La
mia vita sul set
Cap.
33 – Epilogo
Ero quasi
arrivata a casa dopo aver comprato gli ultimi ingredienti per il
dessert, quando Orlando mi chiamò al cellulare.
- Ciao OB!
Sto proprio per svoltare l’angolo – risposi.
- Ciao Les!
Sai cosa mi chiedo?
- Cosa?
– Girai. La casa era proprio in fondo alla strada.
- Ci staremo
tutti, stasera? Intendo, siamo invasi dal cibo!
Mi misi a
ridere. – Probabilmente ne faremo fuori la metà
prima di stasera: siamo dei cani a cucinare. La doccia è
rimasta libera dai pacchi di pasta? Sto sudando come un maiale e mi sto
amputando due dita.
- Ferma
lì, vengo a darti una mano.
Chiuse la
telefonata e, in fondo la strada, lo vidi uscire di casa e dirigersi di
corsa verso di me. Posai per terra un sacchetto per spegnere il
telefono.
Aveva
indosso una canottiera blu e dei pantaloncini bianchi e appena
arrivò mi diede un bacio, prima di prendere il sacchetto a
terra e quello che tenevo in mano.
- Non dubito
della forza nascosta nei tuoi ridicoli polsini, ma potevo aiutarti
prima che perdessi una mano!
- Ridicoli
polsini? – Gli avvolsi la vita con un braccio. –
Bene, allora non verrò in tuo soccorso la prossima volta che
non riuscirai ad aprire il barattolo dei sottaceti!
Orlando
rise. – Chiamerò i pompieri…
Rimanemmo in
silenzio attraversando la strada, fino alla porta di casa. Orlando
posò i sacchetti sul patio e si stiracchiò.
- Bene
– disse voltandosi verso di me. – Apri?
Lo guardai
perplessa. – Io non ho le chiavi, Orlie. Sapevo che ci
saresti stato tu in casa.
Mi
rifilò un’occhiata raggelata. – Io non
le ho prese perché pensavo che le avessi tu!
Ah, ok.
Meraviglioso! Eravamo chiusi fuori casa. Orlando guardò
sconsolato il pomello della porta e sospirò. Restammo
qualche secondo a guardare sconsolati la porta.
- Due minuti
fa ti sarei saltata addosso. Adesso lo farei solo per strozzarti.
–
Mi sa che i pompieri li dovremo chiamare davvero… -
Ribatté lui senza prestarmi attenzione.
- Se
restiamo a fissare la porta non si aprirà per
magia… Non c’è una finestra aperta?
– chiesi, sperando di non dover scomodare i vigili del fuoco
per una cosa così imbarazzante.
- Al piano
di sotto no, o almeno quelle del salotto. Ho lasciato aperta solo
quella piccola sopra i fornelli…
Dal patio
partiva una staccionata bianca che separava il giardino anteriore da
quello principale sul retro. Orlando mi aiutò a scavalcarla
e mi seguì a ruota.
La cucina
della casa era un’enorme vetrata con una portafinestra che
dava sul giardino. Le finestre più grandi non si potevano
aprire ma sopra i fornelli, in alto, c’era un piccolo infisso
aperto verso l’interno.
Guardammo in
alto. Era troppo in alto per poterci arrivare da sola…
-
…ma forse se mi spingessi… - mormorai.
- Cosa?
- Prova a
spingermi, magari ci arrivo!
Orlie mi
guardò apprensivo. – Non sono sicuro, piccola.
Potresti farti male… Sarebbe meglio chiamare qualcuno. Sean
ha i numeri di tutti i fabbri della città! Mille grazie ad
Elijah, ovviamente. – Scherzò.
Sorrisi.
– Sarebbe un’idea, ma il burro si
squaglierà!
- Da quando
il burro è diventato più importante della nostra
incolumità?
- Dal
momento in cui sono uscita per l’ennesima volta dal
supermercato e mi è passata la voglia di tornarci. Dai!
Salto in groppa ai cavalli! Ci riuscirò. Forza, cinque
dollari che ce la faccio.
Lui
sospirò e si incrociò le mani davanti,
porgendomele.
- Stai
attenta, pazzerella.
Gli misi la
mano sulla spalla e il piede sulle mani, poi appena mi alzò
piazzai l’altra mano sullo stipite della finestra.
- Su! Su
ancora un po’!
Sentii Orlie
grugnire per lo sforzo e spingermi in alto e praticamente mi lanciai
contro la finestra. Afferrai il davanzale con entrambe le mani e mi
alzai sulle braccia. Imprecando, mi misi a cavalcioni della finestra,
piegata su me stessa per via delle dimensioni ridotte.
- Les,
occhio!
- Oh, zitto!
Se tu sei cascato da un tetto non vuol dire che lo debba fare
anch’io!
Mi sedetti
tenendomi sulla cornice della finestra, allungai una gamba e poggiai il
piede tra i fornelli e il bancone. Poi saltai a terra. Alla faccia di
Orlando: io mi arrampico su alberi e case!
Corsi ad
aprire la porta attraversando la cucina.
- Dovrebbero
farci le Olimpiadi su questa disciplina, vincerei l’oro di
sicuro! E ho anche vinto cinque dollari!
- Contaci!
– Disse superandomi per portare i sacchetti in cucina.
Cominciò a mettere le cose in frigo. –
Già che ci sei mi lanci una mela?
Lo feci un
po’ troppo forte e lo presi in fronte.
Stavo
finendo di sistemare i piatti in tavola quando un gran miscuglio di
voci e una scampanellata mi annunciarono che gli ospiti erano arrivati.
La musica natalizia si diffondeva nell’aria dallo stereo nel
salotto e sotto l’albero acceso di luci c’erano i
regali.
- Buon
Natale!
- Les, hai
un po’ di spazio per il carretto in casa? – Fece
Dominic avanzando verso di me.
- Il
carretto?
Billy si
scostò per mostrarmi la carriola piena di regali che Dom si
stava trascinando dietro. – Non avevamo abbastanza braccia
per portarli tutti, così abbiamo rubato quella da un
giardino poco lontano da qui – spiegò.
Li guardai
stranita. – E la macchina?
-
L’abbiamo lasciata parcheggiata accanto alla slitta!
– Rispose sorridendo Viggo.
- Non ci
capisco più niente… - borbottai guardandomi in
giro. Gli occhi mi si posarono oltre il giardino, lungo il marciapiede
davanti alla casa. – Craig! – chiamai. Era proprio
lì davanti. – Che ci fa lì la tua
Harley?
- Non
è la mia Harley – ribatté.
- E di chi
è allora?
Gli Hobbit
sghignazzarono. – È il tuo regalo di Natale!
Mi ci volle
un istante per metabolizzare la notizia.
- Oh mamma
mia! Oh mamma mia! – Mi lanciai per strada e corsi ad
abbracciare la moto. – Oh mio Dio! Una Harley Davidson! Oddio!
I ragazzi
ridevano, felici di vedermi così entusiasta.
–
Ma Les, dov’è Orlie?
-
E’ di sopra a farsi la doccia! – Risposi afferrando
il manubrio della moto.
La mandria
di bufali quasi si travolse per sorpassarsi l’un
l’altro urlando e correndo verso il bagno. Sentii dal bagno
Orlando urlare terrorizzato perfino dal marciapiede. Con uno sbuffo
scesi dalla moto e tornai in casa, fermandomi nell’ingresso.
Le urla dal bagno continuavano.
Craig
spuntò dalle scale.
- A
proposito, Lesley, la sai l’ultima? Peter te l’ha
detto?
- Che cosa?
- Sorridi,
piccola: hai la nomination all’Oscar!
Di tutti i
Natali che avevo festeggiato con la mia famiglia, nessuno
riuscì a battere quello che celebrammo in Nuova Zelanda. A
parte sentirci dire che neanche le mosche avrebbero apprezzato la
robaccia immonda che avevamo cucinato io e Orlando, andò
tutto benissimo. Anche quando Dom rischiò di mandare a fuoco
la casa perché si era messo in testa di saper fare un
flambé. A momenti flambé lo diventavamo noi! E
finimmo anche per scartare i regali ubriachi, anche se io non riuscivo
a distogliere gli occhi dalla Harley parcheggiata nel giardino. Gli
altri lo avevano notato, dal momento che non facevano altro che
lanciarmi fra le gambe le cartacce dei regali e mettermi in testa i
fiocchetti dei nastrini. Che stupidacchiotti.
Non finimmo
mai tanto ubriachi quanto lo fummo a Capodanno, però.
Eravamo squisitamente, visivamente e perdutamente fuori di testa.
Qualcuno di noi era già finito in mare, e tutti avevamo la
sabbia dentro alle mutande, anche se la maggior parte di noi non aveva
idea di come ci fosse finita. A mezzanotte, sotto i fuochi di
artificio, convinsi Orlando ad appartarci dietro ai cespugli. Lui non
voleva starmi vicino perché temeva di potermi saltare
addosso e non avevamo le protezioni necessarie, ma gli strappai la
bottiglia di vodka fra le mani, costringendolo a rincorrermi fin
là dietro.
Il mattino
dopo ci svegliammo tutti ammassati l’uno sull’altro
e completamente bagnati. Il Sole mi faceva male agli occhi e, per
quanto mi sforzassi, da mezzanotte in poi non ricordavo più
niente. Solo la corsa fino ai cespugli, poi il buio. Nemmeno Orlando
aveva ricordi di quel lasso di tempo.
Ma qualcosa
di quella notte rimase. Lo capii dalla striscia rosa che campeggiava
sul test di gravidanza. Mi ero già accorta sul volo per New
York di avere un ritardo di parecchi giorni, e adesso
quell’affarino di plastica bianca mi diceva che aspettavo un
bambino.
Dalla
finestra del bagno di casa mia si scorgeva lo skyline della
città, scurito dalle ombre del crepuscolo. Non che in quel
momento mi interessasse molto.
- Non puoi
dire sul serio – balbettò Orlando, guardando il
test che tenevo in mano.
- Se
è rosa vuol dire che sono incinta, Orlando!
-
Ma… abbiamo usato tutte le protezioni necessarie…
- Si sedette sul gabinetto e si passò una mano sugli occhi.
– Quando può essere successo?
- Ogni volta
abbiamo preso le precauzioni giuste, non può essere stato un
incidente! A meno che… - trattenni il fiato. – Oh,
Signore! Capodanno!
Mi
guardò terrorizzato. – Dio mio, che cosa abbiamo
fatto?
Mi poggiai
contro il lavandino. Flash cominciarono a balenarmi davanti agli occhi.
I fuochi d’artificio che scoppiavano in cielo, le grida di
gioia che si levavano dalla spiaggia… e io e Orlando, nudi
dietro ai cespugli. – Oh, no.
- Che cosa
facciamo? – Farfugliò. – Non posso avere
un figlio, non sono pronto! Ho ventun anni, Cristo Santo!
- Credi che
io sia pronta invece? Ne ho solo diciotto! Mio padre ci farà
secchi!
- Lesley!
È pronta le cena! – La voce di mia madre
passò attraverso la porta.
- Siamo
morti. Siamo fatti secchi, ammazzati, trucidati. Peter ci
taglierà la testa. – Borbottai aprendo la porta e
andando in corridoio.
- Mi
preoccupa di più mia madre, a dire la verità
– replicò Orlando, seguendomi a ruota.
Quella
settimana ebbi nausee per tutto il giorno. Continuavo a correre in
bagno, e a momenti mi strappavo i capelli dalla tensione. Orlando non
era da meno.
Ma non ero
incinta; poche ore prima della premiere di New York del film, il ciclo
arrivò. Feci un altro test di gravidanza, e scoprii che il
primo era un falso positivo. Il ritardo era causato dallo stress e
dalla tensione provocata dal ritardo, almeno questo lessi sui forum su
Internet. Questo però mi fece riflettere ancora una volta
sul mio rapporto con Orlando, e da quel momento in poi decisi di
assumere la pillola anticoncezionale. Non saremmo incappati in una
situazione analoga in futuro.
La Compagnia
dell’Anello venne apprezzata in tutto il mondo. Molti attori
che erano stati i miei miti mi fecero i complimenti per
l’interpretazione, e c’erano sempre più
ragazzine che mi venivano a chiedere un autografo travestite da Hery.
Il mondo ci amava e non vedevamo l’ora che arrivasse la
Cerimonia degli Oscar a Los Angeles.
Quell’anno,
però, non vinsi la statuetta d’oro. La giuria
ritenne che Jennifer Connelly lo meritasse più di me, ma non
li biasimai. La Compagnia dell’Anello si rifece vincendo
quattro premi, e il record d’incassi internazionale. Il mio
debutto a Hollywood non avrebbe potuto essere migliore.
Le riprese
delle Due Torri durarono solo tre mesi, la maggior parte dei quali
trascorsi nella ricostruzione del Fosso di Helm.
Un’esperienza durissima: dormivamo di giorno e lavoravamo la
notte, tutte le notti di quasi tutta la settimana. Eravamo diventati
dei fantasmi, ombre verdoline che assumevano un aspetto normale solo
grazie agli strati su strati di cerone che ci applicavano tutti i
giorni al crepuscolo. Gli unici momenti di svago, in quella location,
furono le danze che improvvisavamo con le armi degli Uruk Hai
– e le idee che ne ricavava Peter – e gli scherzi a
Sir Ian McKellen – Billy che gli rubava il the e i biscotti a
metà delle riprese. Molti di noi si beccarono
l’influenza per colpa della pioggia, naturale o artificiale
che fosse. Orlando si divertiva come un pazzo a combattere, Viggo ci
metteva l’anima e io avrei preferito scene più
tranquille. Ma si doveva fare, no?
Quasi ci
inchinammo al sorgere del Sole, quando girammo la cavalcata dei
Rohirrim giù dalla collina del Fosso alla fine della
battaglia. Anche se, in seguito, quella scena venne rifatta quasi
interamente al computer. Il mio ruolo nel secondo film della saga
richiedeva senza dubbio più impegno rispetto al primo ed era
senza dubbio più dinamico, dovendo fare molte più
cose e recitare molte più battute. Molto spesso, se mi
sedevo per terra, non avevo più la forza di alzarmi.
All’uscita
del film ci accolsero folle urlanti di fan che gridavano i nostri nomi
e ci fermavano sul red carpet sventolando i giornali per farsi fare un
autografo. Ci osannavano, e osannavano anche Peter, la mente di tutto.
Il nostro giro per il mondo per le premiere richiese molta energia ma
ci diede anche gioia e momenti di relax, fra noi che ormai non potevamo
fare a meno uno dell’altro. Il film vinse due premi Oscar e
ricevette quattro nomination. Un po’ poco, rispetto
all’impegno che ci avevamo messo.
Il Ritorno
del Re fu l’ultima fase della nostra avventura. Come tappa
finale, richiedeva uno sforzo enorme a ciascun membro del Cast e della
crew. Era la fine di tutto, anche del mio personaggio. Quante lacrime
alla fine delle scene di ognuno di noi. I primi ad andarsene furono
Andy, Bernard, Miranda, David, Liv e Cate. Ma non piansi mai quanto
alla fine delle scene della Compagnia vera e propria. Non fui
l’unica, però. Tutti erano tristi, per la fine
della nostra convivenza.
La prima ad
andarmene fui proprio io: la mia ultima scena era quella della mia
morte. Come “premio del mio impegno” –
così disse lui-, Peter mi concesse di non avere un copione:
avrei scelto io le cose da dire.
Gli orchi
erano tanti intorno al Nero Cancello. Hery era completamente soggiogata
al volere dell’Occhio e tentò di fare uccidere
Aragorn da un troll. Ma la vista del suo amato Legolas e della fine
dell’Anello ormai prossima, rinsavì.
Parò il colpo del troll col proprio corpo, mentre Legolas
urlava il suo nome e intorno a loro la battaglia cessava.
Sdraiata
nella polvere, col silenzio del cast e della crew intorno a me, evitai
lo sguardo di Legolas che mi teneva fra le braccia e guardai
direttamente il cielo plumbeo. Il silenzio era assoluto, e per darmi la
carica giusta pensai un’ultima volta al dolore che avevo
provato quando avevo scoperto della morte di Jess.
- Mi sento
vuota, come se tutti stessero correndo e io fossi l’unica a
non potermi muovere. Che cosa è successo? Pensavo di essere
forte, Legolas, ma non lo sono. Quello che ho fatto mi si ritorce
contro. Non merito di morire da eroe e di ricevere una sepoltura degna
della mia stirpe. Ho infangato il nome di Galadriel Dama della Luce con
le mie azioni… Legolas, il cielo si spezza… -
Alzai una mano e sfiorai il viso di Orlando, che mi fissava con gli
occhi umidi, accarezzandolo. – Ti amo.
Lasciai
cadere pesantemente la mano e feci annebbiare il mio sguardo, fissando
il vuoto al posto del suo viso.
- Stop!
– Gridò Peter dopo un paio di secondi. Orlando si
asciugò gli occhi e mi aiutò ad alzarmi, mentre
Peter arrivava verso di me con gli occhiali bagnati di lacrime e mi
abbracciava. Dalla crew partì un applauso e anche io
scoppiai in lacrime.
- Grazie,
Peter. Grazie per tutto. – Gli dissi
nell’abbraccio. – Grazie, Peter.
- Grazie,
Les. – Rispose. Rimanemmo lì a dire
“grazie” più e più volte.
Alla fine Peter sciolse l’abbraccio, e Fran urlò:
- Hery,
signore e signori!
Un altro
applauso partì dalla crew e si levò verso il
cielo. Orlando mi abbracciò forte, e salutai tutti quanti
abbracciandoli uno ad uno.
Avevo finito
le riprese del Signore degli Anelli. La mia vita sul set non sarebbe
stata mai più la stessa. La mia vita in generale sarebbe
stata diversa.
A poco a
poco tutti terminarono di girare. Alla sua ultima scena Orlando ruppe
l’arco e ci rimase malissimo. Dom non riuscì a
terminare il suo discorso di commiato per le lacrime che gli facevano
morire la voce in gola, e l’ultima scena di Elijah fu uno
spettacolo davvero straziante.
La nostra
vita non sarebbe davvero mai più stata la stessa: saremmo
rimasti per sempre legati fra noi e legati a quel luogo. E per
ricordarci del nostro legame fraterno e indissolubile, tutti noi della
Compagnia ci facemmo tatuare il numero “9” scritto
in elfico, ognuno su una parte diversa del corpo. Io scelsi il pezzo di
pelle poco prima del pollice sinistro.
E
così finirono le riprese del Signore degli Anelli.
Qualche
giorno dopo la premier di Pechino del Ritorno del Re, Peter mi
chiamò per annunciarmi che, come due anni prima, avevo
ottenuto la Nomination all’Oscar per la mia interpretazione.
***
29
febbraio 2004, Los Angeles, Kodak Theatre.
76esima
edizione degli Academy Awards
Chris Cooper
si avvicinò al microfono e iniziò a parlare con
spavalda sicurezza.
- Gli
artisti scelgono un ruolo perché possono avere un
personaggio e farlo proprio. Queste cinque superbe attrici hanno fatto
di più che averlo soltanto: hanno creato alcuni dei momenti
migliori dell’anno nei film. Le candidate per la migliore
attrice non protagonista sono: Shohreh Aghdashloo, per “la
casa di sabbia e nebbia”; - Applauso. – Patricia
Clarkson, per “le schegge di April”; - Applauso.
– Marcia Gay Harder, in “Mystic River”; -
Applauso e qualche fischio. – Lesley Dalton, in “Il
Signore degli Anelli: il Ritorno del Re”; - Applauso e
fischi. La telecamera mi riprese e mi guardai intorno nervosa.
– Renée Zellweger, in “ritorno a Cold
Mountain”. – Applauso. Chris aprì la
busta e lesse il contenuto. - E l’Oscar va a…
Lesley Dalton, per “Il Signore degli Anelli: il Ritorno del
Re”!
Il
pubblicò dal pubblico si levò un forte applauso e
delle urla, mentre il mio cuore perdeva un battito. Sorrisi, e mi
voltai a baciare Orlando. Poi mi alzai, mentre Dom e Sean si alzavano
per farmi passare e mi davano pacche sulle spalle ridendo e applaudendo
forte. Passando per il corridoio di velluto mi fermai ad abbracciare
forte Peter, mentre l’applauso continuava e
nell’aria si diffondeva la musica di Howard Shore. Poi mi
avviai verso il palco, salii le scale bianche bordate di nero. Il mio
vestito rosa pallido frusciava dietro di me e mi misi a ridere mentre
prendevo la statuetta dalle mani di Chris e gli davo un bacio sulla
guancia. Strinsi l’Oscar come se fosse stato
l’unico pezzo di legno in mezzo al mare durante una tempesta.
Lo guardai con adorazione: ce l’avevo fatta!
Mi avvicinai
al microfono mentre la musica scemava e l’applauso si placava
lasciando posto al silenzio.
- Yuppie!
– Squittii nell’apparecchio. Qualcuno
ridacchiò. – Sono su di giri! Grazie, grazie
davvero. Vorrei ringraziare l’Academy Awards per questo
onore; Peter Jackson – lo cercai fra la folla. –
Senza di te sarei ancora a scuola! – risate. – La
New Line Cinema, e i miei colleghi del cast. Siete i miei fratelli e vi
voglio un mondo di bene. E se mi è concesso vorrei dedicare
questo Oscar a Jessica Bertram. – Mi schiarii la voce e alzai
lo sguardo e la statuetta verso il soffitto. – L’11
settembre ti a portato via troppo presto. A te, Jess. Grazie.
Un altro
applauso partì dalla platea. Un applauso commosso dalle mie
parole perché, anche a due anni dalla tragedia, ancora
nessuno dimenticava. Mi avviai verso le scale per tornare a sedere, ma
qualcosa mi fermò.
- Lesley!
Era Orlando.
Mentre tutta la platea si girava a guardarlo percorse di corsa il
corridoio fra i sedili e salì le scale con due balzi,
lasciando tutti a bocca aperta. Mentre lo fissavo esterrefatta si
avvicinò al microfono e iniziò a parlare.
- Chiedo
scusa per l’interruzione, signore e signori, ma non sarei
riuscito a resistere ancora. – Si girò verso di
me, impietrita sulle scale. – Les, tesoro. Due anni fa, in
Nuova Zelanda, ti chiesi di sposarmi. Tu hai risposto che eravamo
entrambi troppo giovani per pensarci. Quindi ora… - Orlando
si inginocchiò sul palco e tirò fuori dalla tasca
dei pantaloni una scatolina di velluto blu, mentre il pubblico
tratteneva il fiato e qualcuno (forse Liv) lanciava gridolini
estasiati. – Lesley Dalton, vuoi concedermi l’onore
di sposarmi?
Potete
indovinare che cosa risposi.
“Il
Signore degli Anelli: il Ritorno del Re” entrò
nella storia per aver vinto più premi Oscar nella storia del
cinema, insieme a “Titanic” di James Cameron e
“Ben Hur”: undici, scintillanti e strameritate
statuette.
Il colpo di
scena di Orlando alla notte degli Oscar fece troppo scalpore e i
giornalisti da lì a due mesi non fecero altro che starci col
fiato sul collo, perciò decidemmo di non sposarci
più. Ufficialmente, almeno.
In una
soleggiata e fresca mattina di maggio 2004 mi ritrovai a percorrere un
molo di legno chiaro sul lago di Queenstown, nei giardini di Villa del
Lago, diretta all’ arco di fiori bianchi poco lontano da me.
Passando fra le due file di poche sedie bianche, mio padre mi
accompagnava stringendomi il braccio con gentilezza e commozione. Il
mio vestito di Lazaro frusciava sul tappeto bianco poggiato
sull’erba. Non avevo occhi che per la mia meta. Il vicario
che mi aspettava con il libro in mano, Craig alla sua destra, pronto
per farmi da testimone, Viggo alla sua sinistra, testimone di Orlando.
Liv che mi reggeva lo strascico del vestito. E Orlando, che mi guardava
sorridendo emozionato, non vedendo l’ora che io allungassi il
passo e lo raggiungessi subito per terminare la tortura
dell’attesa. Vestito con uno smoking nero e una camicia
bianca, quando ero a due passi da lui si asciugò una lacrima
che rischiava di scendergli sulla guancia. Anche io dovevo combattere
con le lacrime di emozione per non rovinare il trucco perfetto.
Finalmente
arrivammo all’arco di fiori. Mio padre mi fece il baciamano e
mi consegnò ad Orlando. Ci sorridemmo estasiati.
- Potete
sedervi – disse il vicario rivolto agli invitati. Io e
Orlando ci voltammo un momento verso di loro.
Mia madre e
mio padre in prima fila. I genitori di Orlando dall’altra
parte. E sparsi, Elijah, Sean, Dominic, Billy, Bean, Liv, Sir Ian, zio
Ian, Peter, Fran, Philippa, David, John, Bernard, Miranda, Emma,
Linnie, Andy e Barrie. In piedi poco davanti al padre la piccola
Alexandra reggeva un cuscino di raso su cui erano poggiate due perfette
riproduzioni dell’Unico Anello – con
l’aggiunta di un minuscolo smeraldo nella mia.
Avevamo
invitato solo i nostri amici più cari e i nostri genitori
per la cerimonia più intima della storia dei VIP, facendo
loro giurare di non farne parola con nessuno. Quel giorno sarebbe
rimasto solo un segreto, per non dare alla stampa la gioia di avere dei
croccantini su cui buttarsi.
- Signore e
signori, siamo qui per riunire i qui presenti Orlando Bloom e Lesley
Dalton nel vincolo del matrimonio. Se qualcuno è contrario
alla loro unione, che parli ora o taccia per sempre.
Nessuno
fiatò.
Ed ora il
mio nome è Lesley Bloom, nata Dalton.
Siamo
giunti alla fine. Questa per me è davvero la fine di
un’era!
So
che nessuno dei miei cari lettori si aspettava di
quest’ultimo capitolo così improvviso…
avrei voluto continuare all’infinito, ma tutto prima o poi
deve finire. Così anche questa fanfiction, con cui ho
passato quasi quattro lunghi anni della mia vita. Lesley e i suoi amici
mi hanno riempito le giornate per tutto questo tempo, e mi mancheranno
molto. Così come mi mancheranno le puntuali recensioni di
Tetide e degli altri recensori!
Posso
solo ringraziare tutti i lettori che mi hanno seguito con
fedeltà e costanza nel corso di tutta la fanfiction, quelli
che sono venuti e andati, quelli che si sono affacciati alla storia
solo per un paio di capitoli, e anche i lettori silenziosi, quelli che
mi hanno seguito senza parlare, come ombre che mi tengono compagnia.
La
mia vita senza Lesley, Orlando, gli Hobbit e gli altri non
sarà più la stessa. Ma magari torneranno con
degli Spin Off, se mi faranno il regalo di farmi ancora visita. Magari
mi dedicherò ad altri progetti e non toccherò mai
più questa storia. Non si può dire cosa mi
riserva il futuro.
Posso
solo limitarmi a ringraziare in particolar modo Manubach96, Tetide,
Stargirl1998, innamoratahobbit, e Klood e Niniel. Grazie a tutti voi
per avermi dato tanto.
Vi
voglio bene.
Panenutella,
o Nut.
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