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Autore: Sabriel Schermann    13/06/2014    4 recensioni
“A volte, guardando il cielo infinito, provo un enorme senso di tristezza.
Il mio passato pesa sulle mie spalle più di quanto pensassi.
Ogni volta che ripenso a lui, mi sento così debole e fragile. Un senso di vuoto e malinconia mi avvolge, e non riesco più a liberarmene.
Mi sento così stupida. Adesso che è tutto finito, non c'è più nessuno su cui io possa contare.
Sono sola come una foglia nel vento d'estate".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Musa, Nuovo personaggio, Riven
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il dolore muto

sussurra al cuore

un peso che lo rompe.



Quel giorno Musa finalmente decise di parlare con il padre.

Era mattina presto, ma lei si diresse dritta verso la sua vecchia casa senza fermarsi.

Suonò il campanello, ma nessuno rispose.

Aspettò qualche minuto, poi suonò di nuovo, più volte.

Poi decise di entrare da sola, con le chiavi che le aveva lasciato il padre, aprendo la porta senza fatica ed entrando nel piccolo ingresso.

Ciò che la stupì di più di quella casa fu il perfetto ordine che in quei tre anni quell'uomo era riuscito a mantenere, a quanto ne sapeva, da solo.

Intravide la cucina pulita e ordinata, la piccola scala senza un granello di polvere.

Poi salì nella sua stanza, ritrovandola esattamente come allora.

C'erano persino le sue scarpe rosse ancora nuove, nascoste sotto il piccolo letto.

Le aveva comprate tempo prima con i soldi che il padre le aveva dato per la spesa: si arrabbiò molto quando tornò a casa dicendogli che li aveva persi, sapendo che non avrebbe mai accettato il suo gesto.

Era l'unico segreto che c'era sempre stato tra loro.

Eppure lui sembrava non essersene accorto, perché erano ancora lì, nel posto in cui le aveva lasciate prima di partire per la scuola di Alfea.

Avrebbe voluto portarle con sé, ma suo padre l'aiutò a fare la valigia e non ebbe occasione di prenderle.

Col tempo, durante il suo soggiorno nella scuola, le aveva dimenticate.

Ma adesso che le rivedeva, capì che erano molto importanti per lei.

In qualche modo le ricordavano sua madre.

Non sapeva perché, ma quelle scarpe avevano qualcosa di suo, qualcosa che le faceva pensare che lei, in questo modo, le sarebbe stata sempre accanto.

Tornò in cucina, osservando la perfezione dei pensili e delle stoviglie ordinate sullo sgocciolatoio.

Il suo stomaco vuoto le ricordò che non aveva fatto colazione quella mattina, così aprì il frigo e prese della frutta, mangiandola senza tagliarla, pensando alla monotonia che, da quando Riven l'aveva lasciata, stava costellando la sua vita.


~


Quando suo padre rientrò a casa la trovò addormentata sul divano, abbracciata all'unico grande e morbido cuscino nero. Così prese una coperta e gliela mise sopra dolcemente.

Poi la lasciò sola.

Quando Musa si svegliò lui era lì ad osservarla, mangiando una piccola fetta di carne seduto al tavolo.

Lei lo guardò smarrita, realizzando poi che, in sua attesa, si era addormentata.

Intuì che doveva essere sera.

Per la prima volta dopo tanto tempo, aveva avuto un sonno piuttosto sereno rispetto alle altre volte.

Erano settimane che non sognava più nulla, e questa volta non era stato diverso, ma in qualche modo era stato più sereno.

“Ma dove sei stato?”, sussurrò la fata con voce assonnata, mettendosi a sedere.

“Sono andato a trovare tua madre”, sussurrò l'uomo.

Musa abbassò lo sguardo, lasciando cadere nel vuoto il discorso appena iniziato.

“Mi dispiace”, mormorò dopo qualche minuto di silenzio.

Poi lo guardò negli occhi, e lo trovò a fissarla.

Stettero così qualche secondo, poi il padre parlò.

”So tutto”

Musa abbassò di nuovo lo sguardo.

Si ritrovò con gli occhi lucidi nel giro di qualche secondo, senza saperne nemmeno il motivo.

Non era triste, non era malinconia quella che provava.

Ma gli occhi le si riempirono di lacrime, e il padre sembrò accorgersene.

“Non era questo il mio obiettivo”, aggiunse l'uomo.

Il suo tono di voce sembrava dispiaciuto.

Ma Musa non la prese come lui credette.

Si alzò in piedi in un moto di rabbia, gli occhi furiosi anche se lucidissimi.

“Non è vero”, sibilò.

“Era proprio questo il tuo obiettivo. Era questo che volevi!”

Il suo tono cominciò ad alzarsi.

“Smettila papà! Non fare finta di dispiacerti! Non raccontarmi bugie!”, gridò.

“Tu non l'hai mai accettato...sai cosa significa questo per me? Perché non capisci che lo amo? Perché non lo capisci?”

Poi Musa si accasciò a terra, travolta da un pianto improvviso, fatto di malinconia, tristezza, nostalgia.

Emozioni che lei credeva, nel tempo, di aver eliminato, ma che erano sempre rimaste nel fondo del suo cuore.

Il padre le si avvicinò lentamente, inginocchiandosi come lei sul pavimento.

“Passiamo tutta la vita ad illuderci di aver fatto la scelta giusta, quella possibile, per poi scoprire che non è così quando è troppo tardi”, sussurrò la fata tra le lacrime.

“Tu sapevi che mamma era malata e l'hai sposata lo stesso”, aggiunse.

“E adesso guardati! Sei solo! Non hai nessuno, e stai perdendo anche tua figlia!”, gli gridò in faccia.

Uno schiaffo violento la colpì in pieno viso, aumentando il suo pianto di intensità.

“Mi manca tanto, papà”, sussurrò.

“Mi manchi tanto”

“Ti prego, aiutami a lasciarlo andare”

Poi il padre l'abbracciò, piangendo insieme a lei, per quelle che sembrarono ore.

E rimasero così, nella speranza che il tempo avrebbe guarito le ferite.

Ma i giorni passarono, le settimane, ma entrambi si accorsero che il tempo non guarì proprio nulla.

   
 
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