Guardo mio figlio che gioca e in quel momento capisco che ho fatto bene a non ascoltare i pregiudizi degli altri, capisco di essere veramente fortunata ad avere mia madre al mio fianco:senza di lei, non sarei qui, mio figlio non sarebbe qui. Con il suo coraggio mi ha dato la forza di andare avanti ed è per questo che sono fiera di lei. Sono seduta sulla panchina del parco, mentre la brezza estiva mi scompiglia i capelli e penso solo al mio bambino, a come è bello e a come assomigli maledettamente a suo padre. Come se fosse stato chiamato, lui si siede vicino a me.-Ciao-, dice semplicemente. Noto che non mi guarda negli occhi, tenendo lo sguardo basso. << Chissà cosa c'è di interessante nelle sue scarpe >> penso divertita e non posso fare a meno di scoppiare a ridere. Lui sembra imbarazzato e non sa se ridere o meno. Nell'incertezza, abbozza un sorriso, che mi ricorda quanto sia perfetto. Troppo. Mio figlio mi raggiunge e mi chiede:-Mamma, chi è lui?- io lo guardo sorridendo, ma non dico nulla. Aspetto che sia lui a farlo, ad annunciare a nostro figlio che non è solo, che ha un padre su cui contare. Ma lui non dice nulla, e mi sento sprofondare. Dico a mio figlio di tornare a giocare. Lui sembra sollevato e dice:-Grazie. Mi sento raggelare dalle mie stesse parole, quando dico:-Non l'ho fatto per te, l'ho fatto per mio figlio- Non dice nulla, così continuo, imperterrita:-E non pensare di poter venir qui e tentare di riportare tutto a come era prima, non è così semplice.- Resta zitto, il vigliacco. Aspetto una sua risposta, che temo non arrivare mai.-E' nostro figlio.- si limita a mormorare. Per tutta risposta gli mollo uno schiaffo e corro via, prima che mi possa vedere piangere.
L'aria pungente di gennaio entra con impeto dalla finestra socchiusa, così mi alzo e la chiudo rabbrividendo. Non sento la porta aprirsi e quando mio figlio mi abbraccia da dietro, trasalisco. Mi volto e lo vedo sorridere, intenerendomi quando vedo il disegno che mi mostra:siamo io e lui, abbracciati, che sorridiamo. Automaticamente mi vengono le lacrime agli occhi e lo abbraccio stretto. Ormai ha 10 anni e ogni volta che lo osservo, mi viene da pensare a suo padre, a colui che mi aveva promesso tutto, a colui che mi trattava come una principessa, a colui che con me voleva una famiglia. Ha sviluppato un'incredibile talento a disegnare, mio figlio, e ormai abbiamo le pareti di casa tappezzate di suoi disegni. Gli faccio il solletico e lui scappa via ridendo. I capelli neri, gli occhi blu come il mare; non fanno altro che venirmi in mente. Il pensiero di quell'uomo perfetto, che prometteva la perfezione invade la mia mente ed è come se il cassetto dei ricordi si aprisse e facesse uscire tutto quello che contiene: i baci, le risate, i momenti passati con lui, ricordi che mi fanno sorridere. Ma ci sono ricordi che preferirei dimenticare. Una mano si alza e mi colpisce in pieno viso, una gamba mi colpisce nella pancia, dove già si era annidato un feto. Non faccio fatica a ricondurre i ricordi all'unica persona che era stata capace di farmi del male: lui. Forse è proprio per quello che ho deciso di lasciarlo, ma adesso i ricordi vagano confusi e non riesco a ricordare. Avevo solo sedici anni, che diamine! E forse ho commesso uno sbaglio, quella notte. Subito scaccio quel pensiero: mio figlio non è uno sbaglio, è la cosa più bella che mi sia mai potuta succedere. Sorrido e lo raggiungo in salotto.