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Autore: cliffection    08/09/2014    10 recensioni
Dopotutto, siamo circondati da segreti e amarezze, da presenze e assenze che scavano dentro di noi pur di cercare un fondo, ma una fine non esiste. Prima o poi, dopo tante bugie, si è destinati ad esplodere.
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“Ehi, Australia. Non ti manca mai casa?” Era solito a chiamarmi così, con la semplice ragione che provenivo proprio da lì.
“Come potrei, se ci sei tu qui con me.”
L’amore è mantenere lo stesso una promessa, ma in quel momento, la vera promessa per me era Michael.
Mi sembrava di rivivere una di quelle scene da film che Alexis mi raccontava su Justin, ma ora, tutto era reale.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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A Thousand Miles 3 MODIFICA
You're just too good to be true
Can't take my eyes off of you
You'd be like heaven to touch
I wanna hold you so much.
- Gloria Gaynor


Mi rigirai con un movimento brusco nel gelido sacco a pelo che Justin si era degnato di concedermi, rannicchiandomi quasi fino a sentirmi intrappolata in un vicolo cieco, senza via d'uscita; ciò che successe poche ore prima mi aveva resa ancora più debole di quanto io non lo fossi già. Bisogna saper cogliere le occasioni; se il treno parte alle 8:25 e ci si sveglia alle 8:20, è già troppo tardi. Ma è possibile correre, correre veloce per raggiungerlo, correre tanto forte da farsi mancare il respiro.

Dovevo prendere quel treno, un treno senza ritorno, dritto al cuore della sorella che amavo più al mondo, ma alla quale mi stavo allontanando minuto per minuto.
Giustamente, proprio l'unica notte fredda gelida di tutta l'estate dovevo avere la fortuna di passarla in un garage. La pelle d'oca mi aveva coperto tutte le braccia nude e continuavo a battere i denti.

Non riuscivo a dormire e davo la colpa al freddo, ma sapevo che era il pensiero di Susie che continuava a tormentarmi. Continuavo a rigirarmi e rigirarmi in quel minuscolo sacco a pelo quando il rumore di un porta che si stava aprendo mi distrasse.
Era Justin e decisi di fingermi addormentata socchiudendo gli occhi, ma lasciando una piccola fessura aperta per curiosare per quale motivo fosse venuto nel garage a metà della notte.

Sbadata come sempre, non mi resi conto che aveva con sé una coperta.

Mi chiesi perché se la fosse portata dietro, iniziai a fare qualche ipotesi, ma di certo non mi sarei immaginata quello che stesse per fare: si avvicinò a me, decisamente troppo per i miei gusti, mi accarezzò il braccio e la pelle d'oca non fece che aumentare e poi ecco l'inaspettato, prese la coperta e me l'adagiò addosso; probabilmente si era reso conto del freddo.
Riuscii a scorgere il suo viso mentre lo faceva, speravo che la sua espressione mi avrebbe permesso di capire di più su quella situazione, ma niente era uguale a sempre, stessi occhi freddi e distaccati e stesso ghigno in faccia.
Poi uscì come se non fosse successo niente, sperai che la mattina seguente mi avrebbe dato una spiegazione, ma non ci speravo... Non conoscevo Bieber, ma era come se sapessi già tutto di lui.



Susie POV


Dicono che i libri, l’arte, l’alcool, e perché no, anche fare l'amore, siano i modi migliori per scrollarsi di dosso la realtà. Ci si immerge in situazioni e momenti estremi, o di estrema calma, per cercare di dimenticare, nonostante ognuno di noi sia consapevole che dimenticare è impossibile.
Mi alzai dal letto con cento, mille domande alle quali non avrei mai saputo rispondere, ma più di tutto, con un fastidiosissimo mal di testa; allargai le braccia a pugni stretti fino a stiracchiarmi, per poi finire nuovamente distesa sul materasso. Perché non ne ero sorpresa?
Svegliata di soprassalto e con il fiato corto mi convinsi che, come un incantesimo, il suo volto era bloccato nella mia testa.
Sì, me lo ricordavo. Senza ombra di dubbio il volto di quello sconosciuto che poche ore fa si era preso responsabilmente la briga di starmi accanto, in un modo o nell'altro, mi tormentò per l'intera notte da incubo.

Un volto annebbiato, innominato.

Non chiedevo tanto, avevo bisogno solo di conforto, contatto, ed i suoi occhi, quella sera, mi bastarono; forse era la sbronza, anzi, ne ero sicura, o forse c'era semplicemente qualcosa che non andava dentro la mia testa, dal momento che ciò che successe la sera precedente, per me, rimase un mistero.

"Dai, vieni, ti porto a casa. Non ti lascio tornare da sola."

Aveva gli occhi verdi, forse, probabilmente azzurri, ma non ne ero certa. Dannazione, era una pazzia, una pazzia bella e grossa continuare a rimuginare tanto a lungo su qualcosa, o meglio, su qualcuno che probabilmente non avrei più rivisto, ma era più forte di me.

"No... Ehm, sto bene, ce la faccio..." non feci in tempo a dirlo che caddi a terra, almeno, è quello che mi ricordo.
Ad una persona quale sono io, che crede profondamente al caso, in ciò che si fa senza un senso e cambia radicalmente la vita, alla puntualità del destino e agli appuntamenti che non è possibile mancare, piace pensare che se le nostre strade si sono incrociate, un motivo c'è.

“Non è un peso, per me, aiutarti. Piacere, sono M…” niente, nessun’immagine o parola mi era chiara.
Pensai che mi sarebbe piaciuto semplicemente scambiarci due parole, riderci sopra, poter conoscere quel ragazzo premuroso e dal sorriso gentile, semmai lo avessi rivisto.
Mi ricordai però di essere frustrata.
Odio. Provavo solo odio, un odio profondo verso quelle parole che Alexis mi aveva scagliato contro, parole così pungenti da farmi scordare completamente della motivazione per la quale, quei mesi, mi trovato lì; il lavoro estivo doveva essere un pretesto per scoprire di più sulla mamma, ma era come se me ne stessi dimenticando.
Stupida ragazza, insensibile.
Strinsi le palpebre fra loro, nonostante il cuscino mi impedisse di vedere qualsiasi cosa all’infuori del nero.
Non riuscivo a concepire del tutto cosa mi fosse passato per la testa il giorno prima, cercavo di trovare una spiegazione per la quale io mi fossi spinta così oltre, ma nulla; bando alle ciance, era tempo di andare a lavoro.

Parcheggiai l'auto all'angolo della strada, sfiorando pericolosamente il marciapiede; con i miei diciotto anni, d’altra parte, mi sentivo come se una parte di me stesse iniziando a diventare autonoma, ma non lo ero per nulla. Io e Alexis decidemmo giorni prima, con esitazione, che avremmo lavorato nello stesso posto, o meglio, lei avrebbe continuato i suoi studi da specializzanda in chirurgia, mentre io probabilmente avrei fatto da spalla al bar dell’ospedale; mi presentò al proprietario e gli promise infinita diligenza da parte mia. Era simpatico, ma mai dare troppa confidenza ai propri superiori.

L’idea non mi allettava, ma dovevo farlo per papà, e, ovviamente, per guadagnarci da vivere.
Afferrai la borsa e fissai la mia immagine riflessa sul vetro della macchina, intenta a sistemarmi i capelli; scoccai un ultima occhiata alla scritta “California Hospital Medical Center”, in attesa di finire l’ultima sigaretta del pacchetto.
Distolsi lo sguardo, messa a disagio da quel semplice nome che portava con sé molto più timore di quanto non ne avessi io: non mi erano mai piaciuti, gli ospedali, quest’ultimo era per l’appunto un altro ostacolo sulla mia strada, ed ero costretta a preoccuparmene mentre proseguivo, o iniziavo, le ricerche su mamma.

Quella mattina, con o senza Alexis, sarei stata, ancora una volta, sola, ma percepivo comunque una sensazione speciale; da brava lavoratrice, entrai dalla porta sul retro e feci la mia entrata ancora per metà addormentata.
Quanta gente. Troppa.
Decisi di cercare il direttore in modo da farmi dare qualche dritta, evidentemente ero troppo ingenua da capire che non erano tutti a disposizione per una novellina, perciò, incerta, mi fermai a chiedere consiglio ad una ragazza in divisa.

“Ciao, scusa, sono nuova qui. Ehm, non so bene come… ecco, come muovermi, e pensavo che…” non riuscii nemmeno a finire la frase, se era possibile chiamarla tale, che si mostrò prontamente un sorriso a trentadue denti sul suo viso, così spontaneo, sincero.
Tirai un sospiro. “Non devi nemmeno preoccuparti, ti seguirò io se avrai bisogno, per oggi. Sono Sarah, anche io sono qui da poco.” Era una di quelle ragazze vispe, sempre attente a tutto, a quanto pare; mi piaceva, in fin dei conti non sarebbe stata una giornata pesante, con lei.

“Io sono Susie.” le avvicinai la mano, e nel momento in cui ci stavamo presentando mi diede, all’istante, nell’occhio il braccialetto che portava con così tanta grazia; aveva inciso una "M" in corsivo, doveva essere abbastanza costoso. Mi piaceva, da morire, un giorno ne avrei desiderato uno anche io, pensai.

Il primo giorno di lavoro è in genere quello più duro, dicono. Ci si deve abituare ai ritmi, capire cosa si deve fare e come lo si debba fare. Se ci si sente carichi, presumibilmente ci si sbaglia.
“Senti, ti dirò, qua sono tutti così sgarbati e sono felice di saperti vicina, ma per oggi dovrai fare un’eccezione. Ti va? Dovrai darmi il cambio. Devo occuparmi di mio fratello, e me n’ero completamente scordata.” Perfetto, i miei piani non erano proprio questi; costatai che in fin dei conti non mi sarebbe costato nulla. Mi sarebbe piaciuto conoscerla, Sarah. Bionda, alta, magra, una ragazza da copertina, pensai, doveva di certo essere una di quelle ragazze che non si scordano.

“Se per te va bene, dovresti servire ai tavoli riservati esclusivamente all’ospedale, quelli laggiù infondo.” La guardai distrattamente, immersa a pensare che forse, quella era la parte riservata ai parenti, familiari o amici dei pazienti, ma non ne avevo la certezza. “Se c’è qualche problema chiamami, ti lascio il mio numero!” Disse, dandomi un colpetto sulla spalla.

In fin dei conti, se ci si pensa, noi lavoriamo, scriviamo, troviamo distrazioni perché non abbiamo il coraggio di urlare. Scrivere è l’urlo dei silenziosi, scriviamo per sfogarci, per tirar fuori i nostri sentimenti e tramutarli in lettere. Per me, d’altro canto, lavorare doveva tramutarsi in energia da trasmettere esattamente a me stessa, energia finalizzata a farmi pensare che, in fin dei conti, sarei riuscita a rendere qualcuno fiero di me.

Primo tavolo, secondo, terzo; servi a questo, a quell’altro, riporta indietro il drink sbagliato e cambia di nuovo le posate. Non feci in tempo a riportare indietro l’ordinazione sbagliata, che sentii una voce chiamarmi.

Una voce profonda. Gentile.

“Scusi, signorina, mi porterebbe un caffè? Ah, e dello zucchero.” Era giovane, sembrava avere più o meno la mia età, ma non mi guardava in faccia. Aveva l’aria malinconica, era intento a leggere dei moduli, così mi limitai ad annuire.
Portava i capelli corti, un po’ spettinati e biondi. Un biondo platino, sicuramente tinti.
Temporeggiai, facendo la finta esperta del locale, quando non sapevo esattamente nulla: mi avvicinai al ragazzo dalla pettinatura strana e gli servii ciò che aveva chiesto, mise i moduli da parte e alzò lo sguardo.

“Grazie mill…” Mi fissò a bocca aperta. Feci cadere, senza farlo apposta, addosso a lui il contenitore di zucchero e, nel momento in cui ricambiai lo sguardo, mi resi conto di guardare due occhi grandissimi, verdi come il fondo dell’oceano. Non poteva essere lui, non in quelle circostanze.

“Scusami, è il mio primo giorno e già combino danni.” Balbettai, non sapendo a che vetro appendermi; avete mai provato l’imbarazzo di guardare una persona, e sorridere contemporaneamente?

“Sto veramente pensando di essere perseguitato da te, a questo punto.” Mi piaceva la sua ironia, ma non per questo gli era concessa di usarla su di me. Feci finta di nulla e mi girai dall’altra parte, fingendo di non capire.

Era lui.

Era bellissimo, così bello e diverso dagli altri che riusciva a mettere in imbarazzo persino se stesso; feci andare via quei pensieri inadeguati, dal momento in cui mi accorsi che era ancora intento a guardarmi.
“Comunque io sono Michael. Non ti preoccupare per l’altra sera, sono una persona affidabile. Penso.”

Michael.

“Ah, beh…Ehm, piacere. Susie.”
Forse è proprio vero che certi occhi colpiscono sempre, marroni o azzurri che siano. Gli occhi della persona che ci tormenta, o che ci ha semplicemente tormentato per una sera, non si dimenticano mai. Nel preciso istante quando i nostri sguardi si incrociarono, mi tese la mano per stringermela e notai un braccialetto, questa volta, con una "S" incisa.
Avevo visto bene?






WELCOME BACK, con infinito ritardo.
Finalmente abbiamo aggiornato, immerse dai compiti fatti all'ultimo; come avrete notato, abbiamo dato poco spazio ad Alexis e Justin dal momento in cui non ne avevamo dato a Susie, ma si saprà anche qualcosa in più su di loro, molto presto. Bene, avete scoperto finalmente chi fosse il famoso ragazzo dagli occhi verdi, e a quanto pare, anche Susie.
Ah, e poi c'è Sarah. Chi sarà?
A voi i commenti, come sempre numerose, speriamo?
Susie e Alexis :)

  
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