CAPITOLO
10
“Epilogo”
Aria fresca. Dopo così tanto
tempo tornava a respirarla. Aperti leggermente gli occhi, Sara vide l’azzurro
del cielo. Temendo di essere vittima di un nuovo incubo, tirò su rapidamente il
busto, provocandosi delle leggere vertigini al capo.
“Oddio la mia testa” si lamentava
la giovane, tenendosi il viso tra le dita.
Muovendo appena la gamba destra,
andò ad urtare contro qualcosa di leggero. Subita rivolta l’attenzione su essa,
un sorriso spuntò sulla bocca della ragazza.
“Natalino!” lo chiamò,
afferrandolo saldamente tra le sue mani “Ce l’abbiamo fatta, amore mio!”
concluse il tutto con un sonoro bacio sul suo musetto peloso.
Felice più che mai, si mise a
controllare l’enorme spiazzo in cui aveva finalmente fatto ritorno. Subito notò
la sua Mini, parcheggiata esattamente dove l’aveva lasciata un tempo indefinito
fa, e dove era collocata anche nel modellino vivente della città.
Con ancora un po’ di fatica, si
rimise in piedi, portandosi dietro con sé il suo adorato peluche.
“Sono davvero fuori!” esclamò
ancora incredula, finché il suo sguardo si rabbuiò.
Infatti, alla sua sinistra,
svettava la minacciosa sagoma del fabbricato. Silvestri sembrò vederlo per la
prima volta. Buio, sporco e, apparentemente, così inospitale.
Inconsciamente, una lacrima scese
dall’occhio destro di lei “Che strano. Ora che ne sono uscita, inizio a sentire
la mancanza di tutta quella gente”.
“Stai tranquilla bionda, è
naturale che sia così”.
All’udire una nuova voce, la
ragazza spalancò gli occhi, nel girarsi di colpo.
Vicino a lei vi era un essere
umano. Il suo corpo, come anche i suoi vestiti, erano in un alto stato di
decomposizione.
Tutto l’ossigeno nuovo che aveva
inalato nei polmoni fu espulso in uno dei più potenti gridi che lei avesse mai
fatto in vita sua. Come una lepre in fuga, Sara scattò verso la sua automobile,
facendo librare in aria dietro di sé il suo pupazzo, tenuto ancora ben stretto
con una mano. Arrivata alla sua meta, si mise nervosamente a tirare la maniglia,
inutilmente. Proseguendo freneticamente a dare veloci occhiate verso il cadavere
ambulante, si mise a tastare da fuori le tasche dei suoi jeans, alla disperata
ricerca delle chiavi dell’auto.
“Forse cerchi queste?”.
Pietrificata da quelle ultime
parole, la bionda indirizzò nuovamente il suo viso in direzione del morto
vivente. Tra le sue dite cadaveriche era presente proprio il mazzo con la chiave
ricercata.
“C-Come fai ad avercele te?” gli
chiese infuriata la ragazza.
“Perché te le ho prese
prima”.
“C-Chi sei tu?”.
“Ha davvero importanza il mio
nome?”.
“Allora ridammele!
Sbrigati!”.
“Ok, aspetta che te le porto”
appena terminato di parlare, il non morto iniziò una marcia claudicante.
“No no no no no, rimani fermo lì
dove sei!”gli ordinò l’essere vivente che, se proprio c’era una cosa che non
sopportava, erano gli zombi.
La creatura gli obbedì “Ma allora
come faccio a darti le chiavi, se devo stare fermo qui?”.
La giovane era sempre più
titubante “A-Aspetta che v-vengo io da te”.
Detto ciò, però, lei non si mosse
minimamente.
“Quanto devo aspettare ancora?”
domandò l’altro, apparentemente seccato.
“Un attimo! Cazzo!” gli urlò
contro l’umana.
Ma, ancora per parecchi minuti,
entrambi rimasero completamente immobili. Nell’attesa, era già passata una
decina di minuti.
“Allora? Ti decidi o no?” la
spronò finalmente il mostro.
Sara questa volta non replicò.
Con tanta forza di volontà, eseguì un primo passo incerto.
“Meno male” sospirò la
creatura.
Passato ancora qualche minuto,
Silvestri mise il piede sinistro, che era rimasto indietro, davanti a
quell’altro. Ogni secondo che passava, come se fosse stata in discesa, i piedi
iniziarono a muoversi con maggior rapidità, sempre più sicuri.
Cercando di fissare la sua nuova
conoscenza il meno possibile, Sara si fermò infine ad una decina di metri da
esso.
“Ed ora che facciamo?” chiese
lui, di nuovo impaziente.
“Dunque…” l’umana cercava di
guadagnare qualche secondo ancora, poi arrivò l’idea “Facciamo così! Getta le
chiavi davanti a te”.
Il morto vivente, sorpreso, piegò
il capo da un lato, facendo scricchiolare rumorosamente il collo
rinsecchito.
“Sei sicura?”.
“Assolutamente sì”.
“Beh, come vuoi” lui si decise ad
obbedirle.
Inaspettatamente, nell’atto del
lancio, a staccarsi dallo zombi fu l’intero arto, che volò poco più avanti del
suo proprietario.
Sara, inizialmente rimasta a
bocca aperta, cercò poi di strozzare una risata divertita da tutta quell’assurda
e macabra scena.
“Oh merda!” imprecò la creatura,
mentre si apprestava a riprendere quanto perso.
“No no aspetta fermo!” lo bloccò
l’umana.
“Cosa c’è ora?”.
“L-Lascia. Faccio io” lo informò,
temendo ancora di essere vittima di una risata.
Per fortuna della giovane,
urtando il terreno, la presa delle dita sul mazzo era venuta meno, portando
l’oggetto a ricadere più avanti del braccio staccato. A passi brevi ma rapidi,
nel giro di un attimo, la ragazza raggiunse il suo obiettivo.
Con altrettanta velocità, fletté
le gambe e raccolse con un affondo della mano, come una beccata di gallina, le
chiavi al suolo. Tornata subito in posizione eretta, squadrò minacciosa il
cadavere ambulante.
Quest’ultimo, a quanto pare
divertito, le mostrò un sorriso marcio e sdentato, provocandole un senso di
rigetto immediato.
“Contenta ora?”.
“D-Direi di sì” gli rispose a
muso duro “Immagino che tu faccia parte di tutto il pacchetto…”.
“Diciamo che sono una specie di
guardiano del posto…”.
“Tu saresti il guardiano? E
allora perché non mi hai fermato quando mi hai visto arrivare?”.
“Beh diciamo che ti vedevo
particolarmente motivata. Quindi ero certo che saresti stata in grado di
uscirne”.
“Ah davvero! Ma lo sai cosa ho
dovuto affrontare entrando lì dentro?!”.
“Certo che lo so, cosa
credi?”.
Sara rimase sorpresa da quella
nuova risposta.
“Li ho visti arrivare tutti, uno
dopo l’altro. Orchi, fate, streghe, folletti e gnomi. Ed altre cose varie ed
eventuali”.
“Allora eri qui fin
dall’inizio?”.
“Non saprei. Penso sia stata la
magia di questo posto che mi abbia portato qui, riportandomi in vita”.
“Ma allora da quanto esiste
questo posto?”.
“Chi può dirlo. Non usiamo
calendari qui”.
“Io sapevo che prima era una
sartoria, o almeno così mi ha detto Leroy…”.
“Può darsi! Ma ora è soltanto un
rifugio per creature infelici”.
“E te ne saresti il
guardiano?”.
Lo zombi fece spallette, facendo
rumoreggiare ancora le sue vecchie ossa.
La bionda, ormai a suo agio,
fissava l’essere in maniera davvero seria.
“Credo che ora me ne andrò”.
“Come preferisci” le rispose
brevemente il cadavere.
Passato ancora qualche attimo,
Sara abbassò lo sguardo e fece dietrofront. Con passo sicuro, raggiunse la
portiera della macchina. Appena infilate le chiavi nella serratura, tornò a
guardarsi dietro le spalle. Il non morto era ancora lì, che la scrutava
tristemente. Dopo passò il suo sguardo verso il fabbricato, per l’ultima
volta.
Appena seduta la posto guida, si
sentì richiamare.
“Non dimenticarti di noi, Sara”
la salutò il morto.
La ragazza rispose con un lieve
sorriso, mentre nel contempo metteva in moto l’auto. Una breve manovra in
retromarcia e, messa la prima, ripartì verso l’umanità.
Con un rapido movimento degli
occhi, fissò per qualche secondo lo specchietto retrovisore. Il suo lunotto
posteriore sembrava la cornice di un quadro con, al suo interno, quell’assurdo
ambiente che si era rivelato essere il fabbricato.
Immessasi nella strada
principale, solo un lungo dirizzone la divideva dalla sua adorata
abitazione.
D’un tratto si accorse che, più
proseguiva con il suo veicolo, più davanti a lei si presentava un minaccioso
banco di nebbia. Nel giro di pochi secondi, tutto attorno a lei era diventato
etereo.
Era davvero tutto finito?
FINE
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