Capitolo
V
Kagami
si sentì gelare il sangue, il suo cuore saltò un
battito.
La
sua immaginazione doveva stargli giocando brutti scherzi: non c'era
nessuno di fronte a lui, quella che aveva vibrato nell'aria e ferito
i suoi timpani era soltanto l'eco lontana di un tuono. O almeno
cercò
di convincersene.
«C-cosa?»
fece qualche passo indietro, tastando il vuoto con la mano
finché
non trovò l'inizio del corrimano - che divenne
immediatamente il suo
sostegno -.
Himuro
restò immobile, continuando a fissarlo in silenzio, poi
ripiegò le
labbra in un sorriso docile, vagamente intenerito, come se avesse
appena detto la cosa più banale del mondo, come se non fosse
successo niente di grave.
«T-Tatsuya
...» Kagami lo chiamò con voce leggermente
arrochita a causa dello
spavento e della confusione, cercando di tenere lo sguardo fisso su
di lui - per quanto fosse difficile, visto che si era appena
autoproclamato assassino della persona che aveva amato -.
«Sei
fatto?» indugiò, ma pensò che non
poteva essere altrimenti: Himuro
aveva iniziato con roba leggera alle superiori e poi aveva conosciuto
l'eroina. Quella non sarebbe stata la prima volta, anzi, a Kagami era
capitato più volte di doverlo assistere mentre si trovava
sotto
l'effetto della droga, aveva avuto la sfortuna di sentirlo delirare e
dire cose che non stavano né in cielo né in
terra, vederlo mentre
si rovinava l'intera esistenza.
«Non
sono fatto.» ma il suo viso era perfettamente lucido, e il
fatto che
si fosse fatto improvvisamente serio era un'ulteriore conferma della
sua ragionevolezza.
«Beh
...» quando Himuro si avvicinò di un paio di
passi, le dita di
Kagami arrancarono contro la durezza del corrimano, annaspò
appena e
quasi non perse l'equilibrio, rischiando di cadere rovinosamente ai
piedi della scala.
«A
dire il vero non sono stato proprio io.»
Kagami
sgranò gli occhi, più per rabbia che per
incredulità: prima
entrava in casa sua confessandogli di aver ucciso Kuroko, e ora
faceva dietrofront e gli diceva che non era così? Lo
prendeva in
giro?
«Tatsuya,
piantala di dire una cosa e poi un'altra!»
ringhiò, strinse i denti
in una smorfia nervosa e, istintivamente, - forse perché
desiderava
semplicemente che fosse tutto falso -, sospettò nuovamente
che
l'altro fosse fatto e si convinse che doveva essere davvero
così,
che non era il vero Tatsuya a parlare, ma la droga.
«Diciamo
che io sono la mente.» Himuro, che era rimasto paurosamente
calmo e
riprese a parlare come se l'altro non lo avesse mai interrotto, come
se lui non lo avesse sentito.
«Sai
com'è: i bambini sono facili da convincere.»
Il
cuore di Kagami saltò un altro battito.
«Ba-»
balbettò, le labbra gli tremarono
«bambini?»
Himuro
socchiuse gli occhi e ispirò appena, dondolò il
capo su e giù e
sorrise.
Perché
parlava di bambini? Cosa c'entravano con l'assassinio di Kuroko?
Kagami
capì dopo qualche istante a cosa si stesse riferendo
l'altro, e con
un nodo alla gola che a malapena gli permetteva di respirare
sembrò
intenzionato ad abbandonarsi lungo il corrimano: di bambino che
poteva uccidere un adulto ne esisteva soltanto uno.
«Murasakibara?»
sussurrò flebilmente, incredulo e pensando che sarebbe
uscito di
senno di lì a poco.
«Io
gli ho promesso che gli avrei dato il mio amore se lo avesse ucciso,
e lui lo ha fatto.»
«M-ma
come?»
«Oh,
io questo non lo so: volevo solo che lo uccidesse, non mi interessava
il modo.»
Kagami
scosse la testa più volte, strizzò gli occhi e
schiuse le labbra in
un sospiro tremante, intenzionato a zittirlo ma senza riuscirci: se
non avesse temuto il venir meno dei sensi avrebbe scostato le mani
dal corrimano per tapparsi le orecchie.
«M-ma
che stai dicendo, Tatsuya?!»
Non
voleva più sentirlo, non poteva essere stato lui.
«Mi
dispiace, Taiga.» Himuro sembrò quasi sussurrare e
lasciò
sprofondare le mani nella tasca della giacca «ho resistito
per un
bel po' di anni, ma alla fine non ce l'ho fatta, mi si è
presentata
l'occasione e l'ho colta.»
«Perché?!»
Kagami era così indeciso fra il tirargli un pugno in faccia
o il
piangere tutta la sua delusione che finì per optare per il
restare
immobile, parlare fino a che la voce non si sarebbe esaurita -
presto, quindi -.
«Perché?
Taiga, lo dovresti sapere.» Himuro fece una piccola pausa, le
sue
labbra si incresparono in un sorriso amaro «so che mi
rifiuterai di
nuovo, ma non ce la facevo più a vedervi così
felici.»
Per
qualche secondo, Kagami non riuscì neppure a respirare:
l'aveva
detto davvero? Pensava ancora a due anni prima, quando gli aveva
detto di amarlo e lui lo aveva rifiutato? Pensava davvero che
uccidendo Kuroko sarebbe cambiato qualcosa? Certo, qualcosa era
cambiato, ma in peggio.
«Ma
come puoi pensare ad una cosa simile, Tatsuya?! Pensi forse che
adesso io sia disposto ad accoglierti a braccia aperte?!»
«Mi
dispiace.»
Kagami
fu pronto a ribattere ancora, ma le parole gli morirono in gola non
appena seguì lo sguardo di Himuro e lo vide estrarre una
pistola
dalla tasca della giacca.
«Per
lo meno, d'ora in poi, non sarai più di nessun
altro.»
Le
labbra di Kagami ebbero un fremito, il corpo fu scosso da un brivido.
Si sentì scottare, come se avesse avuto la febbre, e
confuso, come
se stesse delirando: non riusciva davvero a credere che Himuro avesse
detto quelle cose, che lo stesse minacciando con una pistola.
Bastava
poco per capire che si trattava di un delitto passionale, dettato
dall'irrazionalità dei sentimenti, ma Taiga non ne capiva
davvero il
motivo: dopotutto non aveva mai fatto nulla per illudere Tatsuya e,
nella sola occasione in cui questo gli aveva confessato il suo amore,
qualche anno prima, lo aveva rifiutato e gli aveva fatto capire che
per lui era e sarebbe sempre stato il fratello che non aveva mai
avuto - e che, di conseguenza, non avrebbe mai avuto
possibilità
come suo potenziale fidanzato -.
Kagami
capì che non era il momento di mettersi a pensare -
dopotutto lo
faceva così poco che rinunciarci una volta in più
non faceva
differenza -, ma piuttosto si staccò dal corrimano e corse
in
direzione del telefono, cercando di sottrarsi dal raggio d'azione
dell'altro.
Himuro,
dal canto suo, continuò a tenere la pistola puntata davanti
a sé
anche quando Kagami non fu più visibile, senza muovere un
passo.
Aomine
avrebbe voluto alzarsi e bestemmiare a gran voce, interrompendo il
vociare fastidioso dei colleghi intorno a lui: era ingiusto che i
colpevoli saltassero fuori proprio quando lui aveva deciso di
abbandonare il caso.
Comunque,
da quel poco che era riuscito a capire, non c'era più
bisogno di
prove e tesi, perché era stato uno dei due a confessare.
Due, alla
fine erano due.
Aomine
si diresse verso i due colleghi con cui riusciva ad andare
più
d'accordo, determinato a prenderli da parte e a chiedere qualche
informazione sull'identità dei due, sugli ultimi accadimenti
e su
come fossero riusciti ad arrivare a quel risultato.
«Questa
faccenda non mi convince.»
Aomine
fu percosso da un brivido di freddo e si piantò in mezzo al
corridoio, voltandosi immediatamente.
«E
tu che ci fai qui?»
«Ho
saputo dell'arresto di Atsushi.» Akashi rispose con tutta la
calma
del mondo, incrociando le braccia al petto.
«Ats–»
Aomine, ancora un po' confuso, borbottò e si
guardò i piedi,
dondolando leggermente sul posto: Akashi lo sapeva? Conosceva
più
dettagli di lui pur non facendo parte delle forze dell'ordine?
«Murasakibara?»
Akashi
rimase in silenzio per qualche istante, aggrottando la fronte e
squadrando Aomine dalla testa ai piedi.
«Vuoi
dirmi che non lo sapevi ancora, Daiki?»
«Mi
sono … beh, mi sono tolto dal caso.»
La
lingua di Akashi schioccò contro il palato, in uno spasmo di
disappunto che frenò immediatamente lo sproloquio confuso e
agitato
dell'altro.
«Permettimi
di dire che non è stato molto saggio, da parte
tua.»
Aomine
trattenne uno sbuffo e cercò di aggiungere qualcos'altro, ma
Akashi
glielo impedì.
«È
per Kise, vero?»
«Cosa?»
«Ti
sei tolto dal caso perché avevi paura che potesse essere lui
il
colpevole.»
Questa
volta Daiki sbuffò sonoramente: possibile che non ci fosse
nulla che
non conoscesse o indovinasse?
«Comunque
sia ...» Aomine riprese a denti stretti, sbuffando appena
«tu che
cosa sai?»
«Tutto.»
Aomine,
che fino ad un attimo prima era intenzionato a raggiungere i suoi
colleghi, preferì svoltare l'angolo e dirigersi verso
l'uscita della
centrale: aveva bisogno di un po' d'aria fresca, sedersi all'aperto
gli sarebbe stato d'aiuto per incassare il colpo - in parte
già
subito, visto che, da quando aveva capito, Murasakibara era uno dei
due colpevoli -.
«Avanti,
non tenermi sulle spine.» brontolò e si sedette
pesantemente sul
muretto di mattoni rossi che correva attorno al perimetro della
centrale; Akashi, dal canto suo, rimase in silenzio ancora per un
po', sistemandosi accanto a lui.
«La
notizia deve essere trapelata da uno dei vostri, è apparsa
su un
blog questa mattina e ho telefonato immediatamente in centrale per
avere un chiarimento e per assicurarmi che non fosse falsa.»
Aomine
prese una grande boccata d'aria e sembrò accartocciarsi su
se
stesso, i gomiti piantati sulle ginocchia, le mani congiunte davanti
al viso.
«Mi
hanno detto che ieri sera hanno ricevuto una telefonata da
Kagami.»
«Kagami?»
Aomine aggrottò la fronte e incontrò lo sguardo
imperturbabile di
Akashi.
«A
quanto pare Himuro si è presentato a casa sua e gli ha detto
di
essere il mandante dell'omicidio. L'ha minacciato con una
pistola.»
Aomine
deglutì e rimase a fissarlo, incapace di dire qualcosa e
riuscendo a
malapena a respirare.
«Da
quanto gli ha detto, Atsushi si è sporcato le mani al posto
suo.»
«No,
aspetta, perché diavolo avrebbe fatto una cosa
simile?»
«Per
amore.»
Aomine
sbatté le palpebre un paio di volte, confuso e senza
riuscire a
rielaborare quello che Akashi aveva appena detto.
«Che
cazzata.» sospirò spazientito e tornò a
guardare davanti a sé.
«Infatti
credo proprio che qualcuno abbia dichiarato il falso.» Akashi
si
pronunciò nuovamente e lo sguardo di Aomine tornò
di nuovo rivolto
a lui.
«Il
problema è che sono saltate fuori delle prove.»
«Prove?»
«Hanno
trovato il doppione delle chiavi dell'appartamento di Tetsuya in casa
di Himuro.»
«Quel
figlio di puttana ...»
«E
poi ci sarebbe un'altra cosa.» Akashi fece una piccola pausa
e si
inumidì le labbra «una lettera.»
«Una
lettera? Che tipo di lettera?»
«Era
nella giacca di Atsushi, praticamente è una
confessione.»
«C-cioè
…? Vuoi dire che in quella lettera Murasakibara confessa di
aver
ucciso Tetsu?»
«Già.»
Aomine
cercò di dire qualcosa, ma Akashi lo precedette.
«Un
assassino non terrebbe mai una lettera simile nella tasca della
giacca, a meno che non voglia essere scoperto; inoltre, da un primo
esame, la calligrafia risulta solo simile alla sua, come se qualcuno
l'avesse ...» Akashi indugiò per qualche istante,
poi rivolse uno
sguardo eloquente all'altro «imitata.»
Aomine
ebbe un sussulto e si alzò di scatto.
«C-cosa
intendi dire?»
«Intendo
dire che qualcuno sta cercando di incastrare Atsushi, ed è
qualcuno
che, a quanto pare, possiede un buon occhio.»
«Tu–»
Daiki prese un'altra grande boccata d'aria e indietreggiò
appena
«sospetti ancora di Kise, non è vero?»
Akashi
inspirò e si alzò con tutta la calma del mondo.
«Staremo
a vedere, Daiki.» lo guardò e ad Aomine
sembrò che le sue labbra
si fossero ripiegate in un sorriso divertito: lo stava sfidando.
«Dopotutto,
lo sai, io ho sempre ragione.»
«Una
lettera, hai detto?» Midorima replicò le parole di
Akashi con la
voce scossa dallo stupore.
«Sì,
una lettera.»
«Destinata
a chi?»
«A
nessuno. Credo l'abbia scritta solo per sfogarsi.» Seijuurou
fece
una piccola pausa e adagiò la tazza vuota ma ancora tiepida
sul
tavolo «anzi, credo che lui voglia farci
credere che l'abbia
scritta per sfogarsi.»
Midorima
aggrottò la fronte e rimase in silenzio per qualche attimo,
poi
sospirò flebilmente, massaggiandosi il mento pensieroso.
«Lui,
chi? L'assassino? Non sei ancora convinto?»
«Se
io fossi l'assassino e non mi volessi far scoprire cercherei di
nascondere ogni traccia, giusto?»
Non
appena Akashi lo interpellò, Midorima si guardò
intorno e mormorò
qualcosa di appena percettibile, come se il professore più
severo
del corpo insegnanti stesse interrogando un lui bambino su una
materia impossibile.
«Shintarou,
mi stai ascoltando?»
«Giusto
...»
«E
allora perché aveva quella lettera in tasca? Credo che
qualcuno
voglia incastrarlo, e poi dicono che quella non corrisponde alla sua
calligrafia.»
«E
se fosse soltanto Himuro-san?» Midorima azzardò
un'ipotesi,
attirando l'attenzione di Akashi «se fosse stato Himuro-san
ad
uccidere Kuroko e stesse cercando di mettere in mezzo anche
Murasakibara?»
«Per
un'attenuazione di pena?»
«Sì,
dopotutto di solito è chi si è sporcato le mani
che ci rimette
maggiormente.»
Akashi
rilassò il busto contro lo schienale della sedia e
annuì appena,
senza mai scostare i propri occhi da quelli dell'altro: poteva anche
avere ragione, ma nel frattempo, mentre Midorima discorreva e
ragionava su come si potessero essere svolti i fatti, lui si
costruiva pensieri suoi, riflessioni che avrebbe tenuto custodite
nella sua mente ancora per un po' - o forse per sempre -.
«Oppure
si tratta di Ryouta.»
Midorima
smise improvvisamente di parlare e trattenne un sospiro rassegnato:
Akashi lo aveva interrotto così bruscamente che era ovvio
che non lo
stesse neppure ascoltando, tanto era immerso nelle sue macchinazioni.
«Akashi,
forse dovremmo lasciare che sia la polizia a risolvere la faccenda,
non credo che Kise sia coinvolto.» possibile che volesse
avere
sempre e a tutti i costi ragione? Si ostinava ad accanirsi ancora su
Kise nonostante avessero appena inchiodato Murasakibara e Himuro. In
quel preciso istante, Shintarou pensò con un po' di sollievo
che per
fortuna Akashi era ossessionato da Kise piuttosto che da lui,
altrimenti non lo avrebbe lasciato vivere.
«Shintarou.»
Akashi lo chiamò, Midorima sollevò il proprio
sguardo e si soffermò
sugli occhi infernali dell'altro.
«Cosa
c'è?»
Akashi
rimase in silenzio per qualche istante, poi negò con un
cenno del
capo.
«Nulla,
scusami.» infine si alzò con calma e
lasciò che Midorima lo
accompagnasse alla porta, congedandosi con poche parole di commiato.
In
un primo momento aveva pensato di dirglielo, poi aveva capito che non
gli sarebbe convenuto dichiarare le sue prossime mosse, neppure ad
una persona riservata e matura come Midorima: dopotutto c'era un
assassino fra loro, e Akashi credeva sinceramente che fosse ancora in
libertà.
Appena
uscito in strada inspirò profondamente, assaporando l'aria
umida e
fredda di febbraio; scavalcò alcune pozzanghere torbide; si
fece
strada fra i pedoni agitati e, infine, puntò verso il
carcere:
sarebbe andato a parlare di persona con Murasakibara.
Il
sospiro di Aomine sembrò vibrare a causa del nervoso:
Murasakibara e
Himuro erano in carcere e sarebbero stati processati molto presto, le
prove erano state raccolte e i colleghi si stavano assicurando che
non ce ne fossero altre ispezionando le loro case, quindi che motivo
aveva di essere così ansioso? Semplice: Akashi gli aveva
come al
solito messo la pulce nell'orecchio, lo aveva piegato con le proprie
parole, era riuscito a renderlo succube e a fargli dubitare della
colpevolezza di Murasakibara.
Anche
in quel momento, seduto ai piedi del letto di Kise con la
consapevolezza che i colpevoli erano stati arrestati e che bastava
poco per rovinare la pace appena siglata, Aomine si ritrovò
a
sospettare del suo fidanzato. Le parole di Akashi continuavano a
riecheggiare nella sua mente, quasi avrebbe voluto tapparsi le
orecchie, chiudere gli occhi e cominciare ad urlare per provare a
scacciarle via: “da un primo esame la calligrafia
risulta simile
alla sua, è come se qualcuno l'avesse imitata.”.
“Come
se qualcuno l'avesse imitata.”: si
ripeté mentalmente,
sussultando non appena la voce dell'altro riecheggiò alle
sue spalle
e lo colse alla sprovvista.
«Sai,
oggi ho chiamato Momoicchi-chan.» la voce di Kise si fece
più
vicina, le molle del letto scricchiolarono appena alle sue spalle
«era davvero sconvolta, ma alla fine dovevamo aspettarcelo,
no?»
Aomine
brontolò appena, senza riuscire a staccare gli occhi dal
pavimento.
«Doveva
essere uno di noi.» Kise sospirò e le molle
cigolarono di nuovo, il
letto tremò leggermente.
«Dovresti
chiamarla.»
La
voce di Kise era così vicina al suo orecchio da farlo
rabbrividire,
ma il peggio era che non riusciva a capire se si trattava di piacere
o di terrore.
Aomine
brontolò nuovamente, incapace di rispondere per paura che il
suo
tono di voce tradisse i suoi pensieri sospettosi: niente era ancora
certo, per quanto ne poteva sapere l'assassino era proprio alle sue
spalle, magari stava progettando di ucciderlo proprio in quel
momento.
«Devi
essere stanco, vero Aominecchi?» quando le mani di Kise si
adagiarono calde e delicate sulle sue spalle, però, il corpo
di
Aomine sembrò diventare improvvisamente più
leggero: forse erano
davvero Murasakibara e Himuro gli assassini, forse la questione si
era già risolta e lui si stava preoccupando per niente.
«Rilassati.»
Kise
adagiò dapprima il mento sul dorso della propria mano per
stampargli
un bacio sulla guancia, poi si sistemò per bene dietro di
lui e con
movimenti lenti e delicati cominciò a massaggiargli le
spalle.
In
quel momento, Aomine pensò che Kise con i massaggi riusciva
a
renderlo ancor più succube di quanto Akashi non fosse
riuscito a
fare con le proprie parole: dopotutto Ryouta possedeva il talento
dell'imitazione e non lo usava solo nello sport, ma anche in tante
altre cose che riusciva ad imparare in fretta e molto meglio di
altri.
«Sono
solo un po' confuso–» faceva perfino fatica a
parlare per quanto
era piacevole quel massaggio.
«Immagino,
dopotutto fino a questa mattina sembrava un caso senza soluzione e
invece sono spuntati addirittura due colpevoli.» le dita di
Kise
scivolarono fra le scapole dell'altro, massaggiando con più
decisione.
«Tu
pensi che sia vero?»
«Beh
...» Kise indugiò per qualche attimo,
concentrandosi più sul
massaggio che su altro «me ne intendo meno di te, Aominecchi,
ma se
dici che c'era quella lettera ...»
«Già,
la lettera.»
Kise
tornò a massaggiargli le spalle, spingendo di tanto in tanto
le dita
oltre, ad accarezzare le clavicole.
«Adesso
però smettila di pensare al lavoro, ok?»
gonfiò appena le guance e
scostò le mani dalle sue spalle.
«Ehi,
perché hai smesso?»
Kise
non rispose e gli cinse le spalle con le braccia, baciandogli la
guancia un paio di volte, per poi lasciare che Aomine si stendesse e
adagiasse la testa sulle sue gambe.
Kise
rimase ad osservarlo il silenzio, con le labbra increspate in un
sorriso, quasi lo stesse contemplando; Aomine sostenne il suo sguardo
e gli sfiorò la guancia col dorso della mano.
In
quel momento sapevano entrambi che non c'era bisogno di parole, che
l'intreccio dei loro sguardi bastava per placare ogni tormento: il
sorriso di Kise si ampliò e Aomine gli prese il viso fra le
mani, lo
guardò ancora per qualche istante, poi lo
trascinò a sé e lo
baciò.
Angolo
invisibile dell'autrice:
Francamente
pensavo che di metterci molto
più tempo a
scrivere questo capitolo, ma a quanto pare il mio stile sta tornando
un poco più scarno e non mi sono dilungata troppo sui
particolari D:
Innanzitutto
ringrazio tutte quelle che hanno commentato il quarto capitolo e
chiedo scusa per non aver risposto alle recensioni >w<''
(vedrò
di rispondere a quelle che lascerete per questo capitolo, ecco~)
Non
c'è un capitolo in cui i nostri cari ragazzi non si scannino
o non
si angoscino, ma penso che sia normale, no?
Innanzitutto
mi auguro di avervi fatto spaventare con l'improvviso
cucù-settete
(?) della pistola (ormai lo sapete che sono cattiva e mi piace farvi
preoccupare, ma dopotutto devo cercare di farvi immedesimare il
più
possibile nella storia e mi piace molto aggiungere tanti colpi di
scena, quindi dovete aspettarvelo dalla mia mente malata
ùwù), e
Akashi … boh, Akashi è un rompi cazzo assurdo in
questa
fanfiction, sembra me quando mi metto in testa di voler scoprire
qualcosa, ma diciamo che fra tutti i personaggi della storia lui e
Momoi sono i miei preferiti, sia per le varie comparse che per il
ruolo che ricoprono.
Per
il resto non ho niente da dire, anche perché se mi mettessi
a
parlare rischierei di mandare tutto a rotoli (?).
Al
prossimo capitolo!
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