Ed
è solo l’inizio.
Quando
Machiavelli aprì gli occhi, il buio fu tutto quello che riuscì a
vedere. Non osò provare a muovere un muscolo, sentiva appena di avere
le
braccia e le gambe. Aprì la bocca per respirare meglio e al contempo
provò a
sentire il sapore e l’odore dell’aria, per capire dove si trovasse.
Presto
arrivò la consapevolezza di un pavimento gelido sotto ai
polpastrelli e si accorse di avere un forte mal di testa che gli faceva
pulsare
le tempie. Gli ci volle qualche secondo per riprendere completamente
lucidità,
ma dopo si guardò intorno e si stupì ancora di non trovare neanche un
minimo
barlume di luce.
« Ben
svegliato, italiano. »
Machiavelli
spalancò gli occhi e si mise in ginocchio, voltando di
scatto la testa verso il punto da cui proveniva la voce.
Una
voce che non poteva dimenticare.
«
Padrone… »
Machiavelli
tese le orecchie con un brivido freddo che disegnava la curva
della sua schiena insieme a qualche goccia di sudore gelido.
« Hai
fallito.» la constatazione di Aton rimbombò nell’ambiente e nella
testa dell’immortale. Machiavelli chiuse gli occhi e sentì una morsa di
terrore
puro attanagliargli le viscere.
Aveva
fallito. E ora, lo aspettava la punizione eterna o la morte. Se
Aton avesse anche scoperto che aveva lasciato fuggire Richard… come si
sarebbe
discolpato, cosa avrebbe potuto raccontare?
Non
aveva nemmeno abbastanza fiato da mettere insieme le parole.
I
ricordi cominciarono a mettersi in ordine nella sua mente e Niccolò
si sforzò di mantenersi lucido.
« La
Lancia di Odino… » cominciò, col respiro leggermente esitante « Assorbe
l’aurea. »
Non
riuscì a trattenere una nota d’accusa nel tono della voce. Il suo
padrone non gli aveva detto nulla riguardo a quel dettaglio. Come si
aspettava
che potesse portargliela se quell’oggetto, che tra l’altro poteva
toccare solo
lui in quel Regno d’Ombra, minacciava di ucciderlo?
Lui
non aveva la possibilità di cambiare corpo come l’essere che aveva
incontrato chissà quante ore prima. Spalancò gli occhi per un momento.
Ecco
perché non aveva sentito nessun tipo di aurea attorno al corpo di
Richard,
nemmeno un’aurea contaminata da qualcos’altro, niente.
Quella…
creatura, la
annullava nelle sue vittime.
Richard
era già morto.
Niccolò
si alzò in piedi sulle gambe tremanti.
« Non
mi aveva informato di questo dettaglio. » aggiunse, per incentivare
il suo padrone a rispondere.
« Non
lo sapevo. » ammise la voce vibrante di rabbia del suo Signore.
« Ora
che lo so, posso trovare un modo di… » la voce di Machiavelli si
affievolì, spenta da un ricordo improvviso.
«
Ebbene sì, Niccolò. » nel buio, Machiavelli poteva solo immaginare
che Aton ghignasse, ma ne rimase comunque irritato. « La creatura che
ha preso
il corpo del ragazzo umano è riuscita a far passare la Lancia nel suo
Regno
d’Ombra. »
Machavelli
strinse le labbra con rabbia crescente.
« Mi
dispiace molto per il tentativo fallito, Signore. » disse, ma il
suo tono fu più eloquente delle parole. Si capiva che non gli
dispiaceva
affatto ma in quel momento a Machiavelli non interessava. Sentiva un
insano
sentimento di rivalsa per quella situazione, un senso di ingiustizia.
Sapeva
solo che non era colpa sua e che non intendeva essere punito per aver
fallito
in una missione così… stupida, per
non essere riuscito ad ottenere quel simpatico giocattolino per il suo
padrone.
« Non
preoccuparti, Machiavelli. » rispose Aton, gelido. « Ti rifarai.
»
Machiavelli
si fece attento incrociando le braccia al petto. L’oscurità
cominciava a stancarlo.
Doveva
far affidamento solo sull’udito per sostenere quella
conversazione, quando gli sarebbe piaciuto poter vedere in faccia il su
interlocutore. Spesso era il miglior modo per svelare le cattive
intenzioni.
«
Puoi ancora recuperare Gungnir. »
« Non
vedo come. » disse secco Machiavelli.
«
Così. » disse Aton e un vento caldo si sprigionò dal nulla e
scompiglio i capelli di Machiavelli.
Un
angolo della stanza si illuminò. Due torce si accesero da sole e
simultaneamente, i fuochi verdi scoppiettanti e lievemente inquietanti.
Machiavelli distinse la sagoma del corpo di Richard e i suoi tratti
giovanili.
Il
ragazzo era sdraiato sul pavimento di pietra, supino, gli occhi
chiusi, pallido come un cadavere. In effetti, Machiavelli si stupì che
non lo
fosse.
«
Temo di non capire, padrone. »
« Mi
deludi, Niccolò. » rise Aton, ma tornò subito serio. « Sai cosa
hai fatto quando hai cercato di impedire che quell’essere ritornasse
nel suo
Regno d’ombra? »
Machiavelli
rimase in silenzio.
« Hai
smembrato il corpo senza aurea e immateriale di quella creatura,
e questa, non potendo superare la tua barriera, ha cercato di
sopravvivere ed è
rientrata nel corpo di Richard Anderson. »
Machiavelli
deglutì col cuore in gola, ma ora tutto gli appariva
chiaro. Ricordava vagamente di aver pensato ad una cosa del genere,
anche se
era accaduto tutto troppo velocemente in quel momento e lui non era
riuscito ad
avere un’idea completamente razionale di ciò che stava facendo.
« La
quantità dell’essenza dell’essere che si trova nel figlio degli
homines… » continuò la voce profonda di Aton. « è troppo debole per far
presa
sulla sua mente, troppo debole per uscire, ma abbastanza forte da
tenerlo in
vita. »
Machiavelli
non staccava gli occhi da Richard. Se non avesse percepito
il suo respiro, avrebbe davvero pensato che fosse morto. La sua aurea
non
esisteva più.
«
Questo vuol dire… » proseguì Aton, con un certo fanatismo nella voce.
« Che
lui potrebbe essere in grado di prendere la Lancia nel Regno
d’Ombra dell’essere che è dentro il suo corpo. » affermò mesto
Machiavelli.
«
Esatto. » confermò Aton con una certa esultanza.
«
Naturalmente… » riprese, dopo qualche istante di silenzio « Lo
condurrai tu. Dato che vi conoscete bene… »
Machiavelli
sentì un brivido gelido corrergli per la schiena. Il tono
di Aton si fece pericoloso e l’immortale lo sentì aprirsi in un’insana
e rauca
risata senza gioia.
«
Dovrei ucciderti seduta stante. »
Machiavelli
ne ebbe la conferma con un colpo al cuore: Aton sapeva che
aveva salvato il ragazzo.
«
L’ho usato per portare Dee dai Flamel. Per portare avanti la ricerca
del Codice degli Oscuri Signori, padrone. » disse l’italiano, cercando
di
apparire sicuro e fiero. E riuscendoci, probabilmente.
Aton
rimase in silenzio per parecchio tempo.
Machiavelli
aspettò prima di dire qualcos’altro. Lo lasciò riflettere
sulle sue parole.
« Dee
non ha detto nulla a riguardo. » affermò, con una lieve
esitazione. Machiavelli annuì.
« Non
mi sorprende» rispose, con un ghigno. « Ma i Veglianti lo
sapranno. »
Visto
che fate
spesso loro visita,
aggiunse col pensiero Machiavelli, potreste chieder loro
se davvero non sto mentendo.
Aton
intuì il suo discorso implicito. «Come sai tu dei Veglianti? » chiese,
gelido.
« Me
lo ha detto Alypion. Il tizio alato. »
E
Aton dovette ammettere la verità di ogni sua parola.
« Ha
funzionato, comunque? » chiese Machiavelli, capendo di essere fuori
pericolo con un sollievo che non avrebbe mai pensato di poter provare
con così
tanta intensità. « Dee ha catturato i Flamel? »
Aton
emise uno sbuffo divertito.
« No.
»
« Che
ingrato. » sorrise Machiavelli « Dopo tutta la fatica che ho
fatto. »
Se ci
fosse stato Dagon, avrebbe alzato i suoi enormi occhi al cielo.
Ogni tanto Machiavelli sentiva i suoi velati rimproveri nella testa.
Ma
l’immortale capì presto che era l’ora di tornare alle conversazioni
un po’ meno piacevoli.
« Lei
sa di che Regno d’Ombra si tratta? » chiese, riferendosi
chiaramente alla sua missione non ancora conclusa.
« Io
no… » rispose Aton. « Ma i Veglianti sì. E me lo farò dire. »
Machiavelli
immaginò che i Veglianti fossero così disperati da
rispondere a qualunque domanda senza esitazione, indipendentemente
dall’identità di chi gliela poneva, nella speranza di ottenere
abbastanza
consensi per comprarsi la libertà. Aton non avrebbe dovuto sforzarsi
molto.
«
Come sta il vostro emissario? » chiese l’immortale, stringendo appena
la presa delle dita sulla sua giacca. Ricordava di averlo visto
contorcersi a
terra dal dolore appena era stato sfiorato da Gungnir.
« I
miei emissari hanno dei tempi di ripresa molto ristretti. Raido non
fa eccezione, e ti seguirà nella tua missione. »
Machiavelli
ghignò. « Allora ce l’ha un nome. »
« Lui
non lo sapeva, quando glielo hai chiesto. » affermò neutro Aton,
quasi annoiato. « Do loro un nome solo per distinguerli, prendendoli
dalle
lettere di vari alfabeti umani. Ma non ritengo che sia saggio far
pensare loro
di aver una sorta di identità. »
Machiavelli
si augurò che Aton non potesse vedere la sua espressione di
sufficienza, sostituita in un secondo dalla solita fredda
impassibilità.
« è
potente… » constatò Machiavelli, sincero. Aveva sentito più volte
percepito la potenza del bambino immortale come degli spilli sulla
pelle.
Aton
lesse tra le righe la sua curiosità e decise, inspiegabilmente, di
soddisfarla.
«
Raido è uno dei miei sei servi migliori. » disse, ma non c’era
traccia d’orgoglio nella sua voce, né di qualunque altra cosa. « I loro
nomi
sono i primi sei segni dell’alfabeto runico. Ma solo due di loro lo
conoscono.
»
«
Perché a loro lo ha rivelato? » chiese Machiavelli.
Aton
rise brevemente.
« è
un regalo del loro Signore. L’unica cosa che desiderano. Quei due
miei servi hanno svolto molto bene il loro dovere, portandomi a molti
privilegi. »
« Non
serve altra ricompensa? » si stupì Machiavelli.
Nell’ombra,
Aton scosse la testa e l’immortale lo intuì dal fruscio
delle vesti che sentì col suo udito sviluppato.
«
Vivono per servirmi. » e Niccolò immaginò il suo sorriso scaltro.
Abbassò
lo sguardo sul vuoto, distogliendolo dalle torce e da Richard.
Non riteneva di poter vantare la solita fedeltà al suo padrone, e non
ne era
minimamente dispiaciuto. Inspiegabilmente, venire a conoscenza di
quelle
informazioni gli aveva fatto scivolare addosso un amara e velata
tristezza.
« Io
potrei dirglielo. » ammise.
« Non
avevo dubbi. » dichiarò Aton. « Ma non dovrai disturbarti. L’ho
già fatto io. »
Machiavelli
alzò la testa di scatto e sbarrò gli occhi, stupito.
«
Davvero? Perché? »
« Non
hai idea di quanti secoli siano che svolge ogni sorta di compito
per me. Inoltre… non hai nemmeno idea di cosa abbia dovuto superare per
portarti vivo da me. »
*
Quando
Raido era riuscito a tornare dal suo Signore, non era più quello
di prima.
Anche
al limite delle forze, aveva annientato una quantità di mostri
infernali che nessuno si sarebbe mai immaginato di poter trovare
riuniti nel
solito posto. Cercavano tutti la Lancia, e non trovandola, avevano
attaccato
lui, che aveva ancora il suo odore addosso. Machiavelli era svenuto e
inerme.
Raido
si era presentato dal suo Signore Aton seguendo l’istinto, ma non
sembrava essere in grado di riconoscerlo. La sua mente aveva mantenuto
saldi i
principi di alcuni specifici ordini – proteggi
l’italiano, sii fedele ad Aton, uccidi chi intralcia i tuoi piani-
ma per
il resto, dopo il contatto involontario con la Lancia tutto era
diventato più
confusionario e meno nitido. Il mondo intorno a Raido era avvolto dalla
nebbia
e dall’apatia.
Non
si sarebbe mai ripreso, probabilmente, se non avesse conosciuto il
nome che Aton gli aveva dato. Era stato un fattore decisivo. Piano
piano, i
ricordi erano tornati. E così l’essenza della sua personalità. Aton
aveva detto
che si era meritato il suo nome.
Da
quel momento, non riusciva a smettere di ripeterselo nella testa con
un sorriso folle di gioia.
*
Richard
si svegliò come in qualsiasi altro giorno. Si sentiva come se
avesse la febbre, ma niente di più anormale. Si rigirò su quello che
sembrava
un comodo materasso e si scoprì circondato da cuscini e ricoperto di
lenzuola.
La testa gli girava mentre si guardava attorno e per un attimo fu
stupito di
non riconoscere casa sua.
Un
brivido di paura lo fece quasi sobbalzare e il ragazzo si tirò a
sedere di scatto, il cuore che batteva all’impazzata.
Per
un secondo provò di nuovo a illudersi che tutto quello che era
successo fosse solo un incubo, ma anche con la vista un po’ appannata
riusciva
a capire che quelli non erano i suoi mobili, quello non era il suo
letto e le
pareti non erano dello stesso colore di quelle di casa sua.
Imprecò
mentalmente. Ogni più piccolo dettaglio dei suoi ricordi
tornava alla mente strisciando, incentivando se possibile il suo mal di
testa.
La
sua attenzione fu catturata da un profumo dolce e speziato, qualcosa
che sapeva di raffinato calore domestico.
Sembrava
quasi una… tisana?
«
Aspetta, Dagon, non trovo lo zucchero.» disse una voce, e Richard puntò
lo sguardo su una porta che prima non aveva notato. « Non ne sento
nemmeno
l’odore. »
« Non
lo sente perché non c’è. » rispose un’altra voce, più rauca e
profonda.
« Ma
ti avevo scritto di comprarlo. » ribatté la prima voce,
leggermente sospettosa.
« Mi
perdoni, signore. Non ho idea di cosa voglia dire. »
«
L’ho scritto nella busta! » sbottò la prima voce.
«
Quale? »
Richard
sentì un piccolo sbuffo rassegnato.
Poi
la porta si aprì. Richard vide entrare un dall’aspetto giovanile
nonostante i capelli bianchi che arrivavano a coprirli le orecchie. Il
suo
portamento era fiero e i tratti di bell’aspetto coperti appena da una
corta e
curata barbetta che gli incorniciava le labbra.
Gli occhi grigi avevano qualcosa di magnetico e ipnotico.
Portava
due tazze fumanti nelle mani.
Si
avvicinò al suo letto e gliene porse una. Richard la prese esitante,
senza staccare gli occhi dal volto dell’uomo.
«
Buongiorno. » gli disse affabile l’uomo, con un sorriso che sembrava
sembra sul punto di ghignare.
«
Buon… giorno. » mormorò Richard.
E improvvisamente lo riconobbe. Sembrava passato un secolo
dall’ultima
volta, e anche la prima, che lo aveva
visto. La tazza gli cadde quasi di mano.
Un’altra
figura fece capolinea dalla porta. E Richard, questa volta, la
riconobbe subito, spalancando gli occhi intimorito e dimenticando
perfino il
mal di testa. Dagon incrociò le braccia al petto, ponendosi dietro alle
spalle
dell’italiano cn il solito atteggiamento protettivo.
«
Calma, calma. » disse l’uomo, con una pacca sulle spalle di Richard.
« Nessuno vuole farti del male. Bevi. » aggiunse, accennando alla
tisana « Ti
farà bene. » e per dare l’esempio bevve un sorso della sua.
Storse
il naso con una smorfia di disgusto che cercò di dissimulare.
« Chi
siete? E stavolta voglio una risposta precisa, voglio la verità!
»
Richard
si stupì della sua stessa arroganza. La paura però gli aveva
lasciato addosso una sorta di forza inaspettata, o forse una parte di
lui
sapeva che oramai ne aveva passate così tante in quei pochi giorni che
il
bisogno di sapere poteva spingerlo a fare qualunque cosa.
«
Questo è Dagon, una specie di… demone marino. Non viene dal nostro
mondo. » disse l'uomo dagli occhi grigi, accennando col pollice alle sue spalle dove il suo
servitore
osservava Richard con gli occhi coperti dagli enormi occhiali a
specchio.
Richard
non fu stupito di trovarlo di nuovo al fianco del tizio dai
capelli bianchi. Sapeva, in qualche modo, che tutto ciò che gli aveva
raccontato durante il loro ultimo incontro era una menzogna.
Bevve
con una sorta di rassegnata eccitazione un sorso della sua
tisana. La trovò dolce al punto giusto. Ma decise di non farlo troppo
notare.
« Io
invece… » continuò l’uomo e tese la mano verso di lui. « Mi chiamo
Niccolò Machiavelli. »
Richard
annuì, ancora stordito.
«
Come il politico. Quello italiano. » disse, distrattamente.
Machiavelli
ghignò, distendendo il suo sorriso.
« Sì,
come lui. »
«
Cosa volete da me? » chiese ancora Richard, sulla difensiva.
Machiavelli e Dagon si scambiarono uno sguardo. Poi il primo sospirò
con un
sorriso sarcastico.
«
Sarà una lunga conversazione. » commentò, guardando in viso il
ragazzo « Tu cerca solo di non svenire. »
Nda: mentre
scrivevo questo capitolo mi
sono resa conto che era quasi indispensabile conoscere quelli
precedenti, per i
Veglianti e per… lo zucchero di Dagon e Machiavelli XD. Se qualcosa non
è
chiaro, chiedete pure. E se qualcosa non vi piace, fatemelo notare.
A proposito… ho un
dubbio atroce. A qualcuno
ha dato fastidio il nome dell’emissario?
Grazie infinite a
chi è arrivato eroicamente
fino a qui, e scusatemi per il capitolo corto.
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