Agosto

Quell’estate ha il puzzo leggero dello yukata di Fuu.
Odora dei semi di girasole che la bestiaccia le nasconde nelle cuciture saltate e della terra secca su cui si accasciano per dormire; profuma del pesce arrostito la sera prima e dell’incenso a buon mercato che hanno rubato per lei; odora dell’acqua stagnante delle risaie e del sake offerto al bonzo in cambio di un Namu Amida Butsu; puzza di stringhe di cuoio, di sudore rimasto sulla stoffa troppo a lungo, di leccornie lasciate a marcire sugli altari per i morti dell’obon.
Mugen conta una per una le volte in cui lei gli chiede aiuto. Smette solo quando diventano così tante che anche le cifre perdono il loro senso, così decide che ricomincerà da un numero qualsiasi quando l’estate sarà finita; quando non ci saranno più piedi da pulire per conto di una mocciosa che non arriva a toccarseli, caviglie gonfie nascoste sotto l’orlo dello yukata polveroso, inutili crisi isteriche e rotondità sempre più accentuate; quando a giungere al suo termine non sarà solo quell’agosto, ma anche un altro ottavo mese.
Sarà un moccioso cresciuto da una mocciosa, ma per maturare avrà acqua e non sangue, e riso a sufficienza da riempirsi la pancia, e abbastanza tempo per imparare a sopravvivere.
Affonda il naso nel puzzo leggero dello yukata di Fuu, e il suo mondo di quell’estate scompare oltre la curva del suo collo sottile. Non è il primo bambino che semina, è vero, ma sarà forse il primo per cui metterà radici.