Cercò
Sirius in ogni stanza di Grimmauld Place e alla fine lo
trovò
nell'ultimo posto in cui avrebbe pensato di trovarlo.
Il vecchio studio di Orion Black era una stanza dagli alti soffitti,
con un imponente camino di marmo scuro in un angolo e le pareti
decorate con arazzi i cui disegni erano stati quasi del tutto
divorati dalle tarme. Sebbene Sirius avesse ordinato a Kreacher di
accendere le torce e aprire le finestre per dare una parvenza di
ospitalità all'intera casa, Grimmauld Place era ancora ben
lontana
dall'essere definita accogliente.
Remus dubitava che all'amico importasse.
«Sei già sveglio» commentò
con una punta di stupore Sirius. «E
pensare che sei sempre stato il più dormiglione fra
tutti».
Remus lanciò un'occhiata severa alla bottiglia di vino vuota
per
metà appoggiata sulla scrivania di mogano.
«Interessante colazione» commentò.
«Non hai dormito?».
«A un certo punto credo di essermi appisolato».
«Qui?».
Sirius scrollò le spalle e agitò la bacchetta per
Evocare un calice
di vetro. Lo riempì quasi fino all'orlo di vino.
«Sai che non bevo vino di mattina»
commentò Remus.
Si rese conto di aver detto una sciocchezza solo quando
incrociò lo
sguardo nostalgico di Sirius.
«No, Moony... non lo so».
Remus sospirò, prese comunque il calice e si
accomodò con calma sul
divanetto accanto alla finestra. Sirius intrecciò le gambe
sulla
scrivania e bevve un lungo sorso direttamente dal collo della
bottiglia.
«Allora, amico mio... raccontami un po' cosa hai combinato
negli
ultimi dodici anni» disse. «E vorrai scusarmi se
non ricambierò la
cortesia. La mia vacanza ad Azkaban non è un argomento molto
intrigante. I Dissennatori non sono esattamente degli albergatori
cortesi. Avanti, racconta».
«Non credo di avere niente da raccontarti».
Sirius fece un sorriso di scherno.
«Remus Lupin, l'uomo che non aveva niente da
raccontare».
Remus si rigirò il calice fra le mani.
«Da dove vuoi che cominci?».
«Dall'inizio».
«Non è un bell'inizio».
«Questo lo so».
Tacquero entrambi. Remus si attentò a bere un primo cauto
sorso di
vino. Il vino delle cantine di Orion Black era disgustosamente
speziato, ma non fece alcun commento. “Dodici anni trascorsi
come
se fossero cento, eppure non ho niente da dire”.
«Parlami di Hogwarts» gli venne in aiuto Sirius con
sincera
curiosità.
«È un pittoresco castello nel nord della Scozia.
Peccato non
potersi fidare delle sue scale».
Sirius strinse le sopracciglia, poi chinò in avanti la testa
e
iniziò a ridere. Era una battuta sciocca e inappropriata, ma
Remus
si ritrovò a ridacchiare a sua volta senza nemmeno
accorgersene.
C'era qualcosa di forzato in quell'improvvisa ilarità, ma si
rivelò
comunque piacevole. Iniziò a raccontargli a grandi linee
ciò che
era accaduto durante l'anno in cui aveva insegnato a Hogwarts. Gli
confessò di aver dimenticato in un primo momento il gradino
ingannatore delle scale che conducevano al quarto piano e di essersi
incastrato quasi fino al ginocchio, delle assurde creature addestrate
da Hagrid, di come Fierobecco avesse attentato alla vita del giovane
Malfoy e della costanza con cui la professoressa Cooman aveva tentato
di inseguirlo con la sfera di cristallo fino a giugno. Nessuno dei
due riuscì a restare serio durante il racconto della lezione
sui
Mollicci in cui aveva consigliato a Neville Longbottom di vestire
Severus Piton con gli abiti della nonna.
«Avresti dovuto vedere quell'avvoltoio impagliato».
Sirius ululò divertito. Quando entrambi si furono calmati,
l'aria
fra di loro si era fatta d'un tratto respirabile.
«E prima, Moony?» insistette ancora Sirius.
«Cos'hai fatto per
tutto il resto del tempo?».
Remus sorrise senza allegria. Il barlume di serenità
generato dalla
loro risata si dissolse in un silenzio tirato.
«Ho aspettato il trascorrere del tempo» ammise con
semplicità.
«Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo
anno».
«Da solo?».
«Da solo».
Sirius si accomodò meglio sulla poltrona.
«Ad Azkaban il tempo non esiste. Dopo un po' i giorni
iniziano a
diventare mesi e i mesi diventano anni... nemmeno te ne accorgi,
sai?». Fece una smorfia disgustata. «Succede e
basta. Ti rendi
conto di essere perduto solo quando ti perdi fino in fondo e allora
è
troppo tardi per chiederti quanto tempo possa mancare prima che tutto
sia finito. Non ti accorgi di invecchiare, non ti accorgi di
morire... sai solo che sei lì dentro da quando hai memoria.
E infine
capisci che non hai più niente per il quale valga la pena
contare i
giorni».
Remus abbassò il calice e fissò l'amico con
espressione
impenetrabile. Soppesò rapidamente ciò che aveva
intenzione di dire
e quando parlò la sua voce risuonò poco
più alta di un soffio.
«Mi dispiace».
Sirius agitò vago la mano.
«A te non è andata tanto meglio, Remus. Non
sentirti troppo
infelice per me».
Per diversi minuti l'unico rumore fu quello delle unghie di Sirius
che grattavano distrattamente il legno del tavolo.
«Cosa ti sta tormentando?» domandò
all'improvviso. «Non sei mai
stato il tipo taciturno che tutti credono».
Remus chiuse gli occhi e appoggiò la nuca al divano. Era
come avere
una manciata di sabbia scricchiolante fra i denti, ma doveva
dirglielo. Non poteva più aspettare.
«Quella notte alla Stamberga mi hai domandato se potevo
perdonarti e
io ho risposto che l'avrei fatto solo se tu avessi perdonato me. Temo
di averti mentito».
«Anche io» soffiò amaramente Sirius.
«Forse abbiamo entrambi
sottovalutato il modo in cui il tempo è passato. Le cose
sono
cambiate. Tu sei cambiato. Io sono cambiato».
«Non è cambiato nulla, Padfoot. Le cose fra noi
sono sempre andate
così» replicò aspro. «Ti ho
mentito una volta e ti sei convinto
che ti avrei mentito ancora; tu mi hai tradito una volta e io ero
certo che lo avresti fatto di nuovo. E quando è giunto il
momento di
accusare qualcuno... non potevamo che essere noi due».
Scrollò le
spalle come se nulla di ciò che stesse dicendo avesse
qualche
importanza, ma la verità era ben altra.
«C'è stato un lungo
momento quella notte in cui ho pensato di avere torto e ho dubitato
di Peter perché non avevo più la forza per
dubitare di te. Ricordo
di aver gridato il tuo nome per un'ora intera... ma tu non sei
tornato». Lo sguardo di Sirius era diventato insopportabile,
così
abbassò il capo. «Quando mi hanno detto cos'era
accaduto, ciò che
avevi fatto... oh, dubitare di te è tornato a essere
tremendamente
semplice».
Sirius si scostò dal volto sciupato una ciocca di capelli
sciupati e
non disse nulla. Remus attese con pazienza la sua replica, ma non era
del tutto certo di volerla ascoltare.
«Ti sbagli: le cose sono cambiate davvero»
ribatté infine
Sirius. «Oggi io mi fido di te. Capisco molte più
cose di quante un
tempo nemmeno vedessi. Siamo sempre stati così diversi? Io
ero
quello irruente che si lanciava nel vuoto e tu eri quello cauto che
esitava fino all'ultimo istante... ma ti sei sempre lanciato dietro
di me, Remus». Arrangiò un sorriso sfrontato e
sollevò il calice
in un muto brindisi. «Se puoi perdonare te stesso, allora
puoi
perdonare anche me».
Era assurdo, ma Remus aveva l'impressione di aver finalmente compreso
per quale motivo lui e Sirius fossero diventati amici. C'era James,
c'era l'amico in comune da amare ferocemente... ma c'erano anche loro
due a ondeggiare ai lati di una linea fatta di estremi che si
toccavano e si scontravano in continuazione. Sirius aveva ragione:
erano realmente sempre stati più simili di quanto nessuno
dei due
avrebbe mai desiderato ammettere, ma le cose erano cambiate.
Loro erano cambiati.
Forse se la sarebbero cavata anche senza James. Forse sarebbero
riusciti a onorare la promessa di rimanere per sempre amici anche a
nome suo – soprattutto a nome suo.
Remus sorrise e alzò a sua volta il calice.
«Agli amici veri, quelli che sono esattamente come
appaiono...
sebbene nessuno possa mai dirsi sicuro che non ci siano maschere sui
loro volti».
Sirius rise.
«Alla fine ogni uomo si limita a indossare la persona che gli
è
vicina, vecchio mio».
But
I can't move the mountains for you.
(Timshel
– Mumford and Sons)