Heidi rimase immobile per
un lungo momento. Non sapeva cosa fare. Dubitava che seguendo Alex ci avrebbe
capito di più riguardo alla sua scelta, e ancor più dubitava che seguirla
sarebbe servito a farle cambiare idea. Le era sembrata così determinata… così
tranquilla… Rabbrividì inconsapevolmente quando si rese conto che sarebbe stata
lei a dover dire a Bill cos’era successo. Chi altri? C’era solo lei li con Alex.
Riprese a sgomitare tra la
folla, l’espressione corrucciata. Che immenso, gigantesco casino. Perché doveva
essere proprio lei a comunicare a quel cerbiatto allampanato la fuga della sua
amata? Le capitavano sempre ruoli di quel genere. Non era un caso che nelle
recite scolastiche lei interpretasse sempre il cacciatore della fiaba di
Biancaneve, o la nonna mangiata dal lupo. Tutti presagi. Scosse la testa come
usava fare di solito quando qualcosa la infastidiva e raggiunse i quattro
bellimbusti. Dei quattro in realtà ne vide solo uno a portata di mano, l’ultimo
che desiderava incontrare.
Bill sfarfallò le ciglia
su di lei, salutandola con un sorriso da fata madrina, e poi guardò oltre le sue
spalle, frugando tra la folla alla ricerca di qualcuno. Peccato che quel
qualcuno probabilmente ora sarà troppo lontano, pensò Heidi, cercando di
sorridere. Per un istante pregò che Bill non le facesse quella domanda, ma il
quesito le arrivò ugualmente tra capo e collo.
- Dov’è Alex? – chiese,
sbattendo le ciglia degli occhioni nocciola. Heidi non tentò più di sorridere,
lasciò che le sue espressioni facciali venissero guidate dallo stato d’animo.
- Bill… - disse,
appoggiandogli una mano sul braccio, cercando di farsi sentire sopra il brusio
incessante della folla e sul battere ritmico della musica – Alex non c’è. Se n’è
andata –
Bill aggrottò la fronte,
stranito.
- Cos’è successo, si è
sentita male? – chiese.
Dannazione, dannazione,
dannazione! Maledetto cerbiatto inutilmente grazioso!
Heidi scosse la testa, non
trovò il coraggio per dire altro. Finalmente Bill parve capire. Lo sentì
irrigidirsi sotto la sua mano e raddrizzarsi di scatto. Riprese a frugare tra la
folla, lo sguardo febbrile.
- Da quanto? Da quanto
Heidi? – le chiese, le pupille dilatate, le mani sulle sue spalle. Aveva perso
molto della sua grazia sottile.
- Cinque, dieci minuti
forse… - rispose la ragazza confusa. Bill la lasciò andare e si immerse nella
folla, creando un vuoto attorno a lui. Tutti si spostavano quando lo vedevano
passare.
- Ma Bill… - sussurrò
Heidi. Troppo tardi, troppo lontano. Avrebbe dovuto scoprire da solo che Alex
non era fuori ad aspettarlo. La ragazza sospirò rabbiosamente.
Si portò le dita alle
tempie e tentò di tranquillizzarsi prima di proseguire la ricerca dell’altro
gemello. Respirò profondamente un paio di volte e poi riprese a guardarsi
intorno, cercando un cappellino familiare.
Passò in rassegna volti
sconosciuti, uomini eleganti, giornaliste travestite da pin-up, una bionda
avvinghiata ad un tipo…
Una bionda avvinghiata ad
un tipo?
Ritornò indietro con gli
occhi e studiò l’immagine con un po’ più di concentrazione.
Riconobbe la ragazza
bionda e alta che in fila non aveva fatto altro che guardarla schifata ad ogni
occasione che le si era presentata. Dritta come un fuso sui suoi sandali dorati
e splendenti, in tinta con il vestitino inguinale che era un tripudio di
riflessi abbacinanti, era intenta a coprire ogni centimetro libero del corpo che
aveva davanti, allungando le braccia come tentacoli. Teneva il viso premuto
contro quello del tizio in questione, che Heidi non riusciva a vedere in viso.
Poi all’improvviso la ragazza si staccò ed Heidi vide… qualcosa che non doveva
vedere. Qualcosa che non avrebbe voluto vedere.
Tom quella sera non
portava il cappellino, aveva solo una bandana annodata sotto la coda, che in
altri momenti l’avrebbe fatta ridere, e anche tanto. Ma chissà perché l’unica
cosa che le veniva da fare in quell’istante era scoppiare a piangere. Sarebbe
stata una cosa patetica e molto poco nelle sue corde, ma pensandoci in modo
irrazionale ed infantile, le sembrava la soluzione migliore. Ma non lo fece. No,
non lo fece.
Tom posò gli occhi su di
lei. Aveva sperato non si accorgesse della sua presenza fin quando non avesse
riacquistato le capacità motorie e si fosse allontanata di corsa da quel posto
orribile, ma non accadde. Improbabile che accadesse in effetti, visto che si
trovava a pochi centimetri da lui e dalla sua stangona bionda, e che li stava
guardando con espressione ebete da cinque minuti.
Il viso di Tom si
contrasse in una smorfia strana… ma non ebbe il tempo di identificarla.
- B-bei… bei sandali… -
balbettò, senza nemmeno sapere perché. Poi l’unico pensiero che le invase la
mente fu di andarsene. Uscire da li al più presto e senza ulteriori incidenti.
Si voltò e si immerse
nuovamente nella folla, facendosi largo a stento.
- Heidi! – sentì chiamare
dietro di lei. E la voce la conosceva bene. O se la conosceva bene.
Sgusciò sotto il braccio
di un cameriere ed urtò una donna. I tacchi la facevano barcollare. Spinse e
sgomitò fin quando non sentì l’aria fredda sul viso.
Alla sua destra le persone
si accalcavano le une sulle altre, in fila, per poter raggiungere l’interno del
locale. Taxi si fermavano e poi sgommavano via, in un miscuglio di suoni, odori,
voci, luci. Avvertì una lacrima scenderle lungo la guancia destra, inesorabile,
imperterrita.
Stupida, stupida, stupida!
Si guardò intorno cercando
un taxi libero.
- Ehi! Ehi! – urlò al
primo che le sfrecciò davanti, ma l’autista non si fermò. Forse lei non era
abbastanza VIP per poter pagare una corsa in modo decente.
- Razza di stronzo! –
sbraitò attirandosi addosso gli sguardi schifati della gente in fila – Beh? Cosa
avete da guardare?! – aggiunse rivolgendosi nella loro direzione. Li odiava
tutti, dal primo all’ultimo. Odiava quel vestito e quelle scarpe da deficiente
che si era messa. Se le sfilò con violenza dai piedi e le lanciò sul marciapiede
con furia. Un tacco si spezzò. Erano costate metà del suo stipendio, quelle
scarpe. Quel pensiero la calmò, trasformando la sua crisi isterica in fitte di
dolore al petto. Le faceva male dappertutto, come se qualcuno l’avesse presa a
calci. Un’altra lacrima seguì la prima, e poi ne scesero giù altre, silenziose,
salate. Con lo sguardo basso vedeva i suoi piccoli piedi, bianchi come il latte,
gelati sulle mattonelle grigie e sporche del marciapiede.
Che ingenua che era stata.
Immatura, sciocca. Si era fidata davvero… e non lo conosceva nemmeno così bene.
Ma le piaceva, o se le piaceva. Testimoni di quello stupido istinto erano la
gola che bruciava e i singhiozzi che cercava di reprimere, trattenendo il
respiro con ostinazione.
Che ingenua.
Tom trovò finalmente il
tempo di guardarsi intorno. Era riuscito a togliersi dalle scatole un paio di
giornalisti fastidiosi senza troppe cerimonie. Un lato piacevole della vita da
star era che poteva mandare a fare in culo chi voleva senza preoccuparsi che si
offendesse o meno. Del resto conosceva appena il cinque per cento della gente
che li circondava quella sera.
Non c’erano evidenti
tracce di Heidi nei paraggi, ma con tutta quella gente sarebbe stata un’impresa
riuscire ad individuarla. Adocchiò un punto sopraelevato: una pedana sospesa su
un fianco della pista da ballo.
- Georg, io salgo un
attimo su – disse dando una gomitata all’amico. Quello annuì e continuò a
parlare con una brunetta che aveva raccattato pochi minuti prima.
Proprio mentre stava per
avviarsi qualcuno lo afferrò per un braccio. Si voltò sperando di aver
finalmente trovato Heidi, ma le sue speranze sfumarono molto velocemente.
- Ciaoo! – esclamò la
ragazza di fronte a lui. Era alta, molto alta, con le due gambe chilometriche in
bella vista e un vestitino simbolico che brillava come un albero di natale.
Sbatté le lunghe ciglia degli occhi azzurri per un paio di volte, guardandolo
come se fosse un pollo arrosto, e non diede segno di voler staccare la mano dal
suo braccio. Stava evidentemente aspettando qualcosa…
Tom studiò meglio i
lineamenti del viso… e poi l’illuminazione. O almeno, sperava che lo fosse.
- Monia… ? – disse,
incerto.
Lei sorrise. Aveva
indovinato. Ma non era sicuro che fosse una cosa buona.
- Ti ricordi di me! –
trillò, avvicinandosi in modo imbarazzante.
Tom ricordava. Non era
successo troppo tempo prima. Due, forse tre mesi al massimo. Ricordava un
vestito molto simile a quello che indossava, varie effusioni nel privè di un
locale e poi una serata finita come tante altre. E nient’altro.
In meno di un secondo si
ritrovò con le braccia della semi-sconosciuta al collo.
- Sono così contenta di
rivederti! Ci speravo proprio sai? Che ne dici, dopo facciamo un salto in
albergo? – disse ad un centimetro dal suo naso. Tom sgranò gli occhi e fece per
aprire bocca, ma la ragazza parve interpretare quel gesto come un invito a
baciarlo, e fu proprio quello che fece. Lo incastrò in una stretta da lottatore
e lo baciò senza dargli possibilità di scampo.
Quando riuscì a spingerla
via sentiva di poter morire soffocato da un momento all’altro.
- Ma che caz… - esalò.
Poi vide qualcosa che non
avrebbe voluto vedere.
Heidi era di fronte a lui,
i grandi occhi nocciola spalancati e la bocca semiaperta. La trovò bella e…
scioccata. Comprensibilmente scioccata. L’aveva visto mentre era avvinghiato ad
una ragazza, era logico che avrebbe reagito. Sentì il panico attorcigliargli le
budella.
Oddio no. No, no, no…
- B-bei… bei sandali… - la
sentì balbettare, e non capì cosa c’entrassero dei sandali in quella
circostanza.
Poi Heidi si voltò e si
immerse nella folla. Tom ebbe un istante di esitazione e poi si lanciò dietro di
lei, divincolandosi dalle spire della bionda.
La perse quasi subito.
Provò a chiamarla ma lei non si voltò. Continuò la sua ricerca puntando verso
l’uscita, unico luogo verso il quale sapeva che Heidi si sarebbe diretta. Una
paura folle gli gelò il sangue. La sola idea che Heidi potesse andarsene senza
che lui le avesse spiegato tutto, gli incuteva terrore.
Raggiunse l’uscita senza
troppe difficoltà, ma una volta che fu sull’uscio davanti a lui si parò Tobi.
- Dove stai andando? –
chiese, con voce inespressiva.
- Esco un attimo – rispose
lui, come se stesse facendo la cosa più naturale del mondo.
- David ha detto di non
farvi uscire per nessun motivo – replicò l’uomo, incrociando le braccia.
- Tobi, non è davvero il
momento – disse Tom. Sudava freddo e gli sembrava assurdo.
- Non posso farti uscire,
Tom – ribadì il bodyguard.
- Tobi per favore. Te lo
chiedo per favore. Lo sai che non lo faccio mai. Ti prego, devo uscire adesso –
disse, lanciando occhiate dietro le spalle dell’uomo.
La vide. Ferma sul bordo
del marciapiede. La vide togliersi le scarpe e lanciarle per terra, vide la
gente guardarla come se fosse pazza. Ma lei era pazza. E anche lui. Tom sorrise.
- Guarda c’è Nena! –
esclamò d’un tratto. Tobi si distrasse e liberò l’uscita. Tom sgusciò sotto il
suo braccio appena un secondo prima che il gigante lo afferrasse per la felpa.
Si sollevarono gridolini e
brusio dalla fila, quando raggiunse il marciapiede. Tutti gli occhi di coloro
che erano presenti in quel momento erano posati su di lui. Cercò di
dimenticarsene, di eliminare tutti e tutto. C’era solo Heidi. Immobile,
tremante, con i piedi scalzi.
- Heidi – mormorò.
Heidi si voltò.
Qualcosa di ghiacciato le
bloccò il respiro.
Tom era davanti a lei,
stralunato, la felpa di traverso su una spalla.
- Non te ne andare, ti
prego. Fatti spiegare – disse, alzando le mani in segno di resa.
Una fitta intensa la
lacerò internamente. Non riuscì a parlare, ma riuscì a sollevare una mano e ad
abbatterla sulla guancia destra di Tom. Qualcuno urlò, molti trattennero il
respiro, da qualche parte alla sua sinistra. Ma non ci fece caso.
Tom non reagì, raddrizzò
il viso e fece finta che non fosse successo nulla.
- Non volevo baciarla! Mi
è praticamente saltata addosso, ti giuro! Te lo giuro su mio fratello, su mia
madre, su quello che vuoi! – prese a dire, sputando una parola dietro l’altra,
in una perfetta imitazione del suo gemello.
Heidi finalmente riuscì a
riacquistare il dono della parola. Ed anche quello della rabbia, purtroppo.
Lo spinse indietro. Altri
urletti, alcuni flash invadenti.
- Sei un bugiardo! –
ringhiò – Ho sbagliato tutto – disse poi, parlando più con se stessa che con
lui. Sentiva le lacrime asciugarsi sulle guance, e il freddo penetrarle nelle
ossa.
- Non sono un bugiardo.
Puoi dire quello che vuoi di me. Sono uno stronzo, un bastardo, una persona
superficiale, uno stupido, un ignorante, un insensibile, ma non un bugiardo.
Ascoltami Heidi – le posò le mani sulle spalle e lei cercò di divincolarsi. Ma
lui la strinse finché non si fermò, finché non le fece male – Ascoltami – le
ordinò, serio, quasi arrabbiato.
Heidi sollevò gli occhi ed
incrociò i suoi.
Cosa c’era stato tra loro?
Niente. Un bel niente. Solo qualche bacio, tanti insulti, e tenerezza di troppo
l’ultima volta che si erano visti. Non significava niente per Tom Kaulitz una
come lei. Lei non ci era andata a letto dopotutto… quella bionda sicuramente si.
All’improvviso si sentì avvampare, e si diede della stupida una volta in più. Ma
continuò a sostenere lo sguardo.
- Devo dirti una cosa
importante… - mormorò Tom.
Heidi fu sicura di vedere
con la coda dell’occhio un insieme di teste sporgersi verso l’esterno per
ascoltare. Era caduto un silenzio innaturale sulla fila. Si sentivano solo le
auto passare, il vento chiudersi dietro di loro.
Tom passò una mano dalla
sua spalla sinistra alla nuca. Le accarezzò i capelli ed Heidi lo odiò con tutta
se stessa. Lo odiò talmente tanto che smise di odiarlo due secondi dopo.
- Ti amo -
Fu certa che il cuore si
fosse fermato.
Fu certa di essere
diventata bordò.
Fu certa di aver sentito
male.
Fu certa del contrario
quando tutta la fila trattenne il respiro all’unisono.
Poi Tom la trasse a sé e
la baciò, in un tripudio di flash.
Vedeva le persone
osservarlo. Sguardi famelici, sguardi perplessi, sguardi invidiosi, sguardi
morbosamente curiosi. Ovunque c’erano occhi che non guardavano altro che lui. Il
vuoto attorno al suo corpo gli dava fastidio, per un folle istante ebbe il
desiderio di dover lottare anche lui contro una moltitudine di individui per
raggiungere la sua meta. Continuò a camminare in fretta, ripetendosi che era
meglio così, che avrebbe fatto prima, che avrebbe raggiunto in tempo Alex.
Perché sapeva che lei non era semplicemente uscita per una boccata d’aria.
Sapeva che c’era molto di più.
Raggiunse l’entrata, e
decise di prendere l’uscita di destra, dato che a sinistra Tobi controllava il
flusso di gente con l’espressione da mastino.
Le mani erano fredde, gli
sudavano. Tutte quelle luci gli facevano dolere le tempie. Ma era la paura che
spezzava una ad una le sue speranze. Una ad una, crudelmente, con metodicità.
Appena mise piede
all’esterno un coro di grida isteriche lo raggiunse, i flash lo accecarono.
Aveva sbagliato uscita, da li entravano i giornalisti.
Qualcuno gli afferrò un
braccio, strattonandolo indietro.
Gli giunsero voci alle
orecchie, ma per lui era tutto estremamente lontano. Si divincolò e continuò a
camminare nello spiazzo, gli occhi che percorrevano ogni centimetro di tappeto
rosso, ogni transenna, ogni taxi, ogni metro di cemento.
Un’altra mano lo afferrò,
tirandogli la manica del giubbotto di pelle. Qualcuno gli infilò un microfono
sotto la bocca. Di nuovo cercò di sfuggire dalla presa, ma non ci riuscì.
Trascinò con se la mano sconosciuta, accompagnata da un corpo altrettanto
sconosciuto, e raggiunse il bordo del marciapiede. Destra. Sinistra. Non c’era
nessuno. Non c’era nessuno.
Non c’era più.
Si immobilizzò. Le mani ne
approfittarono. Comparvero altri microfoni, altri registratori. Tutti urlavano
domande, tutti volevano un pezzo di lui. Lo strattonavano da una parte all’altra
per ottenere la sua attenzione. I flash tornarono ad accecarlo, la notte si
perse in un mare di baluginii argentati.
E la sua mente era
lontana.
Era ancora in preda al panico quando nella stanza entrò
qualcun’altro. Bill puntò lo sguardo su di lei. O meglio, su di loro.
Sulla porta sostavano tre persone. La prima che notò fu la
ragazza. Era alta, magra, con fluenti capelli rossi. Un rosso scuro, purpureo.
Aveva un bel viso. Pallido. Tratti regolari. Bocca morbida, dall’incarnato rosa
acceso. Ma gli occhi, gli occhi erano forse la cosa più bella. Erano grandi, di
un verde luminoso. Tanto luminoso che sembravano rischiarare la stanza. Non
ricordava di aver mai visto occhi del genere. Ne rimase aggrappato fin quando il
buonsenso o la dignità, non sapeva esattamente quale delle due, gli impose di
distogliere lo sguardo.
- Vediamo… se ti dicessi che… ci sono delle persone, delle
persone che… non devono assolutamente sapere che sono qui… - cominciò,
torturandosi le mani.
Stava dicendo la verità!
- Delle persone da cui sei scappato? – chiese Alex. Altra
domanda diretta.
- Si… si può dire anche così – rispose Bill. La ragazza
inclinò la testa di lato, una ciocca di capelli rossi le scivolò dal collo e le
percorse il braccio, fino ad adagiarsi sul gomito.
Non aveva mai preso in braccio un bambino. Come si faceva?
Impacciato, lo afferrò appena sotto le braccine e lo
sollevò cautamente. Era leggero… e morbido. I capelli ricci gli sfiorarono il
naso, solleticandoglielo. Aveva un buon odore… un misto tra latte e shampoo per
bambini. Non fece una piega quando lo prese in braccio, e si lasciò appollaiare
sulla sedia come nulla fosse. Continuò pero a seguire ogni suo movimento, fin
quando non si risedette al suo posto.
Bill lanciò uno sguardo in tralice a Joanne, che gli
sorrise incoraggiante, poi guardò di nuovo il bambino. Zachary sollevò un
piccolo indice verso di lui e dopo un attimo di suspense, scoppiò a ridere.
-
Non ci riesco – disse Bill abbandonando le mani lungo i
fianchi con aria disperata. Alex si rassegnò e gli passò le mani attorno al
collo, legandogli il grembiule dietro la nuca. Bill sentì la pelle del coppino
arricciarsi mentre guardava il lobo di Alex vicinissimo alla sua bocca. La sua
maglietta profumava di panni puliti, un odore che aveva sempre adorato.
Qualcosa si mosse sotto le sue dita. Il ragazzo abbassò lo
sguardo sulla testolina castana di Kevin. Non lo guardava, ma continuava a
tenergli stretta la mano. Pensò che non gli era mai capitato di tenere per mano
un bambino. Aveva tenuto per mano ragazze belle o solo carine, mezze nude o
trasandate, adoranti… ma mai un bambino. Ed era stato un immenso peccato, pensò.
Perché era bello sentire di poter proteggere qualcuno, solo tenendolo per mano.
Serrò ancora un po’ le dita attorno a quelle del nano malefico, stando attento a
non fargli male.
Era quella, la pace?
Vide Samuel abbracciare Alex, inginocchiandosi a terra come
loro, e lo stesso fece Kevin, cingendo la vita della ragazza. Zachary rimase in
piedi, ed allungò una manina paffuta sul capo di Alex, accarezzandole i capelli
ed emettendo strani gorgoglii sconnessi.
Rimasero li per un po’, interpretando una goffa imitazione
di famiglia.
Bill rifletté in pochi minuti che non aveva mai visto
niente di più vero in vita sua. Tutto era autentico, reale, scevro da ogni tipo
di patinatura. E non era bello, non era felice, non era positivo, ma la
preziosità di quel momento stava proprio li. Tutti si comportavano in modo
naturale e spontaneo. Abbracci teneri, pianti disperati e sinceri, conforto
disinteressato. E gli parve di ritornare alla vita, quella normale, quella che
aveva abbandonato appena dopo i quattordici anni. La vita che gli era venuta a
mancare, senza che lui se ne accorgesse.
- Ma così non ti concedi nulla. Sei talmente immersa nella
tua realtà da non poter nemmeno… fingere, sognare – si lasciò sfuggire, scosso
di nuovo dal desiderio di aiutarla, di sganciarla da quelle sofferenze che non
meritava.
Alex di nuovo fissò le iridi verdi, che nell’oscurità
continuavano a brillare per conto proprio, nei suoi occhi. Si avvicinò a lui ed
allungò una mano, portandogli una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio.
Poi si soffermò a guardarlo, regalandogli un sorriso. Un sorriso compassionevole
e tristemente complice allo stesso tempo. Gli passò un dito sulla guancia,
accarezzandolo dolcemente.
- E tu puoi sognare? –
Ritornò a vedere il mondo senza di lei.
Ed era il solito mondo. Il mondo conosciuto, dove non c’era più
nulla da sognare.
Focalizzò il viso della giornalista davanti a lui.
Raddrizzò la schiena, scosse leggermente la testa.
Sorrise, nel solito modo.
“Punta e sorridi, Bill. Punta e sorridi” gli ripeteva sempre il
fotografo del primo photoshoot che aveva fatto. E lui aveva imparato.
- Si, io e mio fratello ci stiamo divertendo molto – rispose alla
prima domanda che riuscì ad identificare – è una festa magnifica -
Qualcuno gli chiese delle indiscrezioni sull’album.
- Non possiamo rivelarvi nulla al momento, posso solo dirvi che
sarà dedicato a delle persone molto speciali… - abbassò lo sguardo, e vacillò
sotto il peso delle sua immagine, per un fugace istante – una persona molto
speciale – mormorò, ma nessuno sentì quell’ultima parte della frase.
E nessuno vide una lacrima trasparente e pulita sgorgare
dall’occhio di Bill Kaulitz, sporcarsi sulla guancia coperta di trucco,
tracciare una linea precisa sul suo mento e cadere sul colletto del giubbotto.
Bill Kaulitz sorrideva. Bill Kaulitz era una star. Bill Kaulitz
aveva avverato il suo sogno.
Era ragionevolmente impossibile pensare che fosse un ragazzo
triste.
EPILOGO
Tre mesi dopo
La mattina sapeva di caffè e latte.
Aprì gli occhi e sopra di lei fece capolino il familiare soffitto
bianco.
Dove prima c’era una crepa adesso era disegnato un lungo stelo
verde. Il disegno culminava in un grosso fiore dai petali arancioni. Charlie
l’aveva aiutata a dipingerlo pochi giorni dopo che era tornata a New York,
impietosita dalle sue preghiere.
Si alzò, i capelli spettinati che le scendevano lungo le spalle, i
piedi nudi che calpestavano il grande tappeto della stanza.
Già dal corridoio cominciò a sentire il cicaleccio della prima
colazione. Era piacevole ascoltar parlare coloro che le volevano bene di cose
stupide, leggere. Delle loro vite, di quello che non avevano voglia di fare, del
numero di cereali da dividere.
Quando entrò in cucina ad accoglierla per primo fu Zachary. Le
rivolse un sorrisino sdentato.
Joanne era alle prese con Kevin. Tentava di fargli ingoiare un
cucchiaio di sciroppo senza che se lo spalmasse di nuovo sul maglione. Il
bambino aveva preso l’influenza a scuola ed era ancora più incontrollabile del
solito.
- Buongiorno – disse Samuel vedendola. Charlie era seduta accanto a
lui ed usava tre smalti di colore diverso per dipingersi le unghie, uno dei
pupazzi ricuciti di Zachary sulle ginocchia.
Prese posto di fronte alla porta, come al solito.
La sua tazza preferita era già pronta, piccole volute di fumo si
sollevavano dal latte caldo.
- Oggi devo lasciarti con Kevin. Porto io gli altri bambini a
scuola – disse Joanne, ripulendo la bocca di Kevin. Il bambino aveva la faccia
contratta in una smorfia ridicola che la fece sorridere.
- Ok, vedrò di fare quello che posso con questo demonio tra i piedi
– rispose Alex facendo una linguaccia a Kevin.
- Quando la smetterete di includermi nella categoria “bambini”, ve
ne sarò così grata che smetterò di produrre bamboline woodoo, lo giuro! – disse
con voce zuccherosa Charlie, dipingendo meticolosamente il mignolo della mano
destra.
Alex rise e lasciò che il resto della famiglia proseguisse la
conversazione senza di lei. Ascoltare era piacevole quanto partecipare.
Lasciò cadere una piccola ciambellina nel latte. La guardò
galleggiare, giocando a farla sobbalzare con il cucchiaio.
All’improvviso sentì il bisogno di alzare gli occhi.
Nella sedia di fronte alla sua era seduto Samuel.
Non troppo tempo prima al suo posto c’era stato qualcun altro.
Alex osservò ancora per un minuto la porta ormai chiusa,
mordicchiandosi il labbro pensierosa.
Che tipo strano… beh, non tantissimo in effetti. Convivere
con Michael le aveva insegnato cos’era l’autentica “stranezza”. Vedere l’amico
che si era steso su un cornicione all’ottavo piano di un palazzo, quello era
stato strano. Oppure essersi fatta convincere a lanciarsi in una corsa giù dalla
discesa della 5th Avenue in un carrello della spesa, quello era stato strano.
Bill era forse… misterioso. Non esattamente strano. Anche se qualcosa di strano,
nello smalto nero un po’ rovinato che portava sulle mani come fosse una cosa
naturale, e nelle meches bionde che aveva, forse c’era. Scosse la testa e
ritornò alla sua scrivania. Dopotutto la stranezza era una cosa molto
soggettiva.
Era di nuovo di fronte a lei, con il dito di Kevin a mollo nella
tazza del latte, una smorfia disgustata sul viso. Le parve di vederlo sollevare
la testa e sorriderle dolcemente, come gli aveva insegnato a fare. Adorava quel
sorriso, era uno dei ricordi più belli in assoluto che conservava dentro di sé,
con cura.
Le capitava spesso di pensare a lui. Ci pensava in relazione a
piccoli gesti quotidiani. Il modo in cui prendeva la forchetta in mano a pranzo,
il modo in cui si annodava il grembiule al pub, quella strana abitudine di
inarcare un sopracciglio quando qualcosa gli sembrava inconcepibile. Ricordare
la rendeva malinconica, e a volte la spaventava rendersi conto di poter
riportare davanti ai suoi occhi ogni più insignificante particolare, ogni attimo
passato insieme.
- Alex, ne vuoi? -
Alex sobbalzò e guardò Samuel, che le porgeva un pacco di biscotti
al cioccolato. Aveva ricominciato a parlare normalmente da un mese, e sembrava
non avesse intenzione di smettere. Lui e Charlie erano diventati inseparabili.
- Si, grazie – disse.
Si guardò intorno, convinta che mancasse qualcosa. Sarebbe sempre
mancato qualcosa, ma forse il tempo l’avrebbe guarita.
Nel frattempo, lei avrebbe ricordato.
If I could
fly I'd come to see you wherever you are
I would lie down beside you while you're sleeping
and with simplicity ... I'd spend a little time
just a little time with you
With simplicity, I'd listen to your breath
listen to your heart beat
I would be so near, we could push away the fear
I'd come to see all of your tears
I'd come to see all of your smiles
with butterfly eyes ...
And you would know who I am
and I would know who you are
Se potessi volare verrei a trovarti ovunque sei
Mi sdraierei accanto a te mentre dormi
E con semplicità… passerei un po' di tempo con te
Con semplicità… ascolterei i tuoi sogni
Ascolterei il battito del tuo cuore
Sarei così vicina
Che potremo spingere via la paura
Verrei a vedere tutte le tue lacrime
Verrei a vedere tutti i tuoi sorrisi
Con occhi di farfalla
E tu sapresti chi sono
E io saprei chi sei.
THE END
RINGRAZIAMENTI
Siamo arrivati alla fine.
Mi sembra una cosa stranissima…
Come al solito, la mia
speranza è che questo capitolo vi sia piaciuto. Spero non troviate orrori di
grammatica (sarebbe a dir poco imbarazzante, visto che è l’ultimo capitolo XD),
ma se per caso mi fossi dimenticata qualche castroneria, vi prego di perdonarmi
(ero emotivamente scossa XD).
Ho un’ultima richiesta da
farvi, prima di lasciar posto ai ringraziamenti ad personam.
Vorrei che coloro che
hanno letto questa storia, e che mai hanno recensito, mi facessero sapere cosa
ne pensano, ora che è conclusa. Mi piacerebbe davvero avere un’opinione sulla
totalità della fan fiction, in modo da imparare cose nuove, trarre le mie
conclusioni e migliorarmi nella prossima che scriverò, visto che è già in
cantiere.
Sul serio, almeno ora che
è finita, fatemi sapere cosa ne pensate q_q. Anche due parole vanno bene ^^.
Finita la parte patetica,
passo a quella allegra.
Grazie alle cinquantotto
persone che hanno inserito questa FF nei loro preferiti. Un bacio grande a:
avuzza
BabyzQueeny
betta94_th
bluebutterfly
CAMiL92
Chamelion_
Ciuly
dark_irina
Dying Atheist
ElianaTitti
Eowyn 21 10
erikucciola
EtErNaL_DrEaMEr
Fee17
fragolina92
Frehieit489
Freiheit
FuckedUpGirl
GodFather
go_ila_go
Ihateyou
joey_ms_86
kashino
Kheth_el
Kimiko Kaulitz
Lales
lebdiesekunde
lilistar
lipsia8
Lithia del Sud
Lola__x
lovelylory
L_Fy
Mademoiselle Coquelicot
madine87
Miss SunShine
nihal_chan
noirfabi
Paaola
pervancablue
picchia
satanina
simmyListing
sole a mezzanotte
susisango
Temperance_Booth
tokiohotellina95
tokitoki
valux91
Vitto_LF
Vladimia
_Ellie_
_emosoul_
_IllusioN_
_midnight_
_Princess_
_PuCiA_
_xXtokiettaXx_
Un abbraccio stretto a
tutte quelle bellissime ragazze che mi hanno seguita passo passo nella
pubblicazione dei capitoli, prendendo un po’ del loro prezioso tempo ed
utilizzandolo per lasciarmi una recensione. Vi ringrazio di cuore. :***
Un ringraziamento speciale
alla mia beta reader, che altri non è se non:
bluebutterfly. Ti voglio bene *_*.
Un pensiero a Margherita, che
per prima ha sentito questa storia, quando non era altro che parole senza ne
capo ne coda.
Un bacio a mia sorella, a cui
è ispirato il personaggio di Charlie. Lei E’ Charlie. Ti voglio bene budazza (XD
lo so che ti arrabbierai quando leggerai questa cosa, ma tanto non ti conosce
nessuno XD ti amo :*).
Ringrazio i Muse, i Marlene Kuntz, i Radiohead,
gli Strokes, Elisa, i Verdena, i Baustelle, i Massive Attack, gli Oasis, i
Placebo, Erik Satie, Ludovico Einaudi e gli Arctic Monkeys per avermi fornito un
notevole aiuto in quanto ad ispirazione. A tal proposito, la canzone riportata
in termine di capitolo è: Simplicity, di Elisa. Potete ascoltarla qui se
desiderate:
http://www.youtube.com/watch?v=OFz2Rnkxm9Q.
Bene, credo di aver
ringraziato tutti.
Se questo finale vi avrà
deluso, mi dispiace, ma non sono riuscita a terminare la storia in modo diverso.
Per me esisteva solo questo termine. Pur avendo tentato di cambiare idea, alla
fine ho scelto di seguire l’istinto.
Un bacio a quei quattro
debosciati teutonici che prendo in prestito per dare sfogo alla mia frustrazione
folle ^^.
Alla prossima!
Claudia.
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