All'uscita da scuola,
mentre aspetto il mio bambino, non faccio a meno di ascoltare i
discorsi delle altre madri che, come al solito, mi fanno sprofondare di
vergogna:-La vedi quella? Dicono che abbia avuto un bambino a 16 anni.
Non è orribile?- tento di non ascoltare, ma è
ovvio che le mie orecchie non vogliono obbedire.-Sì,
è vero. Sarà stata violentata, secondo te?- la
risposta arriva subito, secca:-No, secondo me è solo una
troietta.-Mi giro furente, ma le donne si sono già
volatilizzate. Con le lacrime agli occhi, cerco mio figlio in mezzo
alla folla di bimbi urlanti. Eccolo, il mio bambino: mi saluta con la
manina e, sorridendo, corre verso di me. Dopo averlo abbracciato, gli
sorrido e gli tendo la mano, ma capisco che qualcosa non va. Il suo bel
viso è oscurato da una nuvola di preoccupazione,
così gli chiedo:- Cosa c'è, tesoro?- mi osserva
assorto e dopo un momento è già in lacrime. Lo
sollevo da terra e lo stringo a me, ripetendo in un sussurro:-Va tutto
bene, c'è mamma con te.- si divincola da me e dice con voce
tremante:-No che non va bene! Tu sei triste.- lo guardo stupita e mi
chiedo come faccia a capirlo, ma appena sento il sapore salato sulle
mie labbra, capisco: mi ha vista piangere. Sorrido, asciugandomi gli
occhi:-Non è nulla. Vieni dai, la nonna ci aspetta.-
Guardo mio
figlio che gioca e in quel momento capisco che ho fatto bene a non
ascoltare i pregiudizi degli altri, capisco di essere veramente
fortunata ad avere mia madre al mio fianco:senza di lei, non sarei qui,
mio figlio non sarebbe qui. Con il suo coraggio mi ha dato la forza di
andare avanti ed è per questo che sono fiera di lei. Sono
seduta sulla panchina del parco, mentre la brezza estiva mi scompiglia
i capelli e penso solo al mio bambino, a come è bello e a
come assomigli maledettamente a suo padre. Come se fosse stato chiamato, lui si siede
vicino a me.-Ciao-, dice semplicemente. Noto che non mi guarda negli
occhi, tenendo lo sguardo basso. <<
Chissà cosa c'è di interessante nelle sue scarpe
>> penso divertita e non posso fare a meno di scoppiare a
ridere. Lui
sembra imbarazzato e non sa se ridere o meno. Nell'incertezza, abbozza
un sorriso, che mi ricorda quanto sia perfetto. Troppo. Mio figlio mi
raggiunge e mi chiede:-Mamma, chi è lui?- io lo guardo
sorridendo, ma non dico nulla. Aspetto che sia lui a farlo, ad
annunciare a nostro figlio che non è solo, che ha un padre
su cui contare. Ma lui
non dice nulla, e mi sento sprofondare. Dico a mio figlio di tornare a
giocare. Lui sembra
sollevato e dice:-Grazie. Mi sento raggelare dalle mie stesse parole,
quando dico:-Non l'ho fatto per te, l'ho fatto per mio figlio- Non dice
nulla, così continuo, imperterrita:-E non pensare di poter
venir qui e tentare di riportare tutto a come era prima, non
è così semplice.- Resta zitto, il vigliacco.
Aspetto una sua risposta, che temo non arrivare mai.-E' nostro figlio.- si
limita a mormorare. Per tutta risposta gli mollo uno schiaffo e corro
via, prima che mi possa vedere piangere.
L'aria pungente
di gennaio entra con impeto dalla finestra socchiusa, così
mi alzo e la chiudo rabbrividendo. Non sento la porta aprirsi e quando
mio figlio mi abbraccia da dietro, trasalisco. Mi volto e lo vedo
sorridere, intenerendomi quando vedo il disegno che mi mostra:siamo io
e lui, abbracciati, che sorridiamo. Automaticamente mi vengono le
lacrime agli occhi e lo abbraccio stretto. Ormai ha 10 anni e ogni
volta che lo osservo, mi viene da pensare a suo padre, a colui che mi
aveva promesso tutto, a colui che mi trattava come una
principessa, a colui che con me voleva una famiglia. Ha sviluppato
un'incredibile talento a disegnare, mio figlio, e ormai abbiamo le
pareti di casa tappezzate di suoi disegni. Gli faccio il solletico e
lui scappa via ridendo. I capelli neri, gli occhi blu come il mare; non
fanno altro che venirmi in mente. Il pensiero di quell'uomo perfetto,
che prometteva la perfezione invade la mia mente ed è come
se il cassetto dei ricordi si aprisse e facesse uscire tutto quello che
contiene: i baci, le risate, i momenti passati con lui, ricordi che mi
fanno sorridere. Ma ci sono ricordi che preferirei dimenticare. Una
mano si alza e mi colpisce in pieno viso, una gamba mi colpisce nella
pancia, dove già si era annidato un feto. Non faccio fatica
a ricondurre i ricordi all'unica persona che era stata capace di farmi
del male: lui. Forse è proprio per quello che ho deciso di
lasciarlo, ma adesso i ricordi vagano confusi e non riesco a ricordare.
Avevo solo sedici anni, che diamine! E forse ho commesso uno sbaglio,
quella notte. Subito scaccio quel pensiero: mio figlio non è
uno sbaglio, è la cosa più bella che mi sia mai
potuta succedere. Sorrido e lo raggiungo in salotto.
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