Under my skin
Sente bruciare il fuoco dentro. Lo
sentirà sempre.
Nel momento esatto in cui schiocca le
dita, comprende che porta
sulle spalle la sua maledizione fin dal suo primo passo in casa
Hawkeye, che
l’ha sempre avuta con sé.
Un tarlo sottopelle, un dolore
bruciante nelle vene, come
sei il sangue fosse diventato bollente – il suo marchio non
è un tatuaggio: è
se stesso, la vita che scorre dentro le sue vene, la cosa
più meravigliosa e
crudele e spaventosa che un Dio geniale e perverso potesse creare.
Mentre guarda ciò che
prima era un uomo ritornare alla
cenere, sa che l’acqua che sente premere sulle palpebre non
basterà a spegnere
l’incendio a cui lui stesso ha dato origine, le stesse fiamme
che lo divorano
giorno dopo giorno, secondo dopo secondo, mentre mangia, mentre dorme,
mentre
le accarezza il viso – mai
più, mai più!
Scie di fuoco sulla sua pelle, altri segni, altre cicatrici: sa che non
può
toccarla senza ucciderla ogni volta un po’ di più,
finché anche di lei non
resterà che un pugno di cenere tra le sue dita
colpevoli… Mai più, mai
più! – mentre si rende conto che la sua
unica ragione
di vita è anche ciò che più di ogni
altra cosa gli causa dolore.
Io ti
maledico.
Gli ultimi tizzoni si spengono,
l’odore acre del grasso
bruciato è trascinato via dal vento.
Dio si è voltato
dall’altra parte.
Questi
ultimi capitoli
sono incentra ti prevalentemente su Roy perché la fine della
guerra è secondo
me il momento dove il suo equilibrio è seriamente
compromesso. La uerra logora,
fisicamente e psicologicamente; forse Roy non è stato il
solo a toccare il
fondo più volte, ma è quello che l’ha
fatto in maniera più palese; a contrario
di lui, Maes e Riza posseggono un facciata, posticcia o meno,
più resistente,
che lascia trapelare la disperazione solo quando arriva a un apice non
più
sopportabile né occultabile.
Roy da questo punto di vista
può sembrare
effettivamente il più debole. Anche se penso che ce
l’avrebbe fatta anche da
solo: in situazioni come queste, la consolazione e la forza si trova,
basta solo
decidere dove. Se non ci fossero stati Riza e Maes, magari il nostro
colonnello
non sarebbe il personaggio che conosciamo: sarebbe un uomo che si
è ancorato a
valori diversi dell’amore e dell’amicizia per
rimanere a galla.
Questo
capitolo è
l’inizio della discesa: ho voluto che il punto di inversione
fosse proprio la
morte dell’ultimo ishvariano. Un po’
perché è il momento in cui Roy viene
maledetto “formalmente”, un po’
perché è anche l’attimo in cui, in
virtù di
questa maledizione, di questa presa di coscienza, Roy comincia ad avere
dei
dubbi sul suo legame con Riza.
Il
ragiona,mento di
Riza sarà diverso – ovviamente -
ma
quello di Roy l’ho pensato molto del tipo “le sto
facendo solo del male, perché
sono un mostro. Lo so ma va bene così per ora,
perché questo barlume di
felicità è l’unica cosa a cui posso
aggrapparmi”. Non so, mi sembrava molto da
lui.
Il fatto di
voler
negare l’evidenza, almeno in un primo momento.
Riza me la
sono
immaginata più radicale, in questo senso, ma non tanto per
la sua “freddezza”
di fondo – meglio: di facciata. Non esiste personaggio
più emotivo di lei – ma
proprio perché nonostante le apparenze è
più fragile ai colpi che la vita e la
guerra gli riserva.
Vedremo.
Grazie come
sempre per
le recensioni e i commenti sempre molto belli – ormai ho la
scatola di kleenex
in pianta stabile vicino al pc.
Un bacione a
tutte, a
domani!
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