explosion11
Ebbene sì, sono tropo buona. Eccovi il finale di Explosion.
EXPLOSION
-Capitolo 11-
Epilogo.
-Kate? Kate, mi senti? Sei ancora in linea?- L’agente sobbalzò. Si era scordata di avere ancora il telefono acceso.
-Sì, Abby, ti sento.-
-Gibbs e la squadra speciale stanno entrando. Saranno lì tra pochi istanti.- Kate sbiancò.
-Abby, la Rudolph ha attivato la bomba! Anzi, le bombe! Esploderanno,
ma non sappiamo ancora dove siano! Potrebbero essere da qualunque
parte!- Un momento di silenzio.
-Merda.-
-Sono d‘accordo con te.- Esclamò l‘agente Todd.
-Kate, questa volta non è come le altre, questa è la
bomba regina, è cinquanta volte più potente
dell’ultima … Potrebbe distruggere l‘intero
edificio!- La voce della dark era disperata.
-Merda! Abby, avverti la squadra speciale, non devono … Oh, al
diavolo!- Il display lampeggiò, per poi spegnersi. Batteria
scarica.
-Kate!- L’agente si girò verso il collega, che la fissava
con uno sguardo a metà tra la presa in giro ed il rimprovero.
-Cosa c’è adesso, Tony?!- Con un sorrisetto l’uomo le indicò Cassidy.
-Ti ricordo che qua c’è una bambina …- La prese in
giro. -… Non vorrai darle il cattivo esempio proprio tu
…- Kate si battè una mano sulla fronte. Ma gli pareva
questo il momento? Avrebbe voluto tirargli il cellulare in faccia,
tanto era inutilizzabile. Ma non aveva tutti i torti. Così
lasciò cadere l’argomento e si maledisse in tutte le
lingue che conosceva, ma mentalmente. Da quando era iniziato il caso
non aveva più pensato di mettere il telefono a caricare. Ed
ovviamente la batteria si era scaricata. Curioso come ci siano solo due
momenti in cui un cellulare si scarica. Quando si è in ritardo
agli appuntamenti, e quando si rischia di morire. Cercò lo
sguardo del collega. Ora erano davvero nei casini. Tony lasciò
andare Amanda. Avrebbe voluto prenderla a pugni, infischiandosene della
galanteria. Ma adesso non c’era davvero tempo. La squadra
speciale era già entrata nell‘edificio, mentre da qualche
parte c’era una bomba pronta ad esplodere, e loro erano
impossibilitati ad avvertirli. Se la bomba fosse esplosa, nessuno
avrebbe avuto scampo. Alla fine Amanda voleva davvero colpire degli
agenti. Forse aveva previsto l‘arrivo della squadra speciale.
Kate prese in braccio Cassidy, e fece per uscire dalla stanza. Tony la
seguì subito, prendendo Amanda per un braccio, oramai ritenuta
inoffensiva. Non fecero che pochi passi, quando un’esplosione
investì il corridoio. Tony fece appena in tempo a tirare
all’interno Kate e la piccola. Con orrore vide l’onda
d’urto fuori dalla porta, seguita da una lingua di fuoco. Cassidy
gridò, terrorizzata. Pezzi di macerie svolazzavano
nell’ambiente, completamente saturo di fumo e polveri.
L’agente strinse più forte a sé la collega e la
bambina, nel tentativo di proteggerle. Tra colpi di tosse ed i
singhiozzi spaventati di Cassidy, i due agenti cercarono di rimettersi
in piedi. La prima bomba era esplosa. Tony fece per voltarsi a vedere
in che condizioni fosse la Rudolph, ma questa era sparita.
-Maledizione! porc ...*****!!!- Imprecò l’uomo, vedendo la
corda tranciata. Si era scordato che Amanda aveva con sé il
coltello di Kate.
-Tony!- Lo riprese questa, con occhi furenti, ma velati da un sottile velo di vendetta.
-Cosa, Kate!- La mora le indicò con gli occhi la bambina che
teneva in braccio. Il suo sguardo era eloquente: “modera il
linguaggio davanti a lei“. Accidenti alla sua linguaccia. -Ah
… Sì … Piccola non stare mai a ripetere quello che
dicono i poliziotti!- La bimba lo fissò confusa tra le lacrime.
Kate sorrise soddisfatta. Aveva avuto la sua piccola ripicca. Poi si
arrischiò a guardare i danni dell’esplosione. Abby aveva
ragione. Era molto più potente delle altre con cui avevano avuto
a che fare. E pensare che si trattava solo della prima bomba. Non
voleva sapere come sarebbe stata la prossima. E chissà quando
sarebbe esplosa. Forse il meccanismo era già scattato. Forse il
detonatore stava già contando i secondi. Dovevano uscire. Ma
anche trovare la squadra speciale in tempo. E forse non ce
l’avrebbero fatta. Kate fissò Tony, preoccupata. Gli occhi
verdi dell’uomo scintillavano di determinazione. Avrebbe trovato
la bomba, e l‘avrebbe disattivata. A qualunque costo. La mora
aveva visto troppe volte quello sguardo, per non riconoscerlo.
-Kate. Porta via la bambina. Io vado a cercare la bomba.-
-Cosa? Ma è una pazzia!- Cercò di ribattere
l’agente, ma lo sguardo del collega gli fece morire le proteste
in gola. Non ammetteva repliche. Quello che aveva dato era un ordine.
Kate abbassò lo sguardo. Si sentiva intimorita. Maledizione!
Intimorita da Tony! Si faceva venir da ridere da sola! Ma in quel
momento non era Tony a fissarla così. Era l’agente
speciale Dinozzo. Fino ad allora solo Gibbs era riuscito a farle
quell’effetto. Così alla fine cedette, ripromettendosi di
dire due paroline al suo capo. Aveva insegnato troppo bene al suo
agente. E lei non aveva intenzione di lavorare con due Gibbs nello
stesso ufficio. Uno bastava e avanzava.
-D’accordo. Ma stai attento.- Il solito sorriso alla Tony echeggiò sulle labbra dell’uomo.
-Non lo sono sempre?-
-Preferisco non risponderti …- Sibilò Kate. Poi Tony fece
l’ultima cosa che ci si sarebbe aspettato facesse. Le si
avvicinò e le prese delicatamente il viso tra le mani. Kate
avvampò. Il cuore le batteva furioso nel petto, mentre non
riusciva a scollare gli occhi da quelli smeraldini di Tony. Ma era
davvero Tony? Tony-l’idiota,
Tony-il-suo-collega-che-faceva-il-cretino-in-ogni-occasione? No, non in
quel momento. Adesso era solo l’uomo che vi si nascondeva dietro.
Quello che solo in alcune rare occasioni lasciava intravedere.
Come la sera precedente, il viso di Tony si avvicinò al suo. A
mano a mano che la distanza diminuiva, il cuore di Kate galoppava
sempre più veloce. La mente era solo un confuso insieme di
domande ed emozioni da troppo tempo inascoltate. Poteva sentire il
calore del suo volto sul suo. Le labbra a pochi millimetri dalle sue.
Ma stavolta non vi fu alcuna interruzione. Tony la baciò. Un
bacio ricco di una dolcezza che Kate pensava fosse impossibile che si
annidasse dentro a quell’uomo che era il suo collega, il suo
amico, il suo incubo peggiore, il suo sogno segreto, ed adesso sentiva
essere tutto ciò e qualcosa di più. Solo qualcosa? Da
come stava rispondevano al bacio senza ascoltare minimante la testa
… Al diavolo, era molto di più! Quando Tony interruppe il
bacio, Kate sentì come se avesse perso il sostegno che la teneva
in piedi. Traballò leggermente, mentre riprendeva fiato. Si
ritrovò a boccheggiare. In tutto era durato solo una manciata di
secondi. Ma le era parso che durasse una vita. Forse perché era
esattamente il tempo che lo aveva atteso. La mente ricominciò a
funzionare.
-Adesso vai.- La voce di Tony era roca, ma rassicurante. La mora
annuì, stringendo più forte Cassidy, che li guardava
curiosa. La paura al momento lasciata in disparte. Un sorriso birichino
le illuminò il visino. I due agenti si guardarono negli occhi
ancora una volta. Poi Kate si voltò e si immerse nel corridoio
semidistrutto. Tony la guardò andare via, poi si mise a correre
nella direzione opposta, dove aveva avuto luogo la prima esplosione.
-----
-Stiamo entrando.- Le parole che davano il via alle operazioni.
Stavolta non ci sarebbero stati ulteriori ritardi. La squadra speciale
sarebbe entrata, ed avrebbe fatto il suo lavoro. Come d’accordo,
l’agente speciale Gibbs era in prima fila. Pistola in mano,
sguardo glaciale. Non aveva notizie dei suoi agenti da troppo tempo,
per i suoi gusti. Ma se erano nei guai, li avrebbe tirati fuori. Un
cenno del caposquadra. Avevano già ispezionato il grande salone
d’entrata, quando avvenne la prima esplosione. Atterriti, gli
uomini si aggrapparono alle colonne. Dall’area più
periferica del grande cantiere, più precisamente dai
sotterranei, si irradiava una coltre di fumo e polveri. Che diavolo
stava succedendo? Gibbs lo aveva già capito. Erano arrivati
tardi, maledizione! Di lì a poco ce ne sarebbe stata
un’altra, di esplosione, ma ben più forte. Sperava
ardentemente che Tony e Kate stessero bene, e con loro la bambina. Una
mano sulla spalla lo richiamò. Era il capo della squadra
speciale.
-È pericoloso! Dobbiamo uscire!-
-No, non senza i miei agenti!- Ribatté Jethro, testardo.
-La prossima bomba esploderà di qui a poco!- Celiò,
paziente l’uomo. -Non posso mettere in pericolo i miei uomini!-
-Ed io devo salvare i miei!- I due si fissarono a lungo negli occhi.
-D’accordo. Verrò io con lei.- Cedette alla fine il caposquadra. -Mark!- Un giovane con il casco si voltò.
-Comandi!-
-Porta fuori i ragazzi! Io e l’agente Gibbs continuiamo. Se non torniamo, non cercateci.-
-Ma capo …- Un’occhiataccia del superiore zittì
ogni protesta. -D’accordo, capo.- Mentre il giovane Mark si
allontanava coi suoi compagni, Gibbs e l’agente si inoltrarono
del corridoio, invaso dall’odore acre del fumo.
-----
Tony percorreva il corridoio semi buio a grandi falcate, guidato dalla
scia di fumo che la bomba esplosa emanava ancora. Non gli volle molto
per trovare il luogo dove era avvenuta la detonazione. Una stanza poco
distante da quella in cui erano stati imprigionati lui e Kate.
Avanzando tra le macerie, cercò i fili che, presumibilmente,
sarebbero dovuti essere collegati al secondo ordigno. Dovette spostare
tre assi cadute a causa dello spostamento d’aria, prima di
trovarli. Muovendosi a fatica in quel campo di battaglia, raggiunse una
porta, parzialmente nascosta da un serie di detriti. Smuovendo una
nuvola di polvere, Tony riuscì a farsi largo, e ad entrare.
Mezzo accecato dalla polvere che gli faceva lacrimare gli occhi, non si
rese subito conto del mostro che aveva davanti. Ma quando lo vide, la
sua esclamazione riassunse perfettamente la situazione.
-Oh, cazzo!- I fili della prima bomba si andavano a collegare ad una
scatola nera sottile, ma molto ampia, su cui troneggiava un display a
numeri rossi. Decine e decine di cavetti si diramavano dalla scatola
nera, per collegarsi ai numerosi barili che riempivano l’ampia
stanza. Ognuno era pieno di materiale esplosivo, che non aspettava
altro che di essere mescolato con la sua controparte, per esplodere.
-Questo sì che è un bel casino …-
-----
Kate si perse un paio di volte, prima di imboccare il corridoio giusto,
quello in cui era stata sorpresa dalla Rudolph. Era nel panico
più totale, e non solo per sé e la piccola che aveva tra
le braccia. Tony non era con lei, e non le piaceva per niente. Le
pareva di essere entrata nel corridoio colonnato da un sacco di tempo,
eppure continuava a non vederne la fine. Accidenti! Non le era sembrato
così lungo, all’andata! Rischiò più volte
d’inciampare su casse ed oggetti abbandonati in mezzo ai piedi, e
solo la presenza di Cassidy le impedì d’imprecare a voce
alta, limitandosi a farlo mentalmente. Le gambe cominciavano a dolerle
per il peso che portava, quando la luce di una torcia la colpì
in pieno volto.
-Todd! Dinozzo!- Il cuore di Kate ebbe un tuffo di felicità.
Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque. Seccata nonostante la
preoccupazione.
-Gibbs!- In pochi attimi il volto di Gibbs le danzò davanti al
volto, accanto a quello di un uomo della squadra speciale. Dopo
un’occhiata indagatrice, Gibbs prese in braccio la bimba, che,
istintivamente, cinse il collo dell’agente con le sue braccine.
Kate sospirò, felice di essersi sgravata dal peso di Cassidy.
-Dov’è Dinozzo?!- La domanda fatidica. Kate non sapeva
come rispondere. Ma sapeva che era inutile fere tanti giri di parole
con Gibbs.
-È andato a prendere la Rudolph … E a cercare la bomba.-
Uno scintillio di preoccupazione attraversò gli occhi chiari
dell’uomo, ma non profuse parola. La mora si stava già
pentendo di ciò che aveva detto, quando la voce calda
dell’ex marine la acquietò.
-Adesso usciamo. Tony sa quello che fa.- Ripresero a correre. Pochi
minuti dopo, li salutò il sole dell’uscita. Prima di
sentire nuovamente il calore dei raggi, Kate si guardò ancora
una volta indietro. Sapeva che era inutile, che era una speranza vana.
Tony non poteva essere già di ritorno. Ma non aveva potuto farne
a meno. La mano sulla spalla di Gibbs la riscosse. Con un groppo allo
stomaco, uscì dallo stadio. L’aria fresca e il sole le
tolsero il fiato per il piacere.
“Ed uscimmo a riveder le stelle …”
-----
-Ok. Allora, non sarà così difficile …
Disinnescare una bomba … Nei film ci riescono sempre dei tipi
che non se ne capiscono nulla …- Continuava a ripetersi tra
sé l’agente Dinozzo, in un disperato tentativo di farsi
coraggio. Aveva spostato il coperchio della scatola, stando ben attento
a non muovere troppo i fili sopra di essa. Ma all’interno vi era
lo stesso dedalo di cavi al contrario. Sospirò, demoralizzato e
disperato. Di sicuro si era già trovato in situazioni poco
felici, ma al momento non ne ricordava di peggiori di quella.
Lanciò un’occhiata al timer. I numeri rossi segnavano che
aveva ancora circa una decina di minuti. Si asciugò il sudore
che gli colava dalla fronte. Il tempo era poco. Troppo poco. Ma non
poteva arrendersi. Prese in mano il suo coltello e cominciò ad
esaminare i cavi. Ma quanti diavolo erano?! Si passò la lingua
sulle labbra secche. Ci avrebbe messo ore. Peccato che avesse meno di
dieci minuti, come lo informava lo schermetto del timer. Chiuse gli
occhi e cercò di ricordare le nozioni principali sugli ordigni
esplosivi seguiti all’accademia di polizia.
-Fossero almeno colorati!!!- Piagnucolò tornando a guardare i
fili bianchi. Nella sua mente cominciava a vederli come una nidiata di
serpentelli albini. Lanciò un’occhiata al display. Ancora
cinque minuti. Accidenti come passa il tempo, quando ti occorre! Ed
allora arrivò il lampo di genio. Solo uno dei cavi che si
collegavano al timer mandava l‘impulso di detonazione. Ed aveva
notato che uno era più grande degli altri. Pregò che la
sua intuizione fosse esatta. Affiancò la lama del coltello al
cavo. Un ultimo sospiro. E recise il filo.
Si aspettava il botto. Ma non arrivò. Solo dopo qualche secondo
si decise ad aprire gli occhi. I numerini rossi del timer erano fissi.
Esalò un sospiro che non si era accorto di trattenere. Le gambe
gli stavano tremando. Con una risatina isterica si accasciò
contro il muro.
-Sono … Sono vivo. Sono vivo! C’E L’HO FATTA!!!-
Cominciò ad urlare, mentre due lacrime di sollievo gli rigavano
le guance. Era così nervoso da non rendersi conto della tensione
accumulata in quei pochi minuti. Il cuore batteva così forte da
sfondargli il petto. Quando si fu calmato quel tanto da rimettersi in
piedi, si diresse all’uscita.
-----
Dalla sua postazione, Amanda non gli ha tolto gli occhi di dosso da
quando è entrato, a quando si è allontanato, traballando
come un ubriaco.
Perché non lo ha fermato? Non lo sa neanche lei. E non vuole
neppure chiederselo. È solo uno dei tanti interrogativi che
quella storia si porterà dietro.
I passi del poliziotto sono ormai lontani. Ma lei non vi bada
più di tanto. Ha in mente un’immagine della sera prima.
Quando aveva messo la coperta a Richard e Cassidy, addormentati sul
divano. Il suo desiderio più grande. La cosa a cui agoniava di
più. Una famiglia. C’era andata così vicino
… Eppure, dentro di sé, sapeva che era stata solo
un’illusione. Che quel quadretto casalingo davanti ai suoi occhi
era solo un’immagine effimera. Un sogno. E nulla di più.
Perché la sua famiglia era svanita lo stesso giorno in cui il
suo Johan era stato ucciso. O forse prima. Nel momento stesso in cui il
primo ordigno esplodeva in quel supermercato. Da allora la sua
famiglia, o quella che avrebbe potuto avere era stata distrutta.
Cancellata.
I suoi occhi fissano i cavi dell’ordigno lasciati scoperti
dall’agente. E si rende conto di non provare più nulla.
Neppure odio verso l’uomo che le ha ucciso il marito anni prima.
È stanca, Amanda. Stanca di tante cose. Stanca di soffrire.
Stanca di combattere. Stanca anche di cercar vendetta. Accarezza lo
schermo del timer, quasi stesse sfiorando la guancia di un amante. Le
labbra le tremano un momento. La mano si abbassa sul cavo reciso. E sa
esattamente cosa deve fare. Un sorriso aleggia sul volto pallido,
mentre attiva manualmente la bomba. Finalmente avrebbe riposato.
-----
-Cassidy! Cassidy!- La guardiamarina Michela Sacks schizzò fuori
dall’auto federale con una velocità fuori dal comune, un
razzo candido dal portamento militare.
-Mamma!- La bimba riconosce la sua tutrice all’istante, e
sgambetta impaziente, imprigionata dall’abbraccio di Gibbs, che
con un sorriso la lascia andare. Quasi inciampa per tuffarsi
nell’abbraccio rassicurante della donna, che non riesce a
trattenere qualche lacrima di sollievo. Poi, come se si fosse ricordata
in quel momento di una cosa molto seria, Cassidy scioglie un pochino
l’abbraccio. -Posso chiamarti mamma, vero?- Michela esplose in
una risata tra le lacrime.
-Puoi chiamarmi come vuoi, tesoro!- L’abbraccio si fece
più serrato, protettivo, mentre la piccola rideva. Accanto a
Gibbs, Kate sorrise teneramente. Michela sarà anche un militare,
ma prima di tutto è una donna, ed una donna con una bambina,
poco importa il grado di parentela. Ed ha mantenuto la promessa che gli
aveva strappato Tony all’ospedale. La mora sente pungere un
occhio. Con uno scatto si asciugò all’istante una lacrima
di commozione, sperando che il suo capo non l’abbia notata. Gibbs
sorrise di fronte all’ingenuità di quel gesto inutile, ma
fece finta di nulla. Si voltò in direzione dello stadio, ed il
sorriso scomparve, sostituito da uno sguardo granitico. Non aveva
dimenticato che mancavano ancora due persone all’appello.
-----
Tony aveva superato la stanza in cui era stato imprigionato già
da un pezzo, quando lo sentì. Un rumore. Nitido, quasi
assordante nel silenzio del cantiere in disuso. Si guardò
attorno, allarmato. Ben lontano dall’aver scordato che la Rudolph
era ancora nell’edificio. Scrutò il buio per lunghi
istanti, finché non ne trovò la fonte. Rimase lì,
sorpreso ed immobile.
-No … Questo no …-
-----
Kate era nervosa. Erano passati quasi dieci minuti, e Tony non si era
ancora fatto vivo. Aveva già resistito qualcosa come tre volte
all’impulso di schizzare a cercarlo. Solo l’apparente calma
di Gibbs le aveva impedito di ricacciarsi in quel dedalo di corridoi e
pilastri bui. Continuava a camminare avanti e indietro, sbuffando e
lanciando occhiate impazienti all’entrata del cantiere. La
domanda le rimbombava nella mente come una pallina in un flipper. Dove
diavolo si era cacciato Tony? Avrebbe voluto gridarlo, ma sapeva che
nessuno dei presenti era in grado di risponderle.
Ed infine cedette. Con passo sicuro si diresse dentro lo stadio.
-Adesso basta! Vado a cercarlo!- Non aveva fatto neppure un paio di
passi, che la mano di Gibbs l’aveva trattenuta per un braccio.
-Lasciami, Gibbs!- Kate cercò di liberarsi dalla presa del suo
superiore, ma era inutile. Era troppo salda. Una vena
d’irritazione la attraversò: nel giro di due giorni aveva
sperimentato troppe volte, per i suoi gusti, che la forza fisica dei
suoi colleghi era maggiore della sua. Forse avrebbe dovuto fare una
sessione intensiva di palestra … Gibbs la costrinse a guardarlo
negli occhi.
-Non è il momento di …- La mora non sentì mai il
seguito della frase. Un’enorme esplosione ricoprì ogni
rumore, talmente improvvisa da assordare tutti i presenti. Quando il
fumo e le polveri si diradarono, la metà posteriore dello stadio
non esisteva più. Solo un cumulo di macerie.
E quando Kate riuscì a riprendersi dallo shock dello spavento,
il suo cervello fece due più due. L’edificio, anche se
solo in parte, era crollato. E questo poteva solo voler dire che Tony
non era riuscito a disinnescare la bomba. La gola le si era
improvvisamente seccata, e non solo per la polvere che impregnava ogni
centimetro cubo d’aria. Con gli occhi sbarrati, fece qualche
passo verso ciò che restava dell’edificio.
Una serie di lacrime le correvano sulle guance, senza che lei riuscisse
a trattenerle. Perché l’agente Todd lo sapeva. Erano
pochissime, se non nulle, le possibilità che il suo collega
fosse ancora vivo. Ma Kate, la semplice Kate, la donna che stava dietro
all’agente federale, si rifiutava di crederci. Rifiutava anche
solo di pensarlo. Perché avrebbe voluto dire lasciare insoluta
la questione con Tony, e soprattutto, non rivedere più il suo
sorriso. Nè quello strafottente che sembrava prendere per i
fondelli tutto il mondo, né quello sincero, adulto,
rassicurante, così raro da essere prezioso. Abbandonando la
razionalità, si lanciò di corsa verso le macerie, ma di
nuovo nel giro di pochi minuti, la mano di Gibbs la bloccò,
costringendola a fermarsi, ancora contro la sua volontà, a pochi
metri dall’ingresso di quello che doveva essere uno stadio.
-Lasciami, Gibbs … Perfavore!- La voce della donna era poco
più di una supplica. Supplica che l’ex marine non
esaudì. Pochi istanti, e Kate crollò. Cominciò a
piangere. Quasi non si accorse che Jethro le cingeva le spalle con un
braccio, per darle un qualche conforto. Si lasciò semplicemente
andare ai singhiozzi, quasi più di rabbia che di dolore.
Perché non avrebbe mai potuto perdonare Tony di aver fatto
quell’idiozia. Ma così come lui, non sarebbe riuscita a
perdonare neppure se stessa. Per non averlo fermato. Per non aver
chiarito a tempo debito tra loro. Per aver aspettato così tanto,
per capire che le barriere tra loro erano solo nella loro testa. Per
non aver voluto ammettere, neanche con se stessa, che si era innamorata
di quell’idiota donnaiolo da strapazzo di Anthony Dinozzo.
-Kate …- La voce calma e comprensiva di Gibbs cercò di
scuoterla, con fare quasi paterno. Kate si liberò
dall’abbraccio, colma di stizza e dolore. E gridò conscia
che le sue parole finivano rivolte al vento.
-SEI UN IDIOTA, ANTHONY DINOZZO!!!-
-Ma non perdi mai occasione per ricordarmelo? Mai una volta che mi
dicessi che so … Che sono bello, simpatico, altruista …
Affascinante …- Colta da un semi infarto, la mora si
voltò di scatto. Impolverato, ammaccato e ansimante, ma
decisamente vivo, l’agente Dinozzo se ne stava a pochi metri da
lei, appoggiato ad un pilastro di cemento, una mano nascosta
all’interno della giacca.
-Perché ci hai messo tanto, Dinozzo!- Sibilò Gibbs col
suo tono seccato. La preoccupazione già dimenticata. Tony
sorrise e tirò fuori la mano dalla giacca, tirandone fuori un
batuffolo grigio miagolante.
-Francis!- Trillò Cassidy, sfuggendo all’abbraccio della zia, e schizzando dal suo gattino.
-L’ho trovato mentre venivo via …- Spiegò Tony, mentre porgeva la bestiola alla bambina.
-E la Rudolph?- Domandò Jethro. Tony scosse la testa.
-Non so che fine abbia fatto, capo. Ma prima di uscire, posso assicurarti che la bomba l’avevo disinnescata …-
-Capisco …- Mormorò l’ex marine. Non era difficile
immaginarsi come una bomba disarmata potesse esplodere. Qualcuno
l’aveva riattivata. Solo allora Dinozzo focalizzò la sua
attenzione su Kate, che fino a quel momento non si era mossa di un
millimetro.
-Bhe, Kate, non mi dici niente? Non mi dirai che non ti sei preoccupata
neanche un pochino …- Senza neppure guardarlo, la mora poteva
immaginarsi benissimo il sorriso vagamente beffardo di Tony, che sotto
la polvere e il sangue, la prendeva in giro. Di sicuro Tony si stava
godendo la scena, trovando la sua disperazione divertente. Di colpo
ogni briciolo di paura svanì, sostituito da una stizza sfociante
nella rabbia. Con un ringhio inferocito, Kate si lanciò contro
il collega, cominciando a tempestargli il petto di pugni.
-Idiota idiota idiota idiota!- Ed una lunga serie di altri epiteti poco
simpatici che costrinsero Michela a tappare le orecchie a Cassidy. Tony
la lasciò sfogare, finchè questa non cadde in un pianto
liberatorio. Passata la disperazione, passata la rabbia, ciò che
le restava era il sollievo. Si abbandonò contro il petto
dell’uomo. Stava facendo la figura della pazza isterica, ma
almeno si sarebbe goduta la sua vicinanza per qualche minuto, quel
tanto che le sarebbe bastato per liberarsi della tensione accumulata.
Quando poi Tony la cinse con le braccia, seppellì il viso contro
la sua spalla, per nascondere il sorriso che quel gesto le aveva fatto
sbocciare sulle labbra. Rimasero così, abbracciati per qualche
minuto. Kate si crogiolava in quel calore protettivo e rassicurante,
mentre Tony gustava il profumo dei suoi capelli, ancora presente,
nonostante l’odore di polvere ed esplosivo. Entrambi ben lungi
dal voler interrompere qual contatto fisico. Ma ci pensò la voce
dell’innocenza a far tornare i due agenti con i piedi per terra.
-Mamma, ma i due signori sono fidanzati, vero? E quando si sposano?- Un
momento di silenzio generale avvolse il quintetto. La semplice domanda
di Cassidy era suonata come un allarme. Michela non sapeva esattamente
cosa rispondere, non sapendo come stavano le cose tra Tony e Kate.
Gibbs aveva sfoderato uno sguardo di puro ghiaccio, e la promessa di un
bello scappellotto a testa ai suoi agenti aleggiava nell’aria.
Kate e Tony, dopo qualche istante di congelamento, si staccarono a
razzo. Kate rossa con sfumature bordeaux, Tony con un’improvvisa
tosse, da lui attribuita al pelo di gatto. Jethro mantenne le iridi
cristalline per un lungo minuto puntate sui due agenti, che sudavano
freddo. Poi spostò lo sguardo verso gli agenti che si davano da
fare con le macerie dell’esplosione.
-Andiamo. Qui ci penseranno quelli della squadra speciale … Ah, Dinozzo?-
-Sì, capo?-
-Pulisciti la faccia. Sembri uscito da uno dei film horror di Abby!-
Tony si passò una mano sul volto. Non si era più tolto il
sangue e si era raggrumato. Kate, indecisa se ridere o tirare un
sospiro di sollievo, diede una pacca amichevole al collega.
-----
-Ahia!-
-Avanti, Tony la vuoi smettere di fare il bambino? Ho quasi finito.-
Esclamò Kate, esasperata, mentre cercava di disinfettare il
taglio sullo zigomo di Tony. Quando erano tornati in ufficio, Kate si
era offerta di fare la crocerossina. Ma i continui capricci
dell’uomo l’avevano fatta pentire amaramente.
-Sei tu che hai la mano pesante! Ma chi ti ha insegnato, Mike Tyson?-
-Ancora una parola, Tony e giuro che ti faccio vedere cos’altro
ho imparato …- Sibilò la mora, premendo più forte
la garza sul taglio. Ignorando il mugolio di dolore di Tony, Gibbs
avvisò che gli uomini della squadra speciale avevano trovato dei
resti umani tra le macerie, vicino al punto dov’era avvenuta
l’esplosione.
-Dovranno fare gli esami del DNA, ma sono quasi sicuri che si tratti
della Rudolph.- Spiegò l’uomo, mentre si accasciava sulla
sua poltrona. Un sospiro di sollievo si diffuse nell’ufficio. In
qualche modo, quella storia era finalmente finita. E, cattivi a parte,
non ci avevano rimesso la vita altre persone. Michela e la piccola
Cassidy avrebbero potuto vivere senza più il terrore dello
spettro di Richard O’Connell. Tony, in qualche modo, aveva chiuso
un capitolo oscuro del suo passato. I sensi di colpa nei riguardi di
Amanda Rudolph, d’ora in poi, se ne sarebbero rimasti per sempre
sepolti in fondo alla sua coscienza. Nella mente degli agenti,
però rimaneva ancora un dilemma. “Perché?”
Quale era stata la ragione scatenante di quella scia di morte? Fu McGee
a trovare tale risposta. Richiamò l’attenzione dei
presenti sventolando una busta giallina con la mano sana, per poi
posarla sulla scrivania davanti a Gibbs.
-Hey, guardate che cosa ho trovato!- Incuriositi, Tony e Kate si
avvicinarono al loro superiore. Con un sorriso orgoglioso, Tim
spiegò quale fosse il contenuto della busta, mentre Gibbs
l’apriva. -È la cartella clinica della Rudolph. Riguarda
una visita fatta poche settimane prima dell’inizio delle pazzie
di Johan Smilton.-
-Era incinta.- Lesse Gibbs.
-Non mi sembra una novità, capo …- Borbottò Tony,
che venne freddato da un‘occhiataccia dell‘ex marine,
mentre McGee completava il resoconto.
-Ma era già stata diagnosticata una gravidanza a rischio. Ed il
feto era malformato. Nelle ultime radiografie si vede bene. Se anche la
Rudolph fosse riuscita a portare a termine una gravidanza così
difficile, il bambino sarebbe nato con forti handicap, sia mentali che
fisici.-
-Forse …- Kate deglutì. -Forse è per questo che
Smilton ha disposto quelle bombe …- Gli occhi dei tre colleghi
uomini si piantarono sulla mora, assetati di risposte che una pro
filers era decisamente più in grado di dare rispetto a loro.
-Sì … Voglio dire … Da quello che abbiamo visto,
Amanda era ossessionata dall’idea di avere una famiglia. Figli,
marito e quant’altro. Probabilmente Johan non era diverso. Ora,
se non sbaglio, c’è un particolare che accomuna tutti i
luoghi delle esplosioni.- Gibbs annuì.
-Ognuno di quei posti era collegato ai bambini. Nei supermercati si vedono sempre madri a far la spesa con i figli … -
-Il figlio della Rudolph avrebbe avuto handicap mentali, se fosse nato.
Niente biblioteca e scuola come tutti, per lui.- Continuò Tony.
-Non parliamo poi di andare allo stadio … Il sogno di ogni
padre, è quello di portare il figlio a vedere la squadra del
cuore disputare un incontro.- Sospirò McGee. -Ma la casa?-
-Il bambino avrebbe dovuto crescervi. E tutto era già pronto per
accoglierlo.- Spiegò Gibbs, riponendo i fogli nella busta. -Un
motivo più che ovvio per volerla distruggere. Anch’io
avrei voluto farlo con la casa delle mie ex mogli …- Un sorriso
fugace si disegnò sulle labbra dei tre agenti, oramai in
procinto di uscire. Era stato un weekend davvero sfibrante. Nella sede
dell’NCIS erano rimasti soltanto loro. Gibbs salutò la sua
squadra ricordando che per l’indomani voleva un rapporto
dettagliato sul caso. Con un borbottio di disapprovazione, McGee si
diresse al laboratorio, dove Abby lo aspettava. Tony e Kate si
attardarono in ufficio. Un silenzio carico di tensione calò tra
i due. Avevano atteso così tanto di poter restare per un
po’ da soli, che adesso non avevano la più pallida idea di
come e da dove cominciare. Come sempre, fu Tony il primo a cominciare.
-Allora … Finalmente siamo soli, eh?-
-Già …- Mormorò Kate, che improvvisamente aveva
preso interesse per la punta delle sue scarpe, troppo imbarazzata per
alzare lo sguardo sul collega. Si faceva schifo da sola. Peggio di una
ragazzina al primo anno di liceo. E sì che con tutto quello che
aveva passato con lui, non avrebbe dovuto avere grandi
difficoltà a parlargli guardandolo in faccia! Ma l’angolo
più pauroso e imbarazzato della sua testa sapeva solo che il
momento che temeva di più in assoluto era arrivato, e stavolta
non ci sarebbero state malate di mente o esplosioni di sorta ad
interromperli. Sussultò, quando Tony riprese la parola.
-Dovevamo fare un discorsetto, noi due, vero?>-Kate sussultò
quando si rese conto che la voce di Tony veniva da pochi centimetri dal
suo volto. Senza che lei se ne fosse accorta, le si era avvicinato, e
con una delicatezza infinita, le stava sollevando il mento con una
mano, in modo che fossero faccia a faccia. La mora si sentì
arrossire. Gli occhi di Tony erano esattamente come quando
l’aveva baciata dopo l’esplosione. Profondi e caldi.
-Vero …- Le labbra dell’agente si distesero in un sorriso.
Kate non potè fare a meno di ricordare il momento in cui lui
l’aveva baciata. Ad un tratto le venne voglia di sentire di nuovo
il sapore delle sue labbra. Mandando al diavolo l’imbarazzo, la
donna colmò la distanza che separava la sua bocca da quella di
lui. Piacevolmente sorpreso dell’improvvisa temerarietà
della collega, Tony approfondì il bacio, e le cinse la vita con
il braccio, mentre con la mano libera le toglieva una ciocca di capelli
dal viso. Kate da parte sua fece aderire perfettamente il suo corpo a
quello dell’uomo, e gli mise le braccia attorno al collo. Il
bacio durò molto più a lungo rispetta alla prima volta.
Dopotutto non c’erano bombe pronte ad esplodere da un momento
all’altro, escludendo i loro stessi cuori impazziti di gioia. Si
staccarono solo per mancanza d‘ossigeno, ma già disposti a
ricominciare subito.
-Dì, ma non dovevamo fare un discorsetto, noi?- Domandò
ridacchiando Tony, mentre Kate si accoccolava contro il suo petto.
-Per parlare c’è sempre tempo, no?- Rispose lei. Tony
scoppiò in una sonora risata. Solo lo sguardo corrucciato che
gli rivolse la mora lo fece smettere.
-È che credo che la mia presenza ti faccia male … Stai
cominciando a pensare come il sottoscritto!- Si scusò lui,
leggermente impacciato. Kate rimase qualche istante in silenzio, poi
scoppiò a ridere a sua volta.
-Sei un idiota …-
-Se non me lo dicevi cominciavo a preoccuparmi ….- La risata dei
due echeggiò per tutto l’ufficio, in cui gli unici
testimoni di quella notte erano le lampade al neon delle scrivanie, che
emanavano una particolare luce soffusa, quasi ideale per
l’occasione. Quella sera, sarebbe stata solo loro, non
dell’agente Todd o dell’agente Dinozzo. Solo di Kate e
Tony. Le persone che stavano dietro gli agenti. Sarebbe stata una notte
fatta per scoprirsi a vicenda, senza maschere e senza distintivi. Forse
sarebbe stato troppo presto perché si potessero pronunciare
alcune parole come “ti amo”, ma per le parole ci sarebbe
stato tempo. Ora c’era solo una notte. Due persone, un uomo ed
una donna. Ed una luce soffusa.
-----
Gibbs rimase a contemplare il cielo. Era una bella serata, dopotutto.
Ed anche se si trovava all’ingresso della sede dell’NCIS,
in piena città, le stelle mostravano tutta la loro lucentezza,
al cospetto di una luna sottile, ma non per questo meno imponente.
-Ancora qui, Jethro?- Domandò Ducky, col solito impermeabile, mentre si sistemava il cappello.
-Così pare.- Fece l’ex marine, con un’alzata di spalle. Il medico legale gli si avvicinò.
-C’è un cielo stupendo, questa sera.- Gibbs annuì.
Non c’era molto da dire tra loro. Quando ci si conosce da tanto
tempo, le parole possono anche diventare superflue. -Dimmi Jethro
… Hai intenzione di fare qualcosa, per quei due?- L’ex
marine sorrise. Non c’era bisogno di saper leggere nel pensiero
per capire a chi si stava riferendo l’amico.
-No. Non per il momento. Voglio lasciarli in pace, almeno per stasera.
Non è il caso di fargli sapere che so già tutto …-
Il sorriso si trasformò in un ghigno divertito. -Tanto, gli
scappellotti sono come le parole. C’è sempre tempo
…-
-Fine capitolo 11-
-THE END-
T-T… Buaaaaaah! È finita! La mia fic è finita! È assurdo, sono triste …
Ma quanto accidenti di zucchero ci ho messo, in questo finale?! Se lo
leggesse gente che mi conosce mi prenderebbe in giro a vita! Questa non
sono io!!! Giuro! O meglio ... lo sono, ma solo per le fan fic ... e
spesso neppure per quelle. Le parti romantiche sono quelle che mi danno
più difficoltà in assoluto. bhe, fatemi sapere che ne
pensate, se devo cambiare stile, se devo smettere di scrivere, se vi va
di leggere altre mie fic su NCIS!
Salutissimi!!!
Will
|