cap36(prologo Terza Parte)
CAPITOLO 0.3
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
[Sei mesi dopo...]
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
Steve ebbe l'istinto fisico di
rivoltare il divano sulla testa di Tony. Fece fatica a resistergli.
«Non
puoi farlo, Steve.
È una cazzata!» continuava a dire Tony, e Steve
continuava
a combattere la voglia di eliminarlo fisicamente.
«Stark,
con tutto il
rispetto, non vedo come queste possano essere faccende che ti
riguardano» ribatté con biasimo.
Aveva avuto la pessima idea di confidarsi con lui e ora ecco la
conseguenza.
Avrebbe
dovuto aspettare che
Thor tornasse dal suo appuntamento con Jane e parlare con lui, ma no,
era stato troppo istintivo, non aveva pensato e adesso... e adesso
doveva subirsi una sceneggiata di un incomprensibilmente isterico Stark.
«Hai
chiesto tu il mio giudizio!» affermò Tony
allargando le braccia.
«Un
momento, io te ne ho
parlato per avere un consiglio non un giudizio.» Lo corresse
Steve puntandogli contro l'indice.
«Appunto!
E io ti consiglio di non farlo.»
Sospirò,
o meglio, ringhiò sottovoce.
«Non
ti ho chiesto un consiglio sul farlo o meno, ma sul come
farlo.»
No, era
stata davvero l'idea più stupida del mondo.
«Manchi
il centro della questione, Rogers. Non puoi farlo. Tutto qui.»
«Per
amor del cielo,
spiegami per quale motivo non dovrei farlo?!» Non capiva per
nulla la sua riluttanza, la sua insistenza, neanche fosse lui a doversi
sposare!
«Steve,
da quando la
conosci? Una settimana? Due? Non basta. Ascolta uno che delle donne ne
sa qualcosa: non basta una vita per capire cosa gira nella loro testa.
Non puoi legarti a una di loro a vita solo perché
è
carina, ha un bel sedere e fa dei cocktail fantastici. Devi conoscerla
davvero, davvero bene.»
Steve si
umettò le labbra e si accarezzò stancamente gli
occhi con le dita.
«Ok,
a parte che sono
sei mesi e dodici giorni,» iniziò mentre Tony
sollevava
scenicamente le sopracciglia, «Io ho deciso di sposare Linn
perché la amo, lei ama me e so che è quella
giusta.
Chiaro? E poi se non la smetti di guardarle il sedere ti spezzo le
gambe» terminò serio mentre Stark gonfiava le
guance in
maniera infantile.
«È
la mia
assistente e di solito sono sempre chinato sul bancone del laboratorio
quando è nei paraggi. Non è colpa mia se i miei
occhi
sono all'altezza del suo sedere.»
«Beh,
la prossima volta tieni gli occhi incollati sul tavolo.»
«Ok,
come ti pare, ma
adesso non cambiare discorso, Rogie. Il matrimonio non è un
passo importante, è un passo sbagliato. A prescindere!
È
una catena che ti viene legata al collo e che stringe ogni giorno che
passa. È claustrofobico e avvilente e- Oh tesoro, sei
tornata?!»
Tony
disegnò un sorriso
intanto che Pepper entrava nella stanza. Pepper però non
rispose
al suo sorriso mentre lo guardava gettando una cartellina sul tavolo di
vetro.
«Firma
questi,» gli comandò e Tony recuperò
immediatamente una stilo dal portapenne.
«Come
desideri, amore
mio.» Steve lo guardò scuotendo il capo. Ecco chi
parlava
di catene... «A te.»
Tony le
porse nuovamente i documenti e Pepper glieli strappò
letteralmente dalle mani.
«Claustrofobico
e avvilente?» chiese palesemente infastidita.
Tony
strinse le labbra e annuì.
«Hai
sentito quello che stavo dicendo, giusto? Beh, io mi riferivo a
Rogers.»
Pepper lo
ignorò e guardò lui.
«Portala
in un luogo
dove si senta a suo agio, comprale un anello che rappresenti
ciò
che provi quando le sei accanto, ma nulla di troppo estroso che
potrebbe distogliere l'attenzione da ciò che è
davvero
importante in quel momento, e cioè il tuo amore. Poi ti
inginocchi e la guardi come fosse lei il gioiello più
prezioso
che esista. Le prendi la mano, le sorridi e semplicemente glielo
chiedi.»
Steve
sentì il cuore
battere sotto ogni parola che Pepper pronunciò riuscendo a
disegnare nella sua mente quell'esatto istante, poteva vedere gli occhi
di Linn, il loro luccichio, le labbra che avrebbero sorriso e
avrebbero sospirato quel sì.
Percepì
la gola secca per l'agitazione e l'attesa.
«Grazie,»
rispose
soltanto e Pepper gli strizzò un occhio con un sorriso
furbo,
poi guardò Tony prima di andare via e per lui non ci fu
altro
che un'occhiataccia dura.
*
«Il
capitano si sposa?» chiese incredulo Clint poggiando i piedi
sulla scrivania.
«Io
l'ho sempre detto
che l'ibernazione gli ha fregato le principali funzioni
neurologiche» mormorò Tony sorseggiando la sua
bibita.
«Le farà la proposta
venerdì.»
«Wow...»
sospirò Barton incrociando le braccia dietro la testa.
«Steve che si sposa. E tu che dicevi che sarebbe rimasto
vergine
a vita.»
«E
sarebbe stato meglio.
Adesso per colpa sua sono diventato il fidanzato brutto e cattivo che
non vuole impegnarsi...» Tony rise. «Che
idiozia!»
«Stark,
tu sei un
fidanzato di merda che non vuole impegnarsi. E non serviva il
matrimonio di Steve per dimostrarlo.»
Clint aveva
ragione, ma Tony non aveva poi troppa intenzione di confermarglielo.
«Sono
sicuramente meglio di Thor. Lui si è scopato
Loki!» affermò orgoglioso e Clint sorrise.
«Questo
è vero. Però si sta impegnando con la Foster.
Ieri l'ha portata al cinema.»
«Mh...
originale.»
Clint
ridacchiò divertito.
«Avanti,
quand'è
stata l'ultima volta che hai portato Pepper al cinema o a cena fuori?
Ammettilo, Tony: sei un fidanzato schifoso.»
Tony stava
per rispondergli quando la porta di vetro si aprì e Linn
entrò con un vassoio.
Fece a
Clint un cenno di stare zitto e l'accolse con un sorriso.
«Linn,
tesoro, mi hai portato un Manhattan?»
«Ne
ho preparati due. Sempre che anche Clint lo gradisca.»
«Oh,
non dico mai di no
a un po' di alcol gratis.» Sorrise Barton scendendo
finalmente
con i piedi dal tavolo e afferrando il bicchiere.
«Grazie.»
«È
solo un piacere.»
Linn
abbracciò il vassoio al petto e andò via.
La porta si
chiuse con uno sbuffo.
«Presto
avrai come
assistente la “signora Rogers”,»
mormorò Clint
sorseggiando il cocktail e tenendo lo sguardo ancora fisso sulla porta.
«Linn Rogers... mh, suona bene.»
Tony
svuotò il bicchiere con un solo sorso.
«La
porterò a
teatro» affermò sicuro. «E poi a
Venezia, o a teatro
a Venezia. O ancora meglio, noleggio tutte le gondole presenti e
organizzo un concerto di archi sul Canal
Grande. Che ne dici?» chiese euforico.
Clint
sollevò un sopracciglio e tornò a poggiare i
piedi sulla scrivania.
«Come
ti pare, Tony. Ma credo dovrai impegnarti di più.»
Tony
sospirò sbattendo la testa sul tavolo.
«Jarvis?» bofonchiò.
«Sì, signore?»
«Di'
a Linn di portarmi uno scotch, doppio...»
«Sarà fatto, signore.»
Barton,
sadico bastardo, ridacchiò ancora assestandogli qualche
pacca sulla schiena ricurva.
«Sei
fregato, Stark.»
Cavolo se
non era così.
Maledetto Rogers!
*
Thor
rientrò appagato
per il bel pomeriggio trascorso con Jane. Erano stati allo zoo, e aveva
visto quasi tutti gli animali esistenti su Midgard. Era incredibile
come dopo tutto quel tempo non avesse ancora avuto modo di vedere tali
esseri meravigliosi.
Fischiettò
sommessamente mentre l'ascensore saliva e le porte si aprivano. Quella
sera si sarebbero rivisti e Jane gli avrebbe mostrato gli studi su cui
stava lavorando, e anche se Thor era sicuro che non ci avrebbe compreso
molto, sarebbe stato bello vedere i suoi occhi illuminarsi mentre gli
raccontava di quella scienza che amava tanto.
Era stato
difficile
all'inizio, aveva provato timore e dubbio, si era chiesto se le cose
sarebbero mai tornate come un tempo. Ma stava funzionando, lentamente,
a piccoli passi. Si stavano conoscendo ancora, forse si stavano
conoscendo per la prima volta.
Gli
capitava sovente, nelle
sue notti solitarie, di pensare ad Asgard, alla sua casa. Di pensare a
sua madre e a suo padre, e si domandava quando sarebbe stato pronto a
tornare, quando sarebbe stato pronto a rivederli.
Pensava
anche a Loki, spesso, pensava a suo fratello e si chiedeva se stesse
bene.
Si
rispondeva di sì, era ottimista, perché sapeva
che non era più solo.
Le parole
di Linn erano state
stordenti appena udite, era stato strano e spaventoso sapere cosa era
accaduto, sapere che quella parte di sé che aveva provato a
soffocare e dimenticare era adesso reale, e che era al suo fianco.
Adesso
riusciva a ricordare
perfettamente quei giorni, ricordava perfino quella richiesta fatta a
Freyja su di un balcone, ricordava quando era stato lei. Ricordava
eppure non sentiva.
Sigyn...
Avrebbe
voluto vederla, ascoltarla, capire.
A volte
avvertiva un vuoto in fondo al petto, una mancanza di aria, una
mancanza di sé.
A volte la
sognava, sognava di averla di fronte e parlarle. Sognava che fossero
ancora un'unica entità, un unico cuore.
A volte
desiderava essere ancora un unico cuore.
Poi vedeva
Jane e il suo sorriso, e si diceva che c'era tempo, che adesso il tempo
era l'unica cosa che non gli sarebbe mancata.
Attraversò
ancora il
corridoio e si diresse verso la sua stanza. Fury gli aveva
concesso un alloggio nella struttura dello S.H.I.E.L.D.
Era un modo
per tenerlo
sottocchio, lo sapeva bene, però era comunque grato. Si
sentiva
meno solo, si sentiva meno in colpa quando incontrava lo sguardo degli
agenti e non leggeva più rimproveri o accuse.
Era una
vita diversa, nuova, ma che era deciso ad affrontare senza
più segreti o bugie.
Sarebbe
stato sempre onesto
per Jane, per i suoi amici, per la Terra che lo aveva accolto
nuovamente e gli aveva dato una seconda possibilità.
Quando
aprì la porta scoprì che c'era qualcuno, che
aveva un ospite.
«Steve?»
lo chiamò e l'amico si alzò dalla sedia su cui
era seduto.
«Ehi,
ti aspettavo. Spero non ti dispiaccia se sono entrato.»
Thor scosse
il capo con un sorriso mentre gettava la giacca sulla piccola branda.
«Non
c'è
problema» rispose e notò subito una strana
agitazione che
lo avvolgeva. Aggrottò la fronte e gli chiese se stesse
bene.
«È successo qualcosa, Steve?»
«No,
nulla...
cioè, sì.» Si strofinava le mani e
sospirava in
maniera insolita. Steve era sempre pieno di autocontrollo, anche
dinanzi alla situazione più drammatica o delicata, sapeva
cosa
dire e cosa fare.
Era uno
scudo, era il vero scudo di tutti.
«Cosa
agita i tuoi pensieri, amico mio?» chiese ancora preoccupato
e Steve sospirò nuovamente.
«Ok,
volevo parlartene,
anzi avrei dovuto farlo visto che ne ho parlato prima con Stark ed
è stata una pessima idea e poi credo che anche Nat lo sappia
quindi...» farfugliò e Thor iniziò
seriamente a
preoccuparsi.
«Steve?»
lo chiamò incerto e aspettò che in qualche
maniera si calmasse.
Alla fine
sembrò trovare una parvenza di controllo e lo
guardò dritto negli occhi.
«Voglio
chiedere a Linn di sposarmi.»
Thor non
seppe cosa dire per i successivi secondi, poi si aprì in un
sorriso e lo abbracciò con calore.
«È
meraviglioso, Steve. È una notizia felice!»
affermò stringendolo fra le braccia.
«Ancora
non mi ha detto
sì, però. Credo dovremmo lasciare a dopo gli
entusiasmi» mormorò Steve quando sciolse il suo
abbraccio.
I suoi occhi avevano una strana luce, una luce bellissima e Thor
provò tanta tenerezza nel vederla.
Sapeva
quanto Steve amasse Linn e quanto Linn ricambiasse quei sentimenti.
Provava un profondo affetto per quella che un tempo era stata una
fedele ancella ed era poi diventata la più sincera di ogni
amica.
Quando gli
era sembrato di
aver perso tutto, Thor aveva trovato in Linn la persona a cui confidare
i suoi timori e le sue incertezze, e Linn sapeva sempre cosa dire per
ridargli fiducia e speranza. Se non fosse stato per lei forse non
avrebbe mai avuto la forza necessaria per riprovarci con Jane.
«Sono
certo che
dirà di sì. Non esistono ragioni per cui non
debba
farlo.» Lo rassicurò e Steve sembrò
davvero
rincuorato.
«Sono
venuto
perché eri il primo a cui volevo dirlo e anche se le cose
sono
andate diversamente, beh, dovevo dirtelo. Ecco... Venerdì.
Glielo chiederò venerdì.» Steve sorrise
imbarazzato
e Thor gli poggiò la mano sulla spalla e la scosse
amichevolmente.
«Sii
sereno. Sarà un gaudio giorno.»
Steve gli
donò un altro sorriso meno incerto e rispose con un cenno
del capo.
«Ok,
allora vado prima
che Nick mi dia per disperso.» Si avvicinò poi
alla porta.
«Ah, se dovesse dire sì, cosa in cui spero
fortemente,
vorrei che tu fossi il mio testimone. Che ne pensi?»
Thor
sorrise intenerito dalla sua espressione.
«Sarebbe
solo un onore, capitano Rogers» rispose.
Steve era
tanto sicuro e
impavido sul campo quanto fragile nella sua vita privata. L'aveva
imparato con il tempo, l'aveva imparato dai suoi sguardi, dai suoi
silenzi.
E Thor non
mentiva quando
diceva che era un privilegio, la sua amicizia era un dono prezioso che
si sarebbe impegnato a far brillare ogni singolo giorno.
Steve gli
disse grazie,
come se ne avesse bisogno, e poi uscì.
E Thor,
rimasto solo, non poté che sorridere ancora.
₪₪₪
Il
corridoio era buio, troppo
buio. Il giorno in cui Loki avesse deciso di aggiungere qualche lumiera
sarebbe stato sempre troppo tardi.
Colpì
con lo stinco una statua e per poco non la fece cadere sul pavimento.
Brontolò
infastidita,
passandosi le dita sulla zona momentaneamente indolenzita, e
provò ad attraversare quel corridoio senza fracassare nulla.
Quando
arrivò alla cucina fu felice che almeno lì ci
fosse un bel fuoco a illuminarla.
Si
avvicinò alla grande
cesta con la frutta al centro del tavolo e mosse l'indice alla ricerca
di qualcosa da mangiare. La scelta fu come sempre semplice:
afferrò una grossa mela rossa e la portò al naso.
Ispirò a fondo e sorrise sentendone l'aroma dolce.
La fece
saltare nel palmo un
paio di volte mentre ritornava nella stanza, stavolta evitando
accuratamente la statua di quello strano serpente che sostava nel bel
mezzo del corridoio.
Non amava
particolarmente quel
posto, ma non aveva mai voluto renderlo troppo palese eppure era certa
che Loki lo avesse intuito. Era per questo che il più delle
volte se ne andavano in giro per i regni, in lande selvagge dove si
poteva cacciare alla vecchia maniera, con mezzi rudi e per questo
più interessanti, dove si poteva accendere un fuoco alto
come
una quercia e cucinare, dove si poteva fare l'amore sotto le stelle
senza celare alcun suono o richiesta.
Oppure
erano cerimonie, eventi
speciali, rituali così antichi che Sigyn rimaneva ogni volta
stupita dalla profonda conoscenza di Loki. Dovevano celare i loro nomi,
qualche volta Loki perfino il suo aspetto per evitare di imbattersi in
qualche avventuriero così sciocco da voler provocare il Dio
del
Caos. Ma era sempre intenso, ogni singolo giorno, ogni singola notte in
sua compagnia, e ne erano seguite tante seppure Sigyn non ne era ancora
sazia.
Voleva i
suoi sorrisi, la sua
voce, le sue carezze, perfino le urla e gli insulti, perché
Loki
non le aveva più nascosto nulla di sé, neanche
quei
riflessi bui che alle volte arrivavano a spaventarla, ma che mai
l'avrebbero allontanata.
Passò
dinanzi alla sala dove il grande trono ne governava l'ambiente.
Sollevò
un angolo delle labbra dando un morso al frutto che teneva nella mano.
“Che ci fai con quel trono?”
“È una seduta come
un'altra.”
“Una seduta alquanto
ingombrante...”
“Forse, ma sorprendentemente
comoda.”
Ricordava
le sue parole, il suo sorriso, ciò che ne era seguito.
Sigyn non
aveva cambiato idea: era una seduta ingombrante ma, Loki aveva poi
avuto ragione, particolarmente comoda.
Sorrise
ancora masticando
rumorosamente la mela, sapendo che non c'era nessuno da svegliare e che
Loki era già desto, ma che fingeva di dormire per
sottolineare
ancora una volta la sua mancanza di eleganza e buone maniere.
Ma Sigyn,
pur volendo, non
poteva cambiare ciò che era, ciò che era sempre
stata, e
sebbene Loki dicesse il contrario, sapeva che neanche lui voleva che
cambiasse. Altrimenti non l'avrebbe inseguita così a lungo.
A adesso,
finalmente, non
c'era più nulla da inseguire né rimpiangere.
Adesso
avevano tutto quello che avevano desiderato, anche se in maniera
diversa da come aveva creduto.
Non c'era
Asgard, non c'era
Thor, ma andava bene comunque. C'era Loki, e ci sarebbe sempre stato,
per lei e con lei, e questo era ciò che contava davvero.
Svoltò
l'angolo per tornare nelle loro stanze quando avvertì uno
strano brivido solcare la sua pelle nuda.
Si
voltò ma non vide
nulla. Le fiamme delle candele non vibravano, non c'era stato un soffio
di vento o altro. Era stata più che altro una sensazione.
Si
guardò attorno
un'ultima volta e poi decise di ignorare quella sciocca percezione. Era
il sonno, il freddo, forse la fame.
Mangiò
ancora la sua mela chiedendosi se non fosse il caso di recuperarne una
seconda.
Accadde
ancora: stavolta fu diverso, stavolta avvertì distintamente
una carezza sulla sua schiena.
Afferrò
velocemente lo stiletto tenuto nella mano di una statua e
scrutò con attenzione l'ambiente.
Non poteva
esserci nessuno, nessuno era in grado di varcare la soglia di quella
dimora.
Sigyn non
sapeva ancora oggi
dire dove fosse, in quale punto dell'universo si ergesse,
perché
Loki si era limitato a dire che era un luogo sicuro, un luogo
impossibile da trovare e violare, come una crepa nascosta fra i rami di
Yggdrasill.
Non
esisteva modo che alcuno, di qualsiasi razza o forma, potesse giungere
lì se non su volontà di Loki stesso.
C'erano
solo loro due e quindi quella sensazione poteva essere giustificata
solo con una risposta: illusioni.
Sigyn
abbassò l'arma con un sospiro rassegnato.
Loki aveva
voglia di giocare.
Poggiò
lo stiletto su
un piano di legno e continuò a mangiare la sua mela
finché non giunse al torso e poi la lasciò cadere
accanto
alla lama. Se Loki si divertiva a prendersi gioco di lei, si sarebbe
divertito anche a raccattare i rifiuti che avrebbe lasciato in giro.
Tornò
sorridente nella
loro stanza. Loki era sdraiato con lo sguardo chiuso e, palesemente,
fingeva di dormire. Il lenzuolo copriva appena le sue gambe e lasciava
scoperte le spalle e parte del fondoschiena.
Un invito
troppo allettante che Sigyn non poteva lasciarsi scappare.
Si
avvicinò al letto e
vi salì con passo felpato, si chinò poi e gli
lasciò un morso sul sedere sentendolo brontolare infastidito.
«Le
mele erano
finite?» Si sentì chiedere mentre si stendeva
accanto a
lui. Aveva ancora lo sguardo celato ma presto le palpebre si
sollevarono.
«Per
tua fortuna
no,» rispose con un sorriso divertito e Loki tornò
a
chiudere gli occhi. «Mh... Ti vedo stanco»
insinuò
ancora Sigyn piegando entrambe le braccia dietro la testa, ma Loki non
sembrò voler cedere alla sua provocazione.
Gonfiò
le guance e sospirò annoiata.
Non aveva
molto sonno e
continuava ad avere fame, ma non le andava di tornare in cucina,
soprattutto perché era quasi certa che stavolta si sarebbe
tirata addosso quella dannata statua.
«Loki?»
lo
chiamò sottovoce senza ricevere risposta. Si
piegò quindi
su un fianco, poggiando la fronte contro la sua e lo chiamò
ancora, facendo scorrere l'indice sulle sue labbra. «Andiamo,
svegliati...»
«Ci
aspetta un lungo
viaggio domani» affermò lui tornando a guardarla.
«Vanaheim non si raggiunge con un incantesimo, lo hai
dimenticato? Dovremo camminare, e camminare molto anche. Ed
è
tua l'idea di andare fin lì.»
«Lo
so bene e ti
lascerò dormire serenamente se solo mi materializzi quel bel
cesto di frutta che c'è in cucina... Per
favore...» Gli
chiese con una dolcezza che aveva imparato riusciva sempre a piegarlo
in qualche modo. Era uno dei tanti vantaggi dell'essere donna.
Loki
sospirò ma mosse
leggermente le dita finché, sul comodino accanto, Sigyn non
vide
apparire la stessa frutta che aveva visto poco prima nella cucina.
Sogghignò
soddisfatta e lo baciò.
«Grazie!»
«Non
è un
regalo...» sottolineò Loki mentre tentava di
chiudere
ancora gli occhi e Sigyn sapeva cosa volesse dire.
Sorrise
mentre afferrava stavolta qualche grappolo di uva.
«Ti
ha mai detto nessuno
che un rapporto fra due persone è fatto anche di azioni
prive di
tornaconti? Di gesti genuini compiuti al solo scopo di rendere felice
la persona che si ama?» chiese retorica mangiando un acino
bruno.
«E
a te ha mai detto
nessuno che non si sputano a terra i semi dell'uva?»
ribatté lui tenendo gli occhi chiusi e Sigyn rise colpevole
lanciandogli addosso un chicco e mangiandone un altro. «Stai
mettendo su peso, tesoro. Se fossi in te smetterei di abbuffarmi a
notte fonda.»
Stavolta
gli tirò addosso una grossa pesca che lo colpì
alla testa.
«Sei
tu che dovresti
mettere un po' di muscoli su quelle ossa!» Lo
provocò
continuando a colpirlo bonariamente con varia frutta finché
Loki
non alzò la mano e afferrò al volo una mela.
«Intendi
dire che devo
aggiungere massa muscolare in previsione del tuo aumento di peso? Non
ne vedo il motivo: di solito sei tu a stare sopra.»
Sorrise
guardandola con occhi assonnati ma divertiti e Sigyn si
umettò le labbra con aria di sfida.
«Ti
conviene tornare a
dormire. Credimi.» Lo minacciò e Loki
ridacchiò
poggiando ancora la guancia sul cuscino.
«Se
la smetti di far
piovere vegetali sulla mia testa, lo farei molto volentieri. Non ho
portato qui quella cesta affinché diventasse il tuo
arsenale...»
Sigyn
sorrise e lasciò
cadere la sfida. Gli accarezzò i capelli e lasciò
che le
sue carezze lo accompagnassero fin dentro i suoi sogni.
Mangiò
ancora un po' di uva, stavolta senza sputarne i semi.
La notte sembrò non
trascorrere mai. il silenzio, di solito dolce e rassicurante, la
inquietava. Quella notte sembrava diversa.
Provò
a stendersi, a chiudere gli occhi e trovare una posizione che
l'aiutasse a dormire ma fu tutto inutile.
Riaprì
le palpebre nella penombra della stanza, in cui la tenue luce di un
lume rendeva tutto di un caldo arancio.
Il mattino
seguente sarebbero
dovuti giungere da Freyja, o meglio, incamminarsi. Sigyn aveva bisogno
di parlare con la regina Vanr, voleva dirle ancora grazie, ma
soprattutto, voleva farle delle domande.
Aveva mille
ricordi, mille
immagini nella sua testa di quella vita in cui aveva vestito il nome e
il corpo di Thor, eppure non serbava un solo sentimento nel cuore.
Vedeva i
visi dei suoi
genitori, quello dei suoi compagni, quello degli amici di Midgard.
Vedeva i momenti che avevano trascorso l'uno accanto all'altro,
ricordava ognuno di quei momenti ma la loro essenza non le apparteneva.
Tutte
quelle emozioni, belle e
brutte che fossero, erano il bagaglio emotivo di Thor, erano nel suo
cuore e lei ormai non ne faceva più parte.
Faceva dei
sogni, che non erano sogni ma memorie. Loro da piccoli, due bambini,
due fratelli.
Sigyn
viveva quei sogni eppure non ne percepiva la consistenza.
Rivisse
quel giorno alle
colline di Yord, quando Odino insegnò loro a cavalcare,
quando
si ruppe il naso per la prima volta.
Ricordava
il dolore, la paura, l'umiliazione. Ricordava tutto eppure non sentiva.
A volte
sognava se stesso,
sognava di averlo di fronte e parlargli. Sognava che fossero ancora
un'unica entità, un unico cuore.
A volte
desiderava essere ancora un unico cuore.
Si
svegliava sempre con la pelle imperlata di sudore e Loki la stringeva a
sé senza chiederle nulla.
Loki non le
chiedeva dei suoi
sogni, dei suoi incubi. Non le chiedeva della malinconia che le copriva
gli occhi quando avvertiva quella mancanza. Loki non le aveva neanche
chiesto perché volesse giungere a Vanaheim,
perché forse
conosceva la risposta.
Voltò
il capo e guardò il suo viso assopito, le labbra schiuse e
il respiro calmo.
Allungò
una mano e gli
sfiorò una guancia. Lo faceva spesso, come per sincerarsi
che
fosse lì, che fosse reale e non un'illusione.
Forse Loki
faceva lo stesso quando lei dormiva. Le piaceva pensare che fosse
così.
Il suo
stomaco brontolò ancora e sospirò stanca,
costretta a sedersi e recuperare ancora qualcosa da mangiare.
Prese
un'altra mela.
Loki aveva
ragione. Doveva
smetterla di mangiare così spesso, ma non riusciva a
controllare
quella strana fame che l'aveva assalita nell'ultimo periodo. Aveva dato
colpa a quel particolare stato emotivo, in fondo era tutto
relativamente nuovo. Benché avesse già indossato
quel
corpo un tempo, mai le era appartenuto così a lungo, mai
aveva
dovuto accettare che sarebbe stato suo per sempre.
Sorrise fra
sé
ripensando alla prima volta che aveva sanguinato come una donna, quel
senso di disagio e imbarazzo di cui Loki aveva riso. Poi era stato
più facile il mese successivo e quello dopo ancora,
finché anche quella stranezza non era divenuta
normalità,
la sua nuova normalità.
Stava per
dare un altro morso alla mela quando, letteralmente, le cadde dalle
mani.
*
Loki non
sapeva dire se fosse
giunto prima lo schiaffo e poi il calcio. Fatto sta che si
ritrovò sveglio, e decisamente irritato.
«Loki!»
Ancora un
colpo sulla spalla nuda.
«Cosa
ti prende, adesso?» le chiese sedendosi stancamente, mentre
spostava indietro i capelli umidi.
Quando mise
a fuoco l'immagine
che aveva davanti, notò che Sigyn era alquanto pallida, i
suoi
occhi decisamente allarmati e lo stava scuotendo ancora.
«Quando
siamo stati ad Alfheim?»
«Che?»
mormorò assonnato stropicciandosi gli occhi.
«Quando
siamo stati alla festa dell'equinozio su Alfheim?»
Tenne per
sé un
sospiro. «Durante l'equinozio?!» ribatté
retorico,
ancora non comprendendo il perché di quella domanda e di
quello
stato. «Si può sapere perché me lo
chiedi?»
Ma Sigyn
spostò lo sguardo sulle lenzuola anche se sembrava guardasse
un punto ben più lontano.
«Due
mesi fa...» sospirò debolmente. «Era due
mesi fa...»
Adesso Loki
iniziava appena a
preoccuparsi. Sapeva che c'erano pensieri che Sigyn non condivideva con
lui, che le rabbuiavano lo sguardo, ma aveva sempre scelto di donarle
il suo spazio, perché non osava perdere ciò che
adesso
aveva: lei.
Ciò
che aveva fatto
Freyja, ciò che aveva scelto di fare Thor, Loki riusciva a
malapena ad accettarlo. Era sempre stato un uomo di conoscenza, un uomo
che aveva domande e pretendeva risposte, eppure di fronte a quella
realtà aveva preferito tacere, far tacere orgoglio e domande
e
limitarsi a viverla.
Ma adesso,
davanti agli occhi quasi smarriti di Sigyn, Loki non riusciva
più a tacere.
«Cosa
succede?» chiese sfiorandole la mano. «Cosa
è accaduto due mesi fa?»
Sigyn
finalmente lo guardò e Loki attese secondi che parvero ore.
«È
stata l'ultima
volta che io...» Si bagnò le labbra e scosse il
capo con
un sorriso stranamente dolce. «È
impossibile.»
«Cosa
è
impossibile, Sigyn?» chiese ancora, quasi più
agitato per
quel cambio di atteggiamento che per il suo sconclusionato discorso.
«L'ultima
volta che ho
sanguinato» rispose lei e a quel punto Loki ebbe timore di
aver
compreso. Il sorriso di Sigyn si allargò e le sue guance
presero
colore. «Sai cosa significa questo?»
A quella
domanda, a quella notizia, Loki non aveva risposta.
Il suo
cuore era appena salito fino alla gola strozzando perfino la
volontà di respirare.
Le diede le
spalle e si alzò dal letto passandosi una mano sul viso.
No, non
poteva essere.
«Loki?»
Si sentì chiamare e sapeva quale sentimento le stava
attraversando il cuore.
Si
voltò solo quando gli parve di aver raggiunto un certo
controllo del suo battito cardiaco.
Sul viso di
Sigyn una maschera di timore.
«Sei
incinta...»
disse lui con un sospiro, come a ribadire quel pensiero che sembrava
fare tanta paura, e lei sorrise, dolcemente, quasi con un'insolita
timidezza.
«E
non sei felice?»
Loki non
seppe rispondere
perché il sentimento che provava non aveva un nome. Era un
insieme di emozioni, intense come un incendio nella carne, e
altrettanto impossibili da domare.
Si sedette
nuovamente sul letto, poggiando il palmo contro le lenzuola e guardando
il pavimento di legno sotto i suoi piedi.
«Un
figlio...» sibilò appena udibile.
Sentì
la mano di Sigyn sulla sua, e la sua guancia posarsi contro la sua
spalla.
«Un
figlio a cui non dovremo rinunciare, un figlio che vivrà...
Un figlio nostro, Loki.»
Si accorse
di star tremando
solo quando Sigyn avvolse le braccia attorno al suo petto, si rese
conto di piangere solo quando gli asciugò le lacrime con le
labbra.
*
Sigyn lo
tenne stretto per interi minuti, ore, per tutta la notte.
Dalla
grande finestra della camera, la notte profonda iniziava a tingersi di
arancio.
Aveva
tenuto il capo poggiato
contro la sua schiena e le dita gli avevano accarezzato
ininterrottamente i lunghi capelli neri, mentre Loki aveva continuato a
essere avvolto dal più denso dei silenzi.
Sigyn
attese che fosse lui a
infrangerlo, che fosse lui a voltarsi e mostrarle il viso umido, i suoi
occhi arrossati e le labbra lucide.
Gli
accarezzò ancora i capelli, li scostò dalla
fronte madida di sudore e vi posò un bacio.
Loki non
infranse il silenzio con le parole ma ricambiando quel bacio.
«Ti
amo, sempre e per
sempre,» le sospirò poi baciandola ancora,
stringendola
lui forte fino a rubarle il fiato, nascondendo il viso fra i suoi
capelli biondi. «E lo amerò come amo te. Lo
difenderò con la vita, gli insegnerò tutto quello
che
vorrà conoscere e mai le mie labbra pronunzieranno parole
che
potranno ferirlo. La sua felicità sarà la mia, e
nei
secoli che verranno sarò un padre di cui potrà
dirsi
fiero.»
Le lacrime
lasciarono anche i
suoi occhi sotto quel giuramento che Sigyn, sapeva, Loki non avrebbe
mai tradito. In quelle promesse tutta una vita in ombra, una vita in
cerca di amore e accettazione che sembrava non essere mai davvero
giunta.
Conosceva
le sue colpe, le
colpe di Thor, di ogni parte del suo cuore, e le Norne sapevano quanto
avrebbe voluto cancellare ogni più piccola ferita che gli
aveva
causato, ogni ferita che Odino e Asgard avevano causato al suo amato
fratello.
«Lo
sarai»
affermò con voce malferma con le braccia avvolte attorno
alle
sue spalle e il cuore a battere forte contro il suo petto.
«Sarai
un buon padre.»
«E
tu una pessima madre, ma ti vorrà bene comunque.»
Sigyn gli
tirò affettuosamente i capelli. «Perché
devi sempre rovinare tutto?!»
«È
il mio straordinario talento» sospirò Loki con
quel piccolo sorriso dolce che tanto amava.
Gli
accarezzò il viso e lo baciò.
«No,
è solo uno dei tanti, fratello.»
A volte lo
chiamava ancora
così, a volte sentiva il bisogno di chiamarlo
così e mai
una di quelle volte Loki le aveva rimproverato quella parola. Le
sorrideva e lasciava al silenzio qualsiasi risposta.
Le sorrise
anche quell'alba
nuova eppure antica come la memoria, mentre quella piccola vita
germogliava forte e coraggiosa dentro di lei.
Nessun
peccato, nessuna colpa.
Ed era
perfetto così.
۞۞۞
La taverna era calda, l'odore
insopportabile.
Il vociare
degli uomini sfumò gradualmente mentre camminava a passo
deciso, facendo risuonare i tacchi sul pavimento.
Un passo
dopo l'altro, finché ogni occhio fu su di lei,
finché non giunse al bancone e la vide.
Aspettò
che si voltasse, che non mostrasse alcuna sorpresa, che le sorridesse
con le sue labbra rosse.
L'uomo che
le sedeva al fianco
la guardò duramente, ma bastò un gesto della mano
per
farlo accasciare al suolo senza ulteriori indugi.
La taverna
tacque.
«Non
credo fosse
necessario, Amora...» la richiamò lei con un
sospiro
stanco, osservando il corpo che giaceva ai suoi piedi. «Cosa
ti
porta da me, sorella mia?»
Amora si
avvicinò e si poggiò al bancone di legno.
«Ho
bisogno del tuo aiuto, Lorelei,» rispose. «E non
puoi dirmi di no.»
«Mi
erano giunte voci
della triste disavventura con il tuo ultimo alleato...»
mormorò sua sorella impertinente e Amora storse il naso.
«Mai
lasciar fare a un uomo il lavoro di una donna»
affermò. «Adesso l'ho capito.»
Lorelei la
guardò a lungo per poi sorridere maliziosa, facendo scorrere
fra le dita una ciocca di capelli vermigli.
«E
cosa hai in mente, cara sorella?» le chiese, e Amora non
poté che ricambiare quel sorriso.
«Niente
di complicato,» spiegò. «Solo una
piccola vendetta.»
Continua...
Note Finali
Andiamo, credevate davvero fosse finita così?!
(~ω^)
Questo capitolo altro non è che il prologo della terza e
ultima
parte della serie ma per chi non avesse la pazienza (o la voglia) di
aspettarla, può essere letto come una fine aperta.
Onestamente non so quando avrò il tempo per scriverla,
probabilmente se ne parlerà in autunno, perciò
buttate
pure i calendari. Ok? XP
Piccolo appunto:
Lorelei è un personaggio del canon ed è apparso
anche nella serie tv “Agents
of S.H.I.E.L.D.” rappresentando un nemico di
lunga data di Asgard.
C'è poco da dire: l'ho amata, e quindi eccola qui come new
entry del cast ;P
Bene, lascio qui l'ultimo saluto e l'ultima lacrima, come da titolo, e
vi auguro una buona estate e una meravigliosa vita <3
Un abbraccio e alla prossima avventura!
È tempo di matrimoni e culle... e di altri complotti.
Kiss kiss Chiara
|