“See the nation
through the people's eyes,
See tears that flow like rivers from the skies.
Where it seems there are only borderlines
Where others turn and sigh,
You shall rise
There's disaster in your past
Boundaries in your path
What do you desire will lift you higher?
You don't have to be extraordinary, just
forgiving.
And those who never heard your cries,
You shall rise
And look toward the skies.
Where others fail, you prevail in time.
You shall rise.
You may never know,
If you lay low, lay low
You shall rise
Sooner or later we must try...
Living”
Mattafix, Living Darfur
To
take this hand
La ritrova due isolati più
in là.
Appoggiata al muro, aggrappata alla
parete scalcinata
graffiandosi le dita, scheggiandosi le unghie come se volesse
artigliare la
dura pietra, la guarda rimettere finché il rumore dei
singhiozzi arriva a
coprire gli ultimi colpi di tosse.
Non muove un muscolo - tre passi
esatti dietro di lei, tre
passi lunghi come la circonferenza della Terra, tre voragini che
arrivano a
toccarne il centro esatto: come, si
ritrova a pensare, come colmare tanta
distanza? - mentre
assiste impotente
al crollo: lei scivola con il fianco lungo il muro, dandogli le spalle,
scivola
lentamente, un centimetro alla volta, nella polvere, nel fango che
l’acqua che
le esce dagli occhi crea sul terreno – acqua che non
può vedere ma che sente,
acqua di cui ha imparato ad avvisare la presenza, come le
tribù nomadi del
deserto: la percepisce sulla pelle, come il grasso dei corpi
carbonizzati gli
solletica le labbra, così le sue lacrime gli ribollono
dentro e fuori.
Muove il piede in avanti, non appena
un tonfo soffocato lo
avverte che il suo corpo ha toccato il suolo – che la sua
anima ha toccato il
fondo.
Esita a poggiare la mano sulla sua
spalla, esita nel
chinarsi su di lei, nel passare un braccio attorno alla su schiena, nel
cullarla impercettibilmente, nel voltare il suo viso fino a toccarne la
fronte
con la sua – perdona questo piccolo
uomo
indeciso che sono, perdonami se puoi, se non so evitarti tutto questo,
se non
so fare altro che esitare.
Ma non c’è
incertezza nella sua voce, nemmeno l’ombra del
dubbio mentre le sussurra piano all’orecchio:
“Va bene che tu pianga. Va
bene se ti appoggia me. Va bene
anche così”
Lei si rialzerà cinque
minuti dopo - cinque minuti sembrati
ore, millenni, frammenti di tempo senza più
identità né voglia di scorrere.
Si rialzerà come sempre,
Roy questo lo sa, senza bisogno del
suo aiuto. Si solleverà con le sue forze, contando su se
stessa, come ha sempre
fatto.
Allunga la mano verso di lei, sapendo
già che verrà
ignorata.
Non questa volta: mentre Riza si
rialza, il suo peso
inconsistente è aggrappato alle sue dita come un naufrago al
pezzo di legno
alla deriva.
Volevo
assolutamente
scrivere di una situazione “ribaltata”: ovvero, per
una volta, non è Riza a
sostenere Roy ma viceversa, e mi sembrava che il caso Rockbell fosse un
buon
momento per una situazione del genere.
Non penso
che Riza sia
più forte di Roy, ma che il suo sia una specie di
autocontrollo imposto nel
tempo, qualcosa di molto simile all’orgoglio, ma di natura
diversa. D’altronde
la frase che più ripete in tutto il manga, fin da quando era
una ragazzina
davanti alla tomba del padre è “Posso farcela da
sola” – anche
nella variante: “L’ho fatto di mia
spontanea volontà, nessuno me l’ha
imposto”.
Forse anche
per questo
mi è risultato così difficile e
“strano” adottare il suo punto di vista nei
momenti più drammatici… chissà!
^^”
La canzone
all’inizio
mi è sembrata molto adatta, anche perché si
riferisce ad un contesto reale, il
genocidio in Darfur, Africa – e questo dovrebbe farci
pensare: se la realtà si
avvicina così tanto ad un’opera di fantasia, il
mondo e i suoi abitanti non
sono così progrediti come sembra…
Mi piace
tantissimo,
musica a parte, soprattutto per il messaggio di speranza e forza che
lancia –
per quanto espressioni del genere possano sembrare banali e usate, la
speranza
è quel qualcosa che determina la salvezza oltre che di un
individuo, di
un’intera collettività.
Tornando
alla finzione,
volevo aggiungere un postilla: nella frase finale, non ho voluto
paragonare Roy
ad un “salvagente” perché Roy non
è così “saldo”: è
appunto, un pezzo di legno
alla deriva, qualcosa in condizioni molto simili a quelle del naufrago.
Bene, penso
di aver
detto tutto…
Grazie a
tutte per i
commenti, anche a Elyfull (non ti preoccupare per le recensioni:
anch’io per un
bel po’ sono stata del club “lettrici
silenziose”. A proposito: anime? Quale
anime? Non mi risulta che esista alcunché del genere su
FMA… ;P).
Un bacione,
alla
prossima!
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