A Thousand Miles 3 MODIFICA
You're just too good to be true
Can't take my eyes off of you
You'd be like heaven to touch
I wanna hold you so much.
- Gloria Gaynor
Mi rigirai con un movimento brusco nel gelido sacco a pelo che Justin
si era degnato di concedermi, rannicchiandomi quasi fino a sentirmi
intrappolata in un vicolo cieco, senza via d'uscita; ciò che
successe poche ore prima mi aveva resa ancora più debole di
quanto io non lo fossi già. Bisogna saper cogliere le occasioni;
se il treno parte alle 8:25 e ci si sveglia alle 8:20, è
già troppo tardi. Ma è possibile correre, correre veloce
per raggiungerlo, correre tanto forte da farsi mancare il respiro.
Dovevo
prendere quel treno, un treno senza ritorno, dritto al cuore della
sorella che amavo più al mondo, ma alla quale mi stavo
allontanando minuto per minuto.
Giustamente,
proprio l'unica notte fredda gelida di tutta l'estate dovevo avere la
fortuna di passarla in un garage. La pelle d'oca mi aveva coperto tutte
le braccia nude e continuavo a battere i denti.
Non
riuscivo a dormire e davo la colpa al freddo, ma sapevo che era il
pensiero di Susie che continuava a tormentarmi. Continuavo a rigirarmi
e rigirarmi in quel minuscolo sacco a pelo quando il rumore di un porta
che si stava aprendo mi distrasse.
Era Justin
e decisi di fingermi addormentata socchiudendo gli occhi, ma lasciando
una piccola fessura aperta per curiosare per quale motivo fosse venuto
nel garage a metà della notte.
Sbadata come sempre, non mi resi conto che aveva con sé una coperta.
Mi
chiesi perché se la fosse portata dietro, iniziai a fare qualche
ipotesi, ma di certo non mi sarei immaginata quello che stesse per
fare: si avvicinò a me, decisamente troppo per i miei gusti, mi
accarezzò il braccio e la pelle d'oca non fece che aumentare e
poi ecco l'inaspettato, prese la coperta e me l'adagiò addosso;
probabilmente si era reso conto del freddo.
Riuscii a
scorgere il suo viso mentre lo faceva, speravo che la sua espressione
mi avrebbe permesso di capire di più su quella situazione, ma
niente era uguale a sempre, stessi occhi freddi e distaccati e stesso
ghigno in faccia.
Poi
uscì come se non fosse successo niente, sperai che la mattina
seguente mi avrebbe dato una spiegazione, ma non ci speravo... Non
conoscevo Bieber, ma era come se sapessi già tutto di lui.
Susie POV
Dicono che i libri,
l’arte, l’alcool, e perché no, anche fare l'amore,
siano i modi migliori per scrollarsi di dosso la realtà. Ci si
immerge in situazioni e momenti estremi, o di estrema calma, per
cercare di dimenticare, nonostante ognuno di noi sia consapevole che
dimenticare è impossibile.
Mi alzai dal letto con cento, mille
domande alle quali non avrei mai saputo rispondere, ma più di
tutto, con un fastidiosissimo mal di testa; allargai le braccia a pugni
stretti fino a stiracchiarmi, per poi finire nuovamente distesa sul
materasso. Perché non ne ero sorpresa?
Svegliata di soprassalto e con il fiato corto mi convinsi che, come un incantesimo, il suo volto era bloccato nella mia testa.
Sì, me lo ricordavo. Senza
ombra di dubbio il volto di quello sconosciuto che poche ore fa si era
preso responsabilmente la briga di starmi accanto, in un modo o
nell'altro, mi tormentò per l'intera notte da incubo.
Un volto annebbiato, innominato.
Non chiedevo tanto, avevo
bisogno solo di conforto, contatto, ed i suoi occhi, quella sera, mi
bastarono; forse era la sbronza, anzi, ne ero sicura, o forse c'era
semplicemente qualcosa che non andava dentro la mia testa, dal momento
che ciò che successe la sera precedente, per me, rimase un
mistero.
"Dai, vieni, ti porto a casa. Non ti lascio tornare da sola."
Aveva gli occhi verdi, forse,
probabilmente azzurri, ma non ne ero certa. Dannazione, era una pazzia,
una pazzia bella e grossa continuare a rimuginare tanto a lungo su
qualcosa, o meglio, su qualcuno che probabilmente non avrei più
rivisto, ma era più forte di me.
"No... Ehm, sto bene, ce la faccio..." non feci in tempo a dirlo che caddi a terra, almeno, è quello che mi ricordo.
Ad una persona quale sono io, che
crede profondamente al caso, in ciò che si fa senza un senso e
cambia radicalmente la vita, alla puntualità del destino e agli
appuntamenti che non è possibile mancare, piace pensare che se
le nostre strade si sono incrociate, un motivo c'è.
“Non è un peso, per me, aiutarti. Piacere, sono M…” niente, nessun’immagine o parola mi era chiara.
Pensai che mi sarebbe piaciuto
semplicemente scambiarci due parole, riderci sopra, poter conoscere
quel ragazzo premuroso e dal sorriso gentile, semmai lo avessi rivisto.
Mi ricordai però di essere frustrata.
Odio. Provavo solo odio, un odio
profondo verso quelle parole che Alexis mi aveva scagliato contro,
parole così pungenti da farmi scordare completamente della
motivazione per la quale, quei mesi, mi trovato lì; il lavoro
estivo doveva essere un pretesto per scoprire di più sulla
mamma, ma era come se me ne stessi dimenticando.
Stupida ragazza, insensibile.
Strinsi le palpebre fra loro, nonostante il cuscino mi impedisse di vedere qualsiasi cosa all’infuori del nero.
Non riuscivo a concepire del tutto
cosa mi fosse passato per la testa il giorno prima, cercavo di trovare
una spiegazione per la quale io mi fossi spinta così oltre, ma
nulla; bando alle ciance, era tempo di andare a lavoro.
Parcheggiai l'auto all'angolo della
strada, sfiorando pericolosamente il marciapiede; con i miei diciotto
anni, d’altra parte, mi sentivo come se una parte di me stesse
iniziando a diventare autonoma, ma non lo ero per nulla. Io e Alexis
decidemmo giorni prima, con esitazione, che avremmo lavorato nello
stesso posto, o meglio, lei avrebbe continuato i suoi studi da
specializzanda in chirurgia, mentre io probabilmente avrei fatto da
spalla al bar dell’ospedale; mi presentò al proprietario e
gli promise infinita diligenza da parte mia. Era simpatico, ma mai dare
troppa confidenza ai propri superiori.
L’idea non mi allettava, ma dovevo farlo per papà, e, ovviamente, per guadagnarci da vivere.
Afferrai la borsa e fissai la mia
immagine riflessa sul vetro della macchina, intenta a sistemarmi i
capelli; scoccai un ultima occhiata alla scritta “California
Hospital Medical Center”, in attesa di finire l’ultima
sigaretta del pacchetto.
Distolsi lo sguardo, messa a disagio
da quel semplice nome che portava con sé molto più timore
di quanto non ne avessi io: non mi erano mai piaciuti, gli ospedali,
quest’ultimo era per l’appunto un altro ostacolo sulla mia
strada, ed ero costretta a preoccuparmene mentre proseguivo, o
iniziavo, le ricerche su mamma.
Quella mattina, con o senza Alexis,
sarei stata, ancora una volta, sola, ma percepivo comunque una
sensazione speciale; da brava lavoratrice, entrai dalla porta sul retro
e feci la mia entrata ancora per metà addormentata.
Quanta gente. Troppa.
Decisi di cercare il direttore in modo da farmi dare qualche dritta,
evidentemente ero troppo ingenua da capire che non erano tutti a
disposizione per una novellina, perciò, incerta, mi fermai a
chiedere consiglio ad una ragazza in divisa.
“Ciao, scusa, sono nuova qui. Ehm, non so bene come… ecco,
come muovermi, e pensavo che…” non riuscii nemmeno a
finire la frase, se era possibile chiamarla tale, che si mostrò
prontamente un sorriso a trentadue denti sul suo viso, così
spontaneo, sincero.
Tirai un sospiro. “Non devi nemmeno preoccuparti, ti
seguirò io se avrai bisogno, per oggi. Sono Sarah, anche io sono
qui da poco.” Era una di quelle ragazze vispe, sempre attente a
tutto, a quanto pare; mi piaceva, in fin dei conti non sarebbe stata
una giornata pesante, con lei.
“Io sono Susie.” le avvicinai la mano, e nel momento in cui
ci stavamo presentando mi diede, all’istante, nell’occhio
il braccialetto che portava con così tanta grazia; aveva inciso
una "M" in corsivo, doveva essere abbastanza costoso. Mi piaceva, da morire, un giorno ne avrei desiderato uno anche io, pensai.
Il primo giorno di lavoro è in genere quello più duro,
dicono. Ci si deve abituare ai ritmi, capire cosa si deve fare e come
lo si debba fare. Se ci si sente carichi, presumibilmente ci si sbaglia.
“Senti, ti dirò, qua sono tutti così sgarbati e
sono felice di saperti vicina, ma per oggi dovrai fare
un’eccezione. Ti va? Dovrai darmi il cambio. Devo occuparmi di
mio fratello, e me n’ero completamente scordata.” Perfetto,
i miei piani non erano proprio questi; costatai che in fin dei conti
non mi sarebbe costato nulla. Mi sarebbe piaciuto conoscerla, Sarah.
Bionda, alta, magra, una ragazza da copertina, pensai, doveva di certo
essere una di quelle ragazze che non si scordano.
“Se per te va bene, dovresti servire ai tavoli riservati
esclusivamente all’ospedale, quelli laggiù infondo.”
La guardai distrattamente, immersa a pensare che forse, quella era la
parte riservata ai parenti, familiari o amici dei pazienti, ma non ne
avevo la certezza. “Se c’è qualche problema
chiamami, ti lascio il mio numero!” Disse, dandomi un colpetto
sulla spalla.
In fin dei conti, se ci si pensa, noi lavoriamo, scriviamo, troviamo
distrazioni perché non abbiamo il coraggio di urlare. Scrivere
è l’urlo dei silenziosi, scriviamo per sfogarci, per tirar
fuori i nostri sentimenti e tramutarli in lettere. Per me,
d’altro canto, lavorare doveva tramutarsi in energia da
trasmettere esattamente a me stessa, energia finalizzata a farmi
pensare che, in fin dei conti, sarei riuscita a rendere qualcuno fiero
di me.
Primo tavolo, secondo, terzo; servi a questo, a quell’altro,
riporta indietro il drink sbagliato e cambia di nuovo le posate. Non
feci in tempo a riportare indietro l’ordinazione sbagliata, che
sentii una voce chiamarmi.
Una voce profonda. Gentile.
“Scusi, signorina, mi porterebbe un caffè? Ah, e dello
zucchero.” Era giovane, sembrava avere più o meno la mia
età, ma non mi guardava in faccia. Aveva l’aria
malinconica, era intento a leggere dei moduli, così mi limitai
ad annuire.
Portava i capelli corti, un po’ spettinati e biondi. Un biondo platino, sicuramente tinti.
Temporeggiai, facendo la finta esperta del locale, quando non sapevo
esattamente nulla: mi avvicinai al ragazzo dalla pettinatura strana e
gli servii ciò che aveva chiesto, mise i moduli da parte e
alzò lo sguardo.
“Grazie mill…” Mi fissò a bocca aperta. Feci
cadere, senza farlo apposta, addosso a lui il contenitore di zucchero
e, nel momento in cui ricambiai lo sguardo, mi resi conto di guardare
due occhi grandissimi, verdi come il fondo dell’oceano. Non
poteva essere lui, non in quelle circostanze.
“Scusami, è il mio primo giorno e già combino
danni.” Balbettai, non sapendo a che vetro appendermi; avete mai
provato l’imbarazzo di guardare una persona, e sorridere
contemporaneamente?
“Sto veramente pensando di essere perseguitato da te, a questo
punto.” Mi piaceva la sua ironia, ma non per questo gli era
concessa di usarla su di me. Feci finta di nulla e mi girai
dall’altra parte, fingendo di non capire.
Era lui.
Era bellissimo, così bello e diverso dagli altri che riusciva a
mettere in imbarazzo persino se stesso; feci andare via quei pensieri
inadeguati, dal momento in cui mi accorsi che era ancora intento a
guardarmi.
“Comunque io sono Michael. Non ti preoccupare per l’altra sera, sono una persona affidabile. Penso.”
Michael.
“Ah, beh…Ehm, piacere. Susie.”
Forse è proprio vero che certi occhi colpiscono sempre, marroni
o azzurri che siano. Gli occhi della persona che ci tormenta, o che ci
ha semplicemente tormentato per una sera, non si dimenticano mai. Nel
preciso istante quando i nostri sguardi si incrociarono, mi tese la
mano per stringermela e notai un braccialetto, questa volta, con una "S" incisa.
Avevo visto bene?
WELCOME BACK, con infinito ritardo.
Finalmente abbiamo aggiornato,
immerse dai compiti fatti all'ultimo; come avrete notato, abbiamo dato
poco spazio ad Alexis e Justin dal momento in cui non ne avevamo dato a
Susie, ma si saprà anche qualcosa in più su di loro,
molto presto. Bene, avete scoperto finalmente chi fosse il famoso
ragazzo dagli occhi verdi, e a quanto pare, anche Susie.
Ah, e poi c'è Sarah. Chi sarà?
A voi i commenti, come sempre numerose, speriamo?
Susie e Alexis :)
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