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Capitolo 20: Not a game
Dopo quella che parve loro un’eternità, giunsero finalmente
al castello del daimyo; come previsto, non si sarebbe rivelata un’impresa
semplice: alte mura di roccia circondavano la rocca, e numerose sentinelle
s’avvicendavano nei camminamenti dell’enorme
pagoda.
«Decisamente il posto migliore dove nasconderci la formula
di un veleno capace di ammazzare migliaia di persone…» pensò Mizar, con un
sorriso amaro.
Si voltò verso Itachi, commentando ironica:”Non sarà certo
una passeggiata”
“Ti ho sopportato finora, questo sarà nulla al confronto”
ribattè lui con stesso tono.
La ragazza lo fissò sottecchi:”Sbaglio o hai appena fatto
una battuta?”
Lui non le rispose, ma prese ad esaminare la situazione,
studiando il modo migliore per infiltrarsi nel castello senza farsi
scoprire.
Malauguratamente, dovette constatare che l’unica era
risalire le imponenti mura pietrose, dalla parte in cui esse non si affacciavano
sul lago palustre che quasi circondava la roccaforte; inutile dire che la
possibilità d’essere scorti dalle guardie era
elevatissima.
Fosse stato da solo, non se ne sarebbe nemmeno preoccupato,
ma non poteva permettere che Mizar corresse
pericoli.
Cosa ci trovasse di interessante poi, in quella piccola
intrigante, nemmeno a lui era dato saperlo…Fatto stava che l’erede dei Koga era
stata l’unica ad avere un po’ di fegato per parlargli schiettamente, ad
affrontarlo a viso aperto, senza temerlo. Per la prima volta dopo anni, era
stata la prima a trattarlo come suo
pari.
Certo, non si sopportavano per niente, o meglio, si
detestavano cordialmente ma, non poteva dimenticarsi che era stata Mizar a
fermare Sasuke nel Paese dei Fiumi; in qualche modo, quella ragazza
insopportabile aveva la capacità di andare oltre le banali apparenze, di vedere
dove nemmeno suo fratello poteva…
Sembrava quasi che lei riuscisse a capire…il suo
cuore…
Itachi scosse forte la testa, quasi cercasse di allontanare
quei pensieri fuori luogo in quella
situazione.
«La missione prima di tutto» si ripetè per l’ennesima
volta.
“Allora, che si fa?” azzardò a chiedere la biondina, in un
sussurro. In un primo momento fu sul punto di risponderle malamente, ma poi si
rese conto di quello che lei aveva cercato di fargli capire da quella mattina:
era la sua prima vera missione anbu, aveva bisogno di consigli e avvisaglie, non
di commenti acidi e sprezzanti. Per quanto non la sopportasse, era pur sempre
l’unico ninja su cui far affidamento da lì a
Konoha…
“Sappiamo che abitualmente ci sono tra i mille e i
milleduecento guerrieri in quella fortezza. Ora, contando l’ora, potrei mettere
la mano sul fuoco e dire che un quarto di questi ha la licenza di trascorrere la
notte fuori…”
“Perché?”
“Regolare visita alle case di
tolleranza…”
Mizar arrossì, borbottando un:”Tipico dei maschi…” a stento
inteso da Itachi, che proseguì nelle sue spiegazioni: “Comunque, dovranno essere
di rientro all’alba, quindi per quell’ora noi dovremo aver già fatto ed essere
anche parecchio lontani…”
Scoccò un’occhiata eloquente alla biondina, che lo fissò di
rimando, perplessa:”Ci vorrà così tanto tempo prendere una stupida formula e
levare le tende?”
L’Uchiha avrebbe riso volentieri:”Calcolando il numero
delle stanze del palazzo, soldati, eventuali combattimenti e guai simili…sì.
Anche perché dovremo attendere gli intervalli di tempo fra un cambio della
guardia e l’altro, prima di poter passare le
mura”
“Fantastico…E fra quanto
dovremmo…”
“Adesso. Abbiamo un’ora di tempo per passare la prima
cerchia di avvistamento e salire le mura prima che passi la ronda. Dobbiamo
andare” concluse Itachi, pronto a
ripartire.
Mizar sospirò: addio pausa di
riposo…
L'interno della pagoda era completamente ligneo, con
stucchi e finiture in oro, tappezzeria in seta rossa e bianca, shoji della più
pregiata carta di riso.
La scelta di agire nottetempo si era rivelata azzeccata:
un’incursione diurna, in un ambiente simile, avrebbe significato un sicuro
fallimento.
«Saremmo stati troppo
visibili»
Ma a quell’ora tarda non vi era anima viva: la servitù
doveva aver terminato da poco le corvées nelle cucine, la corte si era già
coricata da tempo ed il daimyo era probabilmente troppo occupato con le sue
concubine.
Quanto alle guardie, molte di esse erano a spassarsela
nelle taverne, e quei pochi rimasti non consistevano certo una
minaccia…
«Per Itachi»
Mizar pregò di non trovarsi mai in condizione di dover
uccidere per difendersi; ciò che le era inconcepibile di quel mondo era la
facilità con cui venivano messe in gioco le
vite…
Un rumore secco la fece voltare di
scatto.
“Tranquilla” le disse Itachi, indicando un gatto nero che
era balzato fuori da un enorme vaso di maiolica dipinta a
mano.
La ragazza avvertì un brivido gelido correrle lungo la
schiena. Non era superstiziosa, amava i gatti
ma…
Come si dice, coincidenze insolite destano sospetti. E
l’aver trovato il palazzo semideserto diceva già
molto.
“Sei troppo nervosa” commentò improvvisamente
l’Uchiha.
“Come sei premuroso…La stanchezza ti rende gentile?”
ribattè ironica la giovane.
Occhiataccia
truce.
“Ok, come non detto…Mi spiegheresti perché stiamo girando
senza sapere dove andare, come se ci fossimo
persi?”
Itachi inarcò un sopracciglio:”Cosa ti aspettavi, un bel
cartello con su scritto ‘per il rotolo rubato, sali le scale e terza porta a
destra del corridoio di sinistra’?”
Mizar lo guardò storto:”Lo sai invece dove devi andare
tu?A…”
Improvvisamente il ragazzo si girò, tappandole la bocca con
una mano.
“Chiacchieri troppo” disse in un
sussurro.
La diciassettenne trasalì, trovandosi ad un soffio dal viso
di Itachi.
“Dobbiamo stare attenti, e passare inosservati. Konoha non
può permettersi errori”
L’Uchiha sfilò da una tasca della divisa anbu un minuscolo
rotolo che, una volta aperto, si rivelò essere una piantina del
palazzo.
“Come fai a…?”
“Raccogliere informazioni è la priorità per un ninja. Oggi
pomeriggio, alla taverna, la conversazione con Yabu si è rivelata più utile di
quanto potessi mai sperare”
Mizar lo fissò un istante senza capire, e allora il ragazzo
accennò ad un sorrisetto che nulla aveva d’allegro:”Non sempre le informazioni
si ottengono verbalmente”
Lo sharingan scintillò sinistro nel
buio.
La giovane
rabbrividì.
“Non ho avuto bisogno di torturarlo per avere questa, se è
ciò che stai pensando. È stato sufficiente sondargli la mente, non aveva alcuna
difesa a causa del sakè” disse l’Uchiha, come se fosse stata la cosa più ovvia,
come se fosse normale e corretto violare il pensiero di
qualcuno…
“Te l’ho già detto, prima di tutto la missione. Non sarai
mai degna del nome di ninja, se anteponi al tuo dovere inutili vincoli
morali”
Parole gelide come una secchiata d’acqua e dure come un
pugno; ma prima che potesse trovare la forza di ribattere, si udirono
improvvisamente delle voci,
vicinissime.
In un solo istante, Itachi l’afferrò per un braccio,
trascinandola dietro un paravento ornamentale posto in un angolo del corridoio
che circondava il corpo centrale della pagoda, occupato da una tortuosa rampa di
scale lignee.
Mizar cercò di ribellarsi, giusto per scostarsi quel poco
sufficiente ad evitarle di essere incollata al ragazzo, ma la stretta di
quest’ultimo le impedì di
divincolarsi.
«Sta’ ferma!»
La sua voce le risuonò nella testa come un gelido
ordine.
Il silenzio che regnava tra quelle mura venne
improvvisamente spezzato da un rumore affrettato di passi: qualche secondo dopo,
tre soldati apparvero di corsa dal nulla del
corridoio.
“Sbrigatevi idioti, o il comandante ci farà
ammazzare!”
“È colpa di Shirosuke se siamo in ritardo!Lui e le sue
puttane!”
“Baka, se ti sei ubriacato per
primo!”
“Zitti!Pregate che non sia accaduto nulla in nostra
assenza!Se scoprono che non eravamo ai nostri posti nella ronda, potete anche
dire addio alla testa!”
Le voci concitate si affievolirono in lontananza,
perdendosi nuovamente nella sconfinatezza della
pagoda.
“La via è di nuovo
libera”
Mizar incrociò per un istante gli occhi di Itachi: se il
‘pericolo’ era passato, perché continuava a
stringerla?
«Ma che cosa sto pensando…No, è fuori luogo e completamente
senza senso!!!No, no…»
Le sembrò di vedere il diciottenne inarcare un
sopracciglio, quasi incuriosito.
Ma non era possibile che le leggesse così i pensieri…Un po’
di rispetto per la privacy altrui, era esigere
troppo?
“Koga,
andiamo”
“Dove?” fu la domanda più ovvia che le balenò per la
mente.
“Dobbiamo arrivare in cima alla pagoda” rispose Itachi,
sbrigativo.
La kunoichi obbiettò:”Come fai ad essere
sicuro…”
“Se avessi prestato un po’ più attenzione, magari con la
tua abilità innata, ti saresti resa conto che in cinque piani non abbiamo ancora
incontrato guardie, eccetto questi ultimi che, stranamente, sono saliti ai piani
superiori…Ma, dimenticavo, tu non sai gestire il tuo chakra” aggiunse l’Uchiha,
gelido.
Mizar non gli rispose, ben conscia che, se si fosse
arrabbiata, l’avrebbero sentita fino a Konoha. Un gesto col dito medio fu più
esplicativo di ogni parola.
«Comincio a capire perché hanno mandato me con questo qui,
non hanno trovato nessuno disponibile a sopportarlo!! Maledetto
Kakashi-sensei…If I survive, I
swear…»
Molto lontano da quel luogo, a Konoha, un giovane
quindicenne camminava sotto la pioggia, alla ricerca di risposte che non gli era
dato conoscere.
Troppi perché che affollavano la mente, che si rifiutava di
accettare quella verità offuscata, cruda ed al contempo semplice che già gli era
stata rivelata.
Le parole di Jiraya, di Kakashi, di Mizar, ma soprattutto
la voce di Itachi che gli risuonava nelle orecchie, dura come un pugno, fredda
come il ghiaccio. Un peso nel cuore che non riusciva ad
acquietare.
Sasuke chiuse gli occhi, il viso alzato al cielo, sentendo
rivoli di pioggia gelida scivolargli lungo le guance, fino a perdersi sui
vestiti fradici.
Non piangeva. Le lacrime sono disdicevoli, per uno shinobi;
un simbolo di debolezza, di un’umanità che non è propria di una creatura che
annoverava nelle proprie qualità il rispetto assoluto delle regole e
l’assassinio.
Non piangeva, non l’aveva più fatto da quella notte. Col
passare degli anni, aveva scoperto che la disperazione poteva essere
confortevole, come le braccia di una madre premurosa.
Crogiolandosi nel proprio dolore, aveva vissuto sino a quel
momento, compiendo le sue scelte, giuste o sbagliate che fossero. E, sebbene
avesse abbandonato la folle idea di seguire Orochimaru, non aveva abbandonato
l’unica ragione che l’avesse spinto ad andare
avanti.
Nonostante sapesse di avere delle persone speciali legate a
lui, non aveva mai smesso di bramare vendetta nei confornti di suo
fratello.
Ma ora, che cosa gli
restava?
Scoprire che Itachi fosse una vittima alla pari di lui, lo
aveva sconvolto.
Ammettere che fosse innocente, significava ammettere con sé
stesso di non avere più uno scopo nella
vita.
Era sopravvissuto, aveva combattuto in nome di una vendetta
che ora vedeva svanire in fumo sotto una coltre di pietà. Che senso aveva avuto,
tutto ciò che aveva fatto? L’essere arrivato a un niente dal vendersi ad
Orochimaru, l’aver fatto soffrire Sakura e Naruto per una volontà ferrea che ora
non aveva più senso di perdurare. L’essersi reso conto di quanto la sua vita
fosse vuota.
La porta di casa si aprì con un cigolio. Con i vestiti
zuppi di pioggia, Sasuke si lasciò cadere sfinito sul divano, nell’oscurità
della stanza, mentre fuori infuriava il
temporale.
«Nulla ha più senso,
oramai»
[Diverso tempo dopo, lontano da
Konoha]
Ne aveva vedute tante, nei suoi diciotto anni, specialmente
negli ultimi, passati a frequentare taluni pub nel cuore del Bronx, a New York.
Aveva imparato, quasi a sue spese, cosa volesse dire stare alla larga dai guai.
Ma mai, aveva dovuto mettere a repentaglio la sua vita. Mizar Koga non era un
ninja, ma nessuno sembrava capirlo, in quel mondo.
Bambini abituati ad uccidere, addestrati a farlo, già in
tenera età. La morte è parte dell’esistenza di uno
shinobi.
E non c’è esperienza più fortificante della prima missione
seria. Quando devi lottare, per portare a casa la
pelle.
“Koga, muoviti!” ordinò Itachi, mentre correva qualche
metro avanti rispetto a lei.
Negli ultimi…minuti? Nemmeno lei avrebbe saputo dire quanto
tempo fossero rimasti in quella fottutissima pagoda…Aveva sperimentato
letteralmente cosa significasse vivere la vita sul filo di un
rasoio.
Perché, nonostante sentisse il peso del rotolo rubato nella
sacca che portava su una spalla, la missione era ben lungi dall’essere andata a
buon fine o dall’essere conclusa.
“CORRI E NON
FERMARTI!»
Itachi. La sua mente di abile stratega aveva curato ogni
dettaglio della missione con minuziosa precisione. Ma nemmeno il vero erede
dello sharingan aveva saputo prevedere quali assurdi risvolti aveva assunto la
loro impresa.
Una missione di recupero, con un livello alto dovuto più
alla “scomodità” del nemico per Konoha, più che per la sua pericolosità. Una
fortezza difesa da samurai, le cui abilità erano imparagonabili a quelle di due
jonin.
Una missione facile, troppo. Quasi noiosa. Mai ipotesi si
era rivelata più sbagliata.
[Prima…]
Erano riusciti ad arrivare indisturbati sino al piano
riservato agli appartamenti privati del
Daimyo.
Itachi e Mizar si erano separati per esplorare le due vaste
ale, suddivise in un’infinità di stanze. Con ogni senso all’erta, la ragazza si
era addentrata in quello che a tutti gli effetti era l’harem del padrone del
palazzo. Le concubine “minori” alloggiavano in piccole stanze, in tre o quattro.
Improbabile che il rotolo fosse lì
dentro.
Via via che si addentrava verso il centro della struttura,
le camere divenivano più grandi, sino ad essere veri e propri appartamente
squisitamente arredati, ciascuno riservato ad una singola geisha. Le donne
dormivano profondamente, in un sonno che la Koga ritenette provocato da una
probabile sbornia.
Per il resto, nemmeno una guardia: gli uomini non erano
ammessi in quel luogo di piacere privato, se non dietro ad esplicito invito del
Daimyo. Nonostante ciò, credette di scorgere qualche figura maschile nascosta
sotto le coperte di seta, avvinta nel sonno al corpo candido di una concubina.
Giovani amanti passionali disposti a rischiare la vita, nel caso fossero stati
scoperti. Nell’aria aleggiavano i rimasugli di quello che, senza alcun dubbio,
doveva essere oppio.
Una casa di tolleranza in piena
regola.
Inprovvisamente si trovò dinanzi ad un enorme shoji di seta
rossa con ricami d’oro. Il cuore della
pagoda.
L’appartamento del
Daimyo.
Si guardò attorno con circospezione: Itachi non c’era. Lo
shinobi era stato chiarissimo a tal proposito; se lei avesse trovato qualcosa, e
se fosse stata sicura di non correre rischi, avrebbe potuto procedere.
E, per quello che poteva percepire con la sua abilità
innata, di soldati non vi era nemmeno
l’ombra.
Si era addentrata nelle stanze con accortezza felina,
pronta a scattare al minimo cenno di pericolo. I muscoli le dolevano, tanto
erano tesi nello sforzo di non fare il benchè minimo
rumore.
Fece scorrere lentamente uno degli shoji del quartiere
interno, e s’infilò nell’oscurita della stanza con un lieve
fruscio.
«Perfetto, è vuota» pensò Mizar, con un
sospiro.
Era un banalissimo salottino, adorno di imbottiture di seta
verde giada, con un tatami fatto di tanti quadrettoni color muschio, su cui era
ritratta l’effige di un samurai nell’atto di colpire a morte un
dragone.
«Direi che qui non c’è nemmeno un parziale nascondiglio per
quel rotolo. Ammesso che non il daimyo non l’abbia rivenduto. Chissà se Itachi
ne ha tenuto conto…»
Iniziava ad essere stanca di giocare a nascondino in quel
posto.
Stai attenta, Mizar. Non sottovalutare
questa missione, e non considerarla un gioco. Ne vale della tua
vita.
«Cosa?»
La ragazza trasalì. Chi aveva
parlato?
Si guardò attorno, la mano già sull’elsa della
katana.
Non c’era anima viva. Possibile che quella voce l’avesse
udita…nella sua mente?
«Itachi?»
Silenzio assoluto. La biondina scosse la testa: cominciava
anche a diventare paranoica?
«Meglio uscire. Qui non c’è proprio
nient…WAAAH»
Rischiò di cadere, dopo aver inciampato in uno dei quadrati
che formavano il tatami, leggermente sollevato rispetto agli
altri.
Se ci fosse stato l’Uchiha, con ogni probabilità avrebbe
avuto da ridire riguardo la sua “leggiadra destrezza”, o qualcosa di
simile.
«Potevo anche farmi male!» pensò con stizza Mizar, fissando
torva il tatami. Improvvisamente, le
vide.
Macchie di un colore più scuro rispetto al rosso con cui
era stato ricamato il drago. Si chinò per esaminarle.
Le dita toccarono quel fluido viscoso e tiepido, di un
rosso quasi nero.
«Sangue»
Un brivido fastidioso le corse lungo la spina dorsale.
Odiava vedere il sangue, era una sensazione più forte di
lei.
Dopo quell’attimo di smarrimento, non potè fare a meno di
chiedersi cosa ci facesse lì del sangue, finchè non s’accorse che le macchie
costituivano una lunga striscia, che passava sotto l’altro shoji della stanza,
come se qualcosa fosse stato trascinato fuori di peso. Qualcosa come un
corpo.
«What the heck’s
happening?»
La kunoichi si alzò in piedi, e seguì quella traccia umana,
la curiosità morbosa che lottava contro la
paura.
Oltre lo shoji, il sangue era un’unica scia che
attraversava tutto lo stretto corridoio che portava ad un’ultima
stanza.
Quella che doveva essere il sancta sanctorum di
tutto il palazzo, la camera da notte del
daimyo.
«La faccenda non mi piace. Dov’è quel cretino, quando c’è
bisogno di lui?»
La presenza gelida di Itachi le sarebbe stata di conforto,
in quel momento.
Camminò lentamente lungo le pareti, sino all’enorme porta
di legno massiccio intarsiata di madreperla ed
oro.
Il sangue andava
oltre.
Sfoderò un pugnale, le dita strette con forza attorno
all’impugnatura, la presa fin troppo salda, mentre l’altra mano spinse piano il
grosso battente di metallo. Una fessura sottilissima, da cui riuscì ad
intravedere una minuscola porzione della camera. E un’ombra proiettata sul
pavimento, accanto ad un cumulo di stoffa che si contorgeva a
terra.
L’ombra aveva in mano qualcosa. Mizar scorse il baluginio
metallico, e sentì la lama fendere l’aria con un sibilo, sino a colpire la
sagoma indistinta che giaceva a terra in preda agli spasmi. Un colpo secco, un
gorgoglio simile ad un rantolo e poi s’irrigidì, restando immobile.
La ragazza trasalì, nel silenzio assoluto, e l’ombrà si
alzò di scatto. L’aveva sentita!
«Merda!»
Indietreggiò contro il muro, appiattendosi contro di esso,
il cuore che batteva forte. L’avrebbe trovata, con tutto il casino che
faceva!
Sotto la porta vide la luce tenue venire
oscurata.
«È finita»
Invece non accadde nulla. L’ombra sparì un istante
dopo.
Mizar dovette attendere lunghi, interminabili secondi,
prima di riuscire a trovare la forza di
muoversi.
Sfoderò anche l’altro pugnale sai e, con lo Tsuki no Kokoro
che ardeva nei cuoi occhi, colpì la porta con un calcio, spalancandola e
balzando dentro la stanza, pronta a combattere. Ma era completamente
deserta.
Chiunque fosse, se n’era
andato.
Senza abbassare la guardia, si avvicinò con circospezione
al cumulo di stoffe stracciate che giaceva a terra, in un lago di sangue. Il
corpo di qualcuno, forse dello stesso daimyo. L’uomo aveva cercato di fuggire,
era corso fino alla stanza in cui si trovava prima…forse c’era un passaggio
nascosto sotto il tatami…In ogni caso, l’assassino doveva averlo raggiunto in
fretta, e l’aveva ritrascinato fino alla camera da letto, per farlo
fuori.
«Ma chi ha osato colpire a morte un uomo così potente, e
come. Soprattutto, per quale
motivo?»
Con il piede rivoltò il cadavere…E subito dopo dovette
reprimere un conato di vomito.
Indietreggiò, gli occhi sbarrati dal
terrore.
«Fuckin’ hell»
Il daimyo giaceva riverso con la faccia sconvolta dagli
spasmi dell’agonia. Aveva fatto una fine
orribile.
La gola era stata tagliata fin quasi alla decapitazione, lo
squarcio aveva intaccato persino le vertebre del
collo.
Paralizzata dal terrore, non riusciva a distogliere lo
sguardo da quello scempio.
Il kimono candido era stato tinto di rosso dal sangue
copioso e, fra le ferite che erano state inferte al corpo, vi era un grosso
taglio aperto ad altezza del ventre, da
cui…
Una mano le coprì improvvisamente gli occhi, e subito una
voce la zittì prima che gridasse.
“Sono io. Non
guardare”
Mizar si
rilassò.
“Che cos’è successo?” domandò Itachi, facendola voltare
verso di sé.
“N-non lo so…C’era qualcuno, prima…N-non ho v-visto chi
fosse…” mormorò la ragazza, ancora
scossa.
Un’ombra di nervosismo passò sul viso di
Itachi.
“Dobbiamo andarcene. La missione è
annullata”
“Ma…non abbiamo ancora trovato il
rotolo…”
“Non importa, dannazione per una volta non discutere! È in
gioco la reputazione del villaggio, se ci trovano e ci riconoscono saremo
accusati di omicidio, e non ho intenzione di avere anche questo sulla
coscienza!” ringhiò l’Uchiha a bassa voce, lo sharingan fiammeggiante nelle
iridi.
Mizar deglutì e tacque. Uscirono di corsa nel corridoio,
ripercorrendo la stessa strada a
ritroso…
“Aspetta,
Itachi!”
La ragazza si fermò di scatto, davanti alla porta della
saletta con il tatami del dragone.
“Che cosa
c’è?”
“Mi è venuta in mente un cosa che ho visto
prima…forse…”
Corse dentro la stanza, ignorando il richiamo esasperato
del jonin.
Gli occhi impiegarono un attimo a ritrovare il quadrato di
tatami disconnesso.
Si chinò ad esaminarlo. C’erano i segni di una giuntura,
sotto di esso! Con uno sforzo, riuscì a sollevare la finta
botola.
“Koga, non è il momento
di…”
“Sta’ zitto e vieni a
vedere!”
In un balzo Itachi le fu accanto, e un lampo d’incredulità
balenò nel suo sguardo.
Sotto il tatami non vi era alcun passaggio, ma lo spazio
non era affatto vuoto.
Sacchetti di seta ricolmi d’oro e gioielli, armi e…un
rotolo di pergamena con un sigillo argenteo, su cui era incisa l’effigie della
Foglia.
“Finalmente qualcosa che va per il verso giusto” commentò
Mizar, mentre l’Uchiha raccoglieva il rotolo con un mezzo
sorriso.
“Ottimo lavoro –commentò- Adesso
andiamocene”
Non fecero in tempo a fare una decina di metri, che l’urlo
agghiacciante di una donna lacerò il
silenzio.
«Maledizione, l’hanno già
trovato!»
Corsero, quando improvvisamente la figura di una donna si
parò dinanzi a loro; probabilmente doveva essere la stessa che aveva appena
gridato.
Vi fu un istante di stasi, in cui tutti e tre si
fissarono.
“FERMATEVI! GUARDIEEE, HANNO UCCISO IL
DAIMYOOO…AAAAAAAAH!”
La geisha cadde riversa a terra, gli occhi vuoti e la
tipica espressione di chi è preda di
un’illusione.
“Muoviti Koga, non voglio dover affrontare l’intero
reggimento di soldati!”
Raggiunsero il piano superiore del palazzo, l’ultimo…Erano
finiti in un vicolo cieco!
“Itachi, dove stiamo andando?!! Siamo in trappola!” gridò
la biondina, vedendo dinanzi a sé una parete di legno spessa, e sentendo decine
di voci sempre più vicine.
“No che non lo siamo. Tieni stretto il rotolo” disse
tranquillo l’Uchiha, lanciandole la sacca in cui lo aveva messo. Aveva esaminato
la planimetria della pagoda, e se la ricordava. Voltò leggermente la testa verso
la ragazza.
“Prendi la mia mano e non
lasciarla”
“Cosa stai…”
“FALLO E
BASTA!”
Le sue dita tremanti strinsero attorno alla mano sinistra
del ninja, che le strinse forte.
“Avere la fiducia della propria compagna di squadra rende
migliori anche le situazioni critiche,
ricordatelo”
Prima che Mizar potesse capire ciò che le aveva appena
detto, Itachi concentrò il chakra nella mano destra, e si lanciò di corsa verso
la parete massiccia, trascinando la ragazza con
sé.
“AMATERASU!”
Le fiamme nere carbonizzarono all’istante il legno, e
sfondarlo non fu difficile. Con una spallata poderosa la parete cedette, e i due
ragazzi si ritrovarono a precipitare nel vuoto, giù dall’alta pagoda, sino a
finire dentro le scure acque del lago, come Itachi aveva astutamente
calcolato.
Il grido di Mizar fu spento dall’aria gelida che le finì
nei polmoni, un istante prima del
tuffo.
L’acqua fredda le intorpidiva le membra, rallentando i suoi
movimenti. Ci mancava solo che
annegasse!
Con uno sforzo si diede una spinta di anche e nuotò fino
alla superficie. Aria.
Le ci vollero diversi secondi per
riprendersi.
«Itachi, maledizione a te, giuro che se ti prendo, non
rispondo delle mie azioni!»
L’Uchiha riemerse qualche istante dopo, poco
distante.
“Tu, razza di cretino! La volta prossima che ti viene in
mente un’idiozia simile, non farla in mia
presenza!”
“Non lamentarti come una bambina. Ringrazia di aver portato
a casa la pelle, Koga”
“Di certo non grazie a
te!”
L’Uchiha la fissò con gli occhi ridotti a due
fessure:”Preferivi combattere contro tutti quei
samurai?”
Mizar si morse un
labbro.
“Come immaginavo. Nuota, se ne sei capace. Dobbiamo
rientrare a Konoha, la vicenda non mi piace. Temo che avremo problemi” disse il
ragazzo, prima di dirigersi verso riva con un impeccabile “stile
libero”.
Una volta fuori, un’impietosa aria fredda si strinse nella
sua morsa, anche se il jonin non diede il minimo segno di indebolimento,
dimostrandosi un degno stoico.
“C-cosa f-facciamo o-ora?” domandò tremando dal freddo la
biondina, strizzando alla bell’e meglio le gambe dei pantaloni
fradici.
“Te l’ho già detto. Prima ce ne andiamo, meglio è. Muoviti”
disse il ragazzo e, senza darle il tempo di riprendersi, riprese la
corsa.
“Lo so che l’hai detto, non sono rimbambita. Ma…non me la
dai a bere, qualcosa ti preoccupa”
Itachi la guardò, inarcando un sopracciglio:”Perspicace,
Koga. Ciò che mi dà noia, di questa faccenda, è che non siamo gli unici a
cercare quel rotolo. Non so se l’hai notato, ma nella camera del daimyo era
tutto a soqquadro. Cercavano la stessa cosa che volevamo noi. Il daimyo deve
averli scoperti, o deve aver tentato di mettere in salvo una plausibile fonte di
guadagno, ed è stato tolto di
mezzo”
«Tolto di mezzo? Credo che solo Jack the Ripper riducesse a
quel modo le sue vittime!»
Mizar si passò una mano tra i capelli bagnati, e rifece la
coda, continuando a correre.
“Non possiamo fermarci. Tra poco ce li troveremo addosso,
ed è meglio evitare lo scontro”
“Vuoi dire che ce n’è più di uno? Ma
chi…?”
L’Uchiha scosse il capo: aveva fatto un errore di calcolo,
non prendendoli in considerazione.
“Il gruppo di ninja traditori assoldati dal daimyo per il
furto del rotolo. Probabilmente, contavano di farsi pagare il lavoro,
riprendersi la merce e rivenderla per conto
loro”
La Koga lo fissò perplessa. “Come fai ad essere certo che
siano stati loro?”
Un sorrisetto
amaro.
“Semplice. Un samurai non avrebbe mai ridotto così un
nemico, per questioni di onore. Un ninja se ne frega di queste insulse regole da
codice. Ogni mezzo è buono per un
fine”
Aveva appena riassunto l’essenza di due codici marziali
esattamente agli antipodi: il Bushido e il Ninpo. Lei, li aveva letti, tempo
addietro, ancora quando era a New York; tuttavia, non aveva mai percepito come
la loro differenza abissale fosse
così…spietata.
«Il fine che giustifica i mezzi? No…Io non sono
così…AH!»
Un kunai apparve dal nulla e si conficcò con un rintocco
metallico nel terreno dinanzi a loro. Si fermarono di scatto,
all’erta.
“Ma che carini! Che bei discorsi filosofici…Siete proprio
due mocciosetti freschi di accademia, anche se, lo ammetto, ci sapete fare”
sibilò una voce melliflua.
Lo sharingan di Itachi perlustrò a fondo il fitto fogliame
della foresta.
«Dove si
nasconde?»
“Kuro, ma che dici? Sei proprio un idiota…Konoha ci ha
fatto l’onore di mandare due anbu”
«Due»
“Chissà, magari le loro teste valgono già
qualcosina”
«Tre»
“Mah, sono giovani, dei bambini che giocano a fare i ninja”
commentò con una risata la prima
voce.
L’Uchiha chiuse gli occhi. C’erano tre nemici, senza dubbio
ninja di livello jonin, marchiati come traditori del villaggio di Kiri. Con
un’ottima abilità di
mimetizzazione.
Sorrise. Erano avversari perfettamente alla sua
portata.
“Itachi…” mormorò Mizar nervora, accanto a
lui.
Sfortunatamente, non avrebbe potuto dire lo stesso della
ragazza.
«Maledizione. L’avevo detto a Kakashi, che avrebbe causato
soltanto guai»
“Allora, piccoletti, ce lo date quel rotolo? Non vorrete
farvi male” sghignazzò di nuovò la stessa voce, nascosta nelle
tenebre.
Itachi riaprì gli occhi, annullando lo sharingan. Doveva
giocarsi bene l’unica carta
possibile.
“D-d’accordo. Ci arrendiamo. Vi consegnamo il rotolo, ma
non uccideteci, vi prego” esclamò, simulando benissimo la sua
paura.
Mizar lo guardò
incredula:”Cos…”
«Quando escono allo scoperto, aspetta il mio segnale e vai.
Corri, sempre verso est, non fermarti nemmeno se senti che le gambe non si
muovono più. Arriva a Konoha, e consegna il rotolo a
Tsunade»
«Ma…»
«Non discutere! Mi sei solo d’intralcio
qui!»
La biondina sospirò:«Ma
tu…»
«So cavarmela da solo, Koga. Non sono uno sprovveduto. Ora
dammi retta, e aspetta il mio
segnale»
Mizar annuì impercettibilmente, ed alzò le mani in segno di
resa:”Ci arrendiamo. Non fateci del
male”
“Uhuh, non ve ne faremo,
carina”
Improvvisamente un ninja atterrò davanti a loro. Aveva un
coprifronte con il marchio della Nebbia, e una grande scimitarra in
pugno.
“Siamo persone magnanime, noi Spadaccini della
Nebbia”
Altri due shinobi comparvero dal nulla accanto al primo,
uno con un grosso macete in pugno, l’altro con due jitte dalle punte
affilate.
Erano tutti uomini adulti, sulla trentina, e con un’aria
tutt’altro che rassicurante.
“Dammi il rotolo, ragazzino, e prometto che non vi faremo
un graffio…forse”
“Non ti credo!” gridò
Mizar.
“Ma sentitela, quanto strilla questa pupattola. Bella, hai
forse qualche altra scelta?”
Itachi le fece cenno di
tacere.
“Non ne abbiamo. Prendetevi il rotolo ma, vi scongiuro,
lasciateci andare…”
Infilò una mano nella sua piccola sacca, ed estrasse il
rotolo rubato.
“Tenete!” gridò l’Uchiha, lanciandolo al ninja che a tutti
gli effetti sembra essere il capo, quello con la
scimitarra.
“Bravo piccolo, saggia decisione…MA
COSA…AAAARGHHH!”
La carta bomba con il finto rotolo esplose non appena la
mano del ninja.
Nel fumo spesso che li avvolse, Itachi agguantò Mizar per
un braccio e la spinse avanti.
“Corri, e non fermarti!
VAI!”
Senza replicare, la ragazza corse
via.
«Sta’ attento» pensò in cuor
suo.
Il fumo si diradò in fretta, spazzato via dal
vento.
I tre mukenin erano ancora vivi, e solo vagamente
storditi.
Non che Itachi contasse di levarseli di mezzo con una
banalissima carta bomba, ma come escamotage momentanea aveva
funzionato.
Era rimasto lui da solo, come
previsto.
“Piccolo bastardo, come hai osato! Dov’è la mocciosa?!”
gridò quello con la scimitarra, con una parte del volto scottato
dall’esplosione.
“Uhuh, vi siete fatti fregare facilmente, per essere degli
Spadaccini. Sicuri delle vostre referenze?” commentò in risposta il jonin,
sardonico.
“MALEDETTO, NON NE USCIRAI VIVO! TECNICA DEL VELO DI
NEBBIA!”
Subito l’aria si velò, avvolta dal fitto vapore perlaceo
provocato dall tecnica.
“Koshiro –ordinò il mukenin con la scimitarra- tu resti con
me. Shogen, va a prendere quella sgualdrinella e
ammazzala”
Il ninja con il macete annuì con un sorriso crudele.
”Considerami già tornato, Hanzo” disse, svanendo con un
fruscio.
«E ora a noi due, piccolo bastardo» pensò Hanzo, sfoderando
la sua spada.
“Voglio avvertirti, ragazzino. Non ho intenzione di
lasciare integro un solo brandello del tuo corpo. Preparati, non sai chi hai
sfidato! Questa nebbia è il mio regno, non hai
scamp…”
Prima che potesse finire, un kunai gli sfiorò la guancia
bruciata, facendolo urlare di
dolore.
“So chi sei, Hattori Hanzo di Kiri. Un misero ladro che se
la spassa a fare il ninja. In merito a questo, t’invito a raccomandare te stesso
ai Kami”
Itachi si stagliò innanzi al ninja, la sua chokuto in mano,
e lo sharingan ardente come
l’inferno.
E Mizar c’è! Dopo mesi trascorsi nel
buio, ha affrontato a testa alta gli esami di Maturità e ora manca solo
l’orale.
E lo scoglio di questo capitolo è
andato. Grazie di cuore a tutti quelli che, ancora dopo tanto tempo, mi
seguono.
Grazie (anche a Ale che mi sommerge di
spoiler…In fondo gli voglio
bene…)
Passando alla storia, direi che i tre
Spadaccini hanno sfidato Itachi senza sapere con chi hanno a che fare…La vedo
brutta. I loro nomi sono il mio ennesimo tributo a quello stupendo manga che è
Basilisk (Agli appassionati di ninja consiglio di leggerlo!), come già lo sono i
cognomi Iga e Koga, nonché i nomi dei capostipiti dei due clan Yashamaru Koga e
Gennosuke Iga (In Basilisk i clan sono invertiti
^_^).
Per quanto riguarda il povero
daimyo…Brutta fine, un po’ macabra. Ci
stava.
Suggerimento: non fate come la
sottoscritta che si è letta un paio di studi su Jack the Ripper (Il serial
killer londinese che nel 1888 uccise cinque donne, sgozzandole e squartandole).
Purtroppo quella simpaticona della mia prof di inglese ce li ha rifilati come
compito di letteratura sulla Victorian Age. Soprattutto, non cercate dati in
internet se siete presi da una sfrenata curiosità, molti siti hanno la
disgustosa abitudine di esporre in bella vista le foto dell’epoca delle vittime.
Diciamo che come esperienza la consiglio solo a qualche pazzo che vuole
ragionare nell’ottica di un possibile scenario immediatamente post-strage del
clan degli Uchiha: descrizione macabra assicurata, nottate insonni
incluse.
Toccando argomenti più
piacevoli…Finalmente,
ESTATE!
E tempo di aggiornare senza dover
anteporre casini scolastici.
A
presto,
Mizar*89
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