualcun altro
riusciva a
terrorizzarlo. Quasi quanto l’idea che fosse Brian ad avere
qualcun altro…
-Ma
credevo che fosse giusto…- ci ripensa – corretto,
nei tuoi confronti e nei
miei, dirti le cose per come stanno davvero.
“E
stanno davvero nel modo
più sbagliato
in questo momento”.
-…ho
scelto Abba perché era la cucciola più brutta del
negozio e mi sono detto che
nessuno l’avrebbe comprata.- afferma laconico Stefan, quando
abbassando gli
occhi si ritrova davanti il cagnolino scodinzolante che fa le feste al
suo
ospite.
Vincent
segue il suo sguardo, incocciando anche lui negli occhi fondi
dell’animale. Le
sorride.
-I
bulldog sono cani molto affettuosi.- dice.
-Sì.
La proprietaria del negozio mi ha detto che sono anche possessivi. Che
non
accettano gli estranei e, anche quando è il padrone ad
invitarli in casa, si
dimostrano diffidenti.- ricorda Stefan.
Abba
si arrampica sulla gamba di Vincent, tende le zampe tozze per
raggiungere il
suo ginocchio, che è troppo in alto per lei. Vincent le
avvicina la mano per
aiutarla ed accarezzarle il muso.
Ci
sono almeno un migliaio di risposte possibili nella testa di Stefan
mentre
osserva Vincent giocare con la cucciola. Hanno tutte a che fare con lo
stesso
concetto, peraltro. Ma siccome non riesce a sceglierne nessuna, Stefan
preferisce lasciar perdere e non porsi nemmeno le domande. Che siano
più o meno
implicite nel discorso razionale che Vincent ha esposto con tanta cura.
Spera
che neanche lui torni a porle, perché in quel caso ignorarle
sarebbe inutile ed
un risposta dovrebbe sceglierla per forza.
***
Respira.
Prende
fiato, riempie i polmoni, lo trattiene. E poi espira.
Lo
ripete dieci, venti, trenta…un migliaio di volte.
Lo
ripete con la stessa tempistica studiata. Meccanicamente, ma
razionalmente.
S’impegna a farlo diventare qualcosa di volontario. Lo
trascina anche se sente
i polmoni bruciare. Ed alla fine non espira affatto, trattiene
l’aria e si
lascia scivolare giù nell’acqua.
Conta.
I
secondi scanditi mentre osserva le mattonelle che ricoprono il bordo
della
piscina.
Conta
e non lo sta facendo coscientemente, quello no. Respirare
sì, contare no. Le
mattonelle si riempiono di immagini traslucide come la vernice che
ricopre il
cotto. Il ricordo del video di “36 Degrees”, loro
tre che provano per ore e fa
un freddo cane. Lui che protesta, si annoia, stare bagnato tutto quel
tempo lo
infastidisce ed alla fine gli manca il fiato per davvero a buttarsi in
acqua e
trattenerlo sotto la superficie. Il manager che lì seduto
sul bordo della
vasca, lo rimprovera, gli dice di piantarla di fare il ragazzino. Brian
alza un
dito e gli fa un segno osceno in cambio, Stefan ride e lo afferra di
colpo, per
trascinarlo via mentre l’uomo inveisce a voce alta ed il
regista si lamenta, lo
spinge sott’acqua ancora una volta e Brian quasi affoga, si
dimena liberandosi
e riemerge sputando il sapore di cloro che gli invade la bocca.
“Vaffanculo,
Stef!”, strilla inseguendolo nella vasca.
Le
mattonelle diventano opache, lo sguardo si vela e Brian spinge con i
piedi sul
fondo della piscina e si tira su di colpo, riemergendo e tirando il
fiato nello
stesso istante.
-Tentavi
di affogarti o ti stai allenando per le Olimpiadi?- chiede una voce
irriverente.
-Affogarmi.-
ammette lui senza nemmeno voltarsi.
Nuota
fino al bordo, in uno sciabordio silenzioso che la risata sottile di
lei copre
del tutto. Raggiunge la parete e si tira su a braccia, sedendo sul
parapetto
basso e fissandola da lì, l’acqua a separarli.
-Ciao,
Helena.- riconosce a voce alta.
-Ciao,
Brian.- lo saluta anche lei, camminando per raggiungerlo.- Altri
programmi per
stasera? Dopo che ti sarai ucciso intendo.
-Nah.-
scrolla le spalle lui.- Non lo trovi abbastanza impegnativo?-
s’informa.
Lei
ride ancora e si ferma davanti a lui, mani sui fianchi e sguardo
luminoso. Come
sempre.
Ci
si lavora bene con Helena, è una delle poche con cui in
effetti Brian riesce a lavorare
bene in questo periodo.
Quando lui ha qualcuno dei suoi attacchi di isteria da star, lei lo
deride
senza pietà e lui finisce per ripescare dal fondo in cui si
è cacciata la vena
di sarcasmo cinico che lo contraddistingue nei suoi momenti brillanti.
Così si
è creata una certa intesa, fatta di una
complicità affatto educata e basata su
un mix cattivo e tagliente di dialoghi al vetriolo, ammiccamenti che
non sono
davvero tali e discorsi arguti su argomenti futili.
Piacevole.
Permette
a Brian di ritrovare un “io” decisamente migliore,
che non lo fa stare “bene”
nel senso pieno del termine, ma lo fa stare abbastanza bene da potersi
concedere di dimenticare le scene madri, i drammoni melodrammatici ed i
più o
meno concertati tentativi di far impazzire le persone intorno a
sé.
-Beh,
se non hai altri programmi, allora te ne propongo uno io.- gli spiega
intanto
Helena. Brian si limita a continuare a gocciolare con pacata
indifferenza, in
un ticchettare costante che a soffermarcisi su sarebbe irritante ma
così di
sottofondo è quasi gradevole. La guarda ancora e lei gli si
accuccia di fianco
per poter ricambiare il suo sguardo senza approfittare della posizione
di
inevitabile predominio che ha dall’alto.- Bisognerebbe dare
un’occhiata ai
provini che abbiamo scattato, Alex vorrebbe avere entro sabato gli
scatti
definitivi e siamo un po’ indietro con il lavoro.
-…il
tuo concetto di programma è chiedermi di lavorare fino a
tardi stasera?-
arguisce lui contraendo il viso in un accenno di smorfia per evitare di
ridere.
Helena
si accorge di quelle manovre e capisce che il tono quasi arrabbiato con
cui
glielo ha chiesto è una finzione. Scuote il capo, tentando
anche lei di
nascondere un sorriso e di suonare minacciosamente seria.
-Non
sono abituata a lavorare di fretta e male, Sig. Molko.- lo informa
seccamente.-
Sembra invece che lei e la sua band non abbiate idea di cosa sia
comportarsi in
maniera professionale.- asserisce quindi, fissandolo con espressione
severa.
-Vero.-
ammette lui senza problemi, voltandosi per fissare la superficie
immobile della
piscina.
Oltre
le vetrate il cielo si sta oscurando in fretta, segno che si sta
davvero
facendo tardi; appena considera l’orario Brian sente
improvviso ed inaspettato
un senso pieno e stuzzicante di fame. Sono giorni che non mangia
decentemente,
ragiona subito dopo.
-E
se lo proponessi io, un programma?- si ritrova a domandare
irrazionalmente. Lei
lo fissa interrogativa, in attesa, e Brian non si da il tempo di
pensare e
prosegue- Cena con me.- butta fuori d’un fiato.
Helena
sgrana gli occhi. Brian volta la testa di nuovo e se ne accorge. Ma poi
lei
ride, in modo istintivo e coinvolgente come sempre e lui arrossisce e
si sente
molto stupido.
-Cos’è?-
chiede lei indisponente, smettendo di ridere solo per affrontare il suo
disagio
imbarazzato. Brian distoglie gli occhi di scatto e finge di sistemarsi
a sedere
sul parapetto della piscina, saltellando irrequieto sulle braccia.- Una
specie
di invito?- indaga Helena maliziosamente.- Non ti capita molto spesso
di
invitare fuori una donna, vero?- sghignazza quando lui annuisce appena,
quasi
di nascosto.
Brian
borbotta qualcosa e lei solleva le sopracciglia per fargli capire che
non ha
sentito. Lui sospira e ripete ad alta voce.
-Ad
essere onesti, no.- ammette quindi.- Al liceo ero troppo sfigato per
uscire con
qualcuno e dopo non è che abbia avuto molte occasioni per
dover essere io ad
invitare una donna ad uscire, di solito mi si buttano addosso da
sole…
-Sbruffone!-
esclama Helena tirandogli una manata così forte da
rispedirlo dritto in acqua.
Si solleva di scatto per evitare gli schizzi e ride, fissandolo
dall’alto.-
Comunque sei un disastro.- lo informa quando Brian riemerge, scuotendo
la testa
per liberarsi dall’acqua.
Lui
si avvicina nuovamente al bordo, posando su le braccia ed alzando gli
occhi a
cercare quelli della ragazza.
-Allora?-
chiede.- Accetti?
-Meglio
che lavorare tutta la notte.- annuisce Helena divertita.-
Però domattina
guarderai i provini con me.- ordina poi puntando un dito.
-Se
mi porterai caffè e ciambelle.- ritorce lui sorridendo.
Nota di fine capitolo:
Mi sembra veramente poco educato continuare a non ringraziare chi legge
la storia e la commenta! >_<
Per cui, chiedo scusa a Stregatta e Chemical Kira per non averlo fatto
prima e le ringrazio per i commenti che ci hanno lasciato
ç*ç
Ringrazio anche tutti coloro che hanno letto e leggeranno la storia ^_^
E mando a tutti un bacione da parte dell'Easily
MEM
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Capitolo 5 *** 5 ***
-Ciao,
Stevey. Hai del
tempo per me?
-Alex?!
Che succede,
piccola?
-Mah,
Stef è sparito,
Brian è irrintracciabile e nessuno sembra avere
più bisogno di me…Ci si sente
soli quando succede così all’improvviso!
***
-Caffè.-
annuncia Helena posando i bicchieri di Starbucks. Una busta di carta
colorata
segue subito dopo ed occupa quasi interamente il suo spazio visivo,
Brian
sorride e smette di scrivere, spingendo da parte carta e penna.- E
ciambelle.-
completa la donna, lasciandosi cadere a sedere di fronte a lui subito
dopo.
Agita una cartelletta scura che posa con un colpo deciso sul tavolo.-
Provini.-
aggiunge in tono intimidatorio.
Brian
ride.
-Sì,
immaginavo che non si mangiasse anche quella.- sogghigna.
Helena
si scioglie dalla giacca, liberandosene con gesti impacciati mentre il
brunetto
infila risolutamente il naso nel sacchetto di carta.
-Sembrano
deliziose.
-Sì,
ma non sono opera mia.- confessa Helena, aprendo la cartelletta davanti
a sé.-
Ho incrociato Alex, le ha comprate lei per te ed i ragazzi. Dice che
mangi
poco, le ho risposto che ieri sera non mi è parso proprio.
-Le
hai detto che siamo usciti assieme?- realizza Brian in tono piano
tirando un
morso alla ciambella.
-Noi
non siamo usciti assieme, Brian!-
esclama Helena scartabellando nervosamente tra le foto.- Non nel senso
in cui
la stai mettendo adesso, quanto meno.
-Quale
senso?- finge di non capire lui.
Helena
sospira e tira fuori gli scatti, appoggiandoglieli sul tavolo
perché lui possa
sfogliarli.
-O.k,
ora non toccarli, li giro io. Altrimenti li sporchi.- ordina ignorando
volutamente l’ultimo scambio di battute.- Tu dimmi solo quali
ti piacciono e
quali dobbiamo rifare.
Brian
non ribatte, allunga una mano ad afferrare uno dei bicchieri di
caffè e se lo
porta affianco.
***
Vincent
valuta che, nonostante tutto, questa amicizia con Stefan non
è affatto
spiacevole.
Nonostante
tutto.
Perché
al momento è solo questo: un’amicizia. Una cosa
molto più informale del
rapporto di lavoro che esisteva quando il ragazzo era in cura da lui,
una cosa
molto più soft e con meno difficoltà
comunicative. Man mano che le cose vanno
avanti, che il tempo passa ed il rapporto si approfondisce su quelle
nuove
basi, Vincent acquista mezzi per capire meglio ciò che lega
il bassista e l’ex
ragazzo. La natura della relazione tra i due, che aveva colto sotto una
sfumatura meno personale e più fredda nelle lunghe ore
passate allo Studio, ora
gli appare sotto la luce molto più intima delle confessioni
fatte ad un amico.
Stefan si mostra in tutta la debolezza che la cicatrice di Brian ha
lasciato,
ed è una cicatrice profonda, che lo segna in un modo
difficile da superare. Per
certi versi, ciò che aveva solo intuito – la
volontà di Stefan di non
allontanarsi davvero, di non perdere completamente Brian e
l’eredità della loro
storia assieme – diviene una realtà concreta,
fatta della consapevolezza che
Brian è un’ossessione per l’altro, un
qualcosa che continua ad essere vivo e
presente in modo intollerabilmente vivido.
Stefan
ama ancora Brian. Ma se si tratta di una verità che a
Vincent non è mai
sfuggita in tutti quei mesi di conoscenza, solo ora riesce a coglierne
appieno
il significato. E riesce a capire che per quanto lui – o chiunque per lui riuscirà ad occupare,
alla fine, il posto lasciato
vuoto da Brian – possano ottenere
l’affetto di Stefan, Brian non potrà
essere dimenticato, non sarà superato e non potrà
“scomparire”.
Per
assurdo, la consapevolezza di tutte queste piccole scoperte non
rappresenta per
Vincent un vero motivo per lasciar perdere. Razionalmente sa che si
tratta di
storie pericolose, che partono da presupposti sbagliati ed il cui
trascinarsi
inevitabilmente rovina la vita di tutti coloro che sono coinvolti, ma
tutto ciò
che scopre di Stefan invece di convincerlo
dell’opportunità di allontanarsi da
lui, finisce per avvicinarglielo. In tutti i suoi errori consapevoli,
in tutte
le sue debolezze così umanamente accettate, con tutti i
limiti che l’altro non
prova neppure a nascondere o dissimulare, Vincent trova Stefan qualcosa
di
assolutamente ammaliante, da cui non riesce a staccarsi.
Qualcosa…qualcuno per cui
vale la pena almeno di
provare.
Così
si ostina anche lui a mettere da parte la natura reale dei propri
sentimenti. E
si ostina a reimparare il proprio ruolo, ad assumere quello corretto di
amico e
confidente, appunto. Lo fa in modo sincero, perché sa che
Stefan ha bisogno di
questo e lui non vuole in alcun modo aggiungere sbagli ad altri
già fatti.
E
del resto, sa bene che è meglio così per entrambi.
Stefan
gira lo sguardo intorno. Il locale è immerso in una penombra
fatta di luci blu,
basse e posizionate in punti strategici. È un posto di
classe, in cui la musica
jazz si diffonde ad un volume contenuto, idoneo a permettere la
conversazione
al tavolo e sufficiente a coprirne il senso per coloro che sono seduti
agli
altri. È uno dei posti preferiti di Vincent, Stefan lo sa
perché è anche uno
dei primi posti dove lui lo ha portato quando gli è toccato
“scegliere il
locale”. Così ha scoperto che a Vincent piace la
musica jazz, oltre che quella
classica, che di rock non sa nulla – ma questo lo ha scoperto
quando è stato il
suo turno di introdurlo negli ambienti del proprio
“giro” - ed ha riso non poco
nel vederlo fronteggiare con eleganza gaffe imbarazzanti con colleghi
perplessi. Ha scoperto anche che gli piace ascoltare la musica dal
vivo, in
posti come quello, suonata da persone che la musica la sanno fare
davvero e la
vivono in un modo quasi religioso, mistico e ragionato. Non gli
è dispiaciuto,
anche se non era il suo mondo ci si è trovato bene quasi
subito.
-A
cosa pensi?
È
una domanda ma suona comunque male, perché Vincent la
accompagna con un sospiro
quasi esasperato che induce Stefan a smettere per un momento di
girovagare con
gli occhi sulle persone chine nella penombra e bisbiglianti in tono
accorto.
Gli getta un’occhiata per studiare il suo viso ed accertarsi
che non sia
davvero così arrabbiato, stufo e deluso quanto gli sembra da
quelle poche
sillabe.
Ma
Vincent non lo è. È solo sinceramente
preoccupato, perché Stefan questa sera è
più silenzioso del solito – e
già di
solito ci sono volte in cui fatica a strappargli di bocca qualche
parola onesta
su quello che gli passa per la testa. E lui ha paura di
scoprire i motivi
di questo silenzio così profondo e raccolto.
-Nulla
di importante.- ribatte invariabilmente il bassista, allungandosi verso
il
tavolino tra loro per prendere il bicchiere alto in cui riposa il suo
cocktail.
Si
bagna le labbra per prendere tempo, mentre Vincent increspa la fronte
in
un’immagine evidente del proprio scetticismo e decide se sia
il caso di farsi
più insistente e provare a varcare le difese del suo
naturale riserbo. Stefan
abbassa lo sguardo sul contenuto del proprio bicchiere, studia le
sfumature che
prende nel blu del locale e così s’impedisce di
soffermarsi a valutare
l’espressione interrogativa del proprio interlocutore.
-È
successo qualcosa con Brian?- prova ad indagare il ragazzo
più grande.
-No,
anzi.- si affretta a rispondere Stefan. Con esagerata sollecitudine per
non
destare sospetti. Abbassa il bicchiere sul tavolo producendo un suono
educatamente misurato.- È tutto a posto ed il lavoro ha
ricominciato a
procedere speditamente.
-Davvero?-
s’informa Vincent con falsa cortesia.
-…sì.-
rincara Stefan meno convinto di prima.
Ed
il fatto che continui a non guardarlo, preferendo affondare
l’attenzione degli
occhi castani tra le pieghe e le grotte che scava nel ghiaccio con
l’estremità
della cannuccia, da il senso esatto della menzogna che gli sta dicendo.
-Allora
magari è proprio questo il problema.- sussurra Vincent quasi
casualmente.
La
frase cade tra loro con pesantezza. Si schianta tra i pensieri di
Stefan
obbligandolo a prenderne coscienza ed a sospirare rumorosamente, mentre
Vincent, paziente come sempre, si sistema nella propria poltrona, posa
il capo
sul pugno chiuso ed aspetta.
-Non
lo so.- mormora il bassista con difficoltà- Credevo
onestamente che una volta
che avesse smesso di darmi il tormento saremmo stati entrambi
meglio…
-Ma
ora ti manca davvero.- completa per lui Vincent. Stefan lo guarda e non
conferma. Ma non smentisce nemmeno.- Prima, nel bene o nel male, ce
l’avevi
sempre attorno. Ti esasperava perché dovevi resistere alla
tentazione di
toccarlo, baciarlo, tornare a fare l’amore con
lui…Ora però non sai cosa gli
passa per la testa, cosa vuole…se stia ancora pensando a
te…
-Non
sta affatto pensando a me.- butta fuori Stefan con maggior amarezza di
quella
che avrebbe voluto concedersi. Ed anche con maggiore asprezza. Respira
a fondo,
rendendosi conto del senso esatto delle proprie parole e del tono
usato, e poi
spiega- Quando parliamo è solo di lavoro. Sembra che mi
eviti volutamente,
cerca di non restare mai solo con me, quando siamo rientrati agli Studi
lunedì
non mi ha neppure chiesto come fosse andato il weekend….
-E
lo fa solo con te, immagino.
-Se
lo facesse anche con Steve ed Alex penserei solo che non
gl’importa, che ha
altro per la testa. Ma fino a qualche giorno fa sembrava che io non
potessi
fare un passo senza dovergli in qualche modo rendere conto ed adesso
è
assolutamente assente…!
Vincent
sorride, Stefan ricaccia in fondo alla gola il resto della frase,
perché si
rende conto di aver alzato la voce e si rende anche conto del fatto che
ammettere così quanto quella cosa lo ferisca non serve a
nulla se non a dargli
l’esatta misura di come Brian sia ancora una presenza
costante che gli avvelena
il sangue. Sospira, afflosciandosi sulla sedia, come sgonfiandosi,
lascia
ricadere le braccia inermi lungo i fianchi e ricambia lo sguardo
affettuoso di
Vincent.
-Te
lo dico onestamente, Stefan.- mormora lui in modo pacato.- Hai solo due
strade
davanti a te in questo momento: puoi cominciare davvero a dimenticarti
di
Brian, oppure ammettere con te stesso e con lui che hai fatto un errore
e
tornare da lui.
Sa
che non dovrebbe essere così schietto. Che Stefan in questo
momento è
tragicamente fragile, che rigettarlo – o rischiare di farlo
– tra le braccia di
Brian è immensamente semplice ed allo stesso tempo
immensamente pericoloso.
Perché Stefan non ne uscirebbe illeso e Brian non
è in grado, al momento, di
mettere in piedi con chicchessia una relazione adulta e matura.
La
cosa logica sarebbe che lui provasse a separarli davvero.
E
sarebbe logico per aiutare Stefan, certo. Per fare in modo che si
liberi del
tutto dalla schiavitù di un amore finito e tragicamente
ingombrante ed
oppressivo.
Ma
sarebbe logico anche per se stessi. Egoisticamente logico.
Perché in un momento
in cui Stefan è fragile ed ha bisogno solo di prendere le
distanze da sé e
dalla propria vita, è facile e logico riuscire a trovare un
posto in cui
accomodarsi all’interno di quelle macerie e metterci radici
per offrire un
riparo confortevole.
Vincent
vaglia tutte queste considerazioni. Lo fa nel silenzio che segue a
quell’ultimo
scambio di battute, il silenzio in cui finiscono di bere e lui chiama
una delle
ragazze che servono ai tavoli per chiederle il conto, pagare ed uscire.
La
musica di sottofondo resta nel locale, sostituita dal rumore
altrettanto
artificiale ed altrettanto piacevole della brezza nel parco di notte e
del
fruscio delle foglie. Il jazz-bar non è lontano da casa di
Stefan, lui gli
chiede in tono sommesso se gli vada di accompagnarlo a piedi e Vincent
annuisce. Ha la macchina lì vicino, tornerà a
prenderla dopo con comodo.
Attraversano il parco nello stesso silenzio, mentre le riflessioni
prendono il
medesimo corso della sonnolenza torpida del liquore.
Vincent
considera che in fondo lui non deve nulla a Brian.
Magari
deve qualcosa ad Alex. In nome di una vecchia amicizia fatta di
complicità e
comprensione.
Ma
non deve niente nemmeno a Stefan. Se non nella misura in cui si concede
di
essere una persona onesta.
E
pensare a tutto questo ridimensiona le considerazioni che hanno
occupato la sua
mente nel bar, le preoccupazioni per la vita degli altri. La sua di
vita ha un
corso proprio ed è già difficile da seguire, ed
in fondo lui, nel momento in
cui ha ammesso con Alex e con Stefan di non poter continuare a svolgere
il
proprio lavoro, ha esaurito anche gli obblighi connessi con la propria
onestà.
Così
quando si fermano sotto il portone e Stefan tira fuori le chiavi di
casa, tutta
quell’assurdità senza senso ha preso un gusto
molto più vago. Torpido proprio
come il liquore, ma altrettanto saporoso.
-Ti
va di salire?- domanda il ragazzo più giovane.
E
Vincent si risponde che la cosa giusta da dire è
“no”. Ma sa anche che la
risposta sincera, quella che tirerà fuori, è
diversa.
Ed
in fondo, lui a Brian non deve nulla.
Ed
a Stefan dovrà qualcosa solo nella misura in cui
avrà sbagliato davvero.
….però…ora
come ora non lo sa, se sia un errore dire di
“sì”.
***
-Si
vede che hai fatto già un corso di fotografia…
-Sai
che pensavo di non ricordare niente!
-Mah,
generalmente è difficile dimenticare cose meccaniche come
questa. Adesso però
stai attento, ché se lasci l’obiettivo troppo
aperto finisci per bruciare la
pellicola.
Steve
sospira e tira dentro il viso. Le figure di Brian ed Helena –
in piedi sulla
terrazza, macchine fotografiche alla mano e Londra ai propri piedi
– scompaiono
oltre il parapetto della finestra e lui si volta alla porta mentre
questa si apre.
Alex
entra ed intercetta l’occhiata perplessa del batterista, un
momento prima che
lui la faccia sparire dietro un più consono grugno burbero.
-…Steve?-
lo interroga la donna, ferma sulla soglia.
Lui
finge di non capire. Si siede al tavolo, preleva una rivista musicale a
caso
dal ripiano di cristallo ed inizia a sfogliarne con interesse le
pagine, mentre
alza i piedi sul piano ed il viso sulla donna.
-Cosa?-
ritorce rispecchiando nella voce il medesimo grugno burbero che ancora
sfoggia.
-Non
me la racconti giusta.- afferma Alex avanzando verso di lui, mani sui
fianchi e
sguardo attento.- Cosa stavi guardando?- chiede quindi, sollevando
quasi nello
stesso momento l’attenzione sulla finestra.
Mentre
lei avanza da quella parte il batterista sospira e si tira
frettolosamente in
piedi.
-Alex…-
prova ad intervenire in tono preoccupato.
La
donna non ha bisogno di affacciarsi: la risata di Brian e quella
piccola e
cristallina di Helena risalgono la parete degli Studi, infilandosi di
prepotenza dentro la stanza, e le strappano un sorriso spento. Si
appoggia al
davanzale, tirando fuori la testa anche lei per vederli, poco sotto,
confabulare tra loro. I capelli scuri di Helena si agitano al vento,
sfiorano
il volto di Brian e quando lei prova a raccoglierli indietro loro
ricadono
ancora in avanti, in un abbraccio quasi intimo…
-Sono
carini.- sussurra la manager al batterista dietro di sè.
-…salvo
il fatto che Stefan ci starà uno schifo appena li
vedrà…- borbotta Steve,
sporgendosi anche lui a guardare giù.
Lei
si volta, si stringe nelle spalle e poi scuote la testa leonina.
-Stefan
ha un altro.- confessa.
Steve
la guarda. Alex riavvolge nella propria testa la telefonata del giorno
prima
con Vincent: lui le ha detto che le cose con Stefan sono cambiate, da
un paio
di settimane, non di più, ma adesso sono una coppia.
Le
ha anche detto che Stefan ama ancora Brian e solo lui.
-Non
stupirti così!- sbotta tirando una manata alla spalla del
batterista, che non
fa una piega ed incassa il colpo senza subirlo affatto.- Sai che a Stef
non
piace parlare dei fatti propri.
-Brian
lo sa?- s’informa Steve.
-Certo
che no.- risponde lei facendo spallucce.- E sarà meglio non
dirglielo al
momento.
-Ma
lui ed Helena…-mormora Steve indicandoli, come se questo
fosse già esaustivo.
Alex
torna a guardare nella direzione di quella mano e poi sussurra solo.
-Sono
amici e basta, Steve.
***
Helena
sfoglia le fotografie con una riverenza quasi maniacale. Sì,
perché la sua è
riverenza e non semplice accortezza. Cura del particolare ma anche cura
del
mezzo espressivo. Guardare le sue dita, le unghie perfette che sfiorano
la
superficie lucida della stampa fotografica è quasi
ipnotizzante. Quando
picchiettano sul piano laccato, quelle stesse unghie producono un suono
ticchettante, indice del suo nervosismo e della stanchezza che si
accumula
intorno agli occhi cerchiati di scuro. Il trucco si è
sciolto, sbavando
sull’angolo dell’occhio, Brian la guarda senza che
lei se ne accorga e pensa
che è presumibile che anche il trucco intorno ai suoi di
occhi abbia avuto la
stessa sorte: la matita si sarà allungata fin quasi a
sparire ma avrà lasciato
una macchia appena più scura, un alone buio che affonda lo
sguardo e lo rende
più fosco, e tira le rughe che il sonno disegna attorno al
viso…
-Dovremmo
piantarla qui.- sbotta all’improvviso, scostando da
sé le stesse foto che la
ragazza muove con attenzione.
Lui
di attenzione non ce ne mette affatto ed osserva invece Helena mentre
si
affaccenda per raccogliere gli scatti ed evitare che i suoi gesti
bruschi li
sciupino irrimediabilmente.
-Sono
stanco.- protesta intanto Brian.
Lei
sospira ed inizia a raccogliere tutto nella cartelletta di pelle che
porta
sempre con sé a questo scopo.
-Sono
stanca anch’io, Brian, ma domani questa roba deve andare in
stampa…- spiega con
pazienza.
-Non
ce la faccio a restare concentrato ancora, Helena!- esclama lui
esasperato,
interrompendola solo per lasciarsi andare in avanti sul tavolo e
sollevare le
mani a strofinare gli occhi arrossati dalle ore passate al chiuso negli
Studi.-
Non avresti dovuto vedere con Alex queste cose? Perché tutto
deve passare per
me?!- afferma arrabbiato.
-Perché
tanto alla fine se non sta bene a te non se ne fa nulla.- ritorce lei
stizzita.
Armeggia con la borsa, cacciando i provini, al sicuro nella
cartelletta, tra le
pieghe pesanti della pelle marcata. Roba di lusso, pensa Brian
distrattamente
mentre osserva le borchie firmate sui lati e sulla chiusura dorata.
Respira a
fondo, prendendo fiato per tentare di mantenere viva la concentrazione
ed
evitare di dire sciocchezze per via della stanchezza, Helena parla
ancora e lui
si concentra su quello che sta dicendo.- Alex pensava che
coinvolgendoti nel
processo decisionale si sarebbero potute evitare inutili perdite di
tempo.- sta
dicendo lei nello stesso modo piccato, litigando inutilmente con la
borsa che
non vuole accogliere e custodire il lavoro di giorni…- Se
dobbiamo mandare alla
produzione, poi far tornare indietro i provini per farli vedere a
quelli della
redazione e poi comunque aspettare che tu ci dica se possiamo mandare
in
stampa…
-Alex
vuole solo che io tenga la mente impegnata- la interrompe Brian atono.
Helena
lascia perdere. La borsa si apre di nuovo mentre lei sospira sconfitta
e si
volta, le foto e la loro custodia semirigida ricadono sul piano del
tavolo e
lei tira indietro i capelli la cui piega ormai è
praticamente disfatta e si
volta a ricambiare stancamente lo sguardo apatico dell’uomo
di fianco a sé.
Spalle all’indietro, la donna si abbandona contro la
spalliera della sedia e
punta gli occhi sul ripiano laccato.
-Riprendiamo
domattina presto…
-Helena,
io mi rifiuto di alzarmi all’alba dopo che
stasera…- inizia precipitosamente
Brian.
-…finiamo
per ora di pranzo, mandiamo tutto alla redazione entro le
tre…
-È
una cazzata grossa come una casa pensare che in due possiamo fare il
lavoro che
dovrebbe fare un intero team di persone!- ringhia il bruno inferocito.
-…alle
cinque massimo è tutto in stampa e per la presentazione di
dopodomani siamo a
posto.
-Volete
per caso ammazzarmi per liberarvi di me?!
Nel
silenzio fastidioso che si allarga, le poltrone di pelle scricchiolano
quasi
all’unisono mentre entrambi si muovono a disagio alla ricerca
di una posizione
maggiormente confortevole. Ma il fastidio che tira sotto la cute non
accenna a
diminuire nonostante quelle scossette educate di assestamento ed
entrambi si
concedono sbuffi esasperati che si diffondono nell’aria in
successione asimmetrica.
Si
guardano. Un sorriso identico, ugualmente stanco e frustrato si allarga
sui
volti di tutti e due, rispecchiandosi allo stesso modo nelle maschere
similari
di trucco ed acconciatura in disordine.
-…ti
va il giapponese?- s’informa lui.
-…niente.
Non impari proprio come s’invita una donna a cena.- ritorce
lei scrollando
appena il capo, come se un movimento eccessivo potesse costarle la
capacità
stessa di mantenersi dritta eretta con schiena e collo.
Brian
ridacchia.
-Ho
fame. E se domattina devo anche alzarmi presto, stasera pretendo di
cenare
bene.- notifica.
Lei
ride. Esasperazione pura e semplice, a cui fa eco anche quella di
Brian. Alla
fine accetta l’invito – “o quello che
è”, rimarca mentre prende la borsa e si
alza, infilando la giacca.
Il
ristorante Brian lo sceglie nel giro di quelli che frequentava quando
lui e
Stefan stavano assieme. Riuscire ad entrarci, sedersi ad un tavolo ed
ordinare
– sentendosi chiamare per nome ed apostrofare con
familiarità da persone che
s’informano su come stia e dove sia finito tutto quel tempo
– è una vittoria
che gusta e che ha un sapore ben diverso da quello che si era
immaginato. Non
sa di liberazione. Non sa nemmeno di gioia vera. Il sapore è
molto più sottile,
profumato come Helena, come l’odore ormai sfumato di profumo
costoso. Raffinato
e di classe, di lusso, come la borsa e come ogni cosa che circondi la
donna. La
osserva di sottecchi mentre ordina da mangiare, e poi quando inizia a
litigare
con le bacchette, ostinandosi ad usarle comunque nonostante la
difficoltà.
Helena
è una creatura costruita, proprio come lui, è una
donna che per raggiungere i
propri obiettivi nella vita si è forgiata nel modo che la
vita le richiedeva.
Ha fatto delle rinunce, probabilmente, ed ha fatto delle scelte, molto
più
spesso. Ha accettato di dover indossare abiti firmati –
magari le piace anche
farlo – di truccarsi per sembrare più giovane e
bella di quello che è, di
presentarsi come una vincente in qualunque situazione, di dare di
sé
un’immagine di posata affidabilità, di
solidità costante e di professionalità
accompagnata ad eleganza, buon gusto e raffinatezza…
Eppure
quello che gli piace di lei è che litighi con i bastoncini
per tirare su
pezzetti di sushi che invariabilmente ricadono nel piatto.
Dopo
cena le propone di fermarsi a bere qualcosa. Helena gli fa notare
giustamente
che l’indomani non possono concedersi di restare a poltrire
fino a tardi, Brian
però non l’ascolta ed indica al taxi che li sta
accompagnando il nome di un
locale alla moda, in una diversa zona della città. Mentre la
macchina li
accompagna lì, Helena protesta, ma quando si fermano davanti
l’ingresso sospira
e lascia che Brian scenda per primo dall’auto, dopo aver
aperto la portiera, e
l’aiuti a scendere tenendola aperta per lei. Non
saprà come s’invita fuori una
donna, ma di sicuro è molto galante, pensa ridendo. Dentro
si siedono distanti
dalla confusione, anche se di confusione vera non ce
n’è perché è uno di quei
posti dove la gente va per stare in pace e, quindi, è
discreto ed ampio e
lascia ad ognuno i propri spazi. Ordinano da bere entrambi e non si
risparmiano
la scelta di liquori forti ed intensi, che danno in fretta alla testa
ed
aiutano le confidenze.
Perché
quando Brian la scruta in silenzio per troppo tempo, Helena se lo sente
sulla
pelle che quella che seguirà sarà una
confessione. Non sa spiegarsi la ragione
per cui accadrà, pensa che somigli molto a quelle situazioni
improbabili eppure
reali in cui due perfetti sconosciuti all’improvviso si
trovano incredibilmente
vicini. E dura lo spazio di una notte come quella, poche ore tirate
assieme per
non si sa che ragione contingente, ma è talmente forte che
vale a superare
tutti gli ostacoli che le distanze sociali impongono.
Per
questo non è stupita quando Brian le racconta di Stefan
– e, intelligentemente,
si guarda dal dirgli che lo sa già, perché nei
corridoi degli Studi non si
parla di altro – e non è stupita nemmeno quando
Brian le confessa della droga,
dei motivi per cui è entrata nella sua vita e di quelli per
cui ne è uscita. O
almeno lui spera che lo sia. Ed ancora una volta Helena tace e non dice
che
anche questo circola in fretta ed in modo cattivo nei sussurri spietati
di
quegli stessi corridoi. Osserva invece Brian balbettare quelle cose tra
un
sorso e l’altro, tra un bicchiere e l’altro. E lei
ne beve molti meno e non è
così ubriaca come Brian quando lui decide di averne
abbastanza e di voler
tornare a casa.
E
visto che non è così ubriaca.
Magari
dovrebbe pensarci meglio.
Invece
non pensa affatto.
***
Brian
solleva la testa dal cuscino ed il suo primo pensiero è che
stare in un loft ha
un sacco di inconvenienti quando non ci stai da solo.
Ad
esempio, il rumore che produce Helena, nel muoversi
dall’unico ambiente
spazioso al cucinino claustrofobico infilato oltre la “zona
notte”, è
spaventoso se hai la testa che rimbomba maleficamente. Ed è
altrettanto
spaventoso che lei canticchi a labbra chiuse mentre si muove, e tu ti
domandi
con esattezza se ci sia da ricordare un motivo specifico per il quale
debba
essere così felice, un motivo che tu hai rimosso
nell’attimo stesso in cui hai
chiuso gli occhi la notte prima…
Si
rigira nel letto tra le coperte, approfittando che lei sia tornata a
svanire
dietro la porta scorrevole del cucinino, solleva la mano
appiccicandosela alla
fronte che pulsa dannatamente. Alza indietro i capelli arruffati ed
incollati
dal sudore alla pelle e tenta di mettere a fuoco gli eventi del giorno
prima.
E
di mettere a fuoco le valutazioni – se
ci
sono state, s’intende – che li hanno
generati.
Helena
tarda ad uscire, un odore denso di qualcosa di caramellato e dolciastro
irrompe
attraverso il vetro della porta scorrevole. Brian si mette a sedere,
infila
boxer, jeans ed una maglietta a caso, larga e comoda, poi si tira
dritto,
recuperando un elastico dalla mensola accanto al letto e legandoci
frettolosamente i capelli in un codino arruffato che non
reggerà. Apre la porta
del cucinino e si appoggia allo stipite, perché tanto
lì dentro non c’è affatto
lo spazio per due persone.
Helena
si volta.
Ha
un sorriso più bello quando non è truccata ed in
ordine, nota Brian.
-Buongiorno!-
lo accoglie divertita, scrutando la sua espressione non troppo vigile.
Lui
se ne rende conto e sbuffa un sorriso a propria volta, sollevando la
mano per
stropicciarsi gli occhi e cercare di darsi una svegliata seria.
-‘Giorno.-
ritorce quindi pacatamente.- Che stai facendo?- s’informa
poi, rinunciando al
proprio tentativo per lasciar ricadere il braccio lungo il fianco con
aria
fiacca.
-Preparo
la colazione.- risponde lei sogghignando, la cosa è
così evidente che deve
sembrare davvero ridicolo che lui lo chieda.
Brian
strizza gli occhi.
-…sì,
ma dove l’hai trovata quella roba?- si decide a specificare.
Lei
lo fissa sorpresa, sollevando a mezz’aria la paletta che sta
usando per
rigirare il pancake.
-…nel
frigo. O nella dispensa.- risponde lentamente, come se si stesse
domandando
seriamente dove abbia sbagliato.
-C’era
del cibo in casa?- chiede quindi Brian genuinamente stupito.
Helena
ride, capendo finalmente dove sia il problema.
-Sì!-
ribatte- C’era del cibo in casa.- esplica poi.- Immagino che
Alex si sia
preoccupata di assicurarsi che non morissi di fame…
-Non
ci mangio mai a casa. E non ci dormo nemmeno.- risponde lui voltandosi
per
tornare nella stanza principale.- Vado da Steve, è
più comodo.
-Per
te o per Steve?- sghignazza Helena seguendolo con il piatto ricoperto
di
pancake ed il flacone dello sciroppo d’acero.
Brian
si lascia ricadere su una delle sedie intorno al tavolo, si appoggia
con i
gomiti al ripiano e sistema tra le mani aperte un faccino angelico e
sorridente
con cui la accoglie mentre lei posa piatto e flacone davanti a lui.
-Per
Steve, ovviamente.- risponde cinguettante- Così non ha
motivo di ingelosirsi di
Stefan.- spiega.
Helena
gli si siede davanti ridendo e contestando che dubita che Steve abbia
di questi
problemi al momento. Lui la guarda e pensa ai motivi per cui la sera
prima le
ha chiesto di salire a casa, di fermarsi per la notte. Gli stessi
motivi che
l’hanno spinto a baciarla ed a fare l’amore con
lei.
Sono
i motivi per cui Helena sorride
felice, quelli che la inducono a parlare, scrutandolo di sottecchi ogni
tanto
per poi riprendere senza soluzione di continuità da dove
aveva finito un
momento prima. Brian s’interroga
sull’opportunità di metterli a tacere subito,
quei motivi, dandogli il giusto peso e riordinandoli
nell’ottica corretta. Non
vuole che Helena si faccia male, perché con Helena sta bene
– in un modo così
diverso da quello che
condivideva con Stefan – e quello che
c’è tra loro va bene così, lui non
avrebbe dovuto complicarlo ma gli sembrava quasi assurdo continuare a
guardarla
da lontano senza neppure sfiorarla. Era solo questo che voleva fare, in
fondo,
toccarla ed assicurarsi che fosse vera e che non svanisse tra le sue
mani come
un’apparizione…
-Sai
che all’inizio credevo che, vedendoti senza trucco, sarei
rimasta
spiacevolmente impressionata!- sbotta lei ad un certo punto. Brian
torna a
concentrarsi sulla sua presenza concreta e sorride senza dire nulla.-
Mi sono
talmente abituata a vederti in tiro! Trucco,
capelli…vestiti…
-Già.-
ribatte pacato lui, spostando il piatto da cui ha spilluzzicato appena.
-Invece
sei solo un’altra persona.- continua Helena con meno brio ma
più decisione.-
Sei solo diverso. Non migliore o peggiore, solo diverso.
Brian
la guarda alzarsi per raggiungere la propria borsa, ancora
nell’angolo in cui
la sera prima l’ha fatta cadere senza pensarci. Helena
annuncia a gran voce la
necessità di mettersi al lavoro, che di tempo ne hanno perso
abbastanza e comunque devono
consegnare quei provini.
Ridacchia su quella frase, soffermandosi allusiva sul
“comunque” che pesa come
un macigno sulla testa di Brian.
“Diglielo
adesso”.
Si
muove con la familiarità distratta che prendono le persone
quando si adattano
in fretta ad un ambiente. Getta occhiate intorno a sé per
assicurarsi del luogo
in cui si sta muovendo, ne misura le distanze per paura di urtare i
mobili.
“Dille
che è stato tutto un tragico errore. Che non volevi. Che ti
dispiace.”
Si
assicura di trovare un proprio spazio, di conformarcisi anche quando si
siede
sul divano, tra i cuscini che sprimaccia di lato, cominciando a
rovistare
maggiormente a proprio agio nella cartelletta di pelle in cui ha
riposto i
provini.
“Diglielo.
E poi torna a vivere la tua vita.”
-…allora?-
domanda Helena puntandogli addosso uno sguardo morbido come il velluto.
Il
punto è che con lei ci sta bene.
In
un modo diverso da quello che condivideva con Stefan. Ma ci sta bene.
E
fa decisamente meno male.
-Pranziamo
assieme?- s’informa Brian alzandosi anche lui per
raggiungerla sul divano.
-Dove?
-Qui.-
ribatte lui sedendo e spostando nuovamente i cuscini per
ammonticchiarli tra di
loro.- Tanto c’è Alex che si occupa di fare la
spesa.- ridacchia.
Fine.
A
volte le cose finiscono
-Mi
piacerebbe che tu
venissi, Brian… Mi piacerebbe che voi due vi incontraste.
…in
realtà, le cose finiscono quasi sempre.
-Non
lo so, Stef, devo
anche vedere se ad Helena va bene
esserci…Sai…è comunque a lei che devo
rendere
conto ora come ora…non mi va di metterla in imbarazzo.
Solo
che a volte fa male.
-…che
vuol dire che ha
detto che dipendeva da me, Stef?
Ed
alcune di queste volte, fa così
male
da non avere nemmeno la forza di chiudere e basta.
-Vuol
dire che mi ha
mentito, Helena, nient’altro.
Così
le cose, anche se finite, si trascinano.
E
gli strascichi di una storia finita sono peggio, a volte, di tutto
quello che
di male.
Di
cattivo.
Di
doloroso ci si sia scambiati stando assieme.
Di
come lo ha scoperto
non si ricorda più.
Probabilmente
ha
origliato una discussione tra Steve e Stefan, che ne parlavano tra
loro.
Di
come ha scoperto che
Vincent era andato a vivere da Stef se lo ricorda bene,
perché è stato Stefan a
dirglielo quando gli ha anche annunciato che lo avrebbe presentato loro
– a
lui, Steve ed Helena, s’intende, perché Alex lo
conosceva già – quel pomeriggio
stesso, quando Vincent li avrebbe raggiunti lì dopo il
soundceck.
Il
resto non ha bisogno
di ricordarselo, perché lo sa.
Sa
delle fughe con scuse
idiote pur di non incontrarlo, sa dei tentativi ripetuti – infiniti – di Stefan per riuscire a stringerlo
nell’angolo e costringerlo a parlargli…o almeno a
vederlo. Sa di Helena che gli
dice che così non può continuare – e
glielo dice continuamente, tanto che Brian
ha perso il conto delle volte e non le bada più, la sera
prima di andare a
dormire, quando lei lo insegue fino alla porta del bagno tentando
invano di
ottenere una risposta. Sa anche di Vincent, perché Alex
gliene parla, sa di
tutte le volte che attraverso lei cerca una mediazione “per
il bene di Stefan”.
E
sa che del bene di
Stefan non gliene è mai importato così poco.
Sa
tutto questo quando Stefan
gli chiede di esserci. E sa che Helena ha lo sguardo fisso su di lui,
quando la
cosa viene fuori e lui – che
ha mentito di nuovo
– si sente sotto accusa e non ha voglia di affrontarla.
-E’
il compleanno di
Stefan, Brian. Fai uno sforzo.- ordina la voce calda della donna, in
una frase
spezzata e secca da cui traspare il velo di esasperazione che
l’affligge.
Sa
tutto questo e
cammina incontro alla verità di quella storia finita. Ci va
perché ha bisogno
di farlo e di mettere davvero la parola “fine” al
termine di quella storia.
E
quando Vincent si
avvicina e gli parla, fuori dalla terrazza, lui guarda in
giù. Si dice che è
alto da morire, che a camminare sul bordo si rischia di cadere e che
lui è
davvero troppo grande – ormai – per continuare a
fare l’equilibrista in bilico
sul muretto dell’aiuola.
Vincent
ha proprio
ragione a rimproverarlo.
“Without you, I’m
nothing”
2008
Easily
Forgotten Love
Nota di fine capitolo:
Fa un po’ strano dirsi che è terminata,
perché mi ci ero
affezionata abbastanza.
Fatto sta che è terminata. Non so nemmeno io
quanto tempo è
che volevo fosse scritta, Without stata qualcosa a cui ho tenuto per un
bel po’
e senza ragioni reali. È una storia che trovo molto amara ma
piuttosto
realistica, non fosse per il suo andamento apatico, smorzato e
vagamente noioso
la troverei decisamente migliore.
Considerazioni sceme di fine storia, comunque XDDD
A nome dell’Easily si ringraziano tutti coloro che
hanno
seguito la storia, in particolare Stregatta e Chemical Kira per averla
anche
commentata. Si dà un bacio enorme a tutti e ci si vede alla
prossima.
MEM
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