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Autore: WillowG    25/08/2008    0 recensioni
"Col suo lavoro aveva dovuto imparare a dominarsi, anche se quel genere di spettacoli la faceva davvero star male. Per quanto ci si possa preparare, certe cose non possono non toccarti. E quando questo succede, significa che non sei migliore di quelli che le hanno provocate." Ambientata durante la seconda stagione.
Genere: Romantico, Avventura, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Caitlin Todd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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explosion11 Ebbene sì, sono tropo buona. Eccovi il finale di Explosion.

EXPLOSION
-Capitolo 11-
Epilogo.

-Kate? Kate, mi senti? Sei ancora in linea?- L’agente sobbalzò. Si era scordata di avere ancora il telefono acceso.
-Sì, Abby, ti sento.-
-Gibbs e la squadra speciale stanno entrando. Saranno lì tra pochi istanti.- Kate sbiancò.
-Abby, la Rudolph ha attivato la bomba! Anzi, le bombe! Esploderanno, ma non sappiamo ancora dove siano! Potrebbero essere da qualunque parte!- Un momento di silenzio.
-Merda.-
-Sono d‘accordo con te.- Esclamò l‘agente Todd.
-Kate, questa volta non è come le altre, questa è la bomba regina, è cinquanta volte più potente dell’ultima … Potrebbe distruggere l‘intero edificio!- La voce della dark era disperata.
-Merda! Abby, avverti la squadra speciale, non devono … Oh, al diavolo!- Il display lampeggiò, per poi spegnersi. Batteria scarica.
-Kate!- L’agente si girò verso il collega, che la fissava con uno sguardo a metà tra la presa in giro ed il rimprovero.
-Cosa c’è adesso, Tony?!- Con un sorrisetto l’uomo le indicò Cassidy.
-Ti ricordo che qua c’è una bambina …- La prese in giro. -… Non vorrai darle il cattivo esempio proprio tu …- Kate si battè una mano sulla fronte. Ma gli pareva questo il momento? Avrebbe voluto tirargli il cellulare in faccia, tanto era inutilizzabile. Ma non aveva tutti i torti. Così lasciò cadere l’argomento e si maledisse in tutte le lingue che conosceva, ma mentalmente. Da quando era iniziato il caso non aveva più pensato di mettere il telefono a caricare. Ed ovviamente la batteria si era scaricata. Curioso come ci siano solo due momenti in cui un cellulare si scarica. Quando si è in ritardo agli appuntamenti, e quando si rischia di morire. Cercò lo sguardo del collega. Ora erano davvero nei casini. Tony lasciò andare Amanda. Avrebbe voluto prenderla a pugni, infischiandosene della galanteria. Ma adesso non c’era davvero tempo. La squadra speciale era già entrata nell‘edificio, mentre da qualche parte c’era una bomba pronta ad esplodere, e loro erano impossibilitati ad avvertirli. Se la bomba fosse esplosa, nessuno avrebbe avuto scampo. Alla fine Amanda voleva davvero colpire degli agenti. Forse aveva previsto l‘arrivo della squadra speciale.
Kate prese in braccio Cassidy, e fece per uscire dalla stanza. Tony la seguì subito, prendendo Amanda per un braccio, oramai ritenuta inoffensiva. Non fecero che pochi passi, quando un’esplosione investì il corridoio. Tony fece appena in tempo a tirare all’interno Kate e la piccola. Con orrore vide l’onda d’urto fuori dalla porta, seguita da una lingua di fuoco. Cassidy gridò, terrorizzata. Pezzi di macerie svolazzavano nell’ambiente, completamente saturo di fumo e polveri. L’agente strinse più forte a sé la collega e la bambina, nel tentativo di proteggerle. Tra colpi di tosse ed i singhiozzi spaventati di Cassidy, i due agenti cercarono di rimettersi in piedi. La prima bomba era esplosa. Tony fece per voltarsi a vedere in che condizioni fosse la Rudolph, ma questa era sparita.
-Maledizione! porc ...*****!!!- Imprecò l’uomo, vedendo la corda tranciata. Si era scordato che Amanda aveva con sé il coltello di Kate.
-Tony!- Lo riprese questa, con occhi furenti, ma velati da un sottile velo di vendetta.
-Cosa, Kate!- La mora le indicò con gli occhi la bambina che teneva in braccio. Il suo sguardo era eloquente: “modera il linguaggio davanti a lei“. Accidenti alla sua linguaccia. -Ah … Sì … Piccola non stare mai a ripetere quello che dicono i poliziotti!- La bimba lo fissò confusa tra le lacrime. Kate sorrise soddisfatta. Aveva avuto la sua piccola ripicca. Poi si arrischiò a guardare i danni dell’esplosione. Abby aveva ragione. Era molto più potente delle altre con cui avevano avuto a che fare. E pensare che si trattava solo della prima bomba. Non voleva sapere come sarebbe stata la prossima. E chissà quando sarebbe esplosa. Forse il meccanismo era già scattato. Forse il detonatore stava già contando i secondi. Dovevano uscire. Ma anche trovare la squadra speciale in tempo. E forse non ce l’avrebbero fatta. Kate fissò Tony, preoccupata. Gli occhi verdi dell’uomo scintillavano di determinazione. Avrebbe trovato la bomba, e l‘avrebbe disattivata. A qualunque costo. La mora aveva visto troppe volte quello sguardo, per non riconoscerlo.
-Kate. Porta via la bambina. Io vado a cercare la bomba.-
-Cosa? Ma è una pazzia!- Cercò di ribattere l’agente, ma lo sguardo del collega gli fece morire le proteste in gola. Non ammetteva repliche. Quello che aveva dato era un ordine. Kate abbassò lo sguardo. Si sentiva intimorita. Maledizione! Intimorita da Tony! Si faceva venir da ridere da sola! Ma in quel momento non era Tony a fissarla così. Era l’agente speciale Dinozzo. Fino ad allora solo Gibbs era riuscito a farle quell’effetto. Così alla fine cedette, ripromettendosi di dire due paroline al suo capo. Aveva insegnato troppo bene al suo agente. E lei non aveva intenzione di lavorare con due Gibbs nello stesso ufficio. Uno bastava e avanzava.
-D’accordo. Ma stai attento.- Il solito sorriso alla Tony echeggiò sulle labbra dell’uomo.
-Non lo sono sempre?-
-Preferisco non risponderti …- Sibilò Kate. Poi Tony fece l’ultima cosa che ci si sarebbe aspettato facesse. Le si avvicinò e le prese delicatamente il viso tra le mani. Kate avvampò. Il cuore le batteva furioso nel petto, mentre non riusciva a scollare gli occhi da quelli smeraldini di Tony. Ma era davvero Tony? Tony-l’idiota, Tony-il-suo-collega-che-faceva-il-cretino-in-ogni-occasione? No, non in quel momento. Adesso era solo l’uomo che vi si nascondeva dietro. Quello che solo in alcune rare occasioni lasciava intravedere.
Come la sera precedente, il viso di Tony si avvicinò al suo. A mano a mano che la distanza diminuiva, il cuore di Kate galoppava sempre più veloce. La mente era solo un confuso insieme di domande ed emozioni da troppo tempo inascoltate. Poteva sentire il calore del suo volto sul suo. Le labbra a pochi millimetri dalle sue. Ma stavolta non vi fu alcuna interruzione. Tony la baciò. Un bacio ricco di una dolcezza che Kate pensava fosse impossibile che si annidasse dentro a quell’uomo che era il suo collega, il suo amico, il suo incubo peggiore, il suo sogno segreto, ed adesso sentiva essere tutto ciò e qualcosa di più. Solo qualcosa? Da come stava rispondevano al bacio senza ascoltare minimante la testa … Al diavolo, era molto di più! Quando Tony interruppe il bacio, Kate sentì come se avesse perso il sostegno che la teneva in piedi. Traballò leggermente, mentre riprendeva fiato. Si ritrovò a boccheggiare. In tutto era durato solo una manciata di secondi. Ma le era parso che durasse una vita. Forse perché era esattamente il tempo che lo aveva atteso. La mente ricominciò a funzionare.
-Adesso vai.- La voce di Tony era roca, ma rassicurante. La mora annuì, stringendo più forte Cassidy, che li guardava curiosa. La paura al momento lasciata in disparte. Un sorriso birichino le illuminò il visino. I due agenti si guardarono negli occhi ancora una volta. Poi Kate si voltò e si immerse nel corridoio semidistrutto. Tony la guardò andare via, poi si mise a correre nella direzione opposta, dove aveva avuto luogo la prima esplosione.

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-Stiamo entrando.- Le parole che davano il via alle operazioni. Stavolta non ci sarebbero stati ulteriori ritardi. La squadra speciale sarebbe entrata, ed avrebbe fatto il suo lavoro. Come d’accordo, l’agente speciale Gibbs era in prima fila. Pistola in mano, sguardo glaciale. Non aveva notizie dei suoi agenti da troppo tempo, per i suoi gusti. Ma se erano nei guai, li avrebbe tirati fuori. Un cenno del caposquadra. Avevano già ispezionato il grande salone d’entrata, quando avvenne la prima esplosione. Atterriti, gli uomini si aggrapparono alle colonne. Dall’area più periferica del grande cantiere, più precisamente dai sotterranei, si irradiava una coltre di fumo e polveri. Che diavolo stava succedendo? Gibbs lo aveva già capito. Erano arrivati tardi, maledizione! Di lì a poco ce ne sarebbe stata un’altra, di esplosione, ma ben più forte. Sperava ardentemente che Tony e Kate stessero bene, e con loro la bambina. Una mano sulla spalla lo richiamò. Era il capo della squadra speciale.
-È pericoloso! Dobbiamo uscire!-
-No, non senza i miei agenti!- Ribatté Jethro, testardo.
-La prossima bomba esploderà di qui a poco!- Celiò, paziente l’uomo. -Non posso mettere in pericolo i miei uomini!-
-Ed io devo salvare i miei!- I due si fissarono a lungo negli occhi.
-D’accordo. Verrò io con lei.- Cedette alla fine il caposquadra. -Mark!- Un giovane con il casco si voltò.
-Comandi!-
-Porta fuori i ragazzi! Io e l’agente Gibbs continuiamo. Se non torniamo, non cercateci.-
-Ma capo …- Un’occhiataccia del superiore zittì ogni protesta. -D’accordo, capo.- Mentre il giovane Mark si allontanava coi suoi compagni, Gibbs e l’agente si inoltrarono del corridoio, invaso dall’odore acre del fumo.

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Tony percorreva il corridoio semi buio a grandi falcate, guidato dalla scia di fumo che la bomba esplosa emanava ancora. Non gli volle molto per trovare il luogo dove era avvenuta la detonazione. Una stanza poco distante da quella in cui erano stati imprigionati lui e Kate. Avanzando tra le macerie, cercò i fili che, presumibilmente, sarebbero dovuti essere collegati al secondo ordigno. Dovette spostare tre assi cadute a causa dello spostamento d’aria, prima di trovarli. Muovendosi a fatica in quel campo di battaglia, raggiunse una porta, parzialmente nascosta da un serie di detriti. Smuovendo una nuvola di polvere, Tony riuscì a farsi largo, e ad entrare. Mezzo accecato dalla polvere che gli faceva lacrimare gli occhi, non si rese subito conto del mostro che aveva davanti. Ma quando lo vide, la sua esclamazione riassunse perfettamente la situazione.
-Oh, cazzo!- I fili della prima bomba si andavano a collegare ad una scatola nera sottile, ma molto ampia, su cui troneggiava un display a numeri rossi. Decine e decine di cavetti si diramavano dalla scatola nera, per collegarsi ai numerosi barili che riempivano l’ampia stanza. Ognuno era pieno di materiale esplosivo, che non aspettava altro che di essere mescolato con la sua controparte, per esplodere. -Questo sì che è un bel casino …-

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Kate si perse un paio di volte, prima di imboccare il corridoio giusto, quello in cui era stata sorpresa dalla Rudolph. Era nel panico più totale, e non solo per sé e la piccola che aveva tra le braccia. Tony non era con lei, e non le piaceva per niente. Le pareva di essere entrata nel corridoio colonnato da un sacco di tempo, eppure continuava a non vederne la fine. Accidenti! Non le era sembrato così lungo, all’andata! Rischiò più volte d’inciampare su casse ed oggetti abbandonati in mezzo ai piedi, e solo la presenza di Cassidy le impedì d’imprecare a voce alta, limitandosi a farlo mentalmente. Le gambe cominciavano a dolerle per il peso che portava, quando la luce di una torcia la colpì in pieno volto.
-Todd! Dinozzo!- Il cuore di Kate ebbe un tuffo di felicità. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque. Seccata nonostante la preoccupazione.
-Gibbs!- In pochi attimi il volto di Gibbs le danzò davanti al volto, accanto a quello di un uomo della squadra speciale. Dopo un’occhiata indagatrice, Gibbs prese in braccio la bimba, che, istintivamente, cinse il collo dell’agente con le sue braccine. Kate sospirò, felice di essersi sgravata dal peso di Cassidy.
-Dov’è Dinozzo?!- La domanda fatidica. Kate non sapeva come rispondere. Ma sapeva che era inutile fere tanti giri di parole con Gibbs.
-È andato a prendere la Rudolph … E a cercare la bomba.- Uno scintillio di preoccupazione attraversò gli occhi chiari dell’uomo, ma non profuse parola. La mora si stava già pentendo di ciò che aveva detto, quando la voce calda dell’ex marine la acquietò.
-Adesso usciamo. Tony sa quello che fa.- Ripresero a correre. Pochi minuti dopo, li salutò il sole dell’uscita. Prima di sentire nuovamente il calore dei raggi, Kate si guardò ancora una volta indietro. Sapeva che era inutile, che era una speranza vana. Tony non poteva essere già di ritorno. Ma non aveva potuto farne a meno. La mano sulla spalla di Gibbs la riscosse. Con un groppo allo stomaco, uscì dallo stadio. L’aria fresca e il sole le tolsero il fiato per il piacere.

“Ed uscimmo a riveder le stelle …”

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-Ok. Allora, non sarà così difficile … Disinnescare una bomba … Nei film ci riescono sempre dei tipi che non se ne capiscono nulla …- Continuava a ripetersi tra sé l’agente Dinozzo, in un disperato tentativo di farsi coraggio. Aveva spostato il coperchio della scatola, stando ben attento a non muovere troppo i fili sopra di essa. Ma all’interno vi era lo stesso dedalo di cavi al contrario. Sospirò, demoralizzato e disperato. Di sicuro si era già trovato in situazioni poco felici, ma al momento non ne ricordava di peggiori di quella. Lanciò un’occhiata al timer. I numeri rossi segnavano che aveva ancora circa una decina di minuti. Si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte. Il tempo era poco. Troppo poco. Ma non poteva arrendersi. Prese in mano il suo coltello e cominciò ad esaminare i cavi. Ma quanti diavolo erano?! Si passò la lingua sulle labbra secche. Ci avrebbe messo ore. Peccato che avesse meno di dieci minuti, come lo informava lo schermetto del timer. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare le nozioni principali sugli ordigni esplosivi seguiti all’accademia di polizia.
-Fossero almeno colorati!!!- Piagnucolò tornando a guardare i fili bianchi. Nella sua mente cominciava a vederli come una nidiata di serpentelli albini. Lanciò un’occhiata al display. Ancora cinque minuti. Accidenti come passa il tempo, quando ti occorre! Ed allora arrivò il lampo di genio. Solo uno dei cavi che si collegavano al timer mandava l‘impulso di detonazione. Ed aveva notato che uno era più grande degli altri. Pregò che la sua intuizione fosse esatta. Affiancò la lama del coltello al cavo. Un ultimo sospiro. E recise il filo.
Si aspettava il botto. Ma non arrivò. Solo dopo qualche secondo si decise ad aprire gli occhi. I numerini rossi del timer erano fissi. Esalò un sospiro che non si era accorto di trattenere. Le gambe gli stavano tremando. Con una risatina isterica si accasciò contro il muro.
-Sono … Sono vivo. Sono vivo! C’E L’HO FATTA!!!- Cominciò ad urlare, mentre due lacrime di sollievo gli rigavano le guance. Era così nervoso da non rendersi conto della tensione accumulata in quei pochi minuti. Il cuore batteva così forte da sfondargli il petto. Quando si fu calmato quel tanto da rimettersi in piedi, si diresse all’uscita.

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Dalla sua postazione, Amanda non gli ha tolto gli occhi di dosso da quando è entrato, a quando si è allontanato, traballando come un ubriaco.
Perché non lo ha fermato? Non lo sa neanche lei. E non vuole neppure chiederselo. È solo uno dei tanti interrogativi che quella storia si porterà dietro.
I passi del poliziotto sono ormai lontani. Ma lei non vi bada più di tanto. Ha in mente un’immagine della sera prima. Quando aveva messo la coperta a Richard e Cassidy, addormentati sul divano. Il suo desiderio più grande. La cosa a cui agoniava di più. Una famiglia. C’era andata così vicino … Eppure, dentro di sé, sapeva che era stata solo un’illusione. Che quel quadretto casalingo davanti ai suoi occhi era solo un’immagine effimera. Un sogno. E nulla di più. Perché la sua famiglia era svanita lo stesso giorno in cui il suo Johan era stato ucciso. O forse prima. Nel momento stesso in cui il primo ordigno esplodeva in quel supermercato. Da allora la sua famiglia, o quella che avrebbe potuto avere era stata distrutta. Cancellata.
I suoi occhi fissano i cavi dell’ordigno lasciati scoperti dall’agente. E si rende conto di non provare più nulla. Neppure odio verso l’uomo che le ha ucciso il marito anni prima. È stanca, Amanda. Stanca di tante cose. Stanca di soffrire. Stanca di combattere. Stanca anche di cercar vendetta. Accarezza lo schermo del timer, quasi stesse sfiorando la guancia di un amante. Le labbra le tremano un momento. La mano si abbassa sul cavo reciso. E sa esattamente cosa deve fare. Un sorriso aleggia sul volto pallido, mentre attiva manualmente la bomba. Finalmente avrebbe riposato.

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-Cassidy! Cassidy!- La guardiamarina Michela Sacks schizzò fuori dall’auto federale con una velocità fuori dal comune, un razzo candido dal portamento militare.
-Mamma!- La bimba riconosce la sua tutrice all’istante, e sgambetta impaziente, imprigionata dall’abbraccio di Gibbs, che con un sorriso la lascia andare. Quasi inciampa per tuffarsi nell’abbraccio rassicurante della donna, che non riesce a trattenere qualche lacrima di sollievo. Poi, come se si fosse ricordata in quel momento di una cosa molto seria, Cassidy scioglie un pochino l’abbraccio. -Posso chiamarti mamma, vero?- Michela esplose in una risata tra le lacrime.
-Puoi chiamarmi come vuoi, tesoro!- L’abbraccio si fece più serrato, protettivo, mentre la piccola rideva. Accanto a Gibbs, Kate sorrise teneramente. Michela sarà anche un militare, ma prima di tutto è una donna, ed una donna con una bambina, poco importa il grado di parentela. Ed ha mantenuto la promessa che gli aveva strappato Tony all’ospedale. La mora sente pungere un occhio. Con uno scatto si asciugò all’istante una lacrima di commozione, sperando che il suo capo non l’abbia notata. Gibbs sorrise di fronte all’ingenuità di quel gesto inutile, ma fece finta di nulla. Si voltò in direzione dello stadio, ed il sorriso scomparve, sostituito da uno sguardo granitico. Non aveva dimenticato che mancavano ancora due persone all’appello.

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Tony aveva superato la stanza in cui era stato imprigionato già da un pezzo, quando lo sentì. Un rumore. Nitido, quasi assordante nel silenzio del cantiere in disuso. Si guardò attorno, allarmato. Ben lontano dall’aver scordato che la Rudolph era ancora nell’edificio. Scrutò il buio per lunghi istanti, finché non ne trovò la fonte. Rimase lì, sorpreso ed immobile.
-No … Questo no …-

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Kate era nervosa. Erano passati quasi dieci minuti, e Tony non si era ancora fatto vivo. Aveva già resistito qualcosa come tre volte all’impulso di schizzare a cercarlo. Solo l’apparente calma di Gibbs le aveva impedito di ricacciarsi in quel dedalo di corridoi e pilastri bui. Continuava a camminare avanti e indietro, sbuffando e lanciando occhiate impazienti all’entrata del cantiere. La domanda le rimbombava nella mente come una pallina in un flipper. Dove diavolo si era cacciato Tony? Avrebbe voluto gridarlo, ma sapeva che nessuno dei presenti era in grado di risponderle.
Ed infine cedette. Con passo sicuro si diresse dentro lo stadio.
-Adesso basta! Vado a cercarlo!- Non aveva fatto neppure un paio di passi, che la mano di Gibbs l’aveva trattenuta per un braccio. -Lasciami, Gibbs!- Kate cercò di liberarsi dalla presa del suo superiore, ma era inutile. Era troppo salda. Una vena d’irritazione la attraversò: nel giro di due giorni aveva sperimentato troppe volte, per i suoi gusti, che la forza fisica dei suoi colleghi era maggiore della sua. Forse avrebbe dovuto fare una sessione intensiva di palestra … Gibbs la costrinse a guardarlo negli occhi.
-Non è il momento di …- La mora non sentì mai il seguito della frase. Un’enorme esplosione ricoprì ogni rumore, talmente improvvisa da assordare tutti i presenti. Quando il fumo e le polveri si diradarono, la metà posteriore dello stadio non esisteva più. Solo un cumulo di macerie.
E quando Kate riuscì a riprendersi dallo shock dello spavento, il suo cervello fece due più due. L’edificio, anche se solo in parte, era crollato. E questo poteva solo voler dire che Tony non era riuscito a disinnescare la bomba. La gola le si era improvvisamente seccata, e non solo per la polvere che impregnava ogni centimetro cubo d’aria. Con gli occhi sbarrati, fece qualche passo verso ciò che restava dell’edificio.
Una serie di lacrime le correvano sulle guance, senza che lei riuscisse a trattenerle. Perché l’agente Todd lo sapeva. Erano pochissime, se non nulle, le possibilità che il suo collega fosse ancora vivo. Ma Kate, la semplice Kate, la donna che stava dietro all’agente federale, si rifiutava di crederci. Rifiutava anche solo di pensarlo. Perché avrebbe voluto dire lasciare insoluta la questione con Tony, e soprattutto, non rivedere più il suo sorriso. Nè quello strafottente che sembrava prendere per i fondelli tutto il mondo, né quello sincero, adulto, rassicurante, così raro da essere prezioso. Abbandonando la razionalità, si lanciò di corsa verso le macerie, ma di nuovo nel giro di pochi minuti, la mano di Gibbs la bloccò, costringendola a fermarsi, ancora contro la sua volontà, a pochi metri dall’ingresso di quello che doveva essere uno stadio.
-Lasciami, Gibbs … Perfavore!- La voce della donna era poco più di una supplica. Supplica che l’ex marine non esaudì. Pochi istanti, e Kate crollò. Cominciò a piangere. Quasi non si accorse che Jethro le cingeva le spalle con un braccio, per darle un qualche conforto. Si lasciò semplicemente andare ai singhiozzi, quasi più di rabbia che di dolore. Perché non avrebbe mai potuto perdonare Tony di aver fatto quell’idiozia. Ma così come lui, non sarebbe riuscita a perdonare neppure se stessa. Per non averlo fermato. Per non aver chiarito a tempo debito tra loro. Per aver aspettato così tanto, per capire che le barriere tra loro erano solo nella loro testa. Per non aver voluto ammettere, neanche con se stessa, che si era innamorata di quell’idiota donnaiolo da strapazzo di Anthony Dinozzo.
-Kate …- La voce calma e comprensiva di Gibbs cercò di scuoterla, con fare quasi paterno. Kate si liberò dall’abbraccio, colma di stizza e dolore. E gridò conscia che le sue parole finivano rivolte al vento.
-SEI UN IDIOTA, ANTHONY DINOZZO!!!-
-Ma non perdi mai occasione per ricordarmelo? Mai una volta che mi dicessi che so … Che sono bello, simpatico, altruista … Affascinante …- Colta da un semi infarto, la mora si voltò di scatto. Impolverato, ammaccato e ansimante, ma decisamente vivo, l’agente Dinozzo se ne stava a pochi metri da lei, appoggiato ad un pilastro di cemento, una mano nascosta all’interno della giacca.
-Perché ci hai messo tanto, Dinozzo!- Sibilò Gibbs col suo tono seccato. La preoccupazione già dimenticata. Tony sorrise e tirò fuori la mano dalla giacca, tirandone fuori un batuffolo grigio miagolante.
-Francis!- Trillò Cassidy, sfuggendo all’abbraccio della zia, e schizzando dal suo gattino.
-L’ho trovato mentre venivo via …- Spiegò Tony, mentre porgeva la bestiola alla bambina.
-E la Rudolph?- Domandò Jethro. Tony scosse la testa.
-Non so che fine abbia fatto, capo. Ma prima di uscire, posso assicurarti che la bomba l’avevo disinnescata …-
-Capisco …- Mormorò l’ex marine. Non era difficile immaginarsi come una bomba disarmata potesse esplodere. Qualcuno l’aveva riattivata. Solo allora Dinozzo focalizzò la sua attenzione su Kate, che fino a quel momento non si era mossa di un millimetro.
-Bhe, Kate, non mi dici niente? Non mi dirai che non ti sei preoccupata neanche un pochino …- Senza neppure guardarlo, la mora poteva immaginarsi benissimo il sorriso vagamente beffardo di Tony, che sotto la polvere e il sangue, la prendeva in giro. Di sicuro Tony si stava godendo la scena, trovando la sua disperazione divertente. Di colpo ogni briciolo di paura svanì, sostituito da una stizza sfociante nella rabbia. Con un ringhio inferocito, Kate si lanciò contro il collega, cominciando a tempestargli il petto di pugni.
-Idiota idiota idiota idiota!- Ed una lunga serie di altri epiteti poco simpatici che costrinsero Michela a tappare le orecchie a Cassidy. Tony la lasciò sfogare, finchè questa non cadde in un pianto liberatorio. Passata la disperazione, passata la rabbia, ciò che le restava era il sollievo. Si abbandonò contro il petto dell’uomo. Stava facendo la figura della pazza isterica, ma almeno si sarebbe goduta la sua vicinanza per qualche minuto, quel tanto che le sarebbe bastato per liberarsi della tensione accumulata. Quando poi Tony la cinse con le braccia, seppellì il viso contro la sua spalla, per nascondere il sorriso che quel gesto le aveva fatto sbocciare sulle labbra. Rimasero così, abbracciati per qualche minuto. Kate si crogiolava in quel calore protettivo e rassicurante, mentre Tony gustava il profumo dei suoi capelli, ancora presente, nonostante l’odore di polvere ed esplosivo. Entrambi ben lungi dal voler interrompere qual contatto fisico. Ma ci pensò la voce dell’innocenza a far tornare i due agenti con i piedi per terra.
-Mamma, ma i due signori sono fidanzati, vero? E quando si sposano?- Un momento di silenzio generale avvolse il quintetto. La semplice domanda di Cassidy era suonata come un allarme. Michela non sapeva esattamente cosa rispondere, non sapendo come stavano le cose tra Tony e Kate. Gibbs aveva sfoderato uno sguardo di puro ghiaccio, e la promessa di un bello scappellotto a testa ai suoi agenti aleggiava nell’aria. Kate e Tony, dopo qualche istante di congelamento, si staccarono a razzo. Kate rossa con sfumature bordeaux, Tony con un’improvvisa tosse, da lui attribuita al pelo di gatto. Jethro mantenne le iridi cristalline per un lungo minuto puntate sui due agenti, che sudavano freddo. Poi spostò lo sguardo verso gli agenti che si davano da fare con le macerie dell’esplosione.
-Andiamo. Qui ci penseranno quelli della squadra speciale … Ah, Dinozzo?-
-Sì, capo?-
-Pulisciti la faccia. Sembri uscito da uno dei film horror di Abby!- Tony si passò una mano sul volto. Non si era più tolto il sangue e si era raggrumato. Kate, indecisa se ridere o tirare un sospiro di sollievo, diede una pacca amichevole al collega.

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-Ahia!-
-Avanti, Tony la vuoi smettere di fare il bambino? Ho quasi finito.- Esclamò Kate, esasperata, mentre cercava di disinfettare il taglio sullo zigomo di Tony. Quando erano tornati in ufficio, Kate si era offerta di fare la crocerossina. Ma i continui capricci dell’uomo l’avevano fatta pentire amaramente.
-Sei tu che hai la mano pesante! Ma chi ti ha insegnato, Mike Tyson?-
-Ancora una parola, Tony e giuro che ti faccio vedere cos’altro ho imparato …- Sibilò la mora, premendo più forte la garza sul taglio. Ignorando il mugolio di dolore di Tony, Gibbs avvisò che gli uomini della squadra speciale avevano trovato dei resti umani tra le macerie, vicino al punto dov’era avvenuta l’esplosione.
-Dovranno fare gli esami del DNA, ma sono quasi sicuri che si tratti della Rudolph.- Spiegò l’uomo, mentre si accasciava sulla sua poltrona. Un sospiro di sollievo si diffuse nell’ufficio. In qualche modo, quella storia era finalmente finita. E, cattivi a parte, non ci avevano rimesso la vita altre persone. Michela e la piccola Cassidy avrebbero potuto vivere senza più il terrore dello spettro di Richard O’Connell. Tony, in qualche modo, aveva chiuso un capitolo oscuro del suo passato. I sensi di colpa nei riguardi di Amanda Rudolph, d’ora in poi, se ne sarebbero rimasti per sempre sepolti in fondo alla sua coscienza. Nella mente degli agenti, però rimaneva ancora un dilemma. “Perché?” Quale era stata la ragione scatenante di quella scia di morte? Fu McGee a trovare tale risposta. Richiamò l’attenzione dei presenti sventolando una busta giallina con la mano sana, per poi posarla sulla scrivania davanti a Gibbs.
-Hey, guardate che cosa ho trovato!- Incuriositi, Tony e Kate si avvicinarono al loro superiore. Con un sorriso orgoglioso, Tim spiegò quale fosse il contenuto della busta, mentre Gibbs l’apriva. -È la cartella clinica della Rudolph. Riguarda una visita fatta poche settimane prima dell’inizio delle pazzie di Johan Smilton.-
-Era incinta.- Lesse Gibbs.
-Non mi sembra una novità, capo …- Borbottò Tony, che venne freddato da un‘occhiataccia dell‘ex marine, mentre McGee completava il resoconto.
-Ma era già stata diagnosticata una gravidanza a rischio. Ed il feto era malformato. Nelle ultime radiografie si vede bene. Se anche la Rudolph fosse riuscita a portare a termine una gravidanza così difficile, il bambino sarebbe nato con forti handicap, sia mentali che fisici.-
-Forse …- Kate deglutì. -Forse è per questo che Smilton ha disposto quelle bombe …- Gli occhi dei tre colleghi uomini si piantarono sulla mora, assetati di risposte che una pro filers era decisamente più in grado di dare rispetto a loro. -Sì … Voglio dire … Da quello che abbiamo visto, Amanda era ossessionata dall’idea di avere una famiglia. Figli, marito e quant’altro. Probabilmente Johan non era diverso. Ora, se non sbaglio, c’è un particolare che accomuna tutti i luoghi delle esplosioni.- Gibbs annuì.
-Ognuno di quei posti era collegato ai bambini. Nei supermercati si vedono sempre madri a far la spesa con i figli … -
-Il figlio della Rudolph avrebbe avuto handicap mentali, se fosse nato. Niente biblioteca e scuola come tutti, per lui.- Continuò Tony.
-Non parliamo poi di andare allo stadio … Il sogno di ogni padre, è quello di portare il figlio a vedere la squadra del cuore disputare un incontro.- Sospirò McGee. -Ma la casa?-
-Il bambino avrebbe dovuto crescervi. E tutto era già pronto per accoglierlo.- Spiegò Gibbs, riponendo i fogli nella busta. -Un motivo più che ovvio per volerla distruggere. Anch’io avrei voluto farlo con la casa delle mie ex mogli …- Un sorriso fugace si disegnò sulle labbra dei tre agenti, oramai in procinto di uscire. Era stato un weekend davvero sfibrante. Nella sede dell’NCIS erano rimasti soltanto loro. Gibbs salutò la sua squadra ricordando che per l’indomani voleva un rapporto dettagliato sul caso. Con un borbottio di disapprovazione, McGee si diresse al laboratorio, dove Abby lo aspettava. Tony e Kate si attardarono in ufficio. Un silenzio carico di tensione calò tra i due. Avevano atteso così tanto di poter restare per un po’ da soli, che adesso non avevano la più pallida idea di come e da dove cominciare. Come sempre, fu Tony il primo a cominciare.
-Allora … Finalmente siamo soli, eh?-
-Già …- Mormorò Kate, che improvvisamente aveva preso interesse per la punta delle sue scarpe, troppo imbarazzata per alzare lo sguardo sul collega. Si faceva schifo da sola. Peggio di una ragazzina al primo anno di liceo. E sì che con tutto quello che aveva passato con lui, non avrebbe dovuto avere grandi difficoltà a parlargli guardandolo in faccia! Ma l’angolo più pauroso e imbarazzato della sua testa sapeva solo che il momento che temeva di più in assoluto era arrivato, e stavolta non ci sarebbero state malate di mente o esplosioni di sorta ad interromperli. Sussultò, quando Tony riprese la parola.
-Dovevamo fare un discorsetto, noi due, vero?>-Kate sussultò quando si rese conto che la voce di Tony veniva da pochi centimetri dal suo volto. Senza che lei se ne fosse accorta, le si era avvicinato, e con una delicatezza infinita, le stava sollevando il mento con una mano, in modo che fossero faccia a faccia. La mora si sentì arrossire. Gli occhi di Tony erano esattamente come quando l’aveva baciata dopo l’esplosione. Profondi e caldi.
-Vero …- Le labbra dell’agente si distesero in un sorriso. Kate non potè fare a meno di ricordare il momento in cui lui l’aveva baciata. Ad un tratto le venne voglia di sentire di nuovo il sapore delle sue labbra. Mandando al diavolo l’imbarazzo, la donna colmò la distanza che separava la sua bocca da quella di lui. Piacevolmente sorpreso dell’improvvisa temerarietà della collega, Tony approfondì il bacio, e le cinse la vita con il braccio, mentre con la mano libera le toglieva una ciocca di capelli dal viso. Kate da parte sua fece aderire perfettamente il suo corpo a quello dell’uomo, e gli mise le braccia attorno al collo. Il bacio durò molto più a lungo rispetta alla prima volta. Dopotutto non c’erano bombe pronte ad esplodere da un momento all’altro, escludendo i loro stessi cuori impazziti di gioia. Si staccarono solo per mancanza d‘ossigeno, ma già disposti a ricominciare subito.
-Dì, ma non dovevamo fare un discorsetto, noi?- Domandò ridacchiando Tony, mentre Kate si accoccolava contro il suo petto.
-Per parlare c’è sempre tempo, no?- Rispose lei. Tony scoppiò in una sonora risata. Solo lo sguardo corrucciato che gli rivolse la mora lo fece smettere.
-È che credo che la mia presenza ti faccia male … Stai cominciando a pensare come il sottoscritto!- Si scusò lui, leggermente impacciato. Kate rimase qualche istante in silenzio, poi scoppiò a ridere a sua volta.
-Sei un idiota …-
-Se non me lo dicevi cominciavo a preoccuparmi ….- La risata dei due echeggiò per tutto l’ufficio, in cui gli unici testimoni di quella notte erano le lampade al neon delle scrivanie, che emanavano una particolare luce soffusa, quasi ideale per l’occasione. Quella sera, sarebbe stata solo loro, non dell’agente Todd o dell’agente Dinozzo. Solo di Kate e Tony. Le persone che stavano dietro gli agenti. Sarebbe stata una notte fatta per scoprirsi a vicenda, senza maschere e senza distintivi. Forse sarebbe stato troppo presto perché si potessero pronunciare alcune parole come “ti amo”, ma per le parole ci sarebbe stato tempo. Ora c’era solo una notte. Due persone, un uomo ed una donna. Ed una luce soffusa.

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Gibbs rimase a contemplare il cielo. Era una bella serata, dopotutto. Ed anche se si trovava all’ingresso della sede dell’NCIS, in piena città, le stelle mostravano tutta la loro lucentezza, al cospetto di una luna sottile, ma non per questo meno imponente.
-Ancora qui, Jethro?- Domandò Ducky, col solito impermeabile, mentre si sistemava il cappello.
-Così pare.- Fece l’ex marine, con un’alzata di spalle. Il medico legale gli si avvicinò.
-C’è un cielo stupendo, questa sera.- Gibbs annuì. Non c’era molto da dire tra loro. Quando ci si conosce da tanto tempo, le parole possono anche diventare superflue. -Dimmi Jethro … Hai intenzione di fare qualcosa, per quei due?- L’ex marine sorrise. Non c’era bisogno di saper leggere nel pensiero per capire a chi si stava riferendo l’amico.
-No. Non per il momento. Voglio lasciarli in pace, almeno per stasera. Non è il caso di fargli sapere che so già tutto …- Il sorriso si trasformò in un ghigno divertito. -Tanto, gli scappellotti sono come le parole. C’è sempre tempo …-

-Fine capitolo 11-

-THE END-

T-T… Buaaaaaah! È finita! La mia fic è finita! È assurdo, sono triste …
Ma quanto accidenti di zucchero ci ho messo, in questo finale?! Se lo leggesse gente che mi conosce mi prenderebbe in giro a vita! Questa non sono io!!! Giuro! O meglio ... lo sono, ma solo per le fan fic ... e spesso neppure per quelle. Le parti romantiche sono quelle che mi danno più difficoltà in assoluto. bhe, fatemi sapere che ne pensate, se devo cambiare stile, se devo smettere di scrivere, se vi va di leggere altre mie fic su NCIS!

Salutissimi!!!
Will
  
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