Eccoci
al secondo capitolo che conclude questa fic. In aggiunta ci sarà
solo un piccolo e (spero) divertente epilogo.
Ringrazio
chi ha letto il primo capitolo e ha deciso di proseguire.
Buona
lettura.
2
Ero
concentrato suonando il violino, quando un rumore mi ha interrotto.
Ho impiegato qualche istante a rendermi conto che era il portone di
ingresso. Un secondo dopo dei passi concitati salivano al primo
piano. E sapevo benissimo a chi appartenevano.
Ho
guardato l'ora. Era troppo presto. Hamish avrebbe dovuto essere
ancora a scuola.
Ho
poggiato il mio violino e sono salito al piano di sopra, raggiungendo
la porta della sua camera, e ho bussato.
“Hamish?
Perché non sei a scuola?”
“Lasciami
in pace!” ha urlato oltre la porta.
“Hamish,
la scuola chiamerà Molly dando l'allarme. Vorrei evitare che si
preoccupi, e credo anche tu.”
“Allora
puoi chiamarla e informarla che sono vivo e vegeto.”
“Vorrei
assicurarmene.”
Pochi
secondi dopo la chiave è stata girata nella serratura e sono
entrato. Mio figlio era steso nel letto, dandomi la schiena. Il suo
respiro era molto veloce e intravedevo un tremore nelle sue spalle.
“Cosa
è successo?”
“Niente!”
ha negato con eccessiva veemenza.
La
sua voce era diversa e non solo perché aveva sprofondato il viso sul
cuscino. Stava piangendo.
“Non
sei un ragazzo che piange per un niente.
Ti dispiacerebbe spiegarti?”
Finalmente
si è voltato e ho sussultato, sorpreso. Aveva un occhio cerchiato di
nero, il labbro spaccato e del sangue era colato dal naso. Le sue
mani erano piene di graffi e sbucciature. Chiaramente era finito in
mezzo a una rissa ed era stato in forte svantaggio.
“Quanti
erano?”
“È
importante?”
“Sì. Se eri in forte svantaggio potresti essere
stato ferito più seriamente di quanto appaia. Quanti erano?”
“Tre.”
“I
loro nomi?”
“Se
te lo dico domani saranno in cinque.”
“Pensavo
sapessi difenderti. Hai detto di essere cintura nera di karate.”
“Lo
sono, ma è inutile quando in due ti bloccano mani e piedi a terra
mentre il terzo ti prende a pugni. E mi hanno colto di sorpresa.”
“Forse
il karate non è sufficiente.” ho commentato ricordando quando io
alla sua età subivo le stesse angherie. “Vuoi cambiare
scuola?”
“No.”
“Vuoi
che parli con Scotland Yard o con Mycroft?”
“No.”
“Allora
dimmi cosa vuoi.”
“Voglio
solo che mi lasci in pace. Troverò il modo di cavarmela da solo,
come ho sempre fatto.”
Sono
rimasto a osservarlo in silenzio. Sapevo come si sentiva. Sapevo che
aveva bisogno di farcela con le sue forze. Non avrebbe mai accettato
il mio aiuto o quello di chiunque altro. A costo di tornare a casa
ogni giorno in quello stato.
“Molly,
darà la colpa a me, ne sono certo.” ho aggiunto pronto a lasciare
la stanza. “Devo comunque chiamare la scuola e avvisare che sei a
casa. Vuoi che parli al direttore di questa faccenda?”
“No.”
“Va
bene. Se dovessi cambiare idea o se avessi bisogno di qualcosa,
chiamami. Sono al piano di sotto.”
Lui
mi ha ignorato ed è sprofondato nuovamente nel suo cuscino. Ho
ridisceso le scale e ho preso il telefono dalla tasca. Un attimo dopo
stavo recitando la parte del padre che fa una sorpresa al figlio
passandolo a prendere durante l'ora del pranzo. Incredibile come
certe bugie vengano accettate così facilmente. Subito dopo ho
scritto un messaggio a Molly per avvisarla. Lei mi ha richiamato
immediatamente.
“Cosa
è successo?” ha chiesto ansiosa.
Anche
se Hamish non è suo figlio, tiene molto a lui. Sembra che cerchi di
dargli una maggiore dose di cure e affetto per compensare quello che
lei crede non abbia avuto sin ora. O forse è solo una reazione al
fatto che teme si senta diverso o trascurato rispetto a Juliet e
Kenneth.
“Aveva
solo bisogno di tornare a casa.” ho risposto cercando di
minimizzare.
“Sta
male?”
“Credo di sì.”
“Come
sarebbe
credo?
Non hai controllato se ha febbre?”
“No, Molly, non ha la
febbre. Credo che il suo malessere sia principalmente emotivo.”
“È
per via di Irene?”
“No.
Non credo.”
“Ma
allora... Cosa è successo?”
Ho
sospirato. Era necessario rivelare tutto, tanto prima o poi avrebbe
visto i lividi sul viso di Hamish.
“Ha
avuto un'animata discussione con dei compagni di scuola. Loro erano
in numero maggiore e lui ne è uscito sconfitto, sanguinante e
umiliato. Di conseguenza, non credo che il suo stato emotivo sia
buono, in questo momento.”
“Sanguinante?
Cosa gli hanno fatto?”
“Qualche
livido e dei graffi. Nulla che richieda una visita al pronto
soccorso, ma chiamerò John per un controllo.”
“D'accordo.
Fammi sapere cosa dice John.”
“Certo,
non preoccuparti.”
Dopo
aver rassicurato mia moglie, ho mandato un messaggio a John per
chiedergli di passare a casa appena possibile. Quindici minuti dopo
stava suonando alla porta.
“Niente
di grave.” Mi ha confermato John uscendo dalla camera di Hamish.
“Solo lividi e graffi.”
“Ho
preferito esserne sicuro.”
“Pensi
di fare qualcosa al riguardo?”
“Lui
non vuole che mi immischi. Vuole cavarsela da solo. E sinceramente
capisco le sue ragioni. D’altra parte, però, non posso lasciare
che torni a casa in queste condizioni o magari peggio.”
“Stai
elaborando un qualche piano, vero?” mi chiede con un sorriso
complice.
“Mi
infiltrerò a scuola con un travestimento, per tenerlo d’occhio.”
“E
cosa farai se dovesse essere attaccato?”
“Troverò
dei diversivi senza rivelare la mia identità.” gli ho spiegato
facendo spallucce.
“E
come pensi di risolvere la questione facendo in modo che Hamish creda
di essersela cavata da solo?”
“Sto
ancora riflettendo su questo aspetto.” ho confessato cercando di
valutare tutte le opzioni a me disponibili. “Tu cosa faresti?” ho
domandato infine.
“Raccoglierei
informazioni compromettenti su quei bulletti e poi le userei per
costringerli a smettere.”
“Ho
decisamente avuto un cattivo influsso su di te, John Watson.” ho
commentato senza riuscire a trattenere una risata. “Comunque, è
una delle opzioni che ho valutato. Quello che ancora non so e come
evitare di distruggere l’autostima di mio figlio.”
“Senti,
ha avuto una giornata pesante, perché stasera non gli concedi un po’
di svago?”
“Cosa
propone, Dottore?”
“Io
porto i miei due più grandi al cinema, perché non vieni anche tu
con i tuoi?”
“E
Molly?”
“Magari potrebbe fare compagnia a Mary. Le farebbe
sicuramente piacere avere una serata per chiacchierare con un’amica.”
“Capisco.
Cinema, quindi? Non è un po’ sorpassato?”
“Più
che altro è una scusa per fargli mettere il muso fuori casa. E se ci
saranno anche i tuoi figli è un occasione per socializzare.”
“Lo
sarebbe soprattutto per Hamish... D’accordo.” ho acconsentito in
fine con un sospiro.
“Decisamente
una trama infantile e piena di personaggi assurdi.”
“Sherlock,
era un film fantasy!”
“I
dialoghi non erano male.”
“Sia lodato il Cielo! Sherlock ha
trovato un lato positivo!”
“Non
è necessario tutto questo sarcasmo, John.” Ho replicato
infastidito.
“Sherlock,
ringrazia il cielo che i bambini sono abbastanza grandi perché
saresti impazzito con i film che mi costringevano a vedere solo poco
tempo fa.”
“Kenneth
e Juliet non hanno mai guardato certe sciocchezze.”
“Sì,
invece, solo che tu ti estranei come sempre e non te ne sei nemmeno
accorto.” Ha ribattuto ridendo. “E Hamish? Gli è piaciuto il
film?”
Ci
siamo voltati a cercarlo ma era sparito. Ho sospirato. John ha
proseguito verso la pizzeria con i ragazzi mentre io sono andato alla
sua ricerca. L’ho trovato poco distante, sulla porta di un
ristorante asiatico.
“Hamish,
che fai?”
“Non mi va la pizza. Preferisco il sushi.”
“Non
so se gli altri sarebbero disposti a…”
“Non importa. Posso
mangiare anche da solo.”
“Lo
scopo di questa serata era socializzare. Pensavo che i piccoli Watson
ti fossero simpatici.”
“Sono OK. Ma Jack parla sempre dei suoi
allenamenti di calcio e Harriet mi saltella intorno come un
cucciolo.”
“Evidentemente le piaci. Non ne sei contento?”
“È
solo una bambina.” Ha risposto con una smorfia.
“Comunque,
Hamish, preferirei che cenassi con tutti noi in pizzeria.”
“Immagino
che non mi lascerai in pace se non lo faccio.”
“In
breve, no.”
Lui
ha sbuffato e poi si è messo in cammino verso la pizzeria mentre io
lo seguivo poco distante.
“In
merito a quel tuo problema…” ho esordito approfittando del fatto
che fossimo soli. “Come pensi di risolverlo?”
“Non
è affar tuo.”
“Molly
mi farà il terzo grado, voglio solo sapere cosa dirle.”
“Puoi
mentire. Sei bravo a farlo.” ha replicato con sufficienza.
“Per
dire delle bugie credibili bisogna conoscere la verità.”
Lui
ha esitato, guardandosi intorno per prendere tempo, sino ad
arrendersi quando ha capito di non avere scelta.
“Ho
intenzione di sfidare il capo di quei bulli in uno scontro leale.
Solo noi due. Senza i suoi guardaspalle non ha possibilità di
vincere. Lo umilierò pubblicamente.”
“Pensi
che questo sarà sufficiente?”
“Lo
spero. È l’unico modo per far smettere loro o chiunque altro
voglia importunarmi. O hai forse qualche altra idea?”
“Secondo
John potresti raccogliere informazioni compromettenti su di loro e
convincerli a smettere.”
“Credi che non ci abbia già pensato?
Mia madre mi ha insegnato l’importanza di certe… informazioni.”
“Ovviamente.”
Ho ammesso proprio quando siamo arrivati di fronte alla porta della
pizzeria. “In ogni caso, se dovessi avere bisogno di supporto in
qualsiasi frangente, devi solo chiedere. Non giudicherò le tue
decisioni. Farò solo quello che mi chiederai.”
“Non
sarà necessario, ma grazie.” ha risposto con lo sguardo basso
mentre entrava nel locale della pizzeria.
Quando
siamo tornati a casa, Molly ci ha accolto con baci e abbracci come al
solito.
“Allora,
come era il film?”
“Bellissimo mamma!” ha commentato subito
Kenneth con il suo solito entusiasmo.
“Sarebbe
piaciuto anche a te!” gli ha dato man forte Juliet.
“Ne
sono certa. E tu che dici, Hamish? Ti è piaciuto?”
Mio
figlio ha alzato lo sguardo mostrando finalmente il suo viso e Molly
ha trattenuto un sussulto. Non si aspettava di vederlo conciato così
male, chiaramente.
“Il
libro è meglio.” ha risposto lui con sufficienza.
“Ne
sono sicura. Ti va di raccontarmi le differenze di fronte a una tazza
di tea?” ha proposto mia moglie circondandolo con un braccio e
guidandolo verso la cucina.
Li
ho guardati allontanarsi chiedendomi se Molly non sia la medicina
giusta per lui. In fondo, io sono sempre stato un disastro e se non
fosse stato per lei, per John e Mrs.Hudson, probabilmente sarei morto
solo in una stanza buia abbracciato al mio violino.
“Papà?”
mi ha strappato ai miei pensieri Juliet. “Suoni per me?”
“Certo.
Cosa vuoi sentire?”
“Qualcosa
di romantico!”
“Romantico?”
ho domandato un tantino disgustato. “Di nuovo?”
“Sì,
papà, ti prego! Quella che hai scritto tu...”
Ho
sospirato. Sapevo bene quale musica intendeva ma, anche se l'avevo
scritta io, non mi piaceva suonarla. Era la musica di Irene. Juliet,
però, sa essere molto convincente con quegli occhioni castani
striati di verde.
“D'accordo.”
Ho
iniziato a suonarla cercando di non pensare al momento in cui l'avevo
scritta. Era una musica da veglia funebre ed esprimeva tutto il
dolore che avevo provato in quel momento. E anche i sentimenti che
avevo sentito nascere in me. Non li provavo più, ormai, ma la
recente morte di Irene mi rendeva triste. Non l'amavo, non come lei
amava me, ma eravamo legati, e non solo per Hamish. C'era sempre
stata un'intesa fra noi. Anche se avevo cercato di nasconderlo anche
a me stesso, la sua morte mi aveva turbato molto, riportandomi alla
mente quella notte di Natale di circa quindici anni prima, quando ho
creduto di vederla sul tavolo dell'obitorio.
Avevo
iniziato a suonare da circa trenta secondi quando Hamish è entrato
nella sala. Il suo sguardo era furente. Stringeva i pugni come se
volesse colpirmi.
Non
poteva essere per la musica, lui non sapeva...
Vederlo
correre via con le lacrime agli occhi ha smentito immediatamente ogni
mia teoria. Lui
sapeva.
Molly
lo ha seguito confusa, e poco dopo l'ho fatto anche io. Si era chiuso
in camera da letto e lei lo implorava di lasciarla entrare.
“Molly,
credo sia colpa mia.”
“Ma
era tranquillo, stavamo parlando... Non capisco.”
“Era
la musica di Irene.”
Lei
mi ha lanciato uno sguardo di rimprovero. Uno di quelli che
significano Come
ti è venuto in mente?
e che generalmente vengono seguiti dallo sguardo Sistema
le cose immediatamente! E
così infatti è stato, come da copione.
“Hamish?”
ho bussato alla porta. “Credo che dovremmo parlare di quella
musica. Posso entrare?”
Lui
non ha risposto ma ha aperto la porta. Ho fatto cenno a Molly di
attendere ma lei mi risposto con uno sguardo che significava Te
lo puoi scordare!
Siamo
entrati in camera e lo abbiamo trovato seduto sull'altro lato del
letto, dandoci le spalle.
“Non
sapevo che conoscessi quella musica.”
“Lei
aveva degli spartiti e mi chiedeva sempre di suonarli. Erano scritti
a mano. A questo punto credo che fossero tuoi. Deve averteli rubati.”
“Probabile.
D'altra parte, non si può rubare ciò che ci appartiene.”
“Cosa
vuoi dire?”
“Era sua. L'ho scritta per lei molti anni fa.
Molto prima che tu nascessi.”
“Perché?”
“Perché
credevo che fosse morta ed ero molto triste.”
“Quando
l'hai scritta, la amavi?”
Ho
esitato prima di rispondere, e non solo per la presenza di Molly. Il
fatto era che non lo sapevo. Avevo provato un sentimento per lei, ma
probabilmente non era amore perché era molto diverso da quello che
ho provato e che ancora provo per Molly.
Mi
sono voltato verso mia moglie che mi ha sorriso e mi ha fatto un
gesto di incoraggiamento.
“Sì,
l'amavo, anche se la conoscevo appena.”
“Allora,
ogni volta che suoni quella musica...
“Ripenso
a Irene.”
“E
soffri per la sua morte?”
“Sì,
anche se in modo diverso da te.” Ho ammesso con un sospiro.
Lui
si è alzato in piedi e ha girato intorno al letto per venire
incontro a noi.
“Tu
non la ami più, eppure suoni la sua musica e soffri per lei. Come
puoi fare questo a Molly?”
“Hamish,
tesoro, tutti abbiamo un passato. Io ho avuto dei fidanzati prima di
Sherlock, quindi non lo biasimo se lui ricorda con affetto tua
madre.” ha spiegato Molly togliendomi dall'imbarazzo di formulare
una risposta. “E anche io ero affezionata a lei. Certo, non eravamo
proprio amiche, ma ci rispettavamo. Anche per me è stato doloroso
sapere della sua morte.”
Hamish
si è seduto nuovamente sul letto e ha iniziato a piangere. Proprio
come la sera che è scappato nella vecchia casa di Irene. Molly gli
si è seduta accanto abbracciandolo, accarezzandogli i capelli e
sussurrandogli parole di conforto.
Io
sono rimasto immobile a osservarli, incapace di capire come avrei
potuto inserirmi in quel quadro. Poi, come sempre, è stata Molly a
risolvere la questione. Mi ha fatto cenno di avvicinarmi e di sedermi
accanto a Hamish e ci ha abbracciati entrambi.
“Ascoltatemi
voi due. Entrambi avete sofferto, ma questa non è una gara. Siamo
una famiglia e ci sosteniamo a vicenda. D'accordo?”
Incredibilmente,
Hamish ha annuito tirando su con il naso. Molly mi ha indirizzato un
sorriso e anche io ho annuito.
Pian
piano, grazie a Molly, stavo recuperando il rapporto con mio figlio.
Quando,
dopo aver salutato i ragazzi, Molly mi ha raggiunto a letto, prima
che potesse dire qualunque cosa, l'ho attirata a me e l'ho baciata.
“Cos'è
tutto questo entusiasmo?” mi ha domandato sorridente.
“Tu
mi hai salvato, Molly Holmes. Continui a farlo ogni giorno e ora stai
salvando anche Hamish. Non penso che potrei amarti di più di quanto
ti amo in questo momento.”
Mi
ha circondato il viso con le mani e mi ha baciato con dolcezza.
“Non
devi pensare che sia altruista. Lo faccio solo perché ho paura di
perdere la cosa più bella della mia vita.”
“Allora
siamo entrambi molto, molto, molto egoisti.”
Siamo
scoppiati a ridere e poi lei si è accovacciata contro di me,
circondandomi il collo con le braccia e ha unito la fronte alla mia.
“Sherlock
Holmes, ti amo più della mia stessa vita.”
Non
ho risposto ma sono rotolato su di lei, baciandole il viso, i
capelli, il collo. Le nostre mani si cercavano come la prima volta e
abbiamo fatto l'amore, con la stessa passione.
Dopo,
lei si è accoccolata contro di me, i battiti dei nostri cuori e i
respiri all'unisono, e si è addormentata.
“Molly
Holmes, anche io ti amo più della mia stessa vita.” ho sussurrato
fra i suoi capelli poco prima di cedere anche io alla stanchezza.
*
I
pranzi di famiglia sono sempre rumorosi e noiosi, ma non avevo potuto
evitare di presenziare. Era il compleanno di Mrs. Hudson e Molly e
Mary avevano imposto la presenza di tutti. Non erano accettate scuse
di nessun genere.
E
così abbiamo noleggiato un pulmino che ha trasportato la tribù
Holmes – Watson al cottage di Mrs. Hudson. Lei era estremamente
felice di vederci. Nonostante l’abbia trovata invecchiata e
smagrita, mi ha stretto in un abbraccio soffocante per diversi
secondi. È stata disposta a liberarmi solo quando ha posato lo
sguardo su Hamish. Le sono venute le lacrime agli occhi nel
riconoscere il bambino che aveva visto solo raramente e che aveva
sempre adorato come se fosse suo nipote.
D’altra
parte, da quando anche sua sorella è morta, per lei noi siamo la sua
unica famiglia.
Era
il suo compleanno ma, entusiasta e instancabile, aveva cucinato
leccornie degne della corte di un re. E anche se noi le avevamo detto
che essendo la sua festa non era necessario, aveva insistito per
preparare tutti i nostri piatti preferiti.
Il
clima era favorevole e lei non ha perso l’occasione di organizzare
un festoso pranzo in giardino. I bambini hanno urlato e giocato per
tutto il tempo e la mia unica salvezza, quando non riuscivo a
isolarmi da quel frastuono in cerca di respiro, era chiudermi nel mio
Mind Palace. Fortunatamente, al primo momento di distrazione delle
nostre mogli, io e John siamo riusciti ad allontanarci indisturbati
dalla tavola e abbiamo fatto una passeggiata nel boschetto vicino.
“Oh,
John, tutto questo mi uccide. Sono certo di aver percepito il mio
cervello atrofizzarsi nelle ultime due ore.”
“Esagerato.
È solo un pranzo. Mrs. Hudson è felice, e anche le nostre mogli. I
ragazzi prendono un po' d'aria e stanno all'aperto. Noi possiamo
tollerarlo per qualche ora, siamo grandi e vaccinati.”
“John,
come semplifichi le cose. Evidentemente il tuo cervello è a suo agio
con l'inutilizzo.”
“Grazie,
Sherlock. È sempre bello sentirmi fare certi complimenti.” Ha
replicato con offeso sarcasmo.
“Sai
cosa intendo.
Tu riesci a rilassarti, a smettere di pensare. Io non ce la faccio. A
volte sono così impegnato a riflettere che per giorni nemmeno vedo i
miei figli, anche se loro girano per casa come sempre. Sono davvero
un pessimo genitore e un orribile marito.”
“Molly
non si lamenta. E i tuoi figli sembrano felici.”
“Hamish non
lo è.”
“Hamish non lo è mai stato. Seriamente, Sherlock,
quando lo hai mai visto felice? Intendo anche prima della morte di
Irene.”
“Quando
era piccolo. Prima che si rendesse conto di chi ero io. Ed è questo
il punto. Sono io a renderlo infelice. Mi detesta. Gli ricordo che
l'unico genitore che gli è rimasto è quello sbagliato.”
“Non
dire sciocchezze. Non ti detesta. Fate fatica a comunicare, è vero,
ma qualsiasi adolescente ha questi problemi con i genitori. Io ho
odiato mio padre da quando avevo undici anni sino alla laurea. Poi le
cose cambiano. Si cresce. E anche tuo figlio crescendo capirà che tu
non sei il nemico. Sino ad allora devi avere molta pazienza.”
“Come
ben sai, la pazienza non è una mia virtù.” Ho commentato con un
sospiro di rassegnazione.
“Ci
puoi lavorare. Quando ti ho conosciuto non sapevi nemmeno cosa
significasse pazientare. Non avresti mai partecipato a un pranzo come
questo nemmeno sotto tortura. Con gli anni sei cambiato, e hai
imparato a essere meno rigido. Di questo, sono certo, non smetterò
mai di ringraziare quella santa donna di tua moglie.”
“Lei,
invece, ritiene sia merito tuo.”
Ci
siamo guardati e abbiamo riso, ricordando i vecchi tempi e le nostre
avventure spericolate. E ho ripensato a come era la mia vita, quando
non avevo John e Molly. Mi piacerebbe prendermi il merito di miei
eventuali miglioramenti, ma sarebbe una bugia. È stato
esclusivamente merito loro.
“John,
tu credi davvero che possa riuscire a farcela con Hamish?” ho
chiesto ritornando con la mente al problema che mi affliggeva da
quando avevo saputo che sarebbe venuto a vivere con noi.
“Certo.”
ha risposto dandomi una pacca sulla spalla. “Io credo in Sherlock
Holmes. L'ho sempre fatto.”
Ho
sorriso alla sua incontrastata fiducia e abbiamo ripreso a camminare
tornando verso il cottage. Mancava poco quando ho visto un'ombra fra
gli alberi e ho bloccato John facendogli cenno di fare silenzio.
“Hamish!
Hamish, aspettami!” urlava la voce di Harriet poco lontano.
Poco
dopo, l'abbiamo vista arrivare con il suo maglioncino rosso che
rincorreva una figura scura poco distante. Mio figlio, ovviamente.
Li
abbiamo seguiti in silenzio e li abbiamo visti fermarsi vicino a un
ruscello, dopo di che ci siamo nascosti dietro un albero.
“Hamish,
perché non mi hai aspettato?”
“Volevo restare solo.”
“Tu
vuoi sempre stare solo.” ha replicato la bambina sedendosi a terra
accanto a lui.
“Sai,
visto che sai che voglio stare solo, potresti davvero
lasciarmi solo!”
“No.
Voglio stare sola con te.”
“Harriet,
sai cosa significa stare soli?”
“Certo.
Stiamo seduti e non parliamo. Shhh.” ha spiegato lei portandosi
l'indice alla bocca.
Hamish
ha scosso la testa e poi si è reclinato all'indietro poggiando la
testa ricciuta sulla roccia alle sue spalle. Ha chiuso gli occhi
mentre un timido sole gli illuminava il volto pallido e faceva
brillare i suoi capelli dai riflessi rossi. La bambina, d'altro
canto, era rimasta immobile a guardarlo, incantata. E poi, come se
fosse il personaggio di una fiaba, si è sporta verso di lui e lo ha
baciato sulla guancia.
Hamish
si è raddrizzato all'improvviso per la sorpresa, con il volto rosso
per l'imbarazzo.
“Cosa
fai?”
“Ti
ho dato un bacio. Ora sei il mio principe.”
“Io non sono un
principe, e tanto meno il tuo.”
“Sì
che sei un principe.” ha commentato Harriet ridendo. “Tu sei
bello e i principi sono belli, quindi sei un principe.”
“I
principi delle favole non esistono, e se esistessero io non sarei uno
di loro. Piuttosto preferirei essere il cattivo. Uno stregone
malvagio o un drago che mangia i bambini.”
“No, Hamish, no! I
cattivi muoiono sempre.”
“Anche
i buoni muoiono.”
“Ma
poi arriva la fatina e...”
“No, Harriet! Non ci sono fatine!
Non ci sono principi o principesse! Le persone buone muoiono e quelle
cattive no! Rassegnati!”
La
bambina è rimasta a guardarlo per qualche secondo mentre gli occhi
le si riempivano di lacrime.
“Sei
cattivo. Non sei un principe. Non ti voglio più.” ha detto
alzandosi e poi correndo via in lacrime.
John
mi ha lanciato uno sguardo preoccupato e poi l'ha seguita per
consolarla, mentre io ho raggiunto Hamish.
“Sei
stato crudele. Come mi hai detto tu solo un paio di giorni fa, è
solo una bambina.”
“Beh,
meglio per lei che inizi a capire subito come va il mondo. È troppo
ingenua.”
Ho
fatto qualche passo nella sua direzione sino trovarmi a poco più di
un metro da lui.
“Come
ho imparato a mie spese con gli anni, il fatto di sapere una verità
non ci da il diritto di usarla contro gli altri. Ci sono molti modi
per dire la stessa cosa, sai?”
“Nessuno
di essi è così rapido per sbarazzarsi di bambine
petulanti.”
“Questo è vero, ma se fai così ti ritroverai a
restare solo, e finirai per rimpiangere quella bambina petulante che
ti venerava.”
“E
tu come lo sai?” ha risposto con una cinica risatina beffarda.
“Perché
anche io ho avuto la mia bambina
petulante
fra i piedi. E la insultavo per allontanarla, ma lei tornava sempre.
Sino a che un giorno ha trovato qualcun altro, e allora ho capito
quanto mi mancava.” Ho spiegato non potendo evitare un sorriso
nostalgico.
“E
cosa hai fatto?”
“L'ho sposata.” ho risposto ridendo e,
incredibilmente, Hamish mi ha imitato. “Ora torniamo indietro.
Credo che sia quasi ora della torta.”
Lui
si è alzato e ha iniziato a camminare lentamente accanto a me.
“Sherlock?”
mi ha chiamato dopo diversi minuti di silenzio. “Domani sfiderò
quel bullo a scuola.”
“Bene.
Ci sarò.”
“Qualsiasi
cosa succeda, ti prego, non intervenire.”
“Non
ho intenzione di interrompere un incontro leale con le mie ansie
paterne. Ma mi assicurerò che vengano seguite le regole.”
“Ti
travestirai?”
“Se questo può farti sentire meglio,
sì.”
“Preferirei. E non dirmi come.”
“D'accordo.”
“Ma,
magari... Quando l'incontro sarà finito, magari,
potresti raggiungermi.”
Mi
sono fermato e mi sono voltato per guardarlo.
“Con
estremo piacere.”
Lui
ha abbozzato un sorriso e ha ripreso a camminare. Io l'ho imitato
poco dopo.
*
Entrare
in una scuola e infiltrarsi non è difficile, basta trovare il
momento e il modo giusto. Arrivare la mattina, prima dell’apertura
agli studenti, con una divisa da lavoro, era il modo che avevo
scelto. Chi mi avesse visto avrebbe pensato che fossi l’ennesimo
tuttofare precario. Degli spessi occhiali e un finto pizzetto grigio
di media lunghezza, hanno fatto il resto. Così conciato potevo
girare indisturbato per i corridoi e i locali della scuola. Quando
sono arrivati gli studenti mi sono appostato nel giardino, fingendo
di raccogliere delle foglie, e ho osservato l’arrivo di Hamish.
Come sempre, camminava con passo spedito e deciso, ma quella mattina
c'era qualcosa di diverso nel suo sguardo. Qualcosa che avevo solo
intravisto quando era arrabbiato con me. Era odio. Era desiderio di
vendetta. Avrebbe fatto qualunque cosa per raggiungere il suo scopo.
Hamish può aver preso molto da me, compresa la testardaggine, ma
quello che vedevo in quel momento non mi apparteneva. Quello sguardo
era quello di Irene.
L'ho
guardato raggiungere un gruppetto di ragazzi e fermarsi a parlare con
loro. Da quella distanza non riuscivo a sentire e così, con aria
innocente e casuale, mi sono avvicinato maggiormente.
“Non
ci vengo a un appuntamento con te, Principessa.”
lo aveva apostrofato il ragazzo più alto.
“Non
è un appuntamento, Simon. Ti sto sfidando a un incontro di lotta.
Solo tu ed io.”
“Ci
tieni così tanto a mettermi le mani addosso, vero?” ha ridacchiato
l'altro trascinando con se i suoi due amici accanto.
Leccapiedi.
“In
realtà, preferirei mettere entrambe le mani nell'acido solforico
piuttosto che toccarti.” ha risposto mio figlio con tono serio e
altezzoso. “Se non accetti la sfida, tutta la scuola saprà che sei
un vigliacco e non farai più paura nemmeno ai bambini di prima
elementare. E se non accetti di batterti da solo, senza i tuoi
gorilla come guardaspalle, sarai ugualmente considerato un
vigliacco.”
“Non
me ne importa niente, tanto nessuno ti ascolta, Freak.”
“Vero.
Ecco perché l'invito per la sfida è partito dal tuo profilo
Facebook esattamente... ora.”
ha annunciato dopo una rapida occhiata al suo orologio da polso.
“Cosa?”
ha esclamato l'altro irrigidendosi. “Che cazzo hai fatto, schifoso
nerd?”
“Nulla
che chiunque con un quoziente intellettivo superiore alla media non
avrebbe fatto. E, per inciso, usare come password il nome della
ragazza con cui cerchi di uscire è piuttosto prevedibile. Nessuno ti
ha insegnato come creare una password sicura? Dove sei cresciuto? In
Amazzonia?”
Il
ragazzo di fronte a lui lo ha afferrato per il collo, attirandolo a
sé strattonando il colletto della camicia.
“Maledetto
figlio di...”
“Se
vuoi davvero picchiarmi, l'appuntamento è in palestra all'ora di
pranzo. E, per il tuo bene, ti consiglio di non finire neanche con il
pensiero quella frase.”
Così
dicendo si è liberato e si è allontanato di qualche metro per poi
fermarsi qualche secondo dopo e voltarsi nuovamente verso il
gruppetto.
“Tutta
la scuola accetterà l'invito. Non tardare.” ha aggiunto prima di
allontanarsi con passo deciso e lasciando quei tre a schiumare di
rabbia.
Ho
trattenuto a mala pena un sorriso. Ero davvero orgoglioso di lui.
All'ora
di pranzo la palestra era piena di ragazzini di tutte le età. A
quanto pareva, l'invito era stato ricevuto e accettato da tutti. Al
centro della palestra era stato sistemato un tappeto adatto agli
incontri di arti marziali. Hamish era al centro, indossava solo dei
pantaloni di una tuta e una t-shirt e sembrava molto concentrato
mentre eseguiva gli esercizi di riscaldamento. Il frastuono era
insopportabile, le voci e le risate rimbombavano terribilmente, ma
lui non si lasciava distrarre. Quando degli urli più acuti si sono
alzati dalla folla, mio figlio si è finalmente ridestato e si è
voltato verso l'ingresso, vedendo entrare il suo sfidante.
Lo
ha guardato entrare in palestra, togliersi la giacca sportiva e
raggiungerlo nel tappeto, il tutto senza battere ciglio.
“Ora
ti sistemo per sempre, Freak.”
“Dubito,
Simon, perché sarà un incontro corretto. Solo tu ed io. Nessuna
intromissione.”
“Non
ho bisogno di aiuto per spaccarti la faccia.”
“Se
lo dici tu...”
Io
ho girato intorno alla sala, nessuno badava a me, e mi sono
posizionato accanto ai guardaspalle di quel bullo. Pronto a fermarli
se avessero deciso di intervenire.
Nel
frattempo, Hamish ha preso posizione e ha invitato l'altro ad
attaccare con un sorriso beffardo. Simon si è lanciato contro di lui
con un pugno, ma mio figlio lo ha scansato e poi gli ha afferrato la
mano per bloccargli il braccio dietro la schiena. Il ragazzo si è
piegato in ginocchio a terra urlando.
“Lasciami!”
“Solo
se ti arrendi.”
“Non
ci penso nemmeno!”
“Ok, io posso stare così anche tutto il
giorno.” ha replicato Hamish strattonando leggermente il braccio
dell'altro.
I
due ragazzoni che facevano da guardaspalle a Simon hanno fatto uno
scatto in avanti per intervenire, ma li ho afferrati per il colletto
e li ho tirati indietro facendogli cenno di no con la testa.
“Ahhh....
Basta! Lasciami!” continuava a urlare il ragazzo a terra.
“Quindi,
ti stai arrendendo?”
“Sì,
maledizione!”
Hamish
ha allentato la presa e poi si è allontanato di qualche passo
rimanendo a osservarlo. Non era nemmeno sudato.
“Sei
un maledetto schifoso! Sei solo uno psicopatico come tuo padre!”
“Sociopatico
ad alta funzionalità.” lo ha corretto immediatamente ridacchiando.
“E
tua madre era solo una troia!”
A
quelle parole, Hamish è scattato come una molla e si è lanciato
contro l'avversario, gettandolo a terra e tenendogli un braccio sotto
il collo per bloccarlo.
Nuovamente
ho dovuto bloccare i seguaci di Simon, costringendoli a stare
indietro.
“Sono
stato fin troppo buono con te. Con la giusta mossa, avrei potuto
farti finire in sedia a rotelle a vita, ma cosa ne sarebbe stato poi
dei tuoi allenamenti di rugby? D'altra parte, però, se insulti mia
madre, la voglia di essere buono svanisce... Capisci cosa intendo,
sottospecie di essere unicellulare?”
“Lasciami,
lasciami! Ho detto che mi arrendo!”
“Ora
però devi anche scusarti.”
“Va
bene, mi scuso, mi dispiace... Non succederà più.”
Hamish
ha fatto un sospiro e poi lo ha lasciato alzandosi. Simon si
lamentava ma non aveva nessun vero danno. I suoi amici gorilla lo
hanno raggiunto e lo hanno trascinato via con fare protettivo, mentre
tutto il pubblico applaudiva Hamish e rideva di lui.
Mio
figlio ha fatto un inchino e poi si è allontanato verso gli
spogliatoi.
Quando
l'ho raggiunto, si era già tolto la tuta ed era impegnato a
rimettersi la divisa scolastica.
“Sei
stato davvero bravo.”
Lui
si è voltato a guardarmi e poi ha riso.
“L'avevo
capito che eri tu. Ho memorizzato tutti i dipendenti della scuola il
primo giorno.”
“Beh,
non ti sei fatto distrarre dalla mia presenza.”
“Sono
bravo a concentrarmi.”
“Sì,
ho notato.” ho ammesso sentendomi incredibilmente orgoglioso che
quel ragazzo fosse sangue del mio sangue. “Senti, Hamish...”
“Ti
prego, non metterti a fare discorsi sentimentali, non è da te.”
“Non
era mia intenzione. Volevo solo dirti che ti farò fare un duplicato
delle chiavi del mio laboratorio.”
“Davvero?”
“Sì,
a patto che tu stia sempre attento. Niente esperimenti pericolosi in
casa, né per te né per chiunque altro.”
“Sì,
d'accordo! Potrò anche utilizzare le parti anatomiche che ti procura
Molly?”
“Sì,
quando non servono a me.”
“Fantastico!
Grazie Sherlock!”
Mi
sono fermato sulla porta e mi sono voltato verso di lui.
“Mi
chiedevo, puoi valutare la possibilità di chiamarmi Papà?”
Lui
è diventato improvvisamente serio ed è rimasto a fissarmi per
qualche secondo prima di abbassare definitivamente il viso.
“Tutti
i suoi
fidanzati me lo hanno chiesto, e io acconsentivo per fare contenta
lei. Ho chiamato Papà
decine di uomini. Non farò lo stesso con te. Tu sei Sherlock e
basta.”
Questo
cosa mi rendeva? Speciale? Mi sono avvicinato a lui e gli ho messo
due dita sotto il mento per fargli alzare il viso e guardarlo negli
occhi. Erano lucidi e così incredibilmente simili a quelli di Irene
il giorno in cui l'ho lasciata...
“Hamish,
chiamami come vuoi. Sappi però, che io sono tuo padre a tutti gli
effetti. Biologicamente, moralmente ed emotivamente. E ne sono
infinitamente fiero.”
Lui
ha sussultato per un secondo prima di lanciarsi su di me e
abbracciarmi.
L'ho
stretto a me accarezzando la sua testa ricciuta per qualche secondo e
poi si è staccato.
“Grazie
per essere venuto. Era importante per me.” ha detto cercando di
sembrare impassibile.
“Era
importante anche per me.”
Lui
ha annuito e ha afferrato la sua cartella per tornare in classe.
“Se
dovessi vedere zio John...” ha iniziato mentre era sulla porta
dandomi le spalle. “Puoi chiedergli di dire a Harriet che mi
dispiace? La prossima volta che ci vedremo le leggerò le favole che
preferisce.”
Ho
acconsentito trattenendo un sorriso e poi l'ho guardato allontanarsi.
*
Io
e John siamo rientrati in Baker Street completamente fradici. Quella
sera pioveva in maniera torrenziale e, come se non bastasse, avevamo
appena fatto un poco salutare bagno nel Tamigi. John non faceva che
starnutire ed era felice di aver lasciato un borsone con un cambio di
vestiti a casa mia, in modo da non dover affrontare il viaggio sino a
casa sua in quello stato.
Quando
abbiamo aperto la porta, però, sono rimasto pietrificato. C'era
della musica, e non della musica qualunque. Era la musica di Irene e
veniva suonata con il mio violino.
È
bastato appena un millesimo di secondo per dedurre chi lo stava
suonando, ma molto di più per convincere il mio corpo a fare i passi
necessari per raggiungere la stanza in cui si trovava.
Dopo
una ben poco cortese spinta di John, sono stato costretto a muovermi
e ho raggiunto il salotto.
Hamish
stava suonando dando le spalle all'ingresso. Proprio come faccio io.
Aveva gli occhi chiusi, concentrato nella musica, e una lacrima gli
rigava la guancia. Non stava guardando lo spartito, conosceva alla
perfezione ogni nota.
Mi
aveva detto di averla suonata spesso per Irene, ma non avevo idea che
la conoscesse come la conosco io. E il suo modo di suonare era così
appassionato che ho dovuto lottare contro me stesso per non cedere a
delle stupide lacrime che mi stavano pungendo gli occhi.
Sono
rimasto immobile a osservarlo, senza dire una parola, forse senza
neanche respirare, per non so quanto tempo. Poi, la piccola e calda
mano di Molly ha circondato la mia, ridestandomi. Mi sono voltato a
guardarla e mi sorrideva dolcemente.
Ho
fatto un profondo respiro perché sentivo che qualcosa di indefinito
si agitava in me. Sapevo che era una sensazione che avevo già
provato. Quando avevo visto Hamish per la prima volta. Quando io e
Molly ci siamo sposati. Quando sono nati Kenneth e Juliet. Non sapevo
bene come definire quell'emozione, ma sapevo che ne ero sopraffatto.
Quando
Hamish ha finito di suonare, ha fatto dei respiri veloci, come se
singhiozzasse in silenzio, e poi, una volta calmatosi, si è voltato
verso di noi. Mi ha guardato in un modo che sembrava racchiudere
tutto il suo dolore per la morte di sua madre, ma anche il legame che
ci univa. Perché entrambi l'avevamo amata e pianta. E perché ci
volevamo bene l'un l'altro.
“Papà,
hai visto come è bravo Hamish? Sa suonare la tua musica!” ha
esclamato Juliet, rendendomi improvvisamente consapevole della sua
presenza.
“Sì,
è molto bravo.” ho ammesso facendo una carezza a mia figlia. “Ma
non è la mia musica. Appartiene a Hamish.”
“Gliel'hai
regalata?”
“No, è sempre stata sua. Io l'ho presa solo in
prestito.” ho spiegato guardando gli occhi lucidi di mio figlio.
“Oh.
Allora anche io voglio una musica!”
Sono
scoppiato a ridere e mi sono voltato verso mia figlia.
“Certo.
Scegli quella che preferisci.”
Lei
è scattata in piedi ed è corsa ai miei spartiti, cercando una
musica di suo gradimento.
Nel
frattempo, Hamish ha fatto qualche passo verso di me e poi mi ha teso
il violino e l'archetto.
“Mi
spiace, avrei dovuto chiederti il permesso.”
“Ti
trovi bene con questo violino?”
“Sì.”
“Se
lo vuoi, è tuo.”
“Ma
tu...”
“Ne
comprerò un altro.”
Mio
figlio ha sorriso in modo un po' sghembo e in lui ho rivisto mia
nonna. Poi ha annuito sussurrando un “Grazie” e si è rifugiato
al piano di sopra.
Molly
era lì, che mi guardava con le lacrime agli occhi e un sorriso
commosso.
“Ce
l'hai fatta.” ha sussurrato felice.
Ho
annuito. Era vero. Ero riuscito a ottenere la sua fiducia e, forse,
addirittura la sua amicizia.
“Ehm,
non vorrei interrompere questo delizioso quadretto, ma... Potrei
avere un asciugamano?” ha chiesto alle nostre spalle John prima di
iniziare una serie di starnuti.
|