IL
QUARTO ATTACCO
Parte
⅔: L’inganno del mostro
La
coda di Pinkie Pie fremette violentemente, ultimo di tanti altri
stimoli che la pony in rosa aveva captato dal momento
dell’emersione del Kaiju.
«Spike,
levati da lì! ORA!!»
Il
draghetto viola e verde, che durante le scosse era sceso dal dorso di
Rarity, riuscì a malapena a scansarsi dal punto in cui si
trovava, che una gigantesca massa di pietrame e metallo, spessa
qualcosa come cinque metri e piovuta da chissà dove nel
cielo, impattò come una meteora sulla strada in cui lui e le
quattro Custodi erano fermi, delineando una scia lungo tutto
l’isolato e fermandosi al centro dell’incrocio
successivo.
La
scia era rossa. Un colore denso e scuro, costellato qui e lì
da ciuffi di piume bianche, intrise dallo stesso colore.
Al
solo pensiero che lì sotto vi potesse essere qualcuno
– magari un’intera famiglia in fuga – i
membri del gruppo impallidirono uno dopo l’altra (e Rarity
gridò).
«G-grazie
Pinkie… » Balbettò, conscio che se non
fosse stato per lei, ora starebbe condividendo la stessa infausta sorte
di chi si trovava lì sotto.
«Ora
capisco gli incubi e tutto il resto! Lo sapevo che non poteva essersi
trattato solo di una cena andata a male!» Disse Applejack,
non sapendo se sentirsi soddisfatta delle sue intuizioni o angosciata
dalla situazione tutt’intorno.
«Ma
un attacco dopo appena quattro mesi… e per giunta in
città! Non è in alcun modo possibile!!»
Contestò Rarity, ad un passo da una crisi nervosa.
La
palla di detriti che aveva appena volato su di loro le aveva smosso la
criniera scompigliandola in modo osceno, e nonostante fosse consapevole
della gravità del momento, non riusciva a fare a meno di
soffrire per essa.
Mentre
cercava di restituire la decenza ai suoi dolenti crini,
sentì qualcosa di soffice attaccarsi alla punta del suo
zoccolo, e gridò nuovamente dopo essersi resa conto che si
trattava di un’altra di quelle piume.
«Beh,
levati di dosso le ciglia finte e apri bene gli occhi,
perché sta succedendo davvero!» Le
contestò Dash, che dall’alto della sua posizione
vedeva meglio di tutte le atrocità che stava subendo la
capitale.
«Senza
contare che non sappiamo ancora che fine ha fatto
Fluttershy!» continuò la cowgirl.
«Lì!»
Puntò lo zoccolo la pony della Gioia.
«Pinkie,
non adesso. Ti prego… »
«No,
no! Dico davvero! Guardate, eccola lì, e
c’è anche Twilight con lei!»
Si
voltarono nel verso indicato e le videro arrivare al galoppo, con le
espressioni sconvolte di chi era appena partito per un viaggio
allucinante nel Tartaro e ritorno.
Si
accorsero anche che con sé avevano indosso i loro Elementi,
e una bisaccia che probabilmente conteneva i restanti.
«Twi!
Shy! Per fortuna state bene!» Esordì la giumenta
dal manto arancione unendosi a loro in un abbraccio di gruppo, a cui
poi si aggiunse anche Spike.
«Sì,
ma c’è mancato poco! Laggiù la
situazione è catastrofica! Cielo, terra, niente è
al sicuro!» Rispose la Principessa.
«Dimmi
una cosa, tesoro. È proprio quello che sembra?! Un Kaiju ha
davvero attraversato le difese di Canterlot?!» Domando
Rarity, angosciata.
«Peggio,
ha… ha sfondato il centro della città da sotto
terra… » rispose Fluttershy, cercando nel contempo
di contenere le lacrime. Squittì turbata quando si accorse
della coda rosso sangue che accompagnava la palla di macerie
più in là.
Le
pony si osservarono tra di loro in un cupo silenzio.
«Sì,
ma non c’è tempo per parlarne ora!»
Tagliò corto l’alicorno estraendo gli Elementi e
consegnandoli alle legittime proprietarie «Tenete,
indossateli subito. Stanno radunando tutti i superstiti al castello.
È l’ultima spiaggia per mettere al sicuro
più gente possibile. Dobbiamo sbarazzarci del Kaiju prima
che li raggiunga!»
Rainbow
Dash sacrificò alcuni secondi del loro risicato tempo per
trarre una stima della tratta che dovevano percorrere. Cercò
con lo sguardo una figura ciclopica che sovrastasse sui palazzi, e una
volta localizzata calò sul gruppo portando con sé
conclusioni gravate di dubbi. «È una bella
galoppata fin laggiù, ragazze. Siete certe di riuscire a
mantenere il nostro ritmo?» Chiese rivolgendosi a chiunque
non avesse le ali.
«Sì,
certo! Aspetta che mi faccio prestare l’Equalizzatore da
Bibski Doss. Ops, che sbadata, ho dimenticato il suo contatto
nell’altro cappello!» Disse Applejack con accidia
manifesta.
«Non
sarà necessario… » intervenne Twilight
sollevando la testa. Posò lo sguardo sulla prima balconata
che si frappose nella sua panoramica e con l’immaginazione
finse di tracciare un potenziale percorso fatto di tetti e
sommità di edifici «… passeremo
dall’alto.» Disse poi.
Applejack
inarcò un sopracciglio, non capendo se la sua amica la
stesse prendendo in giro oppure se facesse sul serio.
Le
sei giumente intrapresero una corsa sfrenata tra i tetti di Canterlot,
come un’elegante coreografia d’azione durante
un’esibizione teatrale.
Chi
era dotata di ali si librava sulle altre, mentre gli zoccoli delle
rimanenti galopparono da un cornicione all’altro senza quasi
mai fermarsi.
Il
tutto era reso possibile dalla magia di Twilight, che servendosi del
suo corno, teletrasportava se stessa e le sue compagne proiettandole al
punto successivo, mentre il gigantesco Kaiju si stagliava sempre
più grande davanti a loro.
Gli
occhi della Principessa scandagliavano costantemente
l’ambiente, in cerca di tetti piani e ampi terrazzi in cui
compiere i “salti”, e dove non arrivavano i suoi
riflessi, ci pensava la vigile alleanza di Rainbow Dash a indicarle con
rapidi gesti la successiva tappa da raggiungere.
Nessuna
esitazione le intimoriva al margine di un edificio, neppure la
stanchezza di Rarity o la paura di Fluttershy. La fiducia che tutte
riponevano su Twilight era totale, consce che mai la loro amica le
avrebbe lasciate precipitare nel vuoto o teletrasportare su percorsi
troppo scoscesi per avanzare.
La
fluidità della loro elegante corsa sarebbe stata una
perfetta esibizione di magia, lavoro di squadra e riflessi pronti, se
solo fosse avvenuta in un contesto meno agitato.
Più
la marcia le portava vicine al perimetro della distruzione e
più il pericolo di teletrasportarsi nel raggio di un attacco
del Kaiju si palesava di fronte ai loro occhi.
Dopo
aver evitato per un soffio il crollo di una torre sul cornicione nel
quale erano saltate, stabilirono all’unisono che era giunto
il momento di fermarsi.
Atterrarono
sulla copertura parzialmente divelta di una grande villa residenziale,
dalla cui cima vedevano chiaramente a circa un chilometro di distanza
le spalle del gigantesco bestione muoversi al di sopra del canyon delle
rovine.
Rarity
fissò incredula i resti di quella che un tempo era la
città dei suoi sogni, le cui strade ora erano tappezzate di
cadaveri e inermi vittime in fin di vita. «Tutto questo
dolore… è orribile… non ha
senso… » bisbigliò tra sé e
sé, scuotendo la testa.
«Qui
dovrebbe andare. Presto, mettetevi in posizione!» Si
affrettò a dettare Twilight, rivolgendosi poi a Spike seduto
sua groppa. «Scendi e vai da quella parte. Non ti avvicinare
a noi finché il rituale non sarà
concluso!»
«Vorrei
poter fare qualcosa per aiutarvi. Qui mi sento inutile…
» Si lamentò mestamente il drago.
«Stai
al riparo e cerca di fare attenzione. È il favore
più grande che posso chiederti!»
Fatto
scendere il suo assistente, che andò a ripararsi dietro un
grande blocco di cemento e tondini piovuto chissà da dove, le
sei amiche si radunarono ad anello e cominciarono ad attivare i loro
Elementi.
«Twilight,
io… n-non so se me la sento di rifarlo…
» confessò la pegaso giallo canarino prima di
cominciare.
«Ne
abbiamo già parlato, Fluttershy. Non te lo chiederemo se ci
fossero delle alternative!»
E
difatti non ce n’erano. Non in quel momento, non di fronte a
tanta sofferenza.
Come
da prassi, ogni Elemento si accese e cominciò a emettere
pulsazioni colorate dal suo nucleo.
Il
Kaiju si voltò verso di loro, come se avesse percepito
l’ondata di energia che si propagava dalle sei Custodi,
emettendo un leggero grugnito mentre le fissava con
curiosità.
La
gravità intorno all’anello si annullò
progressivamente, e le sei furono sospinte per aria
dall’immensità energetica dei loro simboli.
Il
Kaiju iniziò a compiere qualche passo verso di loro,
avvicinandosi pericolosamente alla villa.
Spike
si mordicchiava nervosamente le unghie delle dita, augurandosi che il
rituale fosse compiuto prima che la creatura le raggiungesse.
Da
ciascuna delle gemme partì un raggio colorato, che si
unì a quello di Twilight in un immenso arcobaleno celestiale.
Gli
occhi della Principessa dell’Armonia divennero candidi come
le stelle e accecanti come il sole, e il grande raggio, dopo essersi
ingigantito nel cielo, compì un’ampia arcata che
cadde a mo’ di cascata sul corpo del mastodontico ponycida.
Il
ciclope avvertì il potere dell’Armonia lambirgli
lo strato coriaceo e urlò, mentre gli Elementi lo
avvolgevano in un turbinio di magia allo stato puro, ma le fasce
multicolore dell’arcobaleno riuscirono a contenere
l’onda sonica del suo potente attacco, evitando
così che le pony venissero sbalzate via prima della fine.
Fine che si presentò con una grande detonazione di luce, che
abbagliò la capitale piombandola in un silenzio spettrale,
degno di una città fantasma.
Le
Custodi adagiarono dolcemente i loro zoccoli al tetto divelto
dell’abitazione e respirarono profondamente per riprendere le
forze.
Tutte
insieme guardarono poi verso la stessa direzione, dove un leviatanico
muro di fuliggine si era sollevato nell’aria frapponendosi
tra loro e il Kaiju.
«È…
è finita? Ce l’avete fatta?» Chiese
Spike, col cuore ricolmo di speranze.
Un
sottile venticello di montagna, ansioso di prendere parte alla
battaglia, condusse fin da loro un miasma di carne bruciata mischiato
alla caligine, che impastò le loro narici.
«Non
lo so… » enunciò Twilight, starnutendo
«non ci siamo riuscite a Las Pegasus… non vedo
perché ora dovrebbe essere andata diversamente…
»
«Suggerisci
di preparare un'altra emissione?» chiese Rarity, speranzosa
di levare le tende il prima possibile.
«Ripeto,
non lo so. Per il momento rimettiamoci in posizione, cerchiamo almeno
di farci trovare preparate.»
«Pinkie
Pie, che ci dice la tua coda? Senti niente?» Chiese invece
Rainbow Dash.
La
pony guardò per un momento il grande batuffolo rosa
attaccato al posteriore. «Boh, in questo momento ha troppa
paura per parlarmi, trema tutta!»
La
pegaso sbuffò. «Pff… scema io che poi
vado a chiedere pareri a te…» ma poi i suoi occhi
si sgranarono di colpo «aspetta un momento… hai
detto “TREMA”?!»
Un
nuovo ruggito, assordante e animato di vendetta, sfondò la
barriera di polveri portando allo scoperto l’iracondo ciclope.
Le
pony dovettero tapparsi le orecchie per non rimanere rintronate
dall’urlo, mentre tentavano al contempo di resistere
all’implacabile spostamento d’aria uscito dalle sue
fauci.
Il
Kaiju emerse del tutto dalla coltre, mostrando così le
piaghe da ustione che ora gli ricoprivano la pelle: unico effetto
riscontrabile dell’azione degli Elementi.
Applejack
imprecò chiassosamente, mentre il Kaiju – salvo
per le bruciature superficiali – non appariva in alcun modo
provato dal loro attacco.
«Presto,
ragazze! Colpiamolo di nuovo prima che si avvicini!!»
Le
giumente si rimisero subito ad attivare la corona e i loro preziosi.
Twilight
tenette gli occhi fissi sul ciclope, pronta a teletrasportarle nel caso
il mostro si fosse fatto troppo vicino.
Le
sue zampe divennero leggere e si sollevarono in aria, i suoi occhi
s’illuminarono, e per un momento la Principessa vide soltanto
una luce abbagliante coprirle le pupille.
Solo
Spike poteva scorgere con assoluta lucidità ciò
che stava per accadere subito dopo.
Il
Kaiju, invece di ingaggiare battaglia con le sei pony, si
fermò sul posto dopo aver compiuto appena due passi,
portandosi le mani all’altezza delle tempie (o per lo meno,
là dove si sarebbero dovute trovare).
Lì
per lì sembrò che una forte emicrania lo avesse
ghermito nella sua morsa e ora gli stesse trapassando il guscio
ovoidale da parte a parte, ma Spike vide chiaramente le dita stringersi
sui bordi lisci del cranio e cominciare a tirare verso le due
estremità.
“Sembra
un cucciolo che scarta ansiosamente un regalo… ” pensò,
dopo aver divorato tanto i suoi artigli da non lasciarvi niente di
più che insignificanti moncherini oltre al corpo ungueale.
D’improvviso,
la testa del ciclope si aprì in due, spaccandosi dalla
rigatura verticale al centro del viso (sì, la stessa che
pocanzi qualcuno avrebbe considerato una semplice cicatrice).
Il
suo interno rivelò una grande cupola di carne gelatinosa e
gialla, che ricordava in modo fin troppo eloquente un tuorlo di gallina
avvolto da maglie di capillari, non fosse che in realtà
era… un occhio!
La
testa del Kaiju, in tutta la sua ampiezza, altro non era che un grande
e immenso occhio giallo, con una minuscola macchia nera come pupilla al
centro e una grande coppia di palpebre ossee che ne celavano
l’inganno.
Grandi
fasci di fibre muscolari tenevano coeso il bulbo con le due
metà del guscio protettivo, che ora pendevano in modo
simmetrico, inclinate ai fianchi del collo come le fauci di un insetto.
Dei
piccoli incavi a mezzaluna all’altezza della pupilla
interrompevano la continuità della spaccatura sulle due
metà del “guscio”, che quando si
chiudeva lasciavano uno spiraglio aperto per consentire al mostro di
osservare in tutta sicurezza l’ambiente che lo circondava,
come da dentro un grande elmetto.
Era
questo l’inganno del mostro. L’occhio, che in
realtà non era un occhio, ma il valico per un segreto molto
più pauroso che si celava al suo interno.
E
cosa avrebbe portato con sé questo segreto, ora che aveva
deciso di mostrarsi a loro?
Il
grande occhio del ciclope strinse il fuoco sul gruppo delle sei
Custodi, mentre Spike si chiedeva se le sue amiche lo stessero vedendo
a loro volta, o se la trance che le aveva rapite le aveva condotte in
uno spazio esterno alla realtà, dove i sensi erano isolati e
la consapevolezza spenta.
Osservò
che i raggi degli Elementi iniziarono a unirsi nell’aria e
immaginò l’arcobaleno mentre si piantava
nell’enorme occhio del mostro, infliggendogli finalmente una
ferita mortale.
Provò
disgusto per quel pensiero, ma anche uno sbuffo di fiducia: almeno
l’incubo sarebbe finito.
Dall’immenso
bulbo, invece, colò una goccia di quella che sembrava una
lacrima dalla superficie nero-opaca.
Era
molto piccola (sì e no mezzo metro) rispetto alle
proporzioni della creatura – una goccia di rugiada dalle
fronde di una quercia – appena visibile da quella distanza,
ma carica dei riverberi sottratti dai raggi solari.
Essa
gocciolò dal bordo turgido dell’occhio,
condensandosi nell’aria in un globo di fluido che
levitò sospeso nel nulla, animato non si sa come da una
forza invisibile, che cominciò a dirigersi a gran
velocità verso il cerchio tracciato delle Custodi.
Prima
che gli Elementi avessero il tempo di concludere e Spike di capire come
avvisarle, il globo investì in pieno Rarity, scaraventandola
fuori dalla formazione ad anello.
«Rarity,
noo!!» Gridò il draghetto, preso da spasmodiche
vampate di panico.
Si
lanciò in soccorso alla sua amata.
Twilight
e le altre caddero a terra, e ci misero un po’ a rialzarsi,
scosse e frastornate dalla brusca interruzione.
«Per
tutte le stalle… che accidenti è
successo?!» Chiese Applejack, recuperando da terra il suo
cappello.
«Gli
Elementi… l’emissione…. qualcosa
è andato storto!» Constatò Twilight,
sentendo alle sue spalle la voce dell’assistente che invocava
il loro aiuto. «Venite, presto! Rarity è stata
colpita!!»
Si
voltarono tutte verso la loro direzione.
Spike
le teneva sollevata la testa. Era sveglia, ma con uno sguardo debole e
la testa assente, che le fischiava pesantemente come dopo una forte
esplosione. Il suo Elemento si era distaccato da lei e ora giaceva a
terra, spento ed esanime.
«Ci…
ci siamo riuscite?» Biascicò l’unicorno,
ignara e confusa.
«Che
cosa le è successo, Spike?! Perché il rituale si
è interrotto?!?»
«Non
lo so, Twilight! Stava andando tutto bene, ma poi il Kaiju ha
fatto… oh Celestia… QUELLO!» Fece segno
con l’artiglio mangiucchiato.
Le
Custodi si girarono e i loro occhi furono testimoni del raccapricciante
spettacolo messo in cantiere dal mostro: dal suo grande bulbo oculare
continuava a grondare altro fluido opaco, che si condensava in numerosi
globi dalla superficie grigio-traslucido prima di toccare suolo.
Essi
poi, animati da una volontà tutta loro, si dispersero per la
città come segugi in cerca di prede.
Uno
di loro prese di mira la Principessa dell’Armonia,
lanciandosi su di lei come una palla da cannone.
«Twilight!!»
Rainbow Dash si mise in mezzo, spingendola via, e fu investita da
un’esplosione umida e viscosa, che tuttavia si
dissecò subito, evaporando quasi all’istante senza
lasciarle sul suo manto alcuna traccia.
Dash
si guardò stranita, quasi delusa
dall’innocuità di
quell’attacco.«Come, tutto qui?»
«S-stai
bene…?» Chiese l’alicorno, titubante ma
anche grata.
«Meglio
che mai… non capisco… »
Twilight
si accigliò, notando che le mancava qualcosa.
«Ehi, che fine ha fatto il tuo Elemento?!»
La
pegaso arcobaleno perlustrò la zona ruotando su se stessa,
trovandolo a terra lì vicino, apparentemente intatto.
«Ma
guarda. Mi dev’essere caduto quando quella roba mi ha
colpito.» Ipotizzò, raccogliendolo con la zampa.
«Sei
sicura che sia tutto a posto?» Insistette Twilight,
irrequieta.
Rainbow
Dash, da quando le aveva fatto da scudo, stava cominciando ad avvertire
una leggera cefalea che si stava propagando su tutto il cranio man mano
che parlavano, ma evitò di dirlo per senso
dell’orgoglio.
Liquidò
la domanda con un cenno d’affermazione e le fece conforto di
un fiducioso sorriso.
Rarity
nel frattempo fu aiutata da Fluttershy e Pinkie Pie a rimettersi sugli
zoccoli.
Sulla
sua criniera si era accumulato un quantitativo intollerabile di
sporcizia e polvere, e per quanto avesse cercato di ignorarlo fino
all’ultimo per il bene della squadra, l’impulso di
attivare la magia per darsi una sistemata fu troppo forte
perché potesse resistervi.
Attivò
il corno per accingersi a scrollarsela, ma non successe nulla.
«Oh
cielo… » provò di nuovo eseguendo la
stessa formula, e ancora tentando con un incantesimo differente, ma
dalla punta della sua escrescenza non ne uscì nulla, nemmeno
una piccola scintilla.
Sgranò
gli occhi, presa dal panico. «NOO!! NON E’
POSSIBILE, NON A ME, NON A ME!!»
«Rarity,
che ti prende?!» Le chiese Spike, trasalendo alle sue urla.
«LA
MIA MAGIA!! HO PERSO LA MIA MAGIAA!!!»
«Ti
prego, adesso calmati, quello che dici non ha senso!» La
implorò Twilight cercando di placarla, ma le sue parole
finirono soffocate dalle urla dell’amica e dai rimbombi lenti
ma impietosi del Kaiju.
Anche
il suo piccolo assistente sentiva di essere ormai al limite della sua
personale soglia di sopportazione, sentendosi come un peso inutile
incapace di aiutare la sua amata o di apportare qualunque beneficio
alla squadra.
Nel
frattempo i globi grigio-scuri continuavano a piovere sui superstiti in
fuga nelle strade, rivelandosi particolarmente selettivi nella scelta
dei bersagli contro cui gettarsi.
Pegasi
e pony di terra non erano neppure presi in considerazione dalle sfere,
che addirittura si cimentavano in repentine virate pur di evitarli, ma
non era concesso lo stesso riguardo agli unicorni, che finivano
centrati uno dopo l’altro.
Sia
Spike che le Custodi guardarono quello spettacolo travolti dal
più profondo senso di smarrimento.
Fu
allora che a Twilight venne un sospetto.
Osservò
prima l’Elemento della Lealtà, ancora tra gli
zoccoli di Dash, per poi trovarvi una raggelante correlazione con
quanto successo a Rarity. «Spike, prova a metterle
l’Elemento, presto!»
Il
drago obbedì dopo una prima occhiata perplessa, ma quando il
monile fu adagiato sul manto banco-perla della giumenta, invece di
aderirvi come, di fatto, avrebbe dovuto, ricadde sul tetto con un
timido tintinnio tra i suoi zoccoli.
Un
orrore ancora più oscuro si arrampicò sul loro
garrese per poi non scendere più.
«Dash,
prova tu!» Disse la Principessa.
La
pegaso arcobaleno avvicinò il suo Elemento al collo tremando
di paura, quasi come se temesse le conseguenze
dell’indossarlo, e come successo a Rarity, la collana si
stacco per poi cadere privata dei suoi poteri.
Twilight
avrebbe voluto deglutire, ma la gola era ormai riarsa quanto la sabbia
di un deserto e il suo palato allo stesso tempo le stava prudendo e
bruciando. «La magia… quelle sfere in qualche modo
la cercano e la assorbono… il Kaiju sapeva che avremo usato
i nostri poteri per abbatterlo e… ha trovato il modo di
impedircelo… »
Mentre
parlava, un altro globo grigio-scuro scese su di lei facendone il suo
bersaglio. Se ne accorse per tempo e tentò di defletterlo
con un colpo di magia dirompente, che tuttavia finì col
dissolversi non appena vi impattò contro.
Twilight
dovette scansarsi all’ultimo secondo per sfuggire alla stessa
sorte toccata a Rarity e a Rainbow Dash.
«Dobbiamo
andarcene da qui! Ci stanno prendendo di mira come i concorrenti di una
gara di lancio del cibo! E tu sei quella che vale mille punti,
Twilight!!» Strillò Pinkie Pie, con la coda e gli
zoccoli in costante fermento.
«Per
non parlare di quel brutto ceffo che si sta facendo sempre
più imbestialito laggiù!» Aggiunse
Applejack.
«Va
bene, vedo che posso fare!» La
Principessa prese a sondarsi intorno, in cerca di un nuovo punto dove
poter trasferire il gruppo lontano dal rateo di fuoco della creatura.
Assunse
che i tetti erano da evitare, troppo scoperti e alla mercé
dei globi. L’ideale era cercare un nascondiglio a terra, che
le tenesse al contempo lontane dalla vista del ciclope e
dall’incombenza dei piccoli sciacalli sferici.
Scelse
un vicolo non molto lontano da lì, che sembrava fare al caso
loro. Perlomeno avrebbe dato il tempo di riorganizzarsi e cercare di
riordinare le idee.
Attivò
quindi il teletrasporto, trasferendoceli tutti.
Il
Kaiju si arrestò, confuso dopo averle perse di vista, ma non
si soffermò sulla ricerca, ben consapevole che i suoi piani
erano tutt’altri.
Grugnì
mestamente e riprese ad avanzare.
Le
due metà protettive del suo guscio, prima chiuse, si
aprirono un’altra volta liberando un nuovo sciame di globi
pronti a estendersi sulla capitale.
Le
pony lo guardarono allontanarsi, lasciando dietro di sé solo
cortine di pulviscoli e strutture in procinto di crollare.
«Ok,
ora spiega: cos’è questa storia della
magia?!»
«Non
ne sono sicura Dash» cominciò Twilight
«ma credo che quelle sfere in qualche modo reagiscano a
contatto con la magia. Sono come delle calamite: attaccano gli unicorni
e li privano del loro potere… »
«Ma
io che diavolo centro allora?! Va bene che sono la miglior aviatrice di
Equestria, ma sono solo un accidenti di pegaso, santo cielo!»
«Ma
mi hai fatto da scudo quando quella sfera ha cercato di colpirmi! La
reazione deve aver avuto qualche effetto anche sull’Elemento
della Lealtà, annullandone i poteri!» Si rivolse
poi a Rarity, notando per lo meno che aveva smesso di piangere.
L’ombretto intorno agli occhi le si era disciolto nelle
lacrime, rigandole il volto, ma nessuno aveva il coraggio di farglielo
notare. «Rarity, sei proprio sicura di non poter usare
nessuna magia? Hai provato con incantesimi più
semplici?»
L’unicorno
digrignò e si mordicchiò il labbro con
l’arcata superiore dei denti, ma qualsiasi cosa avesse
tentato, non produsse risultati. «M-mi dispiace amiche
mie… ma non mi è rimasto più
niente… »
Una
nuova vampata di tristezza prese il predominio su di lei.
Spike
andò ad abbracciarla e lei ricambiò il gesto a
sua volta stringendolo ancora più forte tra gli zoccoli.
Nascose la testa tra le sue spalle e si mise a singhiozzare in
silenzio, il più discretamente possibile.
«Quindi
non solo lei non ha più la sua magia ma noi non abbiamo
più nemmeno gli Elementi con cui combattere?!»
Irruppe Applejack.
Da
lontano un frastuono rimbombante fu susseguito da nuove grida
d’isteria collettiva: un altro quartiere che veniva raso al
suolo dal mostro.
«Dovrò
fare delle ricerche per verificare se ci sono stati dei casi simili in
passato, e scoprire eventualmente se esiste un contro-incantesimo che
riporti tutto alla normalità.»
Pronunciò con un filo di voce, quasi dando parola a pensieri
che dovevano restare interiori.
Posta
così, l’idea non suonava confortante, ma la
verità è che nemmeno lei ci credeva fino in
fondo. Anche se alla fine un rimedio si fosse trovato, per salvare
Canterlot avevano bisogno degli Elementi dell’Armonia ora, in
questo preciso momento.
«Io
non capisco…» parlò Spike, scostandosi
delicatamente dall’unicorno bianco-perla «se gli
Elementi hanno bisogno della magia per funzionare, allora come fanno
Applejack, Pinkie Pie e tutte le altre ad utilizzarli? Insomma, solo
due di voi possono effettivamente usare incantesimi: tu e
Rarity!»
«C’è
della magia in ognuna di noi, Spike. Ricordi che è successo
alla Canterlot High? Gli Elementi si legarono alle Custodi diventando
parte di noi stesse, ma senza la magia che alimenta i nostri spiriti,
sono inutili! Quelle sfere… credo che attacchino la fonte di
magia più potente che c’è nei dintorni.
Per prima cosa hanno attaccato noi, dopo di che si sono riversate su
Canterlot. Il fatto che sia stata presa di mira Rarity e non io
probabilmente è stato solo un caso dettato dal
rituale…»
Fu
interrotta da Applejack, che imprecò calciando con tutta la
sua forza un pezzo di cemento, rotolandolo sulla strada
all’infuori del vicolo. «Maledetto, ci ha fregate!
Ci ha sepolte fino al collo nel suo liquame!»
Un’intimidita
Fluttershy si fece avanti per dire la sua.
«Twilight… i-io… credo che dovremo
tornare a palazzo… dobbiamo dire alle Principesse cosa ci
è successo… chiedere che mandino in campo
Discord… lui ci salverà, ne sono
sicura… »
Applejack
si fece d’improvviso attenta. «Discord?! Che centra
lui adesso?» Ma non era la sola ad aver avuto una reazione
fuori misura.
«Era
di questo che parlava Celestia.» Si affrettò a
spiegare Twilight, per poi annuire alla pegaso canarino.
«Stavo pensando la stessa cosa. Non vorrei dirlo ma credo che
a questo punto sia l’unico in grado di fare
qualcosa.»
In
quel momento, un drappello di Wonderbolts volò sopra le loro
teste, e tra loro Rainbow Dash riconobbe l’inconfondibile
siluette del Capitano Spitfire. Immediatamente e senza preavviso,
spiegò le ali e si lanciò al loro inseguimento.
«Capitano!»
Urlò con tutta la forza del diaframma per farsi udire dalla
pegaso dalla criniera di fuoco, già molto distante.
«Signora! Mi aspetti la prego!» Ma per quanto si
sforzasse, l’eco non risultava mai abbastanza tonante.
«SPITFIRE!» Gridò ancora più
forte, in un ultimo disperato tentativo.
La
Wonderbolt si arrestò a mezz’aria, ruotando
all’indietro. «Rainbow Dash?»
Mormorò sorpresa.
Fece
cenno alla sua truppa di proseguire per la loro strada e attese che la
pony della Lealtà la raggiungesse.
«Dove
vi siete cacciate?! Qui in giro si stava spargendo la voce che foste
morte!»
«No,
siamo ancora vive per ora.»
«Questo
lo vedo da me.»
«Ma
abbiamo avuto un contrattempo, non siamo più in grado di
usare gli Elementi!»
La
vide inarcare un sopraciglio, perplessa. «Ti prendi gioco di
me?!»
«Vorrei
che fosse così… cioè… no,
non vorrei… » si tappo per un momento la bocca
«insomma… vede quei globi di luce?» Ne
indicò una coppia che stava pattugliando le strade in cerca
di nuove vittime. «Non so come funziona, ma sembra che
prendano di mira qualunque unicorno che gli capiti sotto zampa! Li
privano della magia, li… li rendono incapaci di fare
qualunque cosa!»
Spitfire
la osservò con un’espressione che era un misto tra
l’indifferenza e il cinismo. «E con ciò
che cosa ti aspetti che faccia?»
«Beh…
non lo so… mobilitate qualche squadrone che li protegga,
distruggetele prima che possano colpire altri unicorni… fate
qualcosa insomma, voi siete il Capitano degli… »
«Ti
fermo subito, ragazza. Guarda laggiù e dimmi cosa
vedi?»
Rainbow
Dash seguì in linea d’aria la direzione
contrassegnata dallo zoccolo della Wonderbolt: il Kaiju aveva raggiunto
l’altopiano che s’innalzava per la vetta del
castello, e lì, sulla parete a un paio di chilometri dal
punto in cui osservava, lo vide aggrapparsi sul bordo del primo dei
grandi bacini artificiali che dal picco raccoglievano l’acqua
che andava convogliata a valle per il sostentamento della
città.
La
pietra di cui erano composti gli orli si frantumò come terra
sotto la massa spropositata del mostro, e la cascata che alimentava i
canali sottostanti con il suo lento ed elegante scorrere, si vide
improvvisamente triplicare il proprio volume accompagnata dai larghi
getti che tracimarono dai bordi dopo che il Kaiju vi si immerse dentro.
La
piscina che di principio lo inondava fino alla vita, si
svuotò in pochi istanti fino ad arrivare
all’altezza delle ginocchia. La vasca nel frattempo si stava
indebolendo, e sarebbe crollata da un momento all’altro se
l’eccesso di peso non si fosse levato subito da lì.
In
un certo senso, era quello che Rainbow Dash stava sperando: il Kaiju
sarebbe precipitato e chi era già in viaggio per il castello
avrebbe avuto più tempo per mettersi in salvo.
Invece
lui, dopo aver percorso un tratto della vasca in ammollo,
arrivò a ridosso della parete da dove prese a inerpicarsi
verso l’altura successiva, spinto da una tenacia incessante,
prova di una volontà inscalfibile.
Passo
dopo passo il suo obbiettivo si faceva sempre più vicino.
«Ora,
la situazione è questa» ricominciò
Spitfire «abbiamo perso gran parte dell’Aviazione
dei Grifoni e non ho idea di dove siano finiti gli altri. Nel frattempo
le Principesse stanno facendo convergere tutti a castello, comprese le
unità della Muraglia e gran parte dei miei pony. E indovina
un po’ dove si sta dirigendo quel grasso culone flaccido? La
circostanza è già drammatica di suo senza che mi
metta a ordinare ai miei di correre dietro a delle bolle!»
Rainbow
Dash spalancò le mascelle in uno schiaffo di sgomento.
«M-ma… ma non possiamo abbandonarli a loro stessi!
Quegli unicorni hanno bisogno di noi! Se prendessimo alcuni…
»
«E
allora vai e aiutali!» Tuonò la pegaso in uniforme
blu. «Oppure raduna le tue amiche e vieni con noi a castello!
So che rappresenti l’Elemento della Lealtà,
Rainbow Dash, ma non puoi salvare ogni singolo pony di questa
città!»
La
giumenta arcobaleno ammutolì, incredula alle parole della
Wonderbolt.
Davvero
stava suggerendo di ritirarsi lasciando a loro stessi centinaia di pony
indifesi? E con quale coraggio, in nome delle Principesse?!
Per
un momento fu coccolata dalla tentazione dolce-amara di colpirla. Una
zoccolata sul muso, un setto nasale fratturato e una lezione di buon
senso impartitale da una vera paladina di Equestria, ma poi si rese
conto che aveva ragione. In un modo ingiusto e oltraggiosamente
sbagliato, ma sì… aveva ragione: il Kaiju era
ormai in cima al picco, diretto al castello, e se davvero aveva il
potere di annullare la magia, come sosteneva Twilight, non ci sarebbe
stata nessuna Muraglia sufficientemente robusta da reggere il suo
assalto.
Avrebbe
presto fatto breccia e li avrebbe sopraffatti tutti. Loro. Le
Principesse. I superstiti. Chiunque.
Spitfire
aveva preso la sua decisione, e si era congedata su due zoccoli per
riunirsi ai suoi pegasi, lasciando Rainbow Dash alle prese con i suoi
dubbi. Dubbi che la schiacciavano a terra, intimandole di fare la sua
parte.
Le
strillavano nelle orecchie, ricordandole di essere fedele alle vite per
le quali si battevano, ma qualcuna parlo anche al contrario. Queste
erano più pacate, come dei saggi sussurri, e le spiegavano
che anche Canterlot aveva bisogno delle sue paladine, e che lei doveva
anche essere fedele alle sue amiche.
I
dubbi la incatenarono, mentre davanti a sé si biforcavano
due vie: tornare a palazzo con loro o dare credito ai suoi sensi di
colpa?
Prese
la decisione più logica. In fondo la priorità era
il castello, e insieme a esso tutta la gente che vi si stava
rifugiando, anche se il rimorso le trapassava il cuore come uno scocco
delle lancia-dardi (e a questo proposito, fu lambita da un altro gemito
di dolore. Spitfire aveva detto: “abbiamo
perso gran parte dell’Aviazione dei Grifoni e non ho idea di
dove siano finiti gli altri”.
Al solo pensiero si sentì morire dentro. Chissà
se Gilda stava bene?).
Si
ripresentò alle sue amiche nel vicolo, aggiornandole sulle
parole della Wonderbolt (indorandole) e sulle intenzioni del Kaiju. Dei
pericoli a cui stava andando incontro il maniero delle Principesse e
dell’urgenza di farvi subito ritorno.
Poche
parole dal roboante potere, che le convinsero
all’unanimità a rientrare immediatamente a palazzo.
Ripeterono
a ritroso la loro elegante danza di galoppo acrobatico, di corse sui
tetti e teletrasporti eseguiti con tempismo perfetto, guidate da una
Twilight sempre più in ansia per la sua famiglia e per le
sue Mentori.
A
ogni isolato i loro occhi si sforzavano di ignorare l’agonia
della popolazione che era rimasta indietro. Pony feriti, abbandonati a
se stessi, oppure unicorni che avevano semplicemente perso la loro
magia, colpiti dalle sfere opache del Kaiju.
Per
loro vi erano le poche squadre di soccorso rimaste ancora attive in
città. Ne avrebbero salvati quanti più potevano,
ma per quanti si sarebbero prodigati, non sarebbero mai stati
sufficienti per salvarli tutti.
Le
esatte parole di Spitfire, concretizzate nella cruda realtà
di quel giorno tinto di rosso.
Qualcuna
di loro pianse mentre la corsa delle Custodi proseguiva.
La
pony dal manto rosa aveva i crini sgonfi, mentre l’alicorno
viola si era come chiusa in una specie di cecità selettiva,
con la quale si focalizzava solo sulla ricerca del prossimo punto dove
“saltare”. La pegaso arcobaleno invece covava
dentro di sé un odio primordiale. Odio per il mostro e per
le macerie, la cui coltre di fuliggine si levava da quella che un tempo
era la città più radiosa di Equestria. Odio per
il mostro e per i lamenti dei disperati, cui corpi stramazzati a terra
tingevano di sangue i pavimenti delle dolci vie. Odio per il mostro e,
semplicemente, per la sua esistenza, che per poterci essere, esigeva
che loro si facessero da parte.
Qualunque
pony, trovandosi nei pressi di Canterlot quel giorno, avrebbe sollevato
la sua testa in direzione del Kaiju – che con tanta
ostinazione s’inerpicava sulle pareti della montagna
– e gli avrebbe rivolto la più solenne delle
promesse, nell’attimo in cui le labbra si sarebbero smosse e
avrebbero pronunciato la seguente condanna: la
pagherai cara, tu e chi ti ha mandato! E le anime di coloro che avete
portato con voi vi piomberanno addosso come lame pronte a pugnalarvi,
finché non sarete morti, esalando la vostra sconfitta
nell’ultimo melenso sospiro che la bocca vi
permetterà di espirare!
Il
Sergente Grizelda volò attraverso le colonne di fumo che
s’innalzavano dai tetti variopinti di Canterlot.
Davanti
a lei, sulla sommità della montagna, il Kaiju che stava
ormai raggiungendo il castello.
Strinse
le fibbie delle cinture sul petto, che durante le varie manovre di volo
si erano allentate spostando l’attrezzatura lancia-dardi
dalla sua corretta posizione.
La
cassa dorsale che fungeva da fondina era ancora vuota e sul teniere
della balestra rimaneva solo il giavellotto che le aveva donato Feather
Scratch prima di morire.
Anche
dopo lo sbaragliamento del suo plotone, dopo la fuga dei superstiti e
le umiliazioni che aveva subito, aveva ancora la grinta necessaria per
voler combattere.
Sentiva
che la sua presenza, in qualche modo, era fondamentale per la
sopravvivenza della capitale.
L’istinto
dei guerrieri, lo
chiamavano i cacciatori delle antiche tribù. Una voce molto
diffusa nei racconti degli Anziani che narrava di un sesto senso insito
in tutti i più valorosi grifoni, che parlava da dentro
guidandoli sulla retta via delle loro imprese.
Gilda
non ci aveva mai creduto, almeno fino a quel giorno, quando anche lei
aveva cominciato a udirlo come un suggeritore nella sua testa.
Ne
poteva sentire le parole come un oratore presente al suo fianco, che le
volava vicino ripetendole che doveva esserci.
“La
partita non è ancora conclusa!” Martellava
incessante.
Aveva
tratto un sospiro di sollievo quando la sua vecchia amica pegaso e le
Custodi degli Elementi erano arrivate per inondare il mostro con il
loro attacco speciale.
Lì
per lì cominciò ad accusare il suggeritore di
essersi sbagliato, che tutto sarebbe finito e che presto sarebbero
tornati a casa, ma quando entrambi avevano visto il Kaiju riemergere
dalla coltre cinerea, per poi tornare alla carica come se niente fosse
successo, le sembrò quasi di udire le risate del suggeritore
che si faceva beffe di lei. E avevano il suono del ciclope.
Sì, le stesse risate, al contempo cavernose e gracchianti.
Allora
ne ebbe la conferma.
Esistono
dettagli in foto particolarmente guarnite, che gli occhi della mente
non sono in grado di scorgere nemmeno quando vi si posa lo sguardo
davanti, e quando un’intuizione – come una scossa
elettrica – accende quelle regioni che consentono al cervello
di focalizzarsi su di essi, tali dettagli diventano così
nitidi che subito si è portati a chiedersi “ma
come ho fatto a non accorgermene prima?!”
Il
perché il Kaiju si stava manifestando come una vera forza
della natura inarrestabile era spiegato dall’approccio con
cui ogni fazione si era presentata al suo cospetto: scontri a turni,
basati sulla falsa teoria che alternare gli assalti avrebbe consentito
di avere la meglio.
Ma
il Kaiju era sveglio, più di chiunque altro, e aveva dalla
sua un bonus che lo elevava al di sopra di tutti: la mole.
All’accademia
degli Aviatori, Feather Scratch (che riposi in pace accanto agli
Antichi) le aveva insegnato che il gioco di squadra era più
importante di qualunque azione in solitaria, pertanto, se volevano una
speranza di scacciare il loro nemico, doveva raggrupparsi e agire tutti
insieme, come un unico grande organismo che eguagliasse in numero
ciò che li distanziava nella massa.
Riflettendoci,
Gilda si sentì ancora più incazzata al pensiero
che le reclute le avessero tirato il bidone poco prima di essere
sbaragliata.
Avvertiva
sulla punta degli artigli un fremito insistente, che era una voglia
sanguinaria di affondarli nelle loro carni per espiantarli dalle colpe,
portarle all’altezza dei loro occhi e costringerli a
ingurgitarle di nuovo.
Ma
doveva regolarsi, le serviva una squadra che fosse operativa e pronta
volare.
Si
sarebbe limitata a strigliarli a dovere, il giusto necessario per
conquistarsi la loro fiducia e disporre di una truppa ligia e
obbediente.
Li
intravide sulla cima di una torre senza cupola. C’erano tutti
e quattro, e tutti facenti parte dello squadrone di Feather Scratch.
Mentre
si avvicinava a loro in volo, si domandò che tipo di
elementi avrebbe dovuto aspettarsi. Erano una marmaglia di vigliacchi?
Oppure si erano solo fatti convincere da un singolo elemento che li
aveva plagiati tutti sino a indurli a fuggire con lui?
Presto
lo avrebbe scoperto.
Atterrò
sul ciglio, squadrandoli uno a uno nelle loro bardature da
combattimento, e loro sussultarono, tanto preoccupati quanto arrossiti
dal disagio che coceva i loro zigomi.
Uno
deglutì pesantemente, emettendo un ingurgito che quasi si
poteva osservare come una grande onomatopea alle sue spalle.
Studiandoli,
la Sergente Grizelda verificò che le casse di tre di loro
erano vuote, o quasi del tutto, e questo fu per lei un buon segno,
stava a indicare che avevano combattuto, o per lo meno che erano stati
abbastanza accorti da svuotarle prima di farsi scoprire (sebbene queste
azioni avrebbero rappresentato per un grifone un’ umiliazione
perfino più grave della sconfitta in battaglia).
Si
soffermò invece sulla quarta, una giovane femmina dal manto
nero e dal piumaggio grigio-vinaccia chiaro.
Occhietti
bruni, lucidi e tremolanti come quelli di un usignolo spaventato, e la
divisa che le stava larga e cadente come di una misura sbagliata.
Mentre
la sondava, Gilda non poté esimersi dal domandarsi come un
tal elemento le fosse sfuggito durante l’adunata di qualche
ora prima, ma fatto ancora più incisivo, la sua cassa
dorsale era vuota di un solo slot, conclusione che: non solo aveva
sparato una sola volta, ma non si era nemmeno fatta carico della
premura di mettere in canna un nuovo dardo.
«Spero
che tu abbia una spiegazione per questa?» Chiese
picchiettandole la cassa con le nocche.
«S-signora
i-io… l’ho fatta ricaricare…
Signora.» Rispose come se le parole le fossero state
estirpate a forza dalla leader, mentre gli occhi le annegavano in un
luccichio che non erano lacrime, bensì sudore incanalato
sulle palpebre.
Gilda
sollevò il sopraciglio destro, per nulla soddisfatta della
risposta minimale della cadetta. «Ricaricare da
chi?»
«D-da…
» esitò, quanto un pessimo bugiardo in procinto di
spararne una grossa «… un grifone al campo
d-d’addestramento, Sign… »
«NON
C’È PIÙ NESSUNO AL CAMPO
D’ADDESTRAMENTO!! COME OSI MENTIRMI?!?»
La
gracile grifone giacque a terra, sovrastata dalla voce della Sergente.
«L-la
prego, Signora… m-mi dispiace… »
Gilda
emise un acuto stridio da uccello rapace e la ordinò con
poco garbo di rimettersi subito sulle zampe.
Se
fosse stata un maschio lo avrebbe probabilmente conciato per le feste
fino a farlo quasi svenire, ma una fragile grifone femmina senza alcun
spirito combattivo era già inutile di suo senza menomarla
delle sue già esigue condizioni.
Puntò
invece lo sguardo al resto del gruppo, che guizzò per il
brusco movimento. «E voi invece?! Aspettate che un Garuda
gigante venga a salvarvi la giornata?»
I
cadetti si osservarono viceversa, quasi a voler eleggere un portavoce,
magari lo stesso fomentatore che li aveva sospinti alla fuga.
Uno
di loro si fece coraggio e andò avanti, sperando di non
pentirsi per la sua decisione.
«A-abbiamo
cercato di resistere al Kaiju, solo che poi… »
«ZITTO
TU! Non mi sembra di averti dato il permesso di rivolgermi la
parola!»
Il
grifone tornò al suo posto, con il collo calato in
giù per l’imbarazzo.
«Che
branco di patetici! Dovrei farvi condannare tutti alla corte marziale!
“Alto tradimento”,
“negligenza”,
“insubordinazione”, “disobbedienza agli
ordini di un ufficiale”! C’è
n’è abbastanza per macchiare di guano le vostre
famiglie per intere generazioni! E vi sta andando bene che la pena
capitale sia stata abolita in tutto il continente da secoli!!»
Gilda
era furente e il prurito sulle sue zampe si fece ancora più
pressante.
Ancora
un poco e si sarebbe avventata su qualcuno di loro.
“Cerca
di controllarti. Non dimenticare le priorità.” Le
sussurrò la voce del suggeritore e lei chiuse gli occhi per
permettere ai suoi umori di riequilibrarsi, li riaprì, e per
un istante le comparve la rappresentazione in negativo del volto di
Feather Scratch.
Si
sforzò di ignorare quella visione finché le
retine non si riabituarono alla luce del giorno.
«Lasciamo
perdere.» Disse con un’intonazione questa volta
più calma. «Statemi a sentire pivelli,
perché la situazione la potete ammirare anche coi vostri
occhi: gli Elementi dell’Armonia hanno fallito, il che
significa che abbiamo ancora del lavoro da sbrigare. Quello che voglio
da ognuno di voi è che vi diate una scrollata e sistemiate
le attrezzature. Sospetto che lo scontro stia per spostarsi a castello,
quindi sarà lì che andremo anche noi.»
Diede loro le spalle, convinta che la sua autorità fosse
stata sufficiente a convincerli a smuoversi.
«Ora
spalancate le alette e datevi una mossa.»
Avvertì
invece che una cupa agitazione cominciò ad animarli.
Con
la coda dell’occhio osservò un terzo membro del gruppo che si
avvicinava prudentemente verso di lei.
«S-Sergente…
» La chiamò «lei non… sta
davvero pensando di tornare lassù?»
Gilda
si girò per guardarlo.
Apparentemente
era un cadetto sul generis, che non spiccava sugli altri per alcun
elemento caratteristico. Un grifone uguale a molti, anonimo tra i suoi
simili, come le Guardie Reali delle Principesse.
Gli
altri grifoni si fecero irrequieti, convinti che da un momento
all’altro la Sergente avrebbe perso le staffe.
“Le
priorità, Gilda. Non cedere.”
Gli
rispose in modo cinico, ma sempre sulla soglia della moderazione:
«Forse la pausa di poco fa vi ha fatto sentire come se aveste
il diritto di esonerarvi. Ma avete ancora degli ordini, e
qui… »
«Con
tutto il rispetto, Sergente Grizelda, ma… VADA AL
DIAVOLO!» Irruppe lui sorprendendo tutti.
Gli
altri cadetti gemettero, e a qualcuno probabilmente si slogò
la mascella. Cautamente, presero le distanze dai due.
Una
grossa vena cominciò a pulsare sulla tempia di Gilda.
«Come, scusa?»
«Non
so quale sia il suo problema! Se è frustrata oppure se
stronza lo è di natura, ma io ho appena visto morire il mio
migliore amico laggiù! Si chiamava Caronte Black, Quinto
Reggimento Aviazione. Era uno dei suoi, se lo ricorda?!»
Gilda tacque, ma non per amnesia. Non poteva credere alla sfrontatezza
di quel giovane.
«No,
penso proprio di no, dato che continua a trattare tutti come delle
merde!» Delle lacrime cominciarono a fioccargli dagli occhi,
ma a lui non sembrò importare. «L-lei…
può anche fare quello che vuole… m-ma…
noi
restiamo qui… non vogliamo morire per colpa
s-sua… Signora!» E quel
“Signora” ebbe il suono di un moccolo violento.
Si
sedette a terra, schiacciato dalla disperazione.
Il
tetto della torre fu avvolto da uno sgradevole silenzio, cui neanche i
suoni della distruzione lontana sembrarono penetrare.
Allora
Gilda capì che si trovava dinanzi al vero fomentatore.
Si
era tradito con le sue stesse parole, sebbene non sembrava essersene
accorto.
Gilda
rifletté sull’atteggiamento da adottare, ma questa
volta il suggeritore tacque. Doveva forse sentirsi in colpa per la
perdita della recluta? Compatirlo per poi aiutarlo a rialzarsi? Gli
avrebbe dovuto dire frasi di conforto o mostrarsi a lui vicina?
Di
nuovo, pensò a Feather Scratch e a come la sua
unità lo aveva abbandonato senza accertarsi neppure della
sua morte. Fosse dipeso da loro, lo avrebbero lasciato svanire
nell’anonimato, senza nessuno a soccorrerlo, e la sua anima
si sarebbe dispersa tra i fumi della città, per poi svanire
col primo soffio di vento lungo i pendii della montagna.
Gilda
sapeva di Caronte Black, al contrario di quelle scialbe insinuazioni,
perché ne aveva visto il corpo accanto a quello del suo
Maestro.
Aveva
testimoniato alla sua dipartita molto più da vicino di
quanto non avesse fatto il grifone che ora la stava accentuando.
Udì
un mormorio provenire dal suggeritore, che le disse ciò che
ormai aveva concluso da sola.
La
recluta alzò lo sguardo da terra, ritrovandosi la Sergente
addosso di sé, che lo schiacciò a terra
impedendogli di muoversi.
Gemette
dal dolore, mentre un artiglio gli bucava lo strato di pelle
all’altezza del gozzo.
«DIMMI
COSA SAI DEI FOLCRORI POPOLARI DELLE TRIBÙ FORZA!»
Con
le lacrime ancora negli occhi, tentò di chiedere
«c-cosa?» ma finì per essere schiacciato
ancora di più dalle zampe di Gilda, che ora facevano
pressione sulla trachea, rendendogli ancora più difficile la
respirazione.
«Hai
il permesso di parlare solo per rispondere alla mia domanda! Forza
allora, RISPONDI!»
«I-Io…
n-n-non lo so… non s-s-so n-niente!»
In
verità, l’unica cosa a cui in quel momento avrebbe
pensato era: “Perché
ve ne state lì imbambolati, qualcuno mi aiuti!”
Ma
nessuno sarebbe intervenuto in suo soccorso. Conoscevano fin troppo
bene l’indole violenta della Sergente Grizelda e il suo
attaccamento ai valori degli Antichi Guerrieri, e se anche
così non fosse stato, bastava il suo furente sguardo per
dissuaderli da qualunque tentativo d’intromissione tra i due.
«Non
mi sorprende» gli sibilò Gilda a un orecchio
«allora immagino che tu non abbia mai sentito parlare di
qualcosa chiamato il “castigo
del pollo”?»
Il
fomentatore deglutì a fatica.
Quel
nome, che a lui non diceva nulla, suonava tanto buffo quanto ben poco
rassicurante pronunciato dalla leader.
«N-no
Signora… » scosse la testa.
La
vide quindi sorridere sadicamente e pregò che la lezione gli
fosse impartita a parole e non coi fatti.
«È
una vecchia tradizione che risale ai tempi dei primi clan, quando un
grifone era accusato di tradimento davanti a tutta la
comunità. All’autore del misfatto venivano legate
le zampe e spezzata un’ala, di solito dallo stesso grifone
che aveva ingannato, o da un suo familiare delegato per
l’occasione. Allora lo gettavano da un precipizio, e lui era
chiamato a scegliere se accettare la redenzione per mezzo della morte,
oppure ostinarsi a sopravvivere servendosi dell’unica ala
rimastagli, come un grasso pollo obeso che si dibatteva per aria. Se ci
riusciva, il suo destino era di morire di stenti in fondo a quella
gola, ferito e con la vita che pian piano se ne andava per la sua
strada. Nessuno sarebbe mai sceso ad aiutarlo.»
Gilda
a quel punto lo lasciò, dominandolo semplicemente con la sua
portanza.
Lui
tossi con foga, una volta che la sua gola fu lasciata libera di
respirare.
«Ora,
cosa m’impedirebbe di fare su di te la stessa cosa? Su tutti
voi?» Si voltò a guardare anche gli altri, con
flemma solenne. «Non solo avete tradito i vostri ideali e
l’Aviazione, ma anche tutta
la
vostra specie! Avete consegnato nelle zampe del nemico le chiavi della
città! Se Canterlot dovesse crollare, con essa crollerebbero
gli equilibri sui quali poggia tutto il nostro mondo! È
così che pensavate di tornare a casa? Davvero avreste
accettato di ripresentarvi dinanzi alle vostre famiglie con quelle
facce toste? E che cosa gli avreste raccontato una volta tornati,
sentiamo?!»
Il
fomentatore si alzò da terra, andando ad allinearsi accanto
alla giovane cadetta dal piumaggio grigio-vinaccia, sconfitto
nell’orgoglio.
Tutti
e quattro presero a tacere, con lo sguardo disperso e le mandibole
tanto serrate che i loro becchi sembrarono quasi sul punto di saldarsi.
«Ora
statemi a sentire, perché sarà l’unica
volta che parlerò. È vero: la manovra SkyArrow
è stata un enorme buco nell’acqua. Avete sputato
sangue dietro a un addestramento che poi si è rivelato un
fiasco su tutti i fronti. Avete perso degli amici ed è solo
un miracolo se ora siete qui per ricordarli. Sono consapevole, anche,
che vi abbiamo mandati in battaglia senza una dovuta preparazione,
perciò… » chiuse per un momento gli
occhi. «come unico grifone rimasto al comando qui a
Canterlot, quando questa storia sarà finita mi
assumerò personalmente la responsabilità di tutte
le vite che oggi sono morte tra queste rovine…»
Il
fomentatore alzò lo sguardo su di lei. Fu il primo del
quartetto a trovare la forza per farlo.
«…
ma è bene che vi ricordi che i vostri amici non sono gli
unici ad aver perso la vita oggi. Guardatevi intorno e provate a
immedesimarvi negli occhi di questi pony. La loro città
è stata distrutta. Probabilmente molti stanno morendo
proprio in questi minuti, e tanti altri stanno cercando le loro
famiglie. Voi almeno quando tornerete troverete ancora le braccia dei
vostri cari pronte ad accogliervi, e un tetto da poter chiamare casa!
Non dimenticatevi che avete accettato dei rischi quando avete scelto di
arruolarvi, e ora è vostro dovere onorare il retaggio dei
vostri antenati! Siamo stati scelti personalmente dalle Principesse per
la nostra forza e il nostro coraggio, e non esiste
difficoltà che possa o debba fermarci! Perciò
adesso torneremo alla base, ricaricheremo le nostre lancia-dardi e
andremo ad aiutare i pegasi e gli unicorni che stanno combattendo sul
picco della montagna! E chiunque abbia troppa paura per alzarsi in volo
e unirsi a me, farà meglio a togliersi
l’equipaggiamento e sparire dalla circolazione,
perché non sarò padrona delle mie azioni se
dovessi tornare e trovarvi nei paraggi!» Altri occhi si
adagiarono su di lei, e ora gli attenti spettatori si lasciavano
trasportare col fiato sospeso.
«Tutti
gli altri invece, vi chiedo di unirvi a me! Aiutiamo i pony a
scacciarlo da Canterlot e dimostriamo a quel bastardo che i grifoni non
si arrendono facilmente, e che la grinta che batte nei nostri cuori
è più forte di qualunque ostacolo! Unitevi a me e
aiutatemi a scacciarlo da questa montagna! Per Caronte Black, per Rogue
Fulvus e per il Sergente Maggiore Feather Scratch
dell’Aviazione dei Grifoni di Equestria! Per loro e per tutti
quelli che sono morti! Aiutatemi a vendicare i nostri compagni
caduti!»
Concluse
sollevando un pugno sopra la testa, e a quel punto aveva la piena e
completa ammirazione del quartetto. In un’altra occasione
sarebbero volate lodi e baraonde di applausi, ma non adesso. Gli eroi
si elogiano sulle tombe dei loro sepolcri, o si premiano con facete
medaglie quando la sorte li strappa alle grinfie della morte.
Adesso
era giunto il momento di tornare in battaglia, e sta volta avrebbero
volato fino alla fine.
Il
drappello di superstiti si passò in rassegna in un confronto
di sguardi.
Annuirono,
motivati dalle parole della leader, e si fecero forza venendole vicino,
pronti per eseguire i suoi ordini. Guidati dal suo coraggio.
Anche
la giovane femmina, con la fondina quasi completamente carica di colpi,
che aveva accettato di seguire con diligente fedeltà la
scelta della sua squadra.
Prima
di partire, Gilda diede un rapido controllo alle attrezzature di ognuno
di loro, e prese dalla ragazza alcune munizioni distribuendone una a
testa a chiunque ne avesse bisogno, per assicurarsi che tutti avessero
almeno un dardo per ogni evenienza.
«Almeno
avresti potuto farti furba.» Le disse con
l’esplicito intento di schernirla.
La
grifone grigio-vinaccia la guardò confusa.
«Avresti
potuto dire che te la sei ricaricata da
sola. Probabilmente
non
ti avrei creduto lo stesso» spiegò meglio
«ma almeno ti saresti guadagnata qualche punto per
l’astuzia.»
La
grifone grigio-vinaccia annuì, arrossendo in una smorfia di
disagio.
Finito
di rimproverarla, Gilda si sollevò in volo ripetendo a tutti
l’ordine di seguirla.
Di
gran fretta, li ricondusse ai campi d’addestramento lungo le
mura della città, atterrando vicino alle casse coi
rifornimenti portati laggiù quella stessa mattina.
Come previsto, erano completamente deserti.
Quindi
li incitò a ricaricare le proprie bardature il
più velocemente possibile.
Aveva
la visuale libera sul promontorio del castello e vedeva fin troppo bene
che il Kaiju era quasi arrivato alla cima della montagna.
I
minuti continuavano a opporsi a lei e se voleva sperare di ritornare
per tempo, doveva augurarsi che gli altri si dessero una mossa.
Partirono
per la meta non appena l’ultimo dello squadrone ebbe
terminato di caricare la sua fondina, con i ricordi dei loro compagni
come spinta trainante e le punte dei dardi che vibravano sul parallelo
dei tenieri.
Una
folla infinita di paura e puro istinto di sopravvivenza inondava le
strade che si ramificavano su Canterlot, per poi confluire al barbacane
che precedeva l’accesso alla grande piazza intorno al
castello.
Il
grande ponte levatoio in legno che collegava la roccaforte al resto
della città era letteralmente straripante di una massa
confusionaria di pony che si calcavano tra di loro per cercare di
conquistarsi il proprio diritto a entrare.
La
notizia del nuovo punto di raccolta si era sparpagliata a livello
esponenziale con una tale rapidità che una delle principali
difficoltà delle Guardie Reali e delle truppe stazionarie
della Muraglia sopraggiunte sul posto fu proprio quella di contenere
l’isteria collettiva che governava tiranna sui superstiti
dell’attacco.
I
soldati di terra, e con loro gli unicorni corazzati, accoglievano sulla
piazza principale chiunque non avesse le ali, fornendo istruzioni e
indirizzandoli ai punti di raduno nelle varie sale del castello, mentre
lo stesso facevano le Guardie Reali pegaso ai loro simili che planavano
dall’alto.
Gli
Wonderbolt, intanto, continuavano a muoversi avanti e indietro in
stormi scomposti, portando ogni volta con sé barelle cariche
di feriti che veniva immediatamente trasferiti alle infermerie di
fortuna allestite in piazza e all’interno.
“Urgenza”
era ora la parola chiave che dominava sulla bocca di tutti.
Qualcuno
aveva sparso la voce che il Kaiju steva risalendo le pendici del
promontorio, arrampicandosi sul versante e alternando la scalata a
brevi tratti a piedi percorsi lungo lo stesso sentiero usato dai
superstiti per arrivare fin lì.
Tali
voci avevano poi trovato conferma da chiunque si era trovato abbastanza
in alto da potersi sporgere per vederlo.
Ciò
rese i cittadini ancora più irrequieti, esacerbando
ulteriormente le già complicate operazioni di soccorso.
Chi
era ancora fuori dal bastione, poi, era anche chi se la passava peggio:
pony sopravvissuti all’attacco ora rischiavano di finire
uccisi dalle stesse zoccolate di persone che un tempo avrebbero
salutato con cordiali cortesie in una calda mattinata di sole.
Un
plotone di Guardie unicorno aveva ricevuto lo specifico incarico di
estrarre dal lago gli sventurati equini che venivano spinti
giù dal ponte, e il loro compito diveniva sempre
più gravoso man mano che l’agitazione cresceva.
Più
in basso, i ruggiti assordanti del mostro erano l’unico
rumore in grado di sormontare le urla sempre più isteriche
della popolazione.
Il
suo occhio giallo continuava a rilasciare gli sciami dei globi
assorbi-magia, che dopo aver volteggiato per un po’ con una
serenità quasi aliena, salivano sul promontorio per
infierire senza alcuna pietà sugli unicorni ammassati nella
folla in attesa.
Ogni
tanto qualche giovane e coraggioso mago dell’accademia di
Celestia si allontanava dal flusso per provare a ingaggiare battaglia
con le sfere opalescenti, finendo inevitabilmente defraudato dalle sue
abilità speciali.
Il
Kaiju giunse finalmente al livello delle fondamenta del castello, e da
lì decise di proseguire lungo il tratto restante del
sentiero, infierendo sui ritardatari che ancora marciavano per
raggiungere la cima.
Le
Custodi dovettero ringraziare le potenti abilità insite in
Twilight se riuscirono a raggiungere le porte del castello sane e salve.
In
più di un’occasione la loro amica aveva rischiato
di finire colpita da qualche globo subito dopo un
“salto”, ma quando questo stava per succedere
Rainbow Dash aveva sempre offerto il suo corpo come bersaglio
alternativo parandosi in mezzo.
«Devi
smettere, Dash! Non sappiamo che tipo di effetti possono avere a lungo
termine quelle cose!» Aveva detto la Principessa
dell’Armonia dopo il terzo salvataggio per ammonirla dei
rischi, ma nessuna aveva il coraggio di ribattere che i suoi poteri
erano più importanti delle loro stesse vite. E poi,
qualunque cosa i globi facessero alla magia, sembravano non avere
alcun’influenza sulle capacità di volo, pertanto
Dash non trovava alcuna ragione valida per non sacrificarsi in favore
della sua amica.
Entrarono
nella hall del castello dovendosi spingere tra una calca di pony di
tutte le razze, stanchi e spaventati, che aspettavano di ricevere
istruzioni su dove dirigersi.
Rainbow
Dash venne urtata in volo da un pegaso particolarmente esagitato, che
volò sopra la testa dell’affollamento senza
prendersi nemmeno la briga di domandarle scusa. «Se Discord
è davvero qui, che aspetta Princess Celestia a farlo
combattere?!» Chiese dopo aver liberato nell’aria
una sonora imprecazione.
«Ma
sei pazza?!» La investì Applejack «Ti
rendi conto di quanto casino farebbe con tutta sta gente in
giro?!?»
«Perché
adesso ti sembra che le cose vadano meglio?!?»
Twilight
lasciò che le due se la vedessero tra di loro e si diresse
verso una Guardia Reale dal manto nero – quella che nel
momento le sembrò la meno impegnata – chiedendo
dove poteva trovare le Principesse.
Egli
s’inchinò dopo averla riconosciuta (una pratica
cui non si esimevano nemmeno nelle situazioni più affannate)
e le rispose dicendole dove avrebbe senz’altro potuto
incontrare Luna.
Lei
lo ringraziò, lasciandolo ai suoi doveri, e si diresse alla rampa di
scale che la condusse al piano superiore.
Luna
era lì, circondata da altri soldati e qualche Wonderbolt.
Impartiva ordini a qualcuno mentre veniva aggiornata da qualcun altro.
Si
affrettò a concludere quando vide gli zoccoli della
Principessa dell’Armonia farsi strada tra gli stalloni e le
giumente che correvano per il corridoio.
«Twilight,
per fortuna stai bene!» La abbracciò forte, come
una sorella maggiore avrebbe fatto con quella più piccola.
«Princess
Luna, ci sono stati dei problemi con gli Elementi! Rarity e Rainbow
Dash sono state colpite da una sorta d’incantesimo scaturito
dal Kaiju, non abbiamo potuto fare nulla!»
«Le
sfere volteggianti? Lo sappiamo, stanno arrivando flotte di unicorni
senza magia praticamente da ogni dove! Aspetta… hai detto
Rainbow Dash?»
«Sì!
Si è presa più volte dei colpi che erano
indirizzati a me… mi ha protetto.»
L’alicorno
della notte chiuse gli occhi affranta. «Capisco.»
«Senti…
hai notizie dei miei genitori… ?» Chiese allora
Twilight, ansiosa di sapere.
«Sono
entrati mezz'ora fa. Li hanno trasferiti in uno dei punti di raccolta
del terzo piano, stanno bene.»
«Sia
lodato il cielo… » sospirò «a
proposito, dov’è Celestia? Ho bisogno urgente di
parlarne!»
«Sulla
piazzola d’atterraggio della torre Sud, sta aiutando le
squadre di soccorso. Sarà felice di sapere che sei
tornata.»
«Vorrei
poter dire lo stesso…» mormorò, facendo
cenno alle amiche che la guardavano di sotto che stava per allontanarsi.
Celestia
non se ne rendeva conto, ma era a pezzi, ferita nella mente quanto lo
era la città che per secoli aveva regnato.
Le
rovine fumanti erano le ferite che le rigavano il candido manto bianco,
le morti sventurate erano gocce di sangue che colavano da esse.
Pony
eleganti, acculturati e dall’animo nobile quanto le loro
discendenze, ora si spingevano come animali braccati nelle poche
entrate dell’ultimo baluardo rimasto alla capitale.
Aveva
sbagliato tutto, si era affidata a vecchie esperienze per far fronte a
una minaccia che invece non era mai stata così nuova e
contemporanea, e ora aveva paura di prendere qualunque decisione.
Al
suo rientro a castello, al Capitano Spitfire erano bastate poche parole
per convincere la regnante a delegarle il comando di tutte le squadre
dell’esercito Reale, e da quel momento, dovette ammettere,
aveva svolto un lavoro eccelso.
Ogni
pony che era nelle condizioni di farlo stava prestando assistenza ai
suoi fratelli e alle sue sorelle in pericolo, facendo tutto il
possibile con il poco che ancora avevano.
Celestia,
dal canto suo, si limitava a dare supporto alle altre squadre.
Accoglieva i pegasi in volo accertandosi di persona delle loro
condizioni di salute, prestava assistenza ai feriti in fin di vita
sottoponendoli a incantesimi curativi che permettessero poi ai medici
di stabilizzare le loro condizioni. Delle volte volava fino agli
alloggi privati, e da lì osservava attraverso il telescopio
le condizioni della città e la posizione del Kaiju, e ogni
volta sudava freddo nell’osservare quanto lunga fosse ancora
la coda di esodati che migravano verso di loro. Si chiedeva quanti
altri il castello e la piazza avrebbe potuto contenerne e cosa avrebbe
dovuto fare se non ci sarebbe più stato spazio per ospitarli
tutti.
Adesso
stava pensando a Discord.
Da
quando la crisi era scoppiata lo aveva completamente perso di vista.
Letteralmente svanito nel nulla.
Cominciò
a temere che forse le aveva tradite. Fuggito dalla capitale per poi
lasciare al Kaiju che facesse per lui il lavoro sporco, così
da potersi finalmente appropriare del regno che da sempre ambiva.
D’altra
parte, forse invece si era solo fatto da parte, nascostosi in qualche
anfratto al di fuori del tessuto della realtà, in attesa di
ricevere il segnale di Celestia per intervenire.
Un
segnale che l’alicorno non poteva ancora dargli, o
forse… non voleva.
Qualunque
domanda la sua ragione le ponesse, il suo intimo interiore non era
più in grado di risponderle.
Una
sola cosa frase si ripeteva come la singola strofa di una breve poesia:
“È
stata colpa mia. Non doveva finire così.”
E
così Celestia cominciò a non fermarsi
più. Si muoveva, cambiava posizione. Galoppava e volava,
talvolta aiutando e talvolta intralciando.
Non
era più in lei, si sentiva sola, abbandonata. Per la prima
volta da secoli aveva cominciando a desiderare che qualcuno arrivasse
da lei per darle conforto. Qualcuno che le dicesse cosa fare, che la
consigliasse e la sostenesse, così come lei aveva sempre
fatto per i suoi sudditi.
«Principessa!»
Quel
qualcuno giuste sotto le spoglie di una pony che lei conosceva molto
bene: Twilight Sparkle, la giovane unicorno che aveva elevato al rango
di Principessa dell’Armonia poco più di due anni
fa.
Celestia
vide che la stava fissando. A bocca spalancata, con un ciglio di
smarrimento sulla maschera del viso, lo stesso che lei aveva nei suoi
confronti. Ricambiò il suo sguardo, ma non era sicura che
fosse lì, e soprattutto, che fosse reale.
Avevano
visto che avevano usato gli Elementi per respingere il Kaiju, ma non
erano serviti.
Allora
qualcuno aveva cominciato a confabulare che fossero morte, uccise dalla
follia di quel nemico che nessuno riusciva a intimorire.
Ma
ora invece era qui, presente e materiale, e le stava parlando.
«C-Celestia?
Va tutto bene, che cos’hai?» Le mosse una zampa
davanti agli occhi. Sarebbe sembrata una scena così
divertente, se solo non fosse stata così tragica.
«Twilight?»
L’alto alicorno dal manto bianco scosse la testa e
strizzò gli occhi. Sì, ora ne era certa, era
davvero la sua piccola ex-allieva, e non sembrava avere su di
sé ferite gravi. La sua corona, oltretutto, era ancora
lì, salda sulla sua criniera così come il tronco
di un abete sulle sue radici. «Gli Elementi hanno
fallito?» Le chiese a voce tiepida. Ma era retorico, o
davvero sentiva il bisogno di avere una conferma?
Twilight
annuì con un delicato gesto del mento. Quelli che i pony
fanno quando sono rassegnati all’inevitabile. Dunque era a
questo che stavano andando incontro? All’inevitabile?
«Ascolta,
devi dire alle squadre di sbrigarsi, il Kaiju è quasi
arrivato alla cima! Io… credo che tu abbia
ragione… dobbiamo far intercedere Discord!»
Celestia
rimase abbagliata dalle parole dell’altro alicorno. Davvero
le aveva appena sentito dire che lei aveva
ragione?
No,
s’immaginò di scuotere la testa. Sicuramente Twilight si
stava sbagliando.
Non
aveva avuto ragione su niente, e inoltre…
Era colpa sua se si stava verificando tutto ciò.
…aveva
ignorato i suoi avvertimenti quando l’aveva avvisata della
forza crescente dei Kaiju, e altrettanto aveva fatto dinanzi Bibski,
che in un modo molto più sfrontato le aveva ripetuto quello
che da mesi era già sulla bocca della sua ex-allieva.
Ed
ora, di colpo, era tornata e le stava dando ragione?
C’era
qualcosa che non le tornava, un frammento che si era spezzato e che lei
non riusciva più a ricomporre, privata del coccio
più importante.
Un
urlo assordante, che da ore avevano tutti imparato ad associare al
latrato della morte, si espanse su tutto ciò che rimaneva
della devastazione di Canterlot.
A
esso seguirono quelle dei sopravissuti, più acute e
stridenti. Grida di paura, che si disperdevano ovunque, tra chi era in
cerca di un riparo e chi, fuori, si accalcava per entrare.
Il
Kaiju era arrivato.
Era
ben visibile sia da terra che dalle torri. Aveva percorso
l’ultimo tratto del sentiero che portava al castello, e
lì si era fermato.
Piccoli
branchi di quel che restava dei ritardatari si riunirono
all’enorme calca che ancora combatte per entrare.
Al
barbacane la situazione precipitò all’istante.
Le
Guardie dovettero levarsi di torno per non rischiare di essere spazzate
via dall’orda di pony terrorizzati.
Le
assi del ponte scricchiolavano sotto il peso dei loro zoccoli.
Senza
più nessuno a soccorrerli, molti di quelli che cascarono in
acqua finirono per restare lì. Qualcuno riuscì a
nuotare verso la sponda del lago artificiale, ma molti dei
più deboli e giovani, caddero rapiti dalla corrente della
cascata, precipitando nelle vasche inferiori, o peggio, trovando una
tragica morte per annegamento tra i flutti.
Celestia
fu travolta dalla paura, e con essa Twilight, Luna e chiunque stesse
guardando in quel preciso istante al sicuro tra le mura del castello.
Spitfire
tagliò l’aria sbraitando un unico ordine a tutte
le Guardie unicorno presenti all’appello, sia intorno al
barbacane che dentro i confini del castello: «ATTIVATE LA
MURAGLIA, ORA!!»
Decine
di unicorni con in testa un’unica formula piegarono la testa
all’insù, da più punti della fortezza,
e obbedirono a quella procedura che per mesi era stata alla base delle
loro esercitazioni. La stessa formula usata dal Principe Shining Armor
durante le passate invasioni al reame, ma potenziata dalla forza di
tanti unicorni addestrati per quel saliente momento.
Raggi
di luce magica partirono dai loro corni, mentre il gigante era fermo a
osservarli con una curiosità quasi infantile.
Decise
di passare all’attacco, e aprì ancora una volta le
due parti del guscio protettivo sull’occhio, sprigionando
l’ennesimo sciame di globi dal liquido vischioso che grondava
sul bulbo.
La
magia degli unicorni si concentrò nell’aria in una
grande cupola di luce chiara, che calò sul castello come un
velo protettivo, mentre i globi del Kaiju le zampillavano contro
schiantandosi talvolta su di essa, oppure passandovi sotto prima che la
chiusura fosse completa. Quando questo succedeva, spesso i bersagli
presi di mira erano proprio gli unicorni che stavano eseguendo la
Muraglia, i quali colpiti a tradimento, perdevano i propri poteri
indebolendo la già incerta stabilità
dell’incantesimo.
I
superstiti, quelli che avevano la fortuna di essere più
vicini, si spinsero l’un l’altro per riuscire a
entrare, ma quando la cupola scese del tutto, inglobando nel suo
diametro la roccaforte e con essa tutto il promontorio fatta eccezione
per il ponte e la valle subito precedente, chi rimase dietro venne
sfortunatamente tagliato fuori dalla fortezza.
Ora
questi disperati picchiavano sulle pareti all’entrata del
barbacane, supplicando di entrare.
Genitori
in lacrime pregavano le Guardie dalla parte opposta di lasciar entrare
i loro puledrini, coppie separate dal muro cercavano di ritagliarsi un
frammento d’intimità per dirsi addio
finché il tempo ancora glielo concedeva, e chiunque era
dentro, guardava quello spettacolo con sofferenza e pietà,
ma animati anche da un egoistico sollievo, al pensiero di avercela
fatta.
Dei
pegasi tentarono di volare fin sulla cima, e altri corsero lungo il
perimetro, tutti in cerca di un varco da cui poter penetrare nella
cupola, ma dovettero arrendersi alla cruda realtà dei fatti,
quando compresero che niente era stato lasciato al caso. Non
c’era nessun punto debole nella struttura, nessun cedimento,
neanche un minuscolo pertugio lasciato lì per i pochi
avveduti che se ne fossero accorti.
La
Muraglia doveva restare intatta. Era questa la condizione per
l’incantesimo. L’unica soluzione per la
sopravvivenza.
«Non
possono fare sul serio!! Non possono lasciare tutta quella gente
fuori!!» Urlava Twilight, guardando disperata la sua Mentore,
ma chi era anche più devastato di lei era Rainbow Dash, che
dal livello sottostante aveva visto con i proprio occhi e udito con le
proprie orecchie l’ordine di quella che un tempo era una dei
suoi idoli più grandi.
Spitfire,
da anni unico Capitano degli Wonderbolt, pegaso in apparenza
dall’indole nobile e impavida, aveva appena condannato a
morte centinaia di loro simili, e l’aveva fatto con una
freddezza spietata, di quelle cui nessun pony prima di allora aveva mai
osato spingersi fino a quel punto.
Ma
cosa ancora più spiazzante, tutti sapevano che
quell’ordine – insensato e innaturale prima di
allora – aveva appena donato una speranza a Canterlot e ai
suoi rifugiati. Perché fu proprio in quel momento, quando
gli esclusi avevano compreso che per loro l’illusione finiva
lì, che il Kaiju caricò la cupola con tutta la
sua ferocia.
E
ora correva, dando esibizione di una velocità che non gli si
sarebbe mai potuta attribuire. Correva, mentre evocava il suo grido di
battaglia, e protendeva in avanti spalle e testa, pronto a sfondare
l’ultima illusione eretta dalle sue prede.
Qualcuno
urlava. Altri si coprivano gli occhi e si rifugiavano nello loro
ultime, insensate preghiere.
I
più illusi – quelli che ancora credevano di avere
una speranza – tentavano di scappare nelle direzioni
più casuali, ma se le loro menti razionali, asfissiate dal
cieco istinto di sopravvivenza, avessero potuto esprimersi, quasi
sicuramente gli avrebbero detto di rinunciare. A quella
velocità e posta la sua stazza, mai si sarebbero allontanati
per tempo prima che le possenti zampe del ciclope facessero terra
bruciata dei fragili corpi di cui erano fatti i pony.
Ancora
pochi secondi e il picco di Canterlot si sarebbe imbevuto del rosso
più carnoso che quella delicata montagna avesse mai
assaggiato dai tempi della sua genesi.
Celestia,
ripresasi completamente di fronte a quella visione, trovò la
forza di ragionare, e fece ciò che invece avrebbe dovuto
compiere da tempo.
Il
piano che lei stessa aveva escogitato, ma che, per timore di sbagliare
di nuovo, aveva posticipato fino al momento che stavano vivendo ora.
Quel
piano era previsto per una battaglia che si sarebbe dovuta svolgere
all’esterno della città, nella più
completa sicurezza per gli abitanti, ma che altro doveva attendere
prima di decidersi ad attuarlo? Aspettare che quei poveri pony
finissero trucidati dal mostro? Vedere le pareti della Muraglia
lordarsi del loro sangue?
No,
non avrebbe potuto convivere con quel rimorso.
Spitfire
aveva fatto la sua parte, conscia delle conseguenze a cui sarebbe
incorsa con la sua decisione, e ora toccava a lei fare lo stesso.
Doveva
dare il segnale. Permettere al Caos di restituire la loro Armonia.
Alzò
la gola al cielo e gridò. Le corde vocali vibrarono in un
richiamo forte e maestoso, potente come il sole.
«DISCORD,
DOVUNQUE TU SIA. FALLO!! ORA!!!»
E
come terminò la sua invocazione, ogni singolo stallone,
giumenta o puledro rimasto fuori dalla muraglia (compreso chi cercava
di riemergere dal lago), venne immediatamente avvolto da un alone di
magia caotica e teletrasportato all’interno del bioma della
cupola.
Riapparvero
nella piazza, gremendo ogni singolo metro quadrato di spazio
disponibile, cadendo su soffici tappeti erbosi o sulla dura pietra del
viale. Si fecero male, gemettero. Qualcuno atterrò su altri
pony o perfino su qualche Guardia Reale, qualcun altro pensò
di essere finito nell’altro mondo, e certi neppure si resero
conto di ciò che era successo, continuando a stringere gli
occhi convinti che presto sarebbe arrivata la loro ora.
Ma
quali fossero le emozioni e i pensieri che galleggiavano nelle loro
menti in quegli istanti, con gran sollievo di tutti, gli esclusi dalla
Muraglia erano appena stati salvati. Tutti quanti.
E
il Kaiju? Il Kaiju balzò con un salto oltre il lago,
schiantandosi contro la parete della cupola.
Subito
dopo, una cataclismatica onda d’urto si propagò su
tutto ciò che si trovava al suo interno.
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