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Autore: Trick    18/02/2014    6 recensioni
Erano amici e ridevano, si prendevano in giro e sì, avrebbero giurato con entrambe le mani sul fuoco che loro erano davvero amici e che lo sarebbero stati per sempre.
A dodici anni si giura su molte cose.
Anche sulle bugie.

L'amicizia fra Remus e Sirius non è mai stata particolarmente limpida: hanno già subito le conseguenze di ogni loro scelta sbagliata, ma ora è il momento di accettarle senza più maschere.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
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Note: Nient'altro da aggiungere se non un sincero e gigacosmico grazie a tutti voi. (: 







*
La lingua delle maschere





Epilogo





Cercò Sirius in ogni stanza di Grimmauld Place e alla fine lo trovò nell'ultimo posto in cui avrebbe pensato di trovarlo.
Il vecchio studio di Orion Black era una stanza dagli alti soffitti, con un imponente camino di marmo scuro in un angolo e le pareti decorate con arazzi i cui disegni erano stati quasi del tutto divorati dalle tarme. Sebbene Sirius avesse ordinato a Kreacher di accendere le torce e aprire le finestre per dare una parvenza di ospitalità all'intera casa, Grimmauld Place era ancora ben lontana dall'essere definita accogliente.
Remus dubitava che all'amico importasse.
«Sei già sveglio» commentò con una punta di stupore Sirius. «E pensare che sei sempre stato il più dormiglione fra tutti».
Remus lanciò un'occhiata severa alla bottiglia di vino vuota per metà appoggiata sulla scrivania di mogano.
«Interessante colazione» commentò. «Non hai dormito?».
«A un certo punto credo di essermi appisolato».
«Qui?».
Sirius scrollò le spalle e agitò la bacchetta per Evocare un calice di vetro. Lo riempì quasi fino all'orlo di vino.
«Sai che non bevo vino di mattina» commentò Remus.
Si rese conto di aver detto una sciocchezza solo quando incrociò lo sguardo nostalgico di Sirius.
«No, Moony... non lo so».
Remus sospirò, prese comunque il calice e si accomodò con calma sul divanetto accanto alla finestra. Sirius intrecciò le gambe sulla scrivania e bevve un lungo sorso direttamente dal collo della bottiglia.
«Allora, amico mio... raccontami un po' cosa hai combinato negli ultimi dodici anni» disse. «E vorrai scusarmi se non ricambierò la cortesia. La mia vacanza ad Azkaban non è un argomento molto intrigante. I Dissennatori non sono esattamente degli albergatori cortesi. Avanti, racconta».
«Non credo di avere niente da raccontarti».
Sirius fece un sorriso di scherno.
«Remus Lupin, l'uomo che non aveva niente da raccontare».
Remus si rigirò il calice fra le mani.
«Da dove vuoi che cominci?».
«Dall'inizio».
«Non è un bell'inizio».
«Questo lo so».
Tacquero entrambi. Remus si attentò a bere un primo cauto sorso di vino. Il vino delle cantine di Orion Black era disgustosamente speziato, ma non fece alcun commento. “Dodici anni trascorsi come se fossero cento, eppure non ho niente da dire”.
«Parlami di Hogwarts» gli venne in aiuto Sirius con sincera curiosità.
«È un pittoresco castello nel nord della Scozia. Peccato non potersi fidare delle sue scale».
Sirius strinse le sopracciglia, poi chinò in avanti la testa e iniziò a ridere. Era una battuta sciocca e inappropriata, ma Remus si ritrovò a ridacchiare a sua volta senza nemmeno accorgersene. C'era qualcosa di forzato in quell'improvvisa ilarità, ma si rivelò comunque piacevole. Iniziò a raccontargli a grandi linee ciò che era accaduto durante l'anno in cui aveva insegnato a Hogwarts. Gli confessò di aver dimenticato in un primo momento il gradino ingannatore delle scale che conducevano al quarto piano e di essersi incastrato quasi fino al ginocchio, delle assurde creature addestrate da Hagrid, di come Fierobecco avesse attentato alla vita del giovane Malfoy e della costanza con cui la professoressa Cooman aveva tentato di inseguirlo con la sfera di cristallo fino a giugno. Nessuno dei due riuscì a restare serio durante il racconto della lezione sui Mollicci in cui aveva consigliato a Neville Longbottom di vestire Severus Piton con gli abiti della nonna.
«Avresti dovuto vedere quell'avvoltoio impagliato».
Sirius ululò divertito. Quando entrambi si furono calmati, l'aria fra di loro si era fatta d'un tratto respirabile.
«E prima, Moony?» insistette ancora Sirius. «Cos'hai fatto per tutto il resto del tempo?».
Remus sorrise senza allegria. Il barlume di serenità generato dalla loro risata si dissolse in un silenzio tirato.
«Ho aspettato il trascorrere del tempo» ammise con semplicità. «Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno».
«Da solo?».
«Da solo».
Sirius si accomodò meglio sulla poltrona.
«Ad Azkaban il tempo non esiste. Dopo un po' i giorni iniziano a diventare mesi e i mesi diventano anni... nemmeno te ne accorgi, sai?». Fece una smorfia disgustata. «Succede e basta. Ti rendi conto di essere perduto solo quando ti perdi fino in fondo e allora è troppo tardi per chiederti quanto tempo possa mancare prima che tutto sia finito. Non ti accorgi di invecchiare, non ti accorgi di morire... sai solo che sei lì dentro da quando hai memoria. E infine capisci che non hai più niente per il quale valga la pena contare i giorni».
Remus abbassò il calice e fissò l'amico con espressione impenetrabile. Soppesò rapidamente ciò che aveva intenzione di dire e quando parlò la sua voce risuonò poco più alta di un soffio.
«Mi dispiace».
Sirius agitò vago la mano.
«A te non è andata tanto meglio, Remus. Non sentirti troppo infelice per me».
Per diversi minuti l'unico rumore fu quello delle unghie di Sirius che grattavano distrattamente il legno del tavolo.
«Cosa ti sta tormentando?» domandò all'improvviso. «Non sei mai stato il tipo taciturno che tutti credono».
Remus chiuse gli occhi e appoggiò la nuca al divano. Era come avere una manciata di sabbia scricchiolante fra i denti, ma doveva dirglielo. Non poteva più aspettare.
«Quella notte alla Stamberga mi hai domandato se potevo perdonarti e io ho risposto che l'avrei fatto solo se tu avessi perdonato me. Temo di averti mentito».
«Anche io» soffiò amaramente Sirius. «Forse abbiamo entrambi sottovalutato il modo in cui il tempo è passato. Le cose sono cambiate. Tu sei cambiato. Io sono cambiato».
«Non è cambiato nulla, Padfoot. Le cose fra noi sono sempre andate così» replicò aspro. «Ti ho mentito una volta e ti sei convinto che ti avrei mentito ancora; tu mi hai tradito una volta e io ero certo che lo avresti fatto di nuovo. E quando è giunto il momento di accusare qualcuno... non potevamo che essere noi due». Scrollò le spalle come se nulla di ciò che stesse dicendo avesse qualche importanza, ma la verità era ben altra. «C'è stato un lungo momento quella notte in cui ho pensato di avere torto e ho dubitato di Peter perché non avevo più la forza per dubitare di te. Ricordo di aver gridato il tuo nome per un'ora intera... ma tu non sei tornato». Lo sguardo di Sirius era diventato insopportabile, così abbassò il capo. «Quando mi hanno detto cos'era accaduto, ciò che avevi fatto... oh, dubitare di te è tornato a essere tremendamente semplice».
Sirius si scostò dal volto sciupato una ciocca di capelli sciupati e non disse nulla. Remus attese con pazienza la sua replica, ma non era del tutto certo di volerla ascoltare.
«Ti sbagli: le cose sono cambiate davvero» ribatté infine Sirius. «Oggi io mi fido di te. Capisco molte più cose di quante un tempo nemmeno vedessi. Siamo sempre stati così diversi? Io ero quello irruente che si lanciava nel vuoto e tu eri quello cauto che esitava fino all'ultimo istante... ma ti sei sempre lanciato dietro di me, Remus». Arrangiò un sorriso sfrontato e sollevò il calice in un muto brindisi. «Se puoi perdonare te stesso, allora puoi perdonare anche me».
Era assurdo, ma Remus aveva l'impressione di aver finalmente compreso per quale motivo lui e Sirius fossero diventati amici. C'era James, c'era l'amico in comune da amare ferocemente... ma c'erano anche loro due a ondeggiare ai lati di una linea fatta di estremi che si toccavano e si scontravano in continuazione. Sirius aveva ragione: erano realmente sempre stati più simili di quanto nessuno dei due avrebbe mai desiderato ammettere, ma le cose erano cambiate.
Loro erano cambiati.
Forse se la sarebbero cavata anche senza James. Forse sarebbero riusciti a onorare la promessa di rimanere per sempre amici anche a nome suo – soprattutto a nome suo.
Remus sorrise e alzò a sua volta il calice.
«Agli amici veri, quelli che sono esattamente come appaiono... sebbene nessuno possa mai dirsi sicuro che non ci siano maschere sui loro volti».
Sirius rise.
«Alla fine ogni uomo si limita a indossare la persona che gli è vicina, vecchio mio».




But I can't move the mountains for you.
(Timshel – Mumford and Sons)





   
 
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