Il
dolore muto
sussurra
al cuore
un
peso che lo rompe.
Quel
giorno Musa
finalmente decise di parlare con il padre.
Era
mattina presto, ma
lei si diresse dritta verso la sua vecchia casa senza fermarsi.
Suonò
il campanello,
ma nessuno rispose.
Aspettò
qualche
minuto, poi suonò di nuovo, più volte.
Poi
decise di entrare
da sola, con le chiavi che le aveva lasciato il padre, aprendo la
porta senza fatica ed entrando nel piccolo ingresso.
Ciò
che la stupì di
più di quella casa fu il perfetto ordine che in quei tre
anni
quell'uomo era riuscito a mantenere, a quanto ne sapeva, da solo.
Intravide
la cucina
pulita e ordinata, la piccola scala senza un granello di polvere.
Poi
salì nella sua
stanza, ritrovandola esattamente come allora.
C'erano
persino le sue
scarpe rosse ancora nuove, nascoste sotto il piccolo letto.
Le
aveva comprate tempo
prima con i soldi che il padre le aveva dato per la spesa: si
arrabbiò molto quando tornò a casa dicendogli che
li aveva persi,
sapendo che non avrebbe mai accettato il suo gesto.
Era
l'unico segreto che
c'era sempre stato tra loro.
Eppure
lui sembrava non
essersene accorto, perché erano ancora lì, nel
posto in cui le
aveva lasciate prima di partire per la scuola di Alfea.
Avrebbe
voluto portarle
con sé, ma suo padre l'aiutò a fare la valigia e
non ebbe occasione
di prenderle.
Col
tempo, durante il
suo soggiorno nella scuola, le aveva dimenticate.
Ma
adesso che le
rivedeva, capì che erano molto importanti per lei.
In
qualche modo le
ricordavano sua madre.
Non
sapeva perché, ma
quelle scarpe avevano qualcosa di suo, qualcosa che le faceva pensare
che lei, in questo modo, le sarebbe stata sempre accanto.
Tornò
in cucina,
osservando la perfezione dei pensili e delle stoviglie ordinate sullo
sgocciolatoio.
Il
suo stomaco vuoto le
ricordò che non aveva fatto colazione quella mattina,
così aprì il
frigo e prese della frutta, mangiandola senza tagliarla, pensando
alla monotonia che, da quando Riven
l'aveva lasciata, stava costellando la sua vita.
~
Quando
suo padre
rientrò a casa la trovò addormentata sul divano,
abbracciata
all'unico grande e morbido cuscino nero. Così prese una
coperta e
gliela mise sopra dolcemente.
Poi
la lasciò sola.
Quando
Musa si
svegliò lui era lì ad osservarla, mangiando una
piccola fetta di
carne seduto al tavolo.
Lei
lo guardò
smarrita, realizzando poi che, in sua attesa, si era addormentata.
Intuì
che doveva
essere sera.
Per
la prima volta dopo
tanto tempo, aveva avuto un sonno piuttosto sereno rispetto alle
altre volte.
Erano
settimane che non
sognava più nulla, e questa volta non era stato diverso, ma
in
qualche modo era stato più sereno.
“Ma
dove sei stato?”,
sussurrò la fata con voce assonnata, mettendosi a sedere.
“Sono
andato a
trovare tua madre”, sussurrò l'uomo.
Musa
abbassò lo
sguardo, lasciando cadere nel vuoto il discorso appena iniziato.
“Mi
dispiace”,
mormorò dopo qualche minuto di silenzio.
Poi
lo guardò negli
occhi, e lo trovò a fissarla.
Stettero
così qualche
secondo, poi il padre parlò.
”So
tutto”
Musa
abbassò di
nuovo lo sguardo.
Si
ritrovò con gli
occhi lucidi nel giro di qualche secondo, senza saperne nemmeno il
motivo.
Non
era triste, non era
malinconia quella che provava.
Ma
gli occhi le si
riempirono di lacrime, e il padre sembrò accorgersene.
“Non
era questo il
mio obiettivo”, aggiunse l'uomo.
Il
suo tono di voce
sembrava dispiaciuto.
Ma Musa
non la
prese come lui credette.
Si
alzò in piedi in un
moto di rabbia, gli occhi furiosi anche se lucidissimi.
“Non
è vero”,
sibilò.
“Era
proprio questo
il tuo obiettivo. Era questo che volevi!”
Il
suo tono cominciò
ad alzarsi.
“Smettila
papà! Non
fare finta di dispiacerti! Non raccontarmi bugie!”,
gridò.
“Tu
non l'hai mai
accettato...sai cosa significa questo per me? Perché non
capisci che
lo amo? Perché non lo capisci?”
Poi Musa
si
accasciò a terra, travolta da un pianto improvviso, fatto di
malinconia, tristezza, nostalgia.
Emozioni
che lei
credeva, nel tempo, di aver eliminato, ma che erano sempre rimaste
nel fondo del suo cuore.
Il
padre le si avvicinò
lentamente, inginocchiandosi come lei sul pavimento.
“Passiamo
tutta la
vita ad illuderci di aver fatto la scelta giusta, quella possibile,
per poi scoprire che non è così quando
è troppo tardi”, sussurrò
la fata tra le lacrime.
“Tu
sapevi che mamma
era malata e l'hai sposata lo stesso”, aggiunse.
“E
adesso guardati!
Sei solo! Non hai nessuno, e stai perdendo anche tua
figlia!”, gli
gridò in faccia.
Uno
schiaffo violento
la colpì in pieno viso, aumentando il suo pianto di
intensità.
“Mi
manca tanto,
papà”, sussurrò.
“Mi
manchi tanto”
“Ti
prego, aiutami a
lasciarlo andare”
Poi
il padre
l'abbracciò, piangendo insieme a lei, per quelle che
sembrarono ore.
E
rimasero così, nella
speranza che il tempo avrebbe guarito le ferite.
Ma i
giorni passarono,
le settimane, ma entrambi si accorsero che il tempo non
guarì
proprio nulla.
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