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7
Weaknesses
“I gemelli Kaulitz
stanno arrivando.” le annunciò Jenna, riuscita ad accalappiarla
nel bel mezzo del corridoio lungo il quale Liesel stava trottando in
direzione della cabina armadio dell'azienda, dove i modelli
normalmente indossavano i capi in prova. Una lunga giornata la
attendeva e voleva far sì che quelle ore trovassero vita facile e
possibilmente indolore.
“Falli venire qui,
per favore. Li aspetto.” Giunta a destinazione, la segretaria si
congedò con un cenno d'assenso. “Mi servirà una riabilitazione
alla fine di tutta questa storia.” borbottò gettando malamente sul
tavolo gli ultimi capi che aveva recuperato dal suo ufficio.
Erano venuti meglio di
come si aspettava. Era sinceramente orgogliosa del duro lavoro cui
aveva dato anima e corpo in numerose nottate insonni. I suoi sforzi
avevano finalmente dato i dovuti frutti.
“Quanto la fai nera.”
commentò Samantha sventolandosi un dépliant davanti al viso con
aria accaldata mentre si godeva un fresco bicchiere d'acqua. Anche
quel giorno Los Angeles aveva deciso di uccidere nel fuoco i suoi
abitanti.
“A proposito!”
esclamò all'improvviso la bruna fronteggiandola con aria minacciosa
ed un dito puntato contro. “Prova anche solo con il pensiero a
proporre ai gemelli un dannato caffè e ti disconosco come collega e
amica.” Colse la rossa a deglutire appena prima che un bussare alla
porta già aperta alle sue spalle la facesse voltare con aria
fintamente disinvolta. “Ciao.” salutò tranquilla non appena le
sue iridi si posarono sulle figure dei ragazzi.
“Ciao.” salutarono
loro in coro, seguiti da una Samantha fin troppo entusiasta.
“Samantha, giusto?”
sorrise Tom in direzione della rossa.
“Sì.”
L'espressione
compiaciuta sul volto della ragazza suggerì a Liesel l'enorme
soddisfazione nel sentir ricordare il proprio nome da una rockstar.
Poteva perfettamente immaginare quanti castelli stesse costruendo
nella sua testa, con tanto di decorazioni.
“Questi sono i capi.”
intervenne la bruna con l'intento di gettarsi subito al dunque. Posò
una mano sulla pila di tessuti che aveva poggiato sul tavolo poco
prima.
“Liesel, sono appena
entrati.” ridacchiò la rossa. “Volete un bicchiere d'acqua?”
domandò successivamente ai gemelli e Liesel strinse i pugni per non
lanciarlesi contro. Odiava essere interrotta.
“No, grazie.”
rispose gentilmente Bill.
“Bene.” fece Liesel
con sarcasmo. “Dicevo, questi sono i capi. Questi –” Posò la
mano sulla pila di sinistra. “- sono di Bill. E questi –” Posò
la mano su quella di destra. “- sono di Tom.”
“Ci cambiamo qui?”
domandò il vocalist curioso mentre si guardava per un momento
attorno.
“Non mi dite che vi
imbarazza cambiarvi davanti a due donne.” li stuzzicò con
espressione furba in viso.
“A me no.” sorrise
appena il chitarrista lanciandole un'occhiata di inequivocabile sfida
mentre la affiancava per afferrare la prima maglia. La studiò con
attenzione mentre il fratello lo seguì nelle sue stesse azioni. “Sei
brava.” commentò quasi sorpreso. Sorpresa che irritò non poco la
bruna. Dubitava della sua professionalità?
“Non faccio questo
lavoro per caso.” ribatté caustica per poi portarsi alla bocca un
bicchiere d'acqua che le aveva fatto trovare l'amica sulla scrivania.
Il chitarrista, senza
degnarla di una risposta o troppi preamboli, si sfilò la maglietta
color crema che indossava quel giorno. Le pupille di Liesel
indugiarono un secondo di troppo sui suoi addominali scolpiti, sulla
pelle glabra lievemente abbronzata e sui pettorali torniti, ed il
pensiero che le attraversò per un attimo la mente fu solo uno:
merda.
Professionalità. Era
il concetto sul quale aveva tentato di concentrarsi nel successivo
minuto – tempo che Tom impiegò per coprirsi di nuovo con il capo
cucito giorno e notte da lei – fino a che anche Bill non mise in
mostra il proprio corpo.
Le costò metà della
dignità ammettere che anche il cantante fosse dotato di un fisico
niente male seppur meno formato e muscoloso di quello del fratello.
Solo allora scorse i famosi tatuaggi che avevano stuzzicato il suo
interesse due settimane addietro. Lo stesso simbolo dell'amicizia che
riportava Tom sul bicipite, affiancato dal famoso cuore. A primo
impatto le venne piuttosto spontaneo distogliere lo sguardo,
lievemente impressionata, poi lo riportò su di esso per studiarlo
appena. Era realmente disegnato nel dettaglio, qualcosa che lei
stessa faticava ad immaginare sulla propria pelle. Si chiedeva cosa
lo avesse spinto a desiderare qualcosa di simile e ciò non faceva
altro che avvalorare la sua ipotesi: quei due erano del tutto fuori
di testa.
Con le iridi castane
catturò nuovamente l'immagine di Tom, il quale si lasciava fasciare
dalla maglietta nera aderente e se la sistemava attorno al torace.
“Mi sembra a posto.”
commentò osservandosi attentamente da ogni angolazione.
Liesel gli si fece più
vicina e prese a studiare ogni singola cucitura per poi
aggiustargliela sulle spalle. Con la coda dell'occhio notò Samantha
fare la medesima cosa con Bill.
“Sì, le misure ci
sono.” rifletté. “D'accordo, proviamo la giacca sopra.”
annunciò poi passandogliela. Anch'essa nera, era caratterizzata da
uno stile elegante ma per nulla classico. Poteva richiamarne anche
uno più sportivo se propriamente abbinata.
Scrutò il chitarrista
da cima a fondo e per un momento temette di lasciarsi eccessivamente
andare con gli apprezzamenti. Non aveva mai avuto occasione di
osservarlo in giacca e doveva ammettere che gli donasse
particolarmente. Si voltò di nuovo in direzione di Bill e notò che
anche lui aveva indossato la stessa giacca grazie all'aiuto della
rossa.
Sì, facevano
decisamente la loro figura.
Che seccatura.
***
Quando le varie prove
giunsero al loro termine Liesel tirò un sospiro di sollievo.
Ora voleva solamente
godersi la sua pausa caffè – idea che l'aveva tormentata fino a
quell'istante – e non dover fingere gentilezza.
“Sentite, dato che
l'altra volta avete declinato il mio invito, pretendo che veniate a
prendere un caffè con noi.”
Liesel, in quel momento
impegnata a riordinare la scrivania, sgranò gli occhi voltandosi
nella direzione di Samantha. Aveva sentito bene?
I gemelli si
scambiarono un'occhiata veloce per poi sorriderle.
“Va bene, stavolta
abbiamo proprio bisogno di caffè.” accettò Bill con gentilezza
sotto lo sguardo esterrefatto della bruna.
Samantha, dal suo
canto, la scrutò con sicurezza come a dirle senza timore che le sue
minacce non la intimidivano.
Questa me la paghi,
borbottò mentalmente ormai arresa ai fatti.
“Perfetto.” sorrise
la rossa sotto il suo sguardo inceneritore. “Andiamo.” la
stuzzicò.
Una cosa era certa, una
volta sole avrebbe saputo come porre fine a quel suo sorrisetto
vittorioso.
Giunti al bar
dell'azienda, presero posto ad uno dei tavolini. Samantha e Liesel da
un lato, Tom e Bill di fronte.
Per Liesel la pausa
caffè aveva da sempre rappresentato un momento di riposo, di
spensieratezza, e che quella mattina si trovasse costretta a
guastarlo con i Kaulitz la rendeva non poco nervosa.
“Come vi siete
conosciuti?” si informò all'improvviso la rossa con incredibile
interesse, così tanto che Liesel non poté fare a meno di
intervenire.
“Non siamo amici di
vecchia data.” puntualizzò. “Li ha scelti Neal per il servizio
fotografico.”
“A dire il vero
abbiamo avuto il piacere di conoscerci qualche giorno prima.”
precisò Tom con aria sardonica e disinvolta.
Ora lo stendo con
una testata, pensò la bruna. Una sola, secca.
“Sì, beh, cosa di
poco conto.” tagliò corto fulminandolo con lo sguardo per fargli
intendere che se avesse proferito una sola parola ancora sul loro
fatidico incontro, sarebbe uscito da quell'azienda con un testicolo
in meno.
“Voi invece vi
conoscete da tanto?” intervenne Bill interessato.
“Da quando sono
venuta qui. Circa due anni fa. Lei lavorava già all'epoca e mi
ricordo che mi ha colpito immediatamente la sua esuberanza.”
sorrise Samantha. “Difficile che Liesel passi inosservata.”
ridacchiò poi lanciandole un'occhiata dal retrogusto malizioso.
“Quello senza ombra
di dubbio.” sollevò un sopracciglio il chitarrista.
Liesel evitò di
lanciargli una scarpa solamente perché interrotta dall'arrivo del
cameriere.
“Ciao, Jim.” lo
salutò calorosamente Samantha. “Loro sono Tom e Bill, freschi
freschi dai Tokio Hotel.”
“Piacere!” esclamò
il moro a dir poco colpito da tale presenza. Vedevano molta gente
varcare la soglia dell'azienda ma ogni qual volta una celebrità
facesse il proprio nobile ingresso il fermento si percepiva
con forza da parte di tutto il personale e Liesel si chiedeva il
perché di tanto chiasso. Erano due ragazzini pomposi; perché farli
sentire ancora più importanti di quel che in realtà erano? “Cosa
posso portarvi?” domandò poi Jim, eccitato alla sola idea di
servirli.
“Due caffè normali.”
rispose Bill con la sua solita gentilezza. Pareva quasi intenerito da
tale reazione.
“Io uno macchiato.”
continuò Liesel.
“Anche per me.” si
aggiunse Samantha. Annotato il tutto, il ragazzo si congedò. “E
ora cosa state facendo? State lavorando ad un nuovo disco?”
continuò quindi particolarmente interessata.
“Sì, ci stiamo
lavorando da qualche anno. Ci siamo presi una pausa più lunga questa
volta. Avevamo bisogno di un po' di tregua, motivo per cui ci siamo
trasferiti a Los Angeles.” spiegò il chitarrista.
“Strano posto dove
trovare la tregua.” ridacchiò la rossa.
Tom sorrise quasi
imbarazzato ed abbassò lo sguardo per poi rialzarlo immediatamente.
“Sì, beh, so che
sembra strano. Ma ci sembrava il luogo migliore, d'altronde non
eravamo così tanto conosciuti qui come in Europa. Cosa che
ovviamente non toglie di mezzo i paparazzi ma fa parte del nostro
lavoro ed abbiamo imparato a conviverci.”
“Anche tu fai la
stilista?” chiese improvvisamente Bill a Samantha.
“Sì.” sorrise
quasi intimidita. “Ma non sono ai suoi livelli.” aggiunse
indicando la bruna con un gesto del capo.
Liesel scosse la testa
e roteò gli occhi.
“Non fare la
modesta.” la rimbeccò.
“Non faccio la
modesta, è la verità. Sei tu che stai realizzando una linea non
io.” le sorrise del tutto tranquilla.
“È solo questione di
esperienza, sei qui da meno tempo. Ma sei brava.” si impuntò
Liesel.
“È strano sentirti
fare dei complimenti a qualcuno.” commentò Tom compiaciuto e quasi
sorpreso. La ragazza si voltò minacciosa verso di lui. “Me lo
concedi?” sollevò di nuovo le sopracciglia lui con sano sarcasmo.
“Eppure vedo che
nonostante la tua consapevolezza di non piacermi, non fai nulla per
farmi cambiare idea.” lo stuzzicò.
Lui scrollò le spalle
senza abbandonare quell'espressione del tutto rilassata che a lungo
andare le dava la nausea.
“Ho qualche speranza?
Per quanto poco io ti conosca, non è difficile dedurre che non sei
una tanto facile da scollare dalle sue convinzioni.” ammise. “E,
se posso essere onesto, non sono interessato a farti cambiare idea.”
L'aveva detto con il
sorriso più sereno del suo repertorio.
Ma ecco che una nuova
sensazione di fastidio aveva stretto lo stomaco di Liesel. Cos'era?
Umiliazione? Mai un ragazzo le aveva sputato con tanta
facilità la realtà in faccia. Mai per un momento l'aveva fatta
sentire un tantino più piccola. Mai aveva sbandierato il proprio
disinteresse, davanti ad altre persone per giunta.
Le mani presero a
prudere. Tom Kaulitz non poteva averla messa a tacere. Liesel Petrova
non poteva farsi sottomettere da una mocciosa rockstar
sfacciatamente sicura di sé.
“Bene, allora siamo
d'accordo.” fece con incredibile nonchalance prima che i loro caffè
arrivassero.
Al
diavolo.
Samantha si schiarì la
voce mentre versava una bustina di zucchero nella propria tazzina.
“Comunque.”
riprese, chiaramente per spostarsi su un altro discorso. “Riuscite
ad andare in giro? Andate mai in spiaggia, per esempio?”
“Sì, ci piace molto
andare alla spiaggia El Matador di Malibù.” rispose il
vocalist prima di sorseggiare la sua calda bevanda.
Liesel percepì un
brivido alla schiena.
Non
farlo.
“Sul serio?”
esclamò la rossa colpita ed emozionata al tempo stesso. “Anche noi
ci andiamo ogni tanto!”
L'ha
fatto.
“Non vi abbiamo mai
visto però.” sorrise Bill, sorpreso.
“Non ci andiamo di
frequente.” gesticolò lei. “Ma è una spiaggia stupenda. Anzi,
potremmo incontrarci là una volta.”
Ormai Liesel aveva
persino terminato di pensare. Che bisogno c'era d'altronde? L'intero
cosmo ce l'aveva con lei. Nulla da spiegare.
“Sarebbe carino.”
annuì il biondo. “Si potrebbe dire anche a Neal.”
L'espressione euforica
di Samantha venne ben presto sostituita da una intrisa di astio.
“Sì, si potrebbe
fare.” borbottò.
I gemelli aggrottarono
le sopracciglia ed entrambi cercarono con lo sguardo una spiegazione
da parte di Liesel.
“Lei e Neal non vanno
molto d'accordo.” chiarì quasi disinteressata per poi sorseggiare
un altro po' di caffè.
“Dì pure che ci
detestiamo.” precisò la rossa.
“E non si sa ancora
bene il motivo.” continuò Liesel.
“È un insopportabile
so-tutto-io, una checca isterica dalla sindrome premestruale
cronica.” La bruna tornò ad osservare i gemelli e sorrise con
sarcasmo. “Ma mi posso adattare. Anzi, ne approfitterò per
stuzzicarlo e rendergli la vita impossibile. È piuttosto
divertente.”
***
“Una tipa strana
l'amica di Liesel.” fu il primo commento di Bill una volta solo con
suo fratello.
Tom, alla guida,
scrollò le spalle con una lieve smorfia di divertimento sulle
labbra.
“Ci sarà un motivo
se sono amiche.” fece caustico.
Aveva sviluppato
un'opinione molto chiara nei confronti di Liesel. Che fosse l'essere
umano più curioso, contorto e contraddittorio del pianeta era ormai
assodato. Ciò che non riusciva a comprendere fino in fondo era su
quali assurdi criteri si basasse la sua improbabile mentalità. E
ancora, cosa diamine la spingesse a detestarlo a quella maniera senza
una spiegazione quantomeno plausibile. Che Samantha fosse simile a
lei, di conseguenza, era più che ovvio e facile da credere.
Probabilmente era munita di qualche rotella in più ma la sostanza
era invariata.
“Però è simpatica.”
parlò ancora suo fratello. “Come Liesel, d'altronde. Per quanto
pazza ed instabile.”
Tom sollevò un
sopracciglio e si voltò per un paio di secondi nella sua direzione
per constatare effettivamente quanta verità vi fosse in quello che
aveva appena proferito con convinzione.
“È una squilibrata.”
ribatté quasi esterrefatto prima di tornare a concentrarsi sulla
strada.
Era indubbio che spesso
quel suo modo di fare così controverso lo divertisse ma non era
nemmeno da dimenticare la dura realtà dei fatti: Liesel Petrova non
era – senza alcun dubbio – sana di mente.
Bill si strinse nelle
spalle con un sorriso.
“Sì ma non riesce ad
irritarmi per quanto sia inspiegabilmente scontrosa. Mi fa sorridere.
Forse mi fa quasi tenerezza.”
Tom sgranò gli occhi
fino a farseli quasi uscire dalle orbite e per poco non inchiodò con
l'auto.
“Tenerezza
quell'insieme di scontrosità, saccenza ed assurdità? Stiamo
parlando della stessa persona?”
Liesel smuoveva in lui
emozioni che nemmeno lontanamente potevano essere accostate alla
parola tenerezza. Suo fratello aveva un modo di vedere la vita
del tutto affascinante nella sua inspiegabilità.
“Sì. Non è una
persona cattiva. Se continua ad attaccarti, lo fa solamente per
autodifesa. Ne avevamo già parlato.”
“Difendersi da cosa?
L'ultima cosa che voglio fare è stuprarla o ucciderla a mazzate,
anche se la tentazione alle volte è forte.”
“È la nostra figura
a darle fastidio, non noi come persone. Non senti che ha dei
pregiudizi? Che parla per categorie? Voi rockstar, voi
celebrità, voi ricconi...” Era vero. Tom vi aveva
fatto caso ma continuava a non spiegarsi il motivo. “Lasciamola
sfogare. Quando si renderà conto di non avere più argomenti e di
essersi sbagliata, non potrà fare altro che ricredersi e finirla
esattamente come ha iniziato.”
***
Faceva finta di non
ascoltare quella telefonata, troppo impegnata a sfogliare con falsa
attenzione il giornale sotto i suoi occhi vaghi. Le dita della mano
sinistra picchiettavano palesemente nervose sul tavolo della cucina
mentre la destra voltava pagina, a distanza di una decina di secondi
ogni volta, quando pensava che i tempi di lettura fossero credibili.
Neal, seduto a
capotavola, parlava da qualche minuto con Tom al telefono. Quello che
avrebbe dovuto essere un accordo sul servizio fotografico si era
trasformato ben presto in un'allegra conversazione cui il suo
migliore amico stava partecipando con notevole entusiasmo.
Ciò che l'aveva
inquietata fino a quell'istante stava prendendo forma e concretezza.
Neal, Tom e Bill stavano lentamente dando vita ad un rapporto che
andava ben oltre l'aspetto professionale. Il loro sentirsi spesso, le
loro chiacchierate lunghe mezzore – o a volte persino ore intere –
minacciavano la nascita di un'amicizia cui Liesel non avrebbe mai
preso parte.
Era sempre stata
inspiegabilmente gelosa di Neal ma nella maniera più sana ed
innocente. Ora percepiva nella pelle una nuova sensazione, un nuovo
bisogno; quello di proteggerlo. Così come con Damian, non voleva che
il biondino entrasse a far parte di un mondo troppo lontano dal suo,
che l'avrebbe inevitabilmente danneggiato.
“D'accordo, ci
vediamo. Ciao, Tom. Saluta Bill.” Riattaccò. Quando sollevò
finalmente lo sguardo sulla bruna, questa restò a scrutarlo per
qualche istante in silenzio. “Cosa?” domandò quindi
probabilmente a disagio.
“Niente.” borbottò
lei con una scrollata di spalle prima di alzarsi dalla sedia e
raggiungere la credenza per recuperare un bicchiere che presto riempì
d'acqua fresca. “Senti, stasera ho voglia di bere.” annunciò poi
sotto il suo sguardo basito.
“Perché questa
strana voglia improvvisa?” indagò lui con un sopracciglio
sollevato.
Effettivamente non
aveva nemmeno avuto il tempo di riflettervi. Aveva semplicemente dato
voce al primo pensiero che le aveva attraversato la mente.
“Così.” scrollò
di nuovo le spalle. “Da quando è strano?”
“Beh, non hai
esattamente detto 'stasera ho voglia di guardare un film'.” le fece
notare.
La ragazza si sentì
pervasa da un brivido di fastidio.
“Parli come non
avessi mai bevuto in vita mia. È così scioccante?”
Neal non proferì
risposta.
Senza aggiungere altro,
Liesel abbandonò la cucina.
***
Neal era perfettamente
consapevole di quanto Steven rappresentasse per Liesel un motivo di
stress. Sapeva quanto la sua migliore amica, nonostante non volesse
ammetterlo, soffrisse per suo fratello. Non era dunque difficile da
comprendere il motivo di quei suoi improvvisi atteggiamenti scontrosi
e per nulla socievoli. Si chiudeva in se stessa e non lasciava
entrare nessuno nel suo più intimo mondo, nemmeno lui. Mutava umore
nel giro di pochi secondi, senza che nessuno se ne rendesse conto, e
parlava senza riflettere. Si alzava, se ne andava, si ammutoliva.
Scosse la testa
abbandonandosi ad un debole sospiro.
Se avesse posseduto una
bacchetta magica, avrebbe senza dubbio agito a suo favore. Avrebbe
rimesso a posto suo fratello in pochissimi secondi ed avrebbe
cancellato dalla storia Andrew, il dannato motivo per cui si
rifiutava di avvicinare qualsiasi uomo per più di una notte di
sesso.
Improvvisamente il suo
cellulare prese a squillare. Gettò le pupille nella sua direzione e
percepì le vertigini nel leggere il nome di Damian. Non si erano più
sentiti dall'ultima discussione che avevano avuto.
Rispondere o
accantonarlo per sempre?
Deglutì prima di
portarsi il telefono all'orecchio.
“Pronto?” mormorò
incerto ma fingendosi il più freddo possibile.
“Ciao.” udì
dall'altro capo la sua voce calda, in quel momento tremendamente
seria.
“Ciao.” rispose lui
dopo qualche secondo.
Si domandava il motivo
di tale telefonata. Avevano litigato innumerevoli volte ma mai come
quell'ultima. E Damian era un ragazzo così orgoglioso, che stentava
a credere che fosse stato lui il primo a farsi vivo. Da una parte
aveva quasi desiderato di non sentirlo più, forse illudendosi di
dimenticarlo; dall'altra – e ciò lo faceva sentire un fallito di
proporzioni cosmiche – era sollevato nel bearsi nuovamente della
sua voce.
Passarono altri secondi
di silenzio in cui entrambi probabilmente cercavano le giuste parole
con cui spezzarlo. Fu Damian a schiarirsi poi la voce.
“Dobbiamo
parlare.” esordì nuovamente. “Possiamo vederci stasera?”
Merda.
Che doveva fare? Non
gli era ben chiaro se Liesel volesse trascorrere la serata a suon di
alcol in compagnia o nella completa solitudine. Non era nemmeno certo
che la bruna non si offendesse in caso di buca, soprattutto se la
causa ancora una volta assumeva il nome di Damian.
La domanda più giusta
era 'Lui se lo merita?'.
Sospirò.
“D'accordo.”
cedette. Non gli era costato poi molto.
“Vieni da me per
le nove. A più tardi.”
Non attese nemmeno una
sua risposta. Riattaccò facendolo sentire ancora più stupido di
quanto già non fosse.
***
“Si, domani abbiamo
il servizio fotografico.”
Georg e Gustav
sorridevano interessati al di là dello schermo del portatile.
I gemelli Kaulitz,
stravaccati sul divano, avevano fatto un breve resoconto
dell'avventura che li vedeva coinvolti con Neal e Liesel. La
seconda metà del gruppo si era mostrata entusiasta di tale progetto
riconoscendo in esso un certo vantaggio per la band stessa benché
riguardasse solamente Tom e Bill.
“Quindi immagino le
cose vadano meglio con la psicopatica.” rifletté Georg, il mento
poggiato alla mano in un'espressione di pura curiosità.
“Ci limitiamo ad un
rapporto quasi civile e professionale.” scrollò le spalle Tom
mentre posava un piede sul tavolino di fronte a sé dove il computer
si trovava.
“Quasi?” sollevò
un sopracciglio il batterista.
“Diciamo che noi
facciamo del nostro meglio ma la psicopatica non sembra dello stesso
parere.” spiegò Bill.
Ormai psicopatica
era il solo nome con cui i loro amici capissero di chi parlassero e
tale era rimasto. Effettivamente i gemelli non avevano mai pensato di
affibbiarle un'identità, in modo da chiarire maggiormente con chi
avessero a che fare. Non vi avevano semplicemente pensato.
“Il fotografo invece
è simpatico. Si sta instaurando un bel rapporto.” riprese Tom con
un lieve sorriso. “Ci ha invitato al suo compleanno, venerdì.”
“Andate?” si
informò il rosso.
“Sì.” sollevò le
spalle Bill lanciando un'occhiata a suo fratello come in cerca di
conferma. “Ci svaghiamo un po'.”
Il chitarrista annuì.
“Noi abbiamo deciso
quando venire a Los Angeles.” cambiò discorso Georg ed entrambi i
gemelli si drizzarono sul divano, improvvisamente interessati. “A
dire il vero non abbiamo ancora una data precisa ma pensavamo una
settimana prima della sfilata.”
“Bene!” esclamò
Tom con gli occhi che brillavano. “Dobbiamo recuperare il tempo
perso, Hobbit.” sorrise poi malizioso ed ammiccante.
Tutti scoppiarono a
ridere scuotendo la testa con fare rassegnato.
“Sei sempre il
solito.”
***
La video-chiamata durò
più del previsto e quando venne interrotta i gemelli distesero i
muscoli contratti ed intorpiditi. Una chiacchierata con i loro
compagni di disavventure era un toccasana, un motivo di buon umore e
serenità. Benché si guardassero bene dal manifestare le proprie
emozioni, la mancanza che provavano l'uno per l'altro era palese e
palpabile. Ricordavano le intere giornate a scrivere e comporre nuove
melodie, le chiacchierate fino a notte fonda, le maratone alla
play-station, le fide a ping-pong, le rincorse, i lanci di cibo e le
litigate. Erano ricordi felici di cui facevano tesoro. Tom, dal suo
canto, provava sempre a convincerli sul loro trasferimento nella
Città degli Angeli; sforzi che puntualmente venivano respinti poiché
giudicata troppo caotica e lontana dal loro stile di vita. Il
chitarrista comprendeva in parte. Inizialmente si era trattato di un
vero e proprio salto nel vuoto, in una cultura diversa, in una città
che non dormiva mai e straripava di fotografi e personaggi famosi.
Col tempo avevano avuto modo di conoscerla meglio, di prendervi
confidenza, di individuare i luoghi più appartati e convenienti. Si
erano creati la loro cerchia di amici a dispetto di qualsiasi
pensiero negativo. Si stavano costruendo con successo una nuova vita
dalle radici e ne andavano incredibilmente fieri poiché non tutti ne
erano in grado. Avevano visto gente rinunciarvi prima di un concreto
inizio; avevano visto gente che dopo poche settimane si era ritirata
da quel mondo, definito troppo in tutto. Tom e Bill, in
completa solitudine, avevano stretto i denti e ce l'avevano fatta.
“Li ho trovati bene.”
sorrise Bill mentre abbassava lo schermo del PC. Tom annuì con un
lieve sorriso. “Sigaretta?” propose poi il vocalist che non ebbe
bisogno di una risposta.
Entrambi si erano già
alzati dal divano, diretti al giardino. Aprirono il finestrone
scorrevole e lo richiusero alle loro spalle dopo aver fatto uscire i
cani. Trovato posto sulle poltrone in vimini, si abbandonarono alla
nicotina.
“Ho sentito Ria
qualche giorno fa.” esordì all'improvviso il chitarrista mentre
espirava la prima boccata di fumo. Aveva lanciato un veloce sguardo a
suo fratello, giusto per coglierne l'immediata reazione, poi l'aveva
nuovamente posato sui suoi cuccioli intenti a passare in rassegna
l'intero giardino. “Non è la prima volta.” aggiunse poi senza
guardarlo.
Aveva sinceramente
timore della sua risposta. Primo, perché gli aveva nascosto una
verità. Secondo, non sarebbe stato d'accordo su quello strano
rapporto che aveva creato con la sua ex.
Poiché ancora non
aveva ricevuto replica, prese coraggio e si voltò di nuovo verso di
lui. Questo lo scrutava con una sfumatura nelle iridi che per un
momento gli spezzò il cuore: delusione e timore.
“Perché non me ne
hai mai parlato?” domandò con tono incredibilmente delicato.
Tom sospirò appena
concentrandosi sull'albero di fronte a sé. La tiepida brezza serale
gli sfiorava lievemente il viso rilassandolo per quanto possibile.
“Non lo so, Bill.”
mormorò mentre il fumo creava spirali irregolari davanti a sé.
“Forse avevo paura del tuo giudizio perché la situazione è già
abbastanza strana per me.”
Era la prima volta che
dava voce a quei pensieri. Per la prima volta stava aprendo il
proprio cuore su tutta quella vicenda ed ora che stava accadendo
sentiva solamente un gran magone.
Dalla rottura con Ria
non aveva mai proferito parola a riguardo nonostante i rispettosi
tentativi di suo fratello. Aveva sempre preferito tenersi tutto
dentro, nascondere nell'antro più profondo del suo cuore ciò che
realmente provava. Non voleva che la gente lo compatisse, non voleva
provare dolore benché la separazione fosse stata consensuale. Per
quanto meditata, aveva fatto male ad entrambi perché i ricordi erano
troppo vividi nella loro memoria. Non aveva semplicemente voluto
riaprire una ferita.
“Ma, Tom.” soffiò
il biondo. “Sai perfettamente che non ti avrei mai giudicato.”
Tom chiuse per un
momento gli occhi annuendo consapevole.
“Lo so, Bill.
Scusami.” Sospirò di nuovo. “Forse non ero ancora pronto per
parlarne.”
Trascorse qualche
attimo di silenzio che venne spezzato nel momento in cui Bill posò
dolcemente la mano sul suo braccio.
“Te la senti di farlo
ora?” domandò con un sorriso comprensivo.
Il moro lo scrutò per
attimi che parvero infiniti poi scostò nuovamente le pupille
altrove.
Da dove poteva
cominciare? All'improvviso le parole si erano trasformate in macigni
e la bocca sembrava faticare ad aprirsi per emettere solamente un
flebile suono.
Era sempre stato molto
pudico nell'esprimere i propri sentimenti, nel parlare di sé.
Si schiarì la voce.
“Sai che Ria è stata
la prima ed unica ragazza di cui mi sia mai innamorato.” cominciò
con fatica. Quei pensieri, espressi ad alta voce, lo facevano
emozionare. “Insomma, è vero, abbiamo preso la decisione di
finirla insieme e continuo a pensare che sia la giusta soluzione per
entrambi.” Deglutì. “Ultimamente abbiamo ricominciato a vivere.
Avevamo passato momenti difficili, momenti in cui non sopportavamo
nemmeno più di sentire la nostra voce. Momenti in cui tutto sembrava
pesante e forzato.” Si torturò un ginocchio con la mano libera.
“Eppure, non so il motivo, entrambi non siamo riusciti a mettere un
punto finale. Non siamo riusciti a chiudere definitivamente e a volte
abbiamo ancora bisogno di sentirci.” Si strofinò momentaneamente
il volto per poi rivolgersi a Bill. “Bill, è normale che mi
manchino certe cose?”
L'aveva chiesto con la
disperazione nello sguardo. La disperazione di chi aveva bisogno di
aiuto, di chi aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a
dimenticare.
Il biondo sospirò
appena prima di rispondere.
“Sì, Tom.”
mormorò. “Vedi, tu e Ria avete vissuto una storia d'amore per più
di quattro anni. Avete vissuto assieme ogni giorno, avete condiviso
gioie e dolori, vi siete scoperti e amati per la prima volta. Lei è
la ragazza che ti ha permesso di conoscere un mondo che ti era
estraneo, è la prima cui tu ti sia dato sentimentalmente e che ti ha
fatto crescere. È normale provare questa malinconia, non riuscire a
spezzare questa sorta di cordone ombelicale che avete creato.
Ci vuole tempo, come per tutte le cose.” Tom abbassò lo sguardo e
buttò la sigaretta non ancora del tutto consunta. Con un sospiro
frustrato si prese la testa fra le mani e posò i gomiti alle
ginocchia. Che il dolore trattenuto fino a quel momento avesse deciso
di esplodere? Strinse le palpebre percependo un bruciore che da tempo
non aveva più avuto modo di affrontare. Schiacciò i palmi contro
gli occhi per impedire a quelle maledette lacrime di scivolare lungo
le sue guance e rivelarsi a suo fratello. “Hey.” mormorò proprio
il biondo carezzandogli la schiena curva. “Non sei anormale. È una
reazione del tutto ragionevole.” Si prese una piccola pausa. “Tom,
non devi vergognarti di piangere.” A quel punto il moro non poté
più trattenere le gocce salate che presero a segnargli il viso
contratto. Non aveva il coraggio di emettere un suono; pianse in
silenzio, in imbarazzo. Non capiva il perché di quell'improvvisa
reazione. Non capiva il perché di quelle lacrime quando non ne aveva
versata una dalla separazione fino a quell'istante. Sentiva la mano
di suo fratello continuare a sfiorargli con affetto la schiena per
confortarlo come poteva e lo stomaco accartocciarsi sempre di più.
“Stai sfogando tutto quello che ti sei tenuto dentro fino ad ora.
Nulla per cui imbarazzarsi.” Quelle lacrime erano l'ennesima prova
che l'aveva amata con tutto se stesso. Il suo cuore batteva
all'impazzata ma le sue labbra non avevano ancora liberato un
singhiozzo, un semplice suono. Era un pianto intimo, dignitoso, un
pianto che testimoniava una stanchezza, una presa di coscienza e
forse una liberazione. Quando sembrò essersi calmato appena, Bill
riprese: “Però, Tom, sai anche tu cos'è giusto fare, vero?” Il
chitarrista si asciugò gli occhi arrossati e tirò lievemente su con
il naso. “Devi spezzare questo cordone.” Annuì
impercettibilmente senza guardarlo. Continuava a tenere gli occhi
serrati ed il viso fra le mani. Ora che era di nuovo lucido non
voleva farsi vedere da suo fratello in quelle condizioni. “E
continuare a sentirla non ti aiuta. Non fa bene a nessuno dei due.”
Per quanto difficile da accettare, sapeva che era la verità. “Sei
d'accordo?”
“Sì.” soffiò per
la prima volta con voce spezzata.
Passò qualche attimo
prima che il vocalist si facesse prendere da uno slancio di
tenerezza.
“Vieni qui,
fratellino.” Lo tirò a sé abbracciandolo con tutta la forza che
aveva. Tom, dapprima frastornato, si lasciò andare a quella stretta.
Una di quelle che avvenivano di rado ma piene d'amore. “Ti voglio
bene.”
***
Aveva appena fatto
ritorno a casa con una pesante busta della spesa in mano. Ricordava
ancora lo sguardo sospettoso della commessa che l'aveva servita nello
scorgere tutto l'alcol acquistato. Avrebbe scommesso la casa che
fosse sul punto di chiederle la carta d'identità ma, dal suo canto,
non aveva battuto ciglio. Sentiva che quella sera avrebbe dovuto dare
sfogo alle sue frustrazioni – ne aveva molte – e nessuno sarebbe
stato in grado di distoglierla da quell'intenzione.
Era un periodo
dannatamente strano e combattuto. Da un lato, la soddisfazione nel
campo lavorativo; dall'altro, i problemi che vedevano protagonista
suo fratello. I Kaulitz facevano solamente da ciliegina ad un mix di
situazioni che la inquietavano ed avevano in quel momento assunto un
ruolo pressoché irrilevante.
No, i gemelli non
facevano più testo.
Entrò in cucina e
spalancò l'anta del frigo di nuovo vuoto. Aveva fatto rifornimento
di alcol mentre il cibo non le era passato nemmeno per l'anticamera
del cervello; quella sera non poteva definirsi una vera e propria
ragazza modello.
Posò le bottiglie di
vino negli appositi scomparti e richiuse ignorando quella sensazione
di vuoto e di imbarazzo che aveva provato per un istante verso se
stessa.
“Hey.” entrò di
soppiatto Neal facendola quasi sobbalzare. Liesel non rispose. Non
aveva molta voglia di parlare. “Hai fatto spesa?” domandò il
ragazzo con apparente entusiasmo che si spense non appena perlustrò
il frigorifero. La bruna ignorò il proprio coinquilino e gettò il
sacchetto di plastica nella pattumiera adottando un atteggiamento del
tutto disinteressato e disinvolto. Neal si schiarì la voce
passandosi una mano fra i capelli. “Beh, non è proprio quello che
avevo immaginato ma... Va bene.” Richiuse l'anta e si voltò verso
di lei che nel frattempo si era seduta sul davanzale della finestra e
si era accesa in silenzio una sigaretta. “Ascolta...” borbottò e
le orecchie della mora si tesero. Ormai conosceva fin troppo bene il
ragazzo e sapeva che avrebbe presto ricevuto una notizia che non le
sarebbe andata a genio. Tuttavia continuò ad osservare il panorama
di Los Angeles come nulla fosse. “Mi ha chiamato Damian.” lanciò
la bomba e Liesel percepì il primo brivido di fastidio. “Vorrebbe
che stasera, verso le nove, andassi da lui. Vuole parlare.” La
ragazza non mosse un muscolo e non si scomodò nemmeno per voltarsi a
guardarlo. Aveva però stretto il pugno sinistro, le nocche
biancastre a testimoniare. “Ti dispiace? Avevi intenzione di
passare la serata assieme?”
Sì, avrei voluto il
mio migliore amico al mio fianco. Lo pensò solamente.
Aveva percepito una
morsa allo stomaco. La solitudine quella sera non avrebbe giovato
alle sue paranoie. Sentiva il bisogno di condividere quel suo stato
d'animo con qualcuno e quel qualcuno avrebbe dovuto essere Neal,
l'unico in grado di comprenderla nel profondo, a dispetto di ogni
apparenza.
Racimolò ogni singolo
granello di forza di volontà per indossare una maschera; una
maschera intrisa di indifferenza.
“No, vai tranquillo.”
si limitò a rispondere con una lieve scrollata di spalle.
Sapeva che gli occhi
l'avevano tradita e che Neal era piuttosto talentuoso nello scorgere
ogni suo più impercettibile cambio d'espressione. Ma non le
importava.
***
Bill Kaulitz non era
mai stato il re del tempismo, questo lui lo sapeva bene. Al
contrario, se Los Angeles avesse inaugurato una categoria dedicata a
tutti coloro che come lui avevano reso tale grattacapo una vera e
propria patologia in stadio avanzato, si sarebbe senza ombra di
dubbio accaparrato l'Oscar. Con tutti gli onori.
Presentarsi al mondo
esterno, specialmente ad Hollywood, nella migliore delle condizioni
fisiche era il minimo che una rockstar come lui potesse fare. Era una
questione che Bill aveva preso piuttosto seriamente – una paranoia,
a detta di Tom – da cui non poteva prescindere; una sorta di Codice
da rispettare.
Dunque ciò bastava a
giustificarsi contro le urla e le minacce che suo fratello gli
lanciava da una buona mezz'ora.
“Bill!” lo sentì
sgolarsi dal piano di sotto. “Giuro sui cani che se non scendi
entro due secondi esco senza di te e ti lascio a piedi!” La
prospettiva non era delle più allettanti. Aveva non pochi problemi a
compiere lunghe distanze senza l'ausilio di una macchina e, poiché
poteva vantarsi di conoscere abbastanza bene il suo gemello,
la sua buona coscienza gli impose di abbandonare il bagno e scendere
le scale senza fiatare. Sapeva perfettamente quanta veridicità si
nascondesse in quelle parole. Come? L'aveva lasciato veramente
a piedi. “Grazie a Dio le minacce funzionano ancora con te.”
borbottò Tom già pronto, vestito e profumato sulla porta di casa.
Bill si limitò ad
indossare un giacchetto nero in pelle. Nonostante Los Angeles godesse
di una temperatura stabilmente calda voleva prevenire qualsiasi
inconveniente.
Una volta in macchina,
accese la radio.
“A che ora abbiamo il
servizio fotografico domani mattina?” domandò all'improvviso dopo
una breve riflessione. Ancora si domandava per quale razza di motivo
scegliessero di andare a ballare sempre quando la mattina seguente
avrebbero dovuto abbandonare il mondo dei sogni piuttosto presto.
“Alle dieci.”
rispose il chitarrista mentre si portava una sigaretta alla bocca.
Abbassò il finestrino e la accese senza staccare gli occhi dalla
strada.
Era sempre stato Tom il
guidatore per eccellenza fra i due. Bill guidava ma non amava farlo
quanto il fratello. Il moro vi trovava un qualcosa di rilassante, era
divenuto un fattore automatico con chiunque. Bill, al contrario,
gradiva abbandonarsi al suo fianco e godere della calma che il
viaggio gli trasmetteva. Non aveva mai fatto mistero di quanto Tom
fosse bravo a guidare e finché poteva ne approfittava.
Non trascorse molto
tempo prima che raggiungessero il Bootsy Bellows. Parcheggiarono non
molto lontano e si incamminarono verso l'entrata dove scorsero Shiro
e Shay ad attenderli. Una coppia incredibilmente affiatata con cui
avevano avuto modo di stringere una solida amicizia nel corso degli
anni, sin dal loro trasferimento nella Città degli Angeli.
“Hey!” sorrise
Shiro non appena li vide. “Ce l'avete fatta.” ridacchiò poi dopo
aver salutato entrambi.
“Ringrazia Bill, come
al solito.” ribatté Tom per poi posare affettuosamente una mano
sulla spalla di Shay.
Bill era consapevole di
quanto Shay si trovasse in mezzo a due fuochi. Cara amica di Ria, ora
era costretta a dividersi fra lei e loro senza alcuna distinzione.
Aveva sempre rivestito la parte della pura neutralità e l'aveva
fatto molto bene. Tutti sapevano che quella situazione non era delle
più semplici ma con un po' di pazienza erano giunti ad una soluzione
quantomeno indolore.
Fecero il proprio
ingresso al locale e la musica ad alto volume li accolse senza mezze
misure.
***
Il dito pigiò ancora
una volta il tasto del telecomando, insistente. Le immagini sullo
schermo del televisore si susseguivano con velocità, senza un vero e
proprio criterio, ed il suo sguardo perso ed un po' annebbiato
fingeva di trovarvi interesse.
La prima birra aveva
avuto vita breve ed era ovvio che non bastasse a negarle la lucidità.
In completa solitudine, non aveva emesso nemmeno un suono, un verso,
nulla. Amava l'indipendenza ma, abituata ad avere l'euforico Neal a
gironzolarle attorno, cominciava a sentirne la mancanza soprattutto
perché aveva aperto la seconda birra del tutto sola.
Una sottile sensazione
di vergogna si impossessò della sua coscienza per un paio di
secondi.
Tu
che ti presti a grandiose ramanzine da Oscar con tuo fratello, ora
sei stravaccata sul divano a tracannare birra dalla bottiglia.
Diede un'inutile
occhiata al cellulare – nella vana speranza di trovare qualche
messaggio o telefonata persa, così da farla sentire un po'
importante – e si sollevò dal divano. Ignorò il lieve sbandamento
che l'aveva fatta per un momento vacillare e si rifugiò in cucina.
Non aveva toccato cibo e l'alcol stava facendo il suo effetto molto
più velocemente.
I pensieri si
susseguivano senza un ordine, senza un senso logico. Pensieri
fondamentalmente vuoti cui nemmeno prestava reale attenzione. La sua
mente ospitava un ammasso di contraddizioni senza capo né coda.
Cominciava a provare il
bisogno di uscire. Voleva godersi una passeggiata per le strade di
Los Angeles, lasciarsi carezzare dalla tiepida brezza serale,
accompagnata da una sigaretta.
Indossò semplici
sandali color crema, afferrò la borsa ed uscì di casa con la vista
ormai annebbiata.
***
Scrutava distrattamente
suo fratello chiacchierare con Shiro.
Sembrava essersi
incredibilmente ripreso dal crollo emotivo di poche ore prima.
Sorrideva, parlava, gesticolava. Ria pareva solo un lontano ricordo e
Bill non poteva che esserne felice.
Conosceva fin troppo
bene l'emotività di Tom. Era un ragazzo apparentemente forte,
impenetrabile, che difficilmente si apriva o si lasciava studiare
nella sua vulnerabilità. Ma Tom era solamente fragile, sensibile e
pieno di insicurezze malcelate da una presunzione pressoché
inesistente. Bill avrebbe dato la vita per lui, si sarebbe gettato
nel fuoco. Non poteva nemmeno immaginare un'esistenza senza suo
fratello; il solo pensiero gli faceva accapponare la pelle.
Distolse lo sguardo
dalle loro figure e fece una panoramica del Bootsy Bellows. Un locale
lussuoso dove il VIP era il cliente per eccellenza; le luci soffuse,
la musica ridondante, i ballerini in fermento. Se non altro – per
quanto assurdo potesse sembrare – lo rilassava.
Posò una mano sul
ginocchio di suo fratello, il quale si voltò incuriosito.
“Vado un attimo a
fumare fuori.” gli comunicò prima di alzarsi dal divanetto e farsi
strada fra la gente fino all'uscita.
Si portò una sigaretta
alle labbra e poggiò la schiena al muro, a pochi passi dall'entrata.
Una mano in tasca, lo sguardo fisso sulla strada di fronte a sé,
sulle macchine che scorrevano tranquille, sui giovani che di tanto in
tanto passavano di lì.
Anche lui come Tom
amava Los Angeles, in tutte le sue sfumature.
I fotografi non
sembravano in vista, il che era piuttosto strano, considerato il
luogo dove si trovava. Forse avrebbero fatto il loro arrivo più
tardi.
Espirò un po' di fumo
per poi far saettare lo sguardo sul marciapiede opposto al suo,
dall'altra parte della strada. Poggiò la testa contro il muro alle
sue spalle e si portò nuovamente la sigaretta alle labbra fino a che
non si ritrovò a ridurre gli occhi a due fessure sforzandosi di
focalizzare la figura che l'aveva attratto. Per un momento si chiese
se la sua vista facesse cilecca ma quando si rese conto di quanto i
suoi sospetti fossero fondati prese a camminare in quella direzione.
Attraversò la strada fino a raggiungere il marciapiede interessato.
Liesel sedeva
rannicchiata su un muretto – una sigaretta tra le dita – con lo
sguardo languido perso nel vuoto di fronte a sé, un'espressione poco
lucida e l'aspetto decisamente più sfatto di quello con cui era
abituato a vederla. I capelli castani ricadevano sciolti e appena
scompigliati ai lati del viso, dei pantacollant neri le fasciavano le
gambe, una canotta bianca e aderente metteva in risalto seno e addome
mentre delle semplici All Star bianche andavano a completare un look
decisamente differente dalla stilista che Bill ricordava.
Nonostante tutto,
quella ragazza aveva una bellezza indiscutibile e anche quel tipo di
vestiario la rendeva in un certo senso affascinante.
Parve udire i suoi
passi perché si voltò un momento nella sua direzione. Lo sguardo
spento e vacuo lo fece per un momento rabbrividire.
“Oh, grandioso.”
borbottò la ragazza tornando a posare le pupille sulla strada.
Bill si lasciò
scappare un sorrisetto.
“Potresti almeno
fingere di avere piacere di vedermi.” le fece notare, ormai
divertito.
Aveva il forte sospetto
che quella sera Liesel fosse scossa da qualcosa di più di una
semplice rockstar. L'aveva letto nei suoi occhi durante quei pochi
secondi di contatto.
“Non mi piace
mentire.” biascicò lei, cosa che gli fece tendere le orecchie.
“Sei ubriaca?”
sollevò un sopracciglio, curioso.
“Dipende dai punti di
vista.”
Bill ridacchiò. Se non
altro aveva avuto una conferma.
Con un lieve sospiro –
la sigaretta ancora accesa fra le dita – le si sedette accanto, sul
quel muretto testimone di quello che poteva essere dolore, come
semplice tristezza o confusione. L'avrebbe in ogni caso scoperto.
Per quanto quella
ragazza urtasse il suo sistema nervoso e quello di Tom, nessuno dei
due riusciva ad odiarla. Che nascondesse altro dietro la sua facciata
di cemento armato era più che palese.
La scrutò per un
istante, indeciso sul da dirsi. Fumava come un automa, le palpebre
nemmeno sbattevano.
“Come mai qui?”
fece la prima domanda che partorì la sua fantasia. Non poteva mai
prevedere le sue reazioni.
“Potrei farti la
stessa domanda.” ribatté lei senza degnarlo ancora di uno sguardo.
Buttò via del fumo.
“Beh, io ero al
Bootsy.” rispose come fosse ovvio.
“Intendevo perché
qui, seduto su un muretto a sproloquiare con un'ubriaca.”
Il vocalist sorrise.
“Allora ammetti di
esserlo.”
Liesel si voltò
finalmente verso di lui.
“Non hai risposto.”
deviò.
Bill scrollò le
spalle.
“Sono sincero, mi fai
un po' pena qui così.” Non si era nemmeno preoccupato di indossare
guanti bianchi. Con Liesel Petrova non vi era bisogno. “Ora
rispondi tu.”
“Volevo pensare ai
miei cazzi.” Inspirò un po' di nicotina. “E smaltire la birra.”
sbuffò poi il fumo. Bill non sapeva se ridere. Non l'aveva mai vista
in quei panni e, se la sua sbornia lo avesse aiutato, sarebbe
riuscito a scoprire qualcosa in più di lei. “Che palle.”
farfugliò la mora senza guardarlo di nuovo. Aveva gettato a terra la
sigaretta consunta ed aveva incrociato le braccia sulle ginocchia.
“Cosa?” provò lui
senza mostrarsi troppo interessato. Non voleva – proprio ora che
sentiva di averla in pugno – darle motivo di ritrarsi.
“Voi VIP. Al momento
mi state al quanto sulle palle.”
Bill non si trattenne
dal sogghignare.
“Nah, non è questo
il motivo del tuo aspetto cadaverico.” la prese in giro.
“Lo prendo come un
complimento solo per non tirarti una testata.”
“Molto generoso da
parte tua.”
La vide accendersi
un'altra sigaretta.
Aveva un qualcosa di
diverso nei gesti. Sembrava molto più remissiva del solito, il che
andava a suo favore.
Bill nel frattempo
spense la sua.
“Toglimi una
curiosità.” cantilenò lei. “Tuo fratello è problematico?”
Lui aggrottò la fronte, confuso. “Non problematico nel senso di
idiota, buzzurro affetto da una concentrazione di autostima al di
sopra della norma, quale è.” Sollevò un sopracciglio, ora
divertito. “Intendo un vero coglione, una cazzo di spina nel fianco
che ti rende la vita impossibile.”
“No.” rispose
sicuro.
“Si droga o spaccia?”
Per poco non gli andò
la saliva di traverso. Per quale razza di motivo lo stava
sottoponendo a tali domande?
“No.” ripeté
stranito.
Liesel sorrise con
sarcasmo.
“Che ragazzo
fortunato.”
Sbatté le ciglia più
volte poi, quando un'illuminazione divina gli diede un improvviso ed
immaginario scossone, pensò di comprendere.
Si schiarì la voce e
si sedette più a suo agio accanto a lei.
“Tu hai un fratello
del genere?” si informò con incredibile delicatezza. Non voleva
risultare irruento nei modi, non voleva si chiudesse di nuovo a
riccio.
“Diciamo che ho il
pacchetto completo.” sdrammatizzò lei per nulla divertita mentre
buttava a terra un po' di cenere.
Bill per un momento non
seppe cosa dire. Tutto avrebbe dedotto ma non che Liesel avesse
problemi con il fratello. Doveva affrontare il discorso senza fretta,
passo per passo. Se necessario, partire dal principio.
“Non sapevo avessi un
fratello.” buttò lì.
“Non ne parlo molto
in giro. Sarei costretta a dare risposte che preferirei tenere per
me.”
Parlava ancora con
remore, con freddezza, con cupo sarcasmo. Manteneva quel distacco da
lui come per paura che potesse ferirla da un momento all'altro, o
potesse ferirsi da sola lasciandosi sfuggire qualche parola di
troppo.
“Quanti anni ha?”
“Venti ma è come ne
avesse dodici.” Sembrava così furiosa con suo fratello. Sembrava
aver bisogno di sputare tutta la sua rabbia nei suoi confronti. “Mia
madre non ha il polso necessario per gestire un teppista simile. E
Phil va a periodi.”
“Phil?”
“Suo padre.” Bill
dovette sembrare confuso perché lei gli schiarì brevemente le idee.
“Stessa madre, padri diversi.” Annuì appena mentre la vedeva
spegnere la seconda sigaretta. Avrebbe voluto chiederle qualcosa su
suo padre, quello bulgaro, ma non lo fece. Non voleva risultare
invadente. “Illuminami.” Riprese a parlare lei. “Come diamine
vai d'accordo con Tom? Dammi qualche dritta, magari sono io che non
so nulla di mio fratello. Magari sono io il problema.”
La quantità di
sarcasmo nella voce si era a dir poco triplicata.
“Non c'è un sistema.
Si va d'accordo e basta. Ci si vuole bene. Si cerca di comprendere.”
“Quindi quando vado a
recuperarlo in commissariato con una bustina di cocaina sulla
scrivania dovrei essere comprensiva e dire al commissario che non ha
capito un cazzo della vita e che tra i ragazzi ci si diverte così.
Fratellanza, insomma, così mi vorrà finalmente bene e smetterà di
trattarmi coma l'ultima merda del pianeta.”
“Non intendevo
quello.” Sospirò appena cercando di trovare le parole adatte. “Il
punto è che io e Tom non abbiamo problemi così seri. Oltre a
tirarci qualche padella addosso durante le discussioni, non dobbiamo
affrontare argomenti così delicati. È ovvio che la complicità sia
indissolubile.”
“E se io cercassi
questa complicità da anni? Dovrei cominciare a drogarmi insieme a
lui? Magari a quel punto sarò degna delle sue attenzioni.”
“Assolutamente no e
lo sai bene.” Si prese qualche attimo di riflessione. Non aveva mai
pensato ad un'eventualità simile. Come si sarebbe comportato se Tom
fosse caduto nel circolo della droga? Tanto più che l'ambiente che
li ospitava ne era pieno zeppo. Sarebbe a dir poco morto dentro.
“Avete mai provato a proporgli di andare in riabilitazione?”
Lei rise per nulla
divertita.
“Allora, partiamo dal
presupposto che Steven è una testa di cazzo. Per natura, se gli dici
di fare una cosa lui fa l'esatto contrario. Non accetta consigli
nemmeno per sbaglio. Frequenta una compagnia a dir poco discutibile
ed è del tutto deviato da loro. E, chicca di tutte le chicche, è
convinto di essere nel giusto.” Più parlava più sembrava che i
suoi occhi si annebbiassero. Probabilmente gli effetti dell'alcol
stavano lentamente prendendo piede nel suo organismo ma Bill non
poteva sapere quando e quanto avesse bevuto. “Come diavolo proponi
ad una persona simile di farsi una gita in riabilitazione?” gli
domandò guardandolo negli occhi, caustica.
Il vocalist si rese
conto che del tutto semplice non poteva essere.
Si strinse nelle spalle
in difficoltà.
“Sai, vorrei poterti
rispondere ma la verità è che nemmeno io saprei come comportarmi.”
ammise del tutto sincero. “Spesso dare un parere esterno è la cosa
più semplice che si possa fare, se dato senza cognizione di causa.
Non ho mai vissuto quello che vivi tu; non so nemmeno lontanamente
cosa voglia dire. Farei solo l'ipocrita a dirti di comportarti in un
modo piuttosto che in un altro.”
Liesel fece una lieve
smorfia.
“Non è facile
interagire con chi ha il cervello inibito dalla cocaina. E si può
dire che l'interazione tra me e Steven sia pura utopia.” Il
silenzio calò per qualche secondo. “Perché cazzo sto dicendo
queste cose a te?” domandò poi lei, come svegliatasi da uno stato
di trans, cosa che portò Bill a ridere sinceramente divertito.
Non avrebbe mai
completamente capito quella strana ragazza.
“Forse perché ti
ispiro fiducia.” provò furbescamente.
Sarebbe riuscito a
farle ammettere di non provare vero astio nei loro confronti.
Liesel sollevò un
sopracciglio scettica.
“O, più facilmente,
è la sbornia.” borbottò ormai con la testa altrove.
L'aveva persa.
***
Suo fratello non
rientrava e lui cominciava a chiedersi dove potesse essersi cacciato.
Quella serata l'aveva
senza ombra di dubbio aiutato ad impossessarsi nuovamente del suo
spirito allegro e spensierato. Il crollo emotivo per Ria era stato un
mettere un punto definitivo su quella storia, un recuperare uno sfogo
non avvenuto al momento giusto. Immediatamente dopo la rottura non
aveva pianto ed ora, a distanza di tempo, aveva come riempito quel
tassello mancante per accantonarlo definitivamente. E ancora una
volta, suo fratello sia era rivelato di vitale importanza.
Si congedò gentilmente
da Shiro, ora affiancato da Shay, e si fece strada fra la folla fino
a ritrovarsi sul marciapiede. Si guardò attorno più volte, in
ansia, alla ricerca di Bill che non pareva nei dintorni.
Dove diavolo si era
cacciato, senza dirgli niente per giunta?
Fece saettare ancora lo
sguardo a destra e a manca fino a che, con suo sollievo, non lo
riconobbe al di là della strada, seduto su un muretto con – si
sorprese – niente meno che Liesel.
Attraversò fino a
raggiungerli.
“Hey.” fece al
biondo che si voltò tranquillo nella sua direzione. Posò poi lo
sguardo sulla mora, ora intenta a studiarlo. “Che fai qui?” le
domandò curioso. Aveva uno sguardo strano, diverso, forse indifeso e
soprattutto – per la prima volta da quando l'aveva conosciuta –
disarmato.
“Mi intrattengo
inspiegabilmente con tuo fratello e cerco di smaltire qualche birra
di troppo.” farfugliò lei.
Tom sollevò un angolo
della bocca, in un piccolo sorriso.
Era sbattuta e sfatta
ma conservava nonostante tutto il suo fascino. Anche lo stile
mascolino le donava. Ne aveva sempre parlato con Bill: Liesel era di
una bellezza fuori dal comune, forse aiutata dalle radici dell'est,
ed in qualunque modo si mostrasse al mondo esterno riusciva sempre a
catturare l'attenzione.
“Da quando ti
intrattieni con uno di noi?” le domandò sinceramente curioso
mentre si accendeva una sigaretta.
“Questo succede
quanto tocchi livelli di disperazione imbarazzanti.” ribatté lei
con sarcasmo, accompagnato questa volta da una stanchezza insolita.
“Questo mi lusinga.”
scherzò Bill.
“Sei qui da sola?”
indagò ancora espirando la prima boccata di fumo.
“Vedi qualcun altro a
parte tuo fratello?”
“Dove hai lasciato
Neal?” continuò stavolta il vocalist.
“Lui ha
lasciato me stasera per stare con un idiota.” Ora capisco, pensò
Tom quasi intenerito da tale ammissione. Che si sentisse sola senza
di lui? Che non riuscisse a costruirsi rapporti che escludessero il
fotografo? Alle volte la vedeva come una bimba; una bimba che doveva
ancora imparare come stare al mondo. “Avremmo dovuto passare la
serata insieme.” borbottò infine. Né Tom né Bill risposero. Ma
il chitarrista immaginava Bill stesse formulando i medesimi pensieri.
Liesel, se indifesa, era capace di intenerire chiunque; ancor di più
perché comunemente chiusa e scontrosa. “Me ne vado a casa.”
annunciò poi proprio lei facendo per alzarsi dal muretto. Una volta
in piedi sbandò appena verso destra e Tom la afferrò delicatamente
per un braccio. “Sto perfettamente in piedi da sola.” obiettò
lei allontanandosi dalla sua presa.
Effettivamente era vero
ma il suo equilibrio sembrava piuttosto precario.
“Non puoi guidare.”
la ammonì Bill, visibilmente preoccupato.
“Chi ha detto che
avrei guidato?” fece lei ormai con le palpebre a mezz'asta.
Probabilmente aveva anche sonno.
“Come avresti
intenzione di tornare a casa?” intervenne Tom, confuso.
“A piedi, no? Non
sono ancora in grado di teletrasportarmi. Neal si è appropriato
della macchina per andare da quell'idiota.”
Il chitarrista si
scambiò un'eloquente occhiata con il cantante, tralasciando quel
particolare 'idiota' a lui del tutto sconosciuto.
“Ti accompagniamo
noi.” parlò quindi Bill per tutti e due. Liesel sollevò un
sopracciglio. “Non ti lasciamo attraversare le strade di Los
Angeles da sola e in queste condizioni.” continuò convinto.
Tom, nonostante il
silenzio, era d'accordo. Non era mai saggio lasciare che una ragazza
si avventurasse di notte e del tutto sola fra le vie della città,
grande o piccola che fosse.
“Non ho bisogno di
balie.” obiettò la mora.
“Sì, beh, ben poco
ti aiuterà a convincermi.” Ribadì Bill. Si voltò poi verso suo
fratello. “Vado a salutare Shiro e Shay.”
“Fallo anche per me.”
Lo osservò
attraversare la strada fino a rientrare nel locale.
“Non dovevate
interrompere la serata per me.” udì all'improvviso la ragazza,
ancora al suo fianco, con tono quasi glaciale seppur rotto dall'alcol
che aveva in circolo.
“Ce ne stavamo per
andare comunque.” rispose voltandosi per guardarla.
Si stringeva fra le
braccia come avesse freddo nonostante l'alta temperatura californiana
ma sapeva che lo stava facendo solamente per una sorta di protezione
da ciò che ancora gli era sconosciuto. Quella ragazza sembrava
terrorizzata dalla vita ed ora che l'aveva indifesa davanti agli
occhi capiva quanto debole in realtà fosse sotto la corazza di
cemento che immaginava avesse costruito in tanti anni.
Sorrise appena
scuotendo la testa e spostò lo sguardo sulla strada.
“Perché ridi
adesso?” domandò lei sospettosa.
“Niente.” mormorò
lui senza abbandonare quell'espressione rilassata. “Sei molto più
trasparente di quello che credi.”
La vide irrigidirsi
immediatamente sul posto, come se quella sua frase l'avesse scalfita
nel profondo.
“Non mi piace essere
psicanalizzata.” ribatté duramente.
Tom la guardò di
nuovo.
“Non ti sto
psicanalizzando.” fece con semplicità.
Liesel non proferì
altro e Tom non insistette perché lo facesse. Quella ragazza aveva
un problema col mondo; forzarla a parlare di sé, a far crollare ogni
protezione in cui si illudeva di stare bene non era giusto ed avrebbe
solamente ottenuto l'effetto contrario. Forse col tempo avrebbe
capito da sola.
Pochi minuti e Bill
fece il suo ritorno, trafelato.
“Ogni volta uscire da
quella dannata folla è impossibile.” borbottò prima di prendere a
camminare lungo il marciapiede, seguito da Tom e Liesel.
Il moro lanciava di
tanto in tanto sguardi alla ragazza, la quale minacciava di
barcollare ogni tre passi, ma mai l'aveva aiutata per non farsi
tranciare una mano. Convinta di poter camminare, avrebbe portato a
termine quell'impresa da sola.
“Mi farai sedere
sulla tua preziosa macchina? Non ti sembra azzardato?” lo
prese in giro all'improvviso ma lui non si fece toccare da tale
provocazione se non lasciandosi andare ad un lieve sorriso.
“Proverai
quest'ebbrezza.” confermò sornione e ridacchiò nell'osservare la
smorfia di disapprovazione prendere posto sulle labbra carnose della
mora.
Non passò molto prima
che si trovassero in strada, sulla sua Range Rover.
Liesel si era rifiutata
di sedere affianco al chitarrista ed aveva preso posto sui sedili
posteriori poggiando la tempia contro il finestrino. Tom l'aveva
controllata attraverso lo specchietto retrovisore fino a che non
dedusse si fosse addormentata.
“Alla fine, è
proprio una bimba.” commentò Bill intenerito subito dopo essersi
voltato per scrutarla dormire profondamente.
Tom non poteva fare a
meno di pensare la medesima cosa. Era così contraddittoria in
qualsiasi cosa facesse; persino la più semplice.
“La dobbiamo
svegliare, non so dove abita.” parlò.
“Credo non sarebbe
utile nemmeno da sveglia.” Detto questo, Bill recuperò il
cellulare dalla tasca dei jeans. “Devo disturbare Neal.” Tom,
seppur contrario, lo lasciò digitare il messaggio. Messaggio che
trovò risposta dopo pochissimi minuti. “È preoccupato per lei.”
riferì il vocalist mentre scorreva le parole sullo schermo che gli
illuminava debolmente il viso. “Ma almeno abbiamo l'indirizzo.”
“Tranquillizzalo.”
gli intimò il chitarrista.
In pochi istanti
raggiunsero l'abitazione di Liesel, una villetta indipendente ed
apparentemente ospitale che dava immediatamente sulla strada. Un
piccolissimo giardino a farle da cornice.
Bill si voltò verso i
sedili posteriori e prese a muoverla lievemente per un braccio.
“Liesel, svegliati,
siamo arrivati.” mormorò. Udirono la ragazza mugugnare appena
prima di aprire con fatica gli occhi. “Siamo arrivati.” ripeté
il biondo con delicatezza. “Ti accompagno dentro.”
“No.” negò subito
lei mentre si raddrizzava lentamente per aprire la portiera. “Ce la
faccio da sola.” aggiunse. Prima di scendere dall'auto si
immobilizzò per un istante fino a che non si voltò verso i gemelli
con viso assonnato e decisamente poco lucido. “Grazie.” soffiò
per poi sparire dalla Range Rover.
Tom era a dir poco
sorpreso. Era la prima volta che udiva una gentilezza simile
fuoriuscire dalle sue labbra e l'espressione quasi basita di suo
fratello gli suggerì che non era l'unica vittima di quella spontanea
reazione. Non mise in moto la macchina fino a che non si assicurò
che Liesel – dopo numerosi tentativi per aprire la porta di casa –
fosse solo un ricordo al di là del legno.
“Ho la sensazione che
non ci dimenticheremo di questa serata.” furono le ultime parole di
Bill prima di allontanarsi da quella via.
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