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Autore: J85    29/09/2014    1 recensioni
Senza un apparente motivo, 10 persone, 7 maschi e 3 femmine, con caratteristiche totalmente differenti tra di loro e completamente all'oscuro l'uno dell'altro, si ritroveranno improvvisamente dentro un'enorme stanza dalle pareti metalliche.
Nessuno di loro ricorda come abbia fatto a finire lì dentro e, ancora meno, è a conoscenza delle difficili prove che insieme dovranno affrontare per procedere verso un'insperata libertà.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4

“Una specie di fotocopia”

 

 

 

Come nella stanza precedente, anche in questa la porta si chiuse ermeticamente appena i dieci personaggi furono fisicamente presenti in essa. E subito fu grande la sorpresa nei presenti nel constatare l’enorme somiglianza tra le due stanze.

“Accidenti…” iniziò Noro.

“Avverto una classica sensazione di deja-vù” osservò in maniera signorile, un po’ rovinata dalla sua erre moscia, Sciullo, momentaneamente ripresosi dallo shock conseguente l’inizio di questa assurda avventura.

“Sarà come dici te, Marco, ma a me sembra proprio una specie di fotocopia della stanza di prima!” tagliò corto Silvestri, che mal sopportava i modi signorili in generale.

In effetti anch’essa presentava spuntoni di puro acciaio disseminati per quasi tutta la pavimentazione della stanza. Dall’altro lato della stanza vi era una lunga pedana sospesa ed attaccata al muro, identica a quella su cui si posavano i venti piedi. Ciò che preoccupava di più erano le differenze: La totale assenza di un margine laterale, che in precedenza aveva permesso loro di proseguire più o meno tranquillamente fino all’attuale stanza, la differenza di altezza delle due pedane parallele, con quella da raggiungere di 4 o 5 metri inferiori a quella attualmente occupata, ma, soprattutto, la presenza di una larga sbarra d’acciaio che, correndo parallela alle due pedane, andava a delineare la metà quasi esatta della stanza, se fosse stata vista dall’alto paragonandola alla figura geometrica del quadrato.

Altra differenza che saltava subito all’occhio, proseguendo nel paragone tra i due ambienti, era l’ampiezza alquanto ridotta del luogo dove ora si stava svolgendo l’azione. Con un buon salto, preceduto da una soddisfacente rincorsa, si poteva essere sufficientemente sicuri di impattare nel freddo acciaio della pedana di fronte, e proseguire così il cammino.

Però c’era la sbarra…

“Figliolo, credo che in questa situazione ci tornerà utile l’attrezzatura che hai precedentemente mostrato a noi” espose il suo piano sul da farsi Testa, mettendo una mano sulla spalla destra di Sarti.

“Vuol dire il doppio rampino riavvolgibile, signore?” chiese con il solito tono militare il ragazzo.

“Immagino proprio di sì” gli rispose Oscar, dondolando la testa e sorridendogli garbatamente.

“Al diavolo! Basta un buon salto e possiamo tranquillamente passare oltre!” sbottò Lupo, apprestandosi ad eseguire l’azione atletica da lui appena descritta.

“Ma prego, accomodati” disse Santucci, invitandolo ironicamente a proseguire.

“No, per favore ragazzi!” li supplicò a desistere nei loro intenti Wilson “Come medico e come vostra compagna in questa odissea, vi proibisco assolutamente di effettuare tali gesti, che vi potrebbero portare anche alla morte!” con gli occhi visibilmente lucidi dopo quest’ultima affermazione.

Anche lo stesso Andrea fu toccato nel suo intimo da questa parole. Per un attimo rimase immobile con lo sguardo rivolto a Carla. Poi, un’occhiata veloce al suo rivale Roberto e, infine, nuovamente verso Carla. Ma nella sua natura c’era grande allergia nei confronti delle regole e degli ordini, anche se si trattavano di consigli sinceri da parte di una giovane donna medico.

Si voltò rapidamente, tre rapide falcate ed era nel vuoto. Tutto attorno a lui era avvolto dal rallentato “No!” urlato da uno o più membri del gruppo che si era lasciato alle spalle. la gamba sinistra ben distesa in avanti mentre la destra all’indietro. La barra non fu neanche sfiorata.

Dopo un rapido capitombolo, il ladro si ritrovò semi inginocchiato dall’altra parte della stanza.

Rosa si tolse le dita affusolate dagli occhi ed esclamò felice “Oh mio dio! Ce l’ha fatta!”.

Mentre poco alla volta tutto il resto della comitiva si riprendeva dal rischio appena occorso al loro compagno, quest’ultimo, rimessosi in posizione eretta, urlò agli altri “Visto? Che vi dicevo! È un gioco da ragazzi!” con uno smagliante sorriso e un leggero tremolio alle gambe.

“Quel tipo non è apposto!” osservò verbalmente Noro, riprendendo a sua insaputa il medesimo pensiero dei suoi compagni presenti lì con lui.

“Questa volta è troppo!”

I nostri eroi stavano ancora osservando Lupo, che continuava a vantarsi della sua impresa dall’altra lato della sala, non prestando la giusta attenzione a quest’ultima affermazione. Si girarono quando ormai Santucci aveva già preso la giusta rincorsa e stava scattando verso il margine.

“No ferm…” tentò di urlare qualcuno dei rimanenti otto ma il poliziotto era ormai andato.

Il salto fu di certo meno spettacolare del precedente, visto la maggiore massa muscolare presente nel corpo di Roberto rispetto a quello di Andrea, l’asta fu leggermente sfiorata e l’uomo ricadde nello stesso piano dell’altro quasi a piedi uniti. Neanche il tempo di far riprendere dall’incredulità il criminale che Roberto gli era subito addosso, afferrandolo per il bavero della giacca verde “Ti avverto Lupo! La prossima volta che tenti anche solo un’altra bravata come questa, sarò io stesso a buttarti di sotto!”.

Dall’altra parte della stanza l’atmosfera era di certo meno furiosa.

“Bene figliolo, prepara la tua attrezzatura…” consigliò Testa al giovane Sarti, che stava già iniziando la procedura di accensione del doppio rampino riavvolgibile.

Mentre gli altri pensavo già al proprio turno di utilizzo del macchinario, uno di loro era rimasto immobile nel contemplare l’asta. Qualcosa nella sua testa lo stava convincendo a dimostrare di non essere affatto inferiore, atleticamente parlando, ai suoi due compagni che stavano risolvendo le divergenze tra di loro sull’altro margine della stanza.

“Bene signori, ascoltate bene quello che ho da dirvi: Questo congegno, datomi in dotazione dall’esercito italiano, può sostenere tranquillamente il peso standard relativo a due persone. Quindi sarò io stesso a scortarvi da questo all’altro lato della stanza. Voi non dovete fare altro che affidarvi completamente a me, sono stato chiaro?” spiegò Simone alle persone attorno a lui. Tutte tranne una.

Orsi infatti si stava dirigendo verso la porta da cui avevano lasciato la precedente stanza, accompagnando ogni suo passo dal ticchettio che facevano i tacchetti da gioco sul pavimento metallico della struttura. Sara fu la prima ad accorgersene e, con lo sguardo, catturò subito il numero dieci sulle spalle del ragazzo che si stava allontanando dal gruppo di persone. Poi il ragazzo si girò.

La rincorsa fu nettamente più lunga rispetto alle due precedenti, ma lo stile del salto fu davvero impeccabile. Simile a quello di Lupo ma con uno stacco aereo nettamente superiore. La giovane Silvestri rimase letteralmente rapita dallo splendido gesto atletico. Addirittura le era sembrato quasi che, mentre Tommaso era in volo, sulla sua larga schiena fossero spuntate le ali bianche e candide di un angelo. L’atterraggio fu nettamente peggio dei precedenti.

Il giovane inizialmente ricadde a piedi uniti sull’acciaio, simile a come appena svolto da Roberto, però gli stessi tacchetti furono beffardi, facendo cadere all’indietro il trequartista che si ritrovò, dopo un urlo di terrore collettivo emanato dalla parte di stanza che aveva appena lasciato, completamente disteso sul pavimento freddo della seconda piattaforma, con solo la testa lasciata penzoloni nel vuoto.

“Ma cosa volevi dimostrare, scemo?” si chiese mentalmente Sara, mentre osservava Santucci e Lupo che aiutavano Orsi a rialzarsi.

“Bene!” riprese la parola seccato Simone “Se ora nessun’altro vuole fare lo scavezzacollo, vorrei sapere chi è il primo di voi che devo portare dall’altra parte?” intanto, stava puntando l’arma verso un punto sicuro in cui far conficcare il rampino portante. Ma proprio mentre stava per esercitare pressione del proprio indice sul grilletto, s’interruppe bruscamente dall’allarmante urlò di Sciullo “Oh mio dio! Ne è partito un altro!” e tutti si rivoltarono verso il margine proprio mentre Sara saltava nel vuoto.

Questa volta però il salto era davvero pessimo. La giovane bionda stava cadendo quasi completamente sotto l’asta metallica. In molti temettero di perdere la prima persona del loro gruppo, ma poi videro le mani della ragazza afferrare saldamente l’asta.

La giovane stava dando a tutti presenti un saggio esemplare di ginnastica artistica, in particolare stava eseguendo la specialità della sbarra che, in ambito olimpico, è una specialità esclusivamente maschile.

Uno, due, tre volteggi e poi Silvestri si lanciò versò i tre maschi che fecero appena in tempo a scostarsi per permettere il completo atterraggio della ragazza.

Anche lei ce l’aveva fatta.

“Beh, chi altro vuole provare?!” chiese più che mai seccato Sarti, guardando in cagnesco le persone rimaste vicino a lui.

“Direi che ora può bastare…” azzardò una risposta Stefano.

“Bene, tanto meglio!” si tranquillizzò un attimo Simone, mentre prendeva nuovamente la mira con il suo equipaggiamento e, questo volta, il colpo partì. I due rampini si conficcarono perfettamente nell’acciaio delle due pareti, constatato anche dai quattro al di là della sbarra.

“Dunque… chi è il primo?” domandò il soldato.

“Comincio io!” rispose risoluta Carla, che si presentò con il viso di un rosso infernale, i grandi occhi lucidi sul limite del pianto a dirotto ed i lunghi capelli ricci e biondi sconvolti nella sua testa, a rispecchiare pienamente il suo attuale stato d’animo.

L’attraversata fu rapida e tranquilla, con i due ragazzi che sollevarono leggermente i piedi nel momento in cui passarono sopra all’asta metallica, con la Wilson che non emise neppure un urletto da quanto era concentrata sulle sue prossime mosse. Infatti, appena poggiati i piedi sul pavimento del secondo ripiano, si diresse rapidamente verso Sara, la quale rimase sorpresa da questa personale iniziativa da parte della donna medico, e la colpì con un violentissimo schiaffo.

Pure Sarti rimase lì per lì sorpreso dall’ultima azione di Carla, che però non terminò qui. Infatti ella proseguì verso Tommaso ed anche a lui fu riservato lo stesso trattamento. Poi toccò a Roberto ed un altro sonoro ceffone. Infine arrivò il turno di Andrea, che poteva tranquillamente evitarlo visto l’esperienza appena provata dagli altri tre, ma rimase letteralmente impietrito davanti alla tenacia della giovane donna. Ed anche a lui fu malmenata una guancia, facendo così cadere per terra la sigaretta che stava consumando.

“Non azzardatevi più a farmi provare queste paure!” ordinò glaciale Carla, guardando i quattro colpevoli con occhi da tigre e avvertendoli con un dito accusatore ad uno ad uno.

Loro non dissero una parola. Né una scusa e nemmeno qualcosa a loro discolpa. Sarti fece immediatamente ritorno nell’altra sponda, forse per evitare qualche terribile predica a lui rivolta.

Anche gli altri quattro membri erano muti davanti a ciò che era appena accaduto. Lo stesso Marco Sciullo, il secondo ad essere portato da Sarti da un’estremità all’altra, era sconvolto dal repentino cambiamento di carattere avvenuto in Carla, di certo dovuto a quella situazione di alta tensione emotiva.

Chi invece non riuscì a rimanere concentrato sul fatto appena avvenuto, per mantenere la calma e non pensare alla traversata che stava facendo sopra una fitta schiera di spuntoni d’acciaio, fu Stefano Noro. Il buon scienziato infatti, nel bel mezzo del suo cammino, lasciò involontariamente sfuggire un’emanazione rumorosa, ed alquanto maleodorante, dal suo largo fondoschiena.

“Oh diamine! Perdonami ragazzo…” provò a scusarsi con il soldato.

“Non si preoccupi signore!” stemperò l’imbarazzo l’altro che però, una volta lasciato Stefano con gli altri otto, per un breve tratto del percorso di ritorno, si avvalse dell’utilizzo della sua personale maschera antigas.

Il penultimo turno era riservato a Rosa Simone che, appena Sarti fu ritornato nella sua sponda, chiese, mentre utilizzava la mano destra a mo’ di pinzetta per tenere chiuso il naso e la mano sinistra come ventaglio per scacciare via l’odore “Puffff… ma che cos’è questa puzza?”.

“Sorvoliamo, signorina!” fu la rapida risposta del ragazzo visibilmente imbarazzato.

Anche in questo caso, la traversata fu rapida e tranquilla. Le gambe tenute leggermente arcuate per evitare di sbattere i piedi contro l’asta, ed anche la giovane e carina attrice era arrivata a destinazione.

Ormai gli otto aspettavano soltanto l’arrivo di Oscar, stemperando l’aria tesa che si era venuta a creare precedentemente parlottando tra di loro.

“Bene signore, lei è l’ultimo!” disse Simone, appena poggiati i piedi per l’ultima volta sul pavimento argentato della prima piattaforma.

“Andiamo figliolo!” lo invitò cordialmente Testa.

Il primo tratto era ormai alle spalle, anche questa volta l’asta fu facilmente superata. Poi qualcosa questa volta non andò per il verso giusto.

L’attrezzatura militare stava rispondendo positivamente, nonostante l’utilizzo continuo negli ultimi minuti con ben cinque traversate, le quali avevano fisionomie e pesi corporei differenti l’uno dall’altro, a parte la presenza costante di Simone Sarti. A destare preoccupazioni era il cavo metallico che serviva da percorso all’intero apparecchio, in particolare si trattava della porzione di cavo corrispondente ai metri tra l’asta e la seconda rampa. La situazione si aggravava sempre di più: il cavo si stava rapidamente sfilacciando.

L’unica speranza a questo punto era che il simil bazooka, che fungeva da appiglio per entrambi i corpi sospesi nel vuoto, facesse in tempo a superare il punto in cui di lì a poco la corda si sarebbe irrimediabilmente spezzata. In entrambi i casi la caduta delle due persone era praticamente certa, però un conto era cadere sul duro e freddo acciaio della rampa ed un altro sugli acuminati spuntoni metallici.

Per gli otto impotenti spettatori c’era solo la possibilità di pregare.

Erano rimasti solo due, forse tre, piccoli cavetti che prima formavano l’apparentemente robusto cavo di ferro, però l’arma proseguiva celermente e i due uomini attaccati sotto di essa sudavano freddo.

La fortuna aiutò ancora i nostri dieci eroi. Il punto di rottura fu passato e tutti per un attimo tirarono un sospiro di sollievo. Ma poi il cavo cedette. Gli otto sul ripiano urlarono di orrore e rabbia avvicinandosi ai loro due sfortunati compagni, arrivando quasi al limite del margine della pedana.

I due vennero lanciati violentemente come un yo-yo sulla dura parete metallica, per poi ricadere scompostamente sul pavimento sottostante.

La prima ad accorrere fu Rosa.

“Ragazzi state bene? Mi sentite?” provò a scuoterli la giovane.

“Ferma Rosa!” l’ammonì Stefano mentre accorreva con gli altri.

“Indietro, fatemi spazio!” ordinò repentina Wilson, che si mise a controlla i due corpi esanimi.

Poi Simone aprì gli occhi. “Affermativo signori! Sto bene…”

Carla fu la prima a sorridere a quella conferma ed abbracciò rapidamente il ragazzo, per poi concentrarsi sul brizzolato che stava sdraiato accanto a lui, anzi quasi sopra di lui.

Gli mise due dita sul collo. Il cuore batteva. Era vivo. Provò a chiamarlo “Oscar… Oscar… stai bene? Riesci a sentirmi?”.

Il più anziano del gruppo non dava ancora segni di ripresa. Tutti cominciarono a preoccuparsi: Tommaso Orsi, Sara Silvestri, Andrea Lupo, Roberto Santucci, la più preoccupata di tutti Carla Wilson, un ancora sdraiato Simone Sarti, Stefano Noro e Rosa Simone.

Alla fine, gli occhi del politico si decisero ad aprirsi.

Buttò uno sguardo a tutti quanti erano attorno a lui, piegati sulle ginocchia per stargli più vicino possibile, con uno sguardo quasi assonnato, come se fino ad allora avesse dormito per ore ed ore. Poi piegò la bocca in un dolce sorriso e parlò a voce bassa “È un piacere vedere che state tutti bene, ragazzi”.

“Bentornato fra noi” stemperò gli animi Andrea.

“Come sta, signor Testa?” chiese Marco.

“Faccia piano ora quando si rialza” gli suggerì Tommaso.

Mentre Rosa cercava di ricacciare le lacrime dagli angoli dei suoi occhi, Roberto aiutò Simone a rimettersi in posizione eretta

“Tutto ok soldato?” gli chiese ironico.

“Affermativo, signore!” Rispose l’altro, facendosi scappare per la prima volta un riso.

“Ehi Simone! Non andare via che, appena ho terminato le dovute cure su Oscar, voglio controllare anche te!” lo richiamo all’ordine Wilson, ironica anch’essa.

“Oh per Diana! Dove sono i miei occhiali?” chiese visibilmente preoccupato Testa.

“Sono qua Oscar. Aspetta che te li porto” gli rispose Noro, andando a raccogliere i robusti occhiali dell’esponente politico che, nella dinamica del brutto incidente appena capitato a lui e Sarti, erano volati qualche metro più in là del gruppetto di persone.

“Cavolo! Si sono rotti qui sull’angolo…” osservò tristemente Stefano, indicandogli l’angolo danneggiato della lente sinistra.

“Merda! E te sei triste per un paio di occhiali?” lo riprese decisa Silvestri.

“Non ti preoccupare Noro, anche questi occhiali avevano la loro età” lo rassicurò Oscar, mentre li riprendeva dallo scienziato ed osservava il danno che avevano subito.

Poi, dopo un cerotto sul gomito messogli da Carla, anche Oscar Testa poté, con l’aiuto di Marco e Tommaso, rialzarsi e tornare a camminare.

“Certo che questa gente non ha molta fantasia…” osservò la giovane Rosa, mentre contemplava il paesaggio con le braccia incrociate al seno.

“Fantasia o no, io ne ho abbastanza di questo posto!” disse con tono alquanto seccato Roberto, appena rialzatosi e spostatosi al fianco dell’attrice.

“Ehi professore… ma è possibile che non ci sia il modo di uscire da qui?!” aggredì verbalmente Noro, la bionda Sara.

“Beh… ecco… io…” provò ad articolare una risposta decente lo scienziato, mentre Marco si avvicinava a Lupo.

“Potrebbe anche tornaci utile la tua esperienza in queste situazioni…” tentò un dialogo il giovane miliardario.

“Certo, se avessi con me tutti i miei ferri del mestiere! Ma, purtroppo, mi è stato concesso solo il minimo indispensabile. Insomma gente, sei tratta comunque di acciaio pieno!” ricordò agli altri il delinquente, battendo con le nocche della mano sinistra contro il muro della stanza.

“È inutile che ricominciamo a litigare, possibile che ancora non l’avete capito?” cercò subito di quietare gli animi Carla.

“L’unica cosa che rimane da fare è…” venne bruscamente interrotto Orsi.

“SIETE PREGATI DI PROSEGUIRE NELLA SUCCESSIVA STANZA, GRAZIE!”

“Di nuovo quella voce…” osservò Oscar cercando la fonte di tale attività parlata.

“Ma così facciamo solo il loro gioco!” protestò Sara, mentre la porta si apriva silenziosamente.

“Al momento non ci resta altro da fare che proseguire, come vogliono loro” spiegò alla ragazza Simone.

“Può darsi che alla fine saremo liberi!” diede un po’ di speranza ai compagni Marco.

“Beh non ci rimane molto tempo…” disse Roberto mente, con lo sguardo, notava che il solito gas verde cominciava a fuoriuscire dai fori sulle pareti.

“Presto! Presto! Via di qui!” urlò frettolosamente Stefano, con la bocca coperta dalla suo camice bianco.

In breve tempo, tutti e dieci i componenti lasciarono la stanza. Dopo ciò, la porta si richiuse e le luci si spensero.

  
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