CAPITOLO 4
“Una specie di
fotocopia”
Come nella stanza precedente,
anche in questa la porta si chiuse ermeticamente appena i dieci personaggi
furono fisicamente presenti in essa. E subito fu grande la sorpresa nei presenti
nel constatare l’enorme somiglianza tra le due stanze.
“Accidenti…” iniziò Noro.
“Avverto una classica sensazione
di deja-vù” osservò in maniera signorile, un po’ rovinata dalla sua erre moscia,
Sciullo, momentaneamente ripresosi dallo shock conseguente l’inizio di questa
assurda avventura.
“Sarà come dici te, Marco, ma a
me sembra proprio una specie di fotocopia della stanza di prima!” tagliò corto
Silvestri, che mal sopportava i modi signorili in generale.
In effetti anch’essa presentava
spuntoni di puro acciaio disseminati per quasi tutta la pavimentazione della
stanza. Dall’altro lato della stanza vi era una lunga pedana sospesa ed
attaccata al muro, identica a quella su cui si posavano i venti piedi. Ciò che
preoccupava di più erano le differenze: La totale assenza di un margine
laterale, che in precedenza aveva permesso loro di proseguire più o meno
tranquillamente fino all’attuale stanza, la differenza di altezza delle due
pedane parallele, con quella da raggiungere di 4 o 5 metri inferiori a quella
attualmente occupata, ma, soprattutto, la presenza di una larga sbarra d’acciaio
che, correndo parallela alle due pedane, andava a delineare la metà quasi esatta
della stanza, se fosse stata vista dall’alto paragonandola alla figura
geometrica del quadrato.
Altra differenza che saltava
subito all’occhio, proseguendo nel paragone tra i due ambienti, era l’ampiezza
alquanto ridotta del luogo dove ora si stava svolgendo l’azione. Con un buon
salto, preceduto da una soddisfacente rincorsa, si poteva essere
sufficientemente sicuri di impattare nel freddo acciaio della pedana di fronte,
e proseguire così il cammino.
Però c’era la sbarra…
“Figliolo, credo che in questa
situazione ci tornerà utile l’attrezzatura che hai precedentemente mostrato a
noi” espose il suo piano sul da farsi Testa, mettendo una mano sulla spalla
destra di Sarti.
“Vuol dire il doppio rampino
riavvolgibile, signore?” chiese con il solito tono militare il ragazzo.
“Immagino proprio di sì” gli
rispose Oscar, dondolando la testa e sorridendogli garbatamente.
“Al diavolo! Basta un buon salto
e possiamo tranquillamente passare oltre!” sbottò Lupo, apprestandosi ad
eseguire l’azione atletica da lui appena descritta.
“Ma prego, accomodati” disse
Santucci, invitandolo ironicamente a proseguire.
“No, per favore ragazzi!” li
supplicò a desistere nei loro intenti Wilson “Come medico e come vostra compagna
in questa odissea, vi proibisco assolutamente di effettuare tali gesti, che vi
potrebbero portare anche alla morte!” con gli occhi visibilmente lucidi dopo
quest’ultima affermazione.
Anche lo stesso Andrea fu toccato
nel suo intimo da questa parole. Per un attimo rimase immobile con lo sguardo
rivolto a Carla. Poi, un’occhiata veloce al suo rivale Roberto e, infine,
nuovamente verso Carla. Ma nella sua natura c’era grande allergia nei confronti
delle regole e degli ordini, anche se si trattavano di consigli sinceri da parte
di una giovane donna medico.
Si voltò rapidamente, tre rapide
falcate ed era nel vuoto. Tutto attorno a lui era avvolto dal rallentato “No!”
urlato da uno o più membri del gruppo che si era lasciato alle spalle. la gamba
sinistra ben distesa in avanti mentre la destra all’indietro. La barra non fu
neanche sfiorata.
Dopo un rapido capitombolo, il
ladro si ritrovò semi inginocchiato dall’altra parte della stanza.
Rosa si tolse le dita affusolate
dagli occhi ed esclamò felice “Oh mio dio! Ce l’ha fatta!”.
Mentre poco alla volta tutto il
resto della comitiva si riprendeva dal rischio appena occorso al loro compagno,
quest’ultimo, rimessosi in posizione eretta, urlò agli altri “Visto? Che vi
dicevo! È un gioco da ragazzi!” con uno smagliante sorriso e un leggero tremolio
alle gambe.
“Quel tipo non è apposto!”
osservò verbalmente Noro, riprendendo a sua insaputa il medesimo pensiero dei
suoi compagni presenti lì con lui.
“Questa volta è troppo!”
I nostri eroi stavano ancora
osservando Lupo, che continuava a vantarsi della sua impresa dall’altra lato
della sala, non prestando la giusta attenzione a quest’ultima affermazione. Si
girarono quando ormai Santucci aveva già preso la giusta rincorsa e stava
scattando verso il margine.
“No ferm…” tentò di urlare
qualcuno dei rimanenti otto ma il poliziotto era ormai andato.
Il salto fu di certo meno
spettacolare del precedente, visto la maggiore massa muscolare presente nel
corpo di Roberto rispetto a quello di Andrea, l’asta fu leggermente sfiorata e
l’uomo ricadde nello stesso piano dell’altro quasi a piedi uniti. Neanche il
tempo di far riprendere dall’incredulità il criminale che Roberto gli era subito
addosso, afferrandolo per il bavero della giacca verde “Ti avverto Lupo! La
prossima volta che tenti anche solo un’altra bravata come questa, sarò io stesso
a buttarti di sotto!”.
Dall’altra parte della stanza
l’atmosfera era di certo meno furiosa.
“Bene figliolo, prepara la tua
attrezzatura…” consigliò Testa al giovane Sarti, che stava già iniziando la
procedura di accensione del doppio rampino riavvolgibile.
Mentre gli altri pensavo già al
proprio turno di utilizzo del macchinario, uno di loro era rimasto immobile nel
contemplare l’asta. Qualcosa nella sua testa lo stava convincendo a dimostrare
di non essere affatto inferiore, atleticamente parlando, ai suoi due compagni
che stavano risolvendo le divergenze tra di loro sull’altro margine della
stanza.
“Bene signori, ascoltate bene
quello che ho da dirvi: Questo congegno, datomi in dotazione dall’esercito
italiano, può sostenere tranquillamente il peso standard relativo a due persone.
Quindi sarò io stesso a scortarvi da questo all’altro lato della stanza. Voi non
dovete fare altro che affidarvi completamente a me, sono stato chiaro?” spiegò
Simone alle persone attorno a lui. Tutte tranne una.
Orsi infatti si stava dirigendo
verso la porta da cui avevano lasciato la precedente stanza, accompagnando ogni
suo passo dal ticchettio che facevano i tacchetti da gioco sul pavimento
metallico della struttura. Sara fu la prima ad accorgersene e, con lo sguardo,
catturò subito il numero dieci sulle spalle del ragazzo che si stava
allontanando dal gruppo di persone. Poi il ragazzo si girò.
La rincorsa fu nettamente più
lunga rispetto alle due precedenti, ma lo stile del salto fu davvero
impeccabile. Simile a quello di Lupo ma con uno stacco aereo nettamente
superiore. La giovane Silvestri rimase letteralmente rapita dallo splendido
gesto atletico. Addirittura le era sembrato quasi che, mentre Tommaso era in
volo, sulla sua larga schiena fossero spuntate le ali bianche e candide di un
angelo. L’atterraggio fu nettamente peggio dei precedenti.
Il giovane inizialmente ricadde a
piedi uniti sull’acciaio, simile a come appena svolto da Roberto, però gli
stessi tacchetti furono beffardi, facendo cadere all’indietro il trequartista
che si ritrovò, dopo un urlo di terrore collettivo emanato dalla parte di stanza
che aveva appena lasciato, completamente disteso sul pavimento freddo della
seconda piattaforma, con solo la testa lasciata penzoloni nel vuoto.
“Ma cosa volevi dimostrare,
scemo?” si chiese mentalmente Sara, mentre osservava Santucci e Lupo che
aiutavano Orsi a rialzarsi.
“Bene!” riprese la parola seccato
Simone “Se ora nessun’altro vuole fare lo scavezzacollo, vorrei sapere chi è il
primo di voi che devo portare dall’altra parte?” intanto, stava puntando l’arma
verso un punto sicuro in cui far conficcare il rampino portante. Ma proprio
mentre stava per esercitare pressione del proprio indice sul grilletto,
s’interruppe bruscamente dall’allarmante urlò di Sciullo “Oh mio dio! Ne è
partito un altro!” e tutti si rivoltarono verso il margine proprio mentre Sara
saltava nel vuoto.
Questa volta però il salto era
davvero pessimo. La giovane bionda stava cadendo quasi completamente sotto
l’asta metallica. In molti temettero di perdere la prima persona del loro
gruppo, ma poi videro le mani della ragazza afferrare saldamente l’asta.
La giovane stava dando a tutti
presenti un saggio esemplare di ginnastica artistica, in particolare stava
eseguendo la specialità della sbarra che, in ambito olimpico, è una specialità
esclusivamente maschile.
Uno, due, tre volteggi e poi
Silvestri si lanciò versò i tre maschi che fecero appena in tempo a scostarsi
per permettere il completo atterraggio della ragazza.
Anche lei ce l’aveva fatta.
“Beh, chi altro vuole provare?!”
chiese più che mai seccato Sarti, guardando in cagnesco le persone rimaste
vicino a lui.
“Direi che ora può bastare…”
azzardò una risposta Stefano.
“Bene, tanto meglio!” si
tranquillizzò un attimo Simone, mentre prendeva nuovamente la mira con il suo
equipaggiamento e, questo volta, il colpo partì. I due rampini si conficcarono
perfettamente nell’acciaio delle due pareti, constatato anche dai quattro al di
là della sbarra.
“Dunque… chi è il primo?” domandò
il soldato.
“Comincio io!” rispose risoluta
Carla, che si presentò con il viso di un rosso infernale, i grandi occhi lucidi
sul limite del pianto a dirotto ed i lunghi capelli ricci e biondi sconvolti
nella sua testa, a rispecchiare pienamente il suo attuale stato d’animo.
L’attraversata fu rapida e
tranquilla, con i due ragazzi che sollevarono leggermente i piedi nel momento in
cui passarono sopra all’asta metallica, con la Wilson che non emise neppure un
urletto da quanto era concentrata sulle sue prossime mosse. Infatti, appena
poggiati i piedi sul pavimento del secondo ripiano, si diresse rapidamente verso
Sara, la quale rimase sorpresa da questa personale iniziativa da parte della
donna medico, e la colpì con un violentissimo schiaffo.
Pure Sarti rimase lì per lì
sorpreso dall’ultima azione di Carla, che però non terminò qui. Infatti ella
proseguì verso Tommaso ed anche a lui fu riservato lo stesso trattamento. Poi
toccò a Roberto ed un altro sonoro ceffone. Infine arrivò il turno di Andrea,
che poteva tranquillamente evitarlo visto l’esperienza appena provata dagli
altri tre, ma rimase letteralmente impietrito davanti alla tenacia della giovane
donna. Ed anche a lui fu malmenata una guancia, facendo così cadere per terra la
sigaretta che stava consumando.
“Non azzardatevi più a farmi
provare queste paure!” ordinò glaciale Carla, guardando i quattro colpevoli con
occhi da tigre e avvertendoli con un dito accusatore ad uno ad uno.
Loro non dissero una parola. Né
una scusa e nemmeno qualcosa a loro discolpa. Sarti fece immediatamente ritorno
nell’altra sponda, forse per evitare qualche terribile predica a lui
rivolta.
Anche gli altri quattro membri
erano muti davanti a ciò che era appena accaduto. Lo stesso Marco Sciullo, il
secondo ad essere portato da Sarti da un’estremità all’altra, era sconvolto dal
repentino cambiamento di carattere avvenuto in Carla, di certo dovuto a quella
situazione di alta tensione emotiva.
Chi invece non riuscì a rimanere
concentrato sul fatto appena avvenuto, per mantenere la calma e non pensare alla
traversata che stava facendo sopra una fitta schiera di spuntoni d’acciaio, fu
Stefano Noro. Il buon scienziato infatti, nel bel mezzo del suo cammino, lasciò
involontariamente sfuggire un’emanazione rumorosa, ed alquanto maleodorante, dal
suo largo fondoschiena.
“Oh diamine! Perdonami ragazzo…”
provò a scusarsi con il soldato.
“Non si preoccupi signore!”
stemperò l’imbarazzo l’altro che però, una volta lasciato Stefano con gli altri
otto, per un breve tratto del percorso di ritorno, si avvalse dell’utilizzo
della sua personale maschera antigas.
Il penultimo turno era riservato
a Rosa Simone che, appena Sarti fu ritornato nella sua sponda, chiese, mentre
utilizzava la mano destra a mo’ di pinzetta per tenere chiuso il naso e la mano
sinistra come ventaglio per scacciare via l’odore “Puffff… ma che cos’è questa
puzza?”.
“Sorvoliamo, signorina!” fu la
rapida risposta del ragazzo visibilmente imbarazzato.
Anche in questo caso, la
traversata fu rapida e tranquilla. Le gambe tenute leggermente arcuate per
evitare di sbattere i piedi contro l’asta, ed anche la giovane e carina attrice
era arrivata a destinazione.
Ormai gli otto aspettavano
soltanto l’arrivo di Oscar, stemperando l’aria tesa che si era venuta a creare
precedentemente parlottando tra di loro.
“Bene signore, lei è l’ultimo!”
disse Simone, appena poggiati i piedi per l’ultima volta sul pavimento argentato
della prima piattaforma.
“Andiamo figliolo!” lo invitò
cordialmente Testa.
Il primo tratto era ormai alle
spalle, anche questa volta l’asta fu facilmente superata. Poi qualcosa questa
volta non andò per il verso giusto.
L’attrezzatura militare stava
rispondendo positivamente, nonostante l’utilizzo continuo negli ultimi minuti
con ben cinque traversate, le quali avevano fisionomie e pesi corporei
differenti l’uno dall’altro, a parte la presenza costante di Simone Sarti. A
destare preoccupazioni era il cavo metallico che serviva da percorso all’intero
apparecchio, in particolare si trattava della porzione di cavo corrispondente ai
metri tra l’asta e la seconda rampa. La situazione si aggravava sempre di più:
il cavo si stava rapidamente sfilacciando.
L’unica speranza a questo punto
era che il simil bazooka, che fungeva da appiglio per entrambi i corpi sospesi
nel vuoto, facesse in tempo a superare il punto in cui di lì a poco la corda si
sarebbe irrimediabilmente spezzata. In entrambi i casi la caduta delle due
persone era praticamente certa, però un conto era cadere sul duro e freddo
acciaio della rampa ed un altro sugli acuminati spuntoni metallici.
Per gli otto impotenti spettatori
c’era solo la possibilità di pregare.
Erano rimasti solo due, forse
tre, piccoli cavetti che prima formavano l’apparentemente robusto cavo di ferro,
però l’arma proseguiva celermente e i due uomini attaccati sotto di essa
sudavano freddo.
La fortuna aiutò ancora i nostri
dieci eroi. Il punto di rottura fu passato e tutti per un attimo tirarono un
sospiro di sollievo. Ma poi il cavo cedette. Gli otto sul ripiano urlarono di
orrore e rabbia avvicinandosi ai loro due sfortunati compagni, arrivando quasi
al limite del margine della pedana.
I due vennero lanciati
violentemente come un yo-yo sulla dura parete metallica, per poi ricadere
scompostamente sul pavimento sottostante.
La prima ad accorrere fu
Rosa.
“Ragazzi state bene? Mi sentite?”
provò a scuoterli la giovane.
“Ferma Rosa!” l’ammonì Stefano
mentre accorreva con gli altri.
“Indietro, fatemi spazio!” ordinò
repentina Wilson, che si mise a controlla i due corpi esanimi.
Poi Simone aprì gli occhi.
“Affermativo signori! Sto bene…”
Carla fu la prima a sorridere a
quella conferma ed abbracciò rapidamente il ragazzo, per poi concentrarsi sul
brizzolato che stava sdraiato accanto a lui, anzi quasi sopra di lui.
Gli mise due dita sul collo. Il
cuore batteva. Era vivo. Provò a chiamarlo “Oscar… Oscar… stai bene? Riesci a
sentirmi?”.
Il più anziano del gruppo non
dava ancora segni di ripresa. Tutti cominciarono a preoccuparsi: Tommaso Orsi,
Sara Silvestri, Andrea Lupo, Roberto Santucci, la più preoccupata di tutti Carla
Wilson, un ancora sdraiato Simone Sarti, Stefano Noro e Rosa Simone.
Alla fine, gli occhi del politico
si decisero ad aprirsi.
Buttò uno sguardo a tutti quanti
erano attorno a lui, piegati sulle ginocchia per stargli più vicino possibile,
con uno sguardo quasi assonnato, come se fino ad allora avesse dormito per ore
ed ore. Poi piegò la bocca in un dolce sorriso e parlò a voce bassa “È un
piacere vedere che state tutti bene, ragazzi”.
“Bentornato fra noi” stemperò gli
animi Andrea.
“Come sta, signor Testa?” chiese
Marco.
“Faccia piano ora quando si
rialza” gli suggerì Tommaso.
Mentre Rosa cercava di ricacciare
le lacrime dagli angoli dei suoi occhi, Roberto aiutò Simone a rimettersi in
posizione eretta
“Tutto ok soldato?” gli chiese
ironico.
“Affermativo, signore!” Rispose
l’altro, facendosi scappare per la prima volta un riso.
“Ehi Simone! Non andare via che,
appena ho terminato le dovute cure su Oscar, voglio controllare anche te!” lo
richiamo all’ordine Wilson, ironica anch’essa.
“Oh per Diana! Dove sono i miei
occhiali?” chiese visibilmente preoccupato Testa.
“Sono qua Oscar. Aspetta che te
li porto” gli rispose Noro, andando a raccogliere i robusti occhiali
dell’esponente politico che, nella dinamica del brutto incidente appena capitato
a lui e Sarti, erano volati qualche metro più in là del gruppetto di
persone.
“Cavolo! Si sono rotti qui
sull’angolo…” osservò tristemente Stefano, indicandogli l’angolo danneggiato
della lente sinistra.
“Merda! E te sei triste per un
paio di occhiali?” lo riprese decisa Silvestri.
“Non ti preoccupare Noro, anche
questi occhiali avevano la loro età” lo rassicurò Oscar, mentre li riprendeva
dallo scienziato ed osservava il danno che avevano subito.
Poi, dopo un cerotto sul gomito
messogli da Carla, anche Oscar Testa poté, con l’aiuto di Marco e Tommaso,
rialzarsi e tornare a camminare.
“Certo che questa gente non ha
molta fantasia…” osservò la giovane Rosa, mentre contemplava il paesaggio con le
braccia incrociate al seno.
“Fantasia o no, io ne ho
abbastanza di questo posto!” disse con tono alquanto seccato Roberto, appena
rialzatosi e spostatosi al fianco dell’attrice.
“Ehi professore… ma è possibile
che non ci sia il modo di uscire da qui?!” aggredì verbalmente Noro, la bionda
Sara.
“Beh… ecco… io…” provò ad
articolare una risposta decente lo scienziato, mentre Marco si avvicinava a
Lupo.
“Potrebbe anche tornaci utile la
tua esperienza in queste situazioni…” tentò un dialogo il giovane
miliardario.
“Certo, se avessi con me tutti i
miei ferri del mestiere! Ma, purtroppo, mi è stato concesso solo il minimo
indispensabile. Insomma gente, sei tratta comunque di acciaio pieno!” ricordò
agli altri il delinquente, battendo con le nocche della mano sinistra contro il
muro della stanza.
“È inutile che ricominciamo a
litigare, possibile che ancora non l’avete capito?” cercò subito di quietare gli
animi Carla.
“L’unica cosa che rimane da fare
è…” venne bruscamente interrotto Orsi.
“SIETE PREGATI DI PROSEGUIRE
NELLA SUCCESSIVA STANZA, GRAZIE!”
“Di nuovo quella voce…” osservò
Oscar cercando la fonte di tale attività parlata.
“Ma così facciamo solo il loro
gioco!” protestò Sara, mentre la porta si apriva silenziosamente.
“Al momento non ci resta altro da
fare che proseguire, come vogliono loro” spiegò alla ragazza Simone.
“Può darsi che alla fine saremo
liberi!” diede un po’ di speranza ai compagni Marco.
“Beh non ci rimane molto tempo…”
disse Roberto mente, con lo sguardo, notava che il solito gas verde cominciava a
fuoriuscire dai fori sulle pareti.
“Presto! Presto! Via di qui!”
urlò frettolosamente Stefano, con la bocca coperta dalla suo camice bianco.
In breve tempo, tutti e dieci i
componenti lasciarono la stanza. Dopo ciò, la porta si richiuse e le luci si
spensero.
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