IL
QUARTO ATTACCO
Parte
3/3: Discord VS Cyclop
«REGGETE
FORTE!!!» Fu l’ultimo ordine che riuscì
ad impartire Spitfire prima che il Kaiju impattasse contro la cupola,
subito ripetuto dai leader delle varie unità disposti
intorno al perimetro.
Come
un ariete che niente su Equestria avrebbe potuto arrestare, il ciclope
compì un balzo contro il velo protettivo
dell’incanto, sbattendovi contro con tutto il peso della sua
massa.
L’energia
dell’impatto fu assorbita all’istante dalla cupola,
attraversandone gli spessi strati frutto della magia combinata di
centinaia di unicorni, e penetrò all’interno del
bioma della fortezza, come un’onda di marea pronta a
travolgere qualunque cosa nel suo raggio d’azione.
Quello
che successe dopo fu il finimondo.
La
Capitana dei Wonderbolts, e con essa ogni pony che stazionava nei
dintorni del punto d’impatto, furono spazzati
dall’onda di risonanza. I loro corpi sbalzarono via, cozzando
contro persone e ostacoli di ogni genere.
Anche
ora, nell’illusione di trovarsi al sicuro, qualcuno di loro
finì per perdere la vita, spezzandosi la schiena, il collo o
riportando gravi lesioni interne.
Spitfire
fu graziata dall’istinto di sopravvivenza e da
un’esperienza pluridecennale, che la spinsero a
raggomitolarsi in posizione fetale e di richiudere sui fianchi le sue
fragili ali da pegaso.
Rotolò
in quella posizione per innumerevoli metri, augurandosi in ogni istante
che nulla di solido si frapponesse tra lei e lo spazio per arrestarla
prima del tempo.
Quando
si fermò, esaurita la spinta dell’onda
d’urto, si guardò all’indietro
accorgendosi del grande albero spoglio d’inverno, cui rami
scheletrici erano stati piegati (e spezzati) dalla risonanza, e si
ritrovò a benedire la fortuna sfacciata, che per appena tre
metri l’aveva graziata da una collisione frontale con il
tronco della pianta.
Si
rialzò sulle zampe, osservando che la sua uniforme blu si
era stracciata a metà, penzolando sul fianco destro del
corpo, quindi, si accorse delle gocce di sangue che avevano cominciato
a insozzarle gli zoccoli anteriori.
Si
toccò all’altezza delle narici, colta da un dubbio
fulmineo, e lì ebbe conferma che: sì, stava
sanguinando dal naso.
“Poteva
andare peggio.” Si
trovò a pensare, mentre il liquido ematico le stava lavando
il manto sinuoso lungo il mento e la gola, e le venne da ridere
coinvolta da un improvviso impulso d’ilarità.
Subito però un conato di tosse la costrinse a chinare il
collo in giù ed eruttare una decisa sequenza di versi
cavernosi che non auspicavano a nulla di buono.
A
ogni colpo di tosse, esplosioni di liquido denso e caldo risalivano le
pareti del suo esofago costringendola ad assaporare il gusto ferroso
del sangue, che lei sputò fuori in grumi di materia
rossastra e schiuma salivale.
«Oh
cavol…*coff*… no… »
Trovò
la forza di issare il capo e guardare in avanti: corpi, come coriandoli
di una macabra festa, ravvivavano di motivi multicolore la corona
all’interno della cupola.
Alcuni
si rialzavano, scossi e provati, altri rimanevano stoicamente al suolo.
Erano privi di senso? In coma? Morti? Spitfire non aveva modo di
capirlo.
La
cosa più grave fu che tutto si era verificato
all’interno della Muraglia, lì dove chiunque
avrebbe potuto giurare che sarebbero stati al sicuro.
Che
senso aveva dover accettare il sacrificio di tante vittime, se poi i
superstiti dovevano continuare a patire così?
Più
ci pensava e più non si dava pace per la freddezza con la
quale aveva deciso di condannare a morte molti di loro.
A
un tratto il suo corpo fu percosso da altri spasmi, e le zampe
iniziarono a tremarle come non mai.
Ora
che l’eccitazione del momento stava via via sbiadendo come
una macchia di fango diluita nell’acqua, poteva ascoltare con
assoluta limpidezza dei sensi il dolore fisico che lambiva il suo corpo.
Fu
sul punto di spiegare le ali e rientrare in campo, quando una piccola e
meschina intuizione le disse che non ci sarebbe mai riuscita.
“Aveva
svolto il suo dovere, e ora che la sirena era suonata, era giunto il
momento di ritirarsi negli spogliatoi.”
Nell’immaginario
dei suoi pensieri, si sentì come se l’amorevole
abbraccio di un amico accorresse a lei per prestarle soccorso.
L’amico la reggeva per le spalle, bisbigliandole di
adagiarsi; “Andrà tutto bene” la
consolava “mi prenderò io cura di te” le
promise, e Spitfire finì per credergli sulla parola,
lasciando che la calda zampa la adagiasse a terra.
Sbatté
le palpebre, stanca e febbricitante.
Una
volta, due, tre volte.
Alla
quarta volta ebbe una visione, e vide i suoi compagni di molte
avventure, Soarin e Fleetfoot, che si stagliavano di fronte al suo
giaciglio sorridendole affettuosamente, ma senza parlarle.
Cercavano
forse di consolarla? Era un modo per comunicarle che malgrado tutto
aveva svolto un buon lavoro?
La
calda stretta che la stava accompagnando in quell’ultimo volo
si avvicinò al suo muso e le diede un bacio, dolce e
protettivo, che le fece dimenticare tutto ciò che stava
succedendo. Poi, quando la pegaso si accorse di essere troppo stanca
per farlo da sola, l’amico la aiutò a chiudere le
palpebre, restando a vegliare sul suo capezzale, insieme alle visioni
degli altri due Wonderbolts, mentre si accingeva ad addormentarsi di
fronte ai loro sorrisi.
Forse
per sempre?
Quando
l’onda d’urto attraversò le difese della
Muraglia dell’Armonia, travolgendo chiunque vi si trovasse
nei pressi, fu come la detonazione di cento emissioni degli Elementi,
concentrate tutte nel raggio di poco più di cento metri.
Le
ossa dei più fragili a quel punto si polverizzarono, mentre
i più robusti dovettero comunque fare i conti con una forza
fuor da ogni misura.
Il
barbacane, per ovvie ragioni, non resse alle sollecitazioni,
sgretolandosi in una frana di macerie che andò a riversarsi
un po’ dappertutto lungo la piazza.
I
sopravvissuti rintanati a castello risentirono dell’onda
d’urto in entità minore rispetto a chi era ancora
all’aperto, ma non per questo poterono sentirsi
più al sicuro: la risonanza fece vibrare le vetrate, che
esplosero in mille mosaici di schegge cadendo sulle loro teste.
L’intera
storia di Equestria fu spazzata via in quel preciso istante,
tramutandosi ora nell’ennesimo pericolo per gli stalloni e le
giumente che si videro costretti ad accucciarsi per non restare feriti
dalla pioggia di frammenti.
La
risonanza vibrò anche lungo tutta la superficie convessa
della cupola, propagando un acuto stridio che ricordò il
suono di uno zoccolo umido che passa sul bordo di un bicchiere.
Twilight
Sparkle si risvegliò con gli occhi puntati al cielo.
La
prima cosa che vide fu la punta della torre Sud, con il balconcino
degli alloggi privati delle Principesse. Ma dov’erano le
Principesse?
Celestia
era lì di fianco, con lo sguardo sperduto come le sue
emozioni.
E
c’era anche Luna, che invece si stava curando di lei (aveva
forse subito delle ferite? O la stava semplicemente aiutando a
riprendere i sensi?)
E
poi chi altri?
Più
la sua coscienza riemergeva dall’oceano
dell’illogico e più le presenze che intorno a lei
posavano immobili come statue di bronzo assumevano identità
e colori amichevoli.
Riconobbe
Applejack, che era sollevata dal riavere con sé la sua amica.
Riconobbe
Fluttershy, che piangeva (ma aveva mai smesso di piangere?).
Riconobbe
Rarity (chiedendosi se ancora trovasse la voglia di preoccuparsi della
sua criniera dopo quello era successo) e con lei Spike, che non poteva
astenersi dal ronzarle intorno anche in quel frangente.
In
seguito riconobbe Pinkie Pie e la sua criniera floscia (un classico
intramontabile. Si chiese se dopo quell’esperienza sarebbe
mai tornata a essere la solita Pinkie di sempre?)
Infine
Rainbow Dash, che sembrava fare il verso a Princess Celestia, persa
insieme a lei nel vuoto delle loro pupille.
Ma
cosa stavano guardando da meritarsi tanto la loro attenzione?
I
pony che gridavano per la paura? Il Kaiju che se ne andava con la coda
tra le gambe (buffo, nemmeno ce l’aveva una coda)
perché incapace di penetrare le difese della Muraglia?
Certo, sarebbe stato bello se così fosse stato…
sarebbe stato…
Invece
no… qualcosa era andato storto! C’erano altri
morti intorno alle pareti dell’incantesimo! E
perché la cupola sembrava essersi assottigliata
d’improvviso?? Perché mai, poi, i raggi che la
alimentavano erano così pochi in cielo?!?
Quel
che tutti sapevano, ma che nessuno voleva collegare alla
realtà di allora, era che la maggior parte delle
unità della Muraglia avevano ricevuto l’ordine di
appostarsi proprio ai bordi del confine.
Alcuni
erano morti, e i loro corpi ora contribuivano a infoltire la conta
delle vittime di quell’infame giornata, mentre gli altri
erano ancora rintronati dallo shock della risonanza.
Twilight
osservò alcuni raggi elevarsi nel cielo per rinforzarla;
qualcuno – probabilmente nelle retrovie – si era
ripreso dal suo stato confusionale ed era tornato in formazione per
adempiere il suo compito. Ma la domanda che l’alicorno si
pose a quel punto fu: sarebbero mai bastati?
Mentre
se lo chiedeva, qualcuno da lassù stava vegliando su di
loro…
Quando
il Kaiju si scontrò con la cupola, convinto che la sua forza
l’avrebbe sfondata con gran facilità, si
trovò a dover ingurgitare un boccone troppo amaro nello
scoprire che la loro linea di difesa era riuscita a respingerlo.
La
Muraglia si comportò come una molla, che assorbì
tutta la sua energia, restituendone parte come in un ritorno di fiamma.
Il
gigante rimbalzò all’indietro, atterrando col
sedere nella vasca del lago e portandosi con sé il gracile
ponte che con grinta eroica aveva retto fino ad allora alle pressioni
del pomeriggio.
Grugnì
di dolore quando la forza magica lo pervase, scuotendolo da sotto la
corazza di pelle. Le misere frecce che gli furono scoccate contro dei
grifoni non gli avevano oltrepassato nemmeno lo strato superficiale
della cute, e il grande vortice arcobaleno scaturito dagli Elementi lo
aveva ustionato provocandogli a malapena qualche piaga da bruciore, che
tornava a farsi sentire ogni qualvolta che la pelle sfregava contro
qualcosa, ma stavolta il male fu acuto e prepotente,
all’altezza della sua mole: partì dal ventre, come
un immane pugno sferratogli da un avversario della sua stessa stazza, e
s’impose attraverso il suo corpo voluminoso.
I
fasci muscolari gli dolsero e le ossa scricchiolarono, mentre la vista
gli si fece d’un colpo confusa.
Il
fluido scuro che sgorgava dal suo occhio cadde per la prima volta senza
generare altri globi assorbi-magia, gocciolando nero e inerte nella
limpida acqua della vasca.
Il
Kaiju fu costretto dal rinculo ad arretrare.
Digrignò
i denti e urlò, ma questa volta non riuscì ad
attraversare la patina della difesa.
Si
rialzò con gran fatica, mentre l’odio germinava in
lui a ritmo esponenziale. Non poteva concedere a quelle misere creature
di prendersi gioco di lui, doveva eliminarle, ora che erano deboli e
frastornate.
Scosse
il corpo per asciugarsi dall’acqua che lo bagnava dalle
ginocchia in giù e aprì di poco il guscio
protettivo del suo occhio, solo per accorgersi che non era
più in grado di produrre altri globi. Forse a causa del
brutale contraccolpo?
Poco
male, aveva probabilmente pensato, lo avrebbe fatto alla rude maniera.
Contrasse
la deforme dentatura in una smorfia collerica, compiendo due brevi
passi in avanti nell’acqua ora sempre più torbida,
e caricò con un pugno che presto si sarebbe abbattuto
sull’intera cupola.
I
pony cominciarono a urlare e darsi alla fuga.
Due
dita schioccarono.
Gli
stessi sopravvissuti poterono udirle direttamente nella loro testa,
come se con quel gesto Lui
avesse
voluto rassicurarli, comunicandogli che da adesso se ne sarebbe
occupato di persona.
I
muscoli del Kaiju produssero acuti rumori di contrazione, quando le sua
dita si strinsero le une sulle altre con tanta veemenza da poter quasi
solidificare l’aria.
Prese
slancio per sferzare il colpo, un frontale avvolto da un’aura
di puro potere che presto avrebbe scaricato sulla cupola con la forza
di un cataclisma.
Invece…
Un
muro di mattoni rossi si frappose tra la cupola e il suo braccio.
Era
alto quanto il ciclope e spesso qualcosa come quindici metri, e il
pugno che invece era destinato alla barriera incantata,
penetrò negli spessi strati d’argilla, dove si
arrestò rimanendovi incastrato.
Mentre
dentro la cupola i rifugiati cercavano di comprendere le ragioni del
perché un immenso muro si fosse materializzato nella stessa
linea di tiro del loro assalitore, il Kaiju tentava inutilmente di
liberare la propria mano dalla stretta argillosa che si stava
avviluppando sempre di più come la morsa viva, rimestandosi
intorno al pugno e costringendolo in una trappola da cui era ormai
impossibile liberarsi.
Nello
sforzo di divincolarsi, il suo piede inciampò sul bordo
della vasca e il Kaiju cadde sulle ginocchia, ritrovandosi ancora una
volta immerso in quell’acqua sempre più lercia.
Raccolse
la mano libera su se stessa e sferzò un bolide di energia
sulla parete, che però non venne in alcun modo intaccata dal
colpo.
Ululò
di dolore quando le sue dita furono sbalzate all’indietro dal
solido materiale.
Dall’interno
della Muraglia, Fluttershy trovò finalmente la forza di
sorridere. Puntò gli zoccoli al cielo, con gli occhioni
grandi e ricolmi di speranza, indicando alle sue amiche la cosa di cui
tutti si stavano pian piano accorgendo. «Lassù,
guardate!» Cinguettò, con il massimo della voce
che era in grado di concedersi, facendo segno di guardare
sull’apice del muro di mattoni.
Anche
il Kaiju alzò lo sguardo, inarcando la testa che in
realtà era il suo occhio, e lì lo vide: un
piccolo essere dal corpo serpentiforme, che se ne stava eretto sulle
zampe posteriori, una diversa dall’altra, e lo fissava a
braccia conserte con una flemma superba, che non lasciava trasporre
nemmeno un assaggio di quella paura che invece aveva deliziosamente
assaporato nei pony che stava braccando.
«Per
la miseria. Certo che sei veramente… “grosso”!»
Disse il draconequus, pregustando già i tanti modi in cui
avrebbe potuto divertirsi con lui. «Beh, come si dice da
queste parti: più grossi sono, più “casino”
fanno quando cadono!» E lì cominciò a
ridere a crepapelle, dando libero sfogo all’aria nei suoi
polmoni. «Hahaha!! L’hai capita?! Casino,
caos,
no?
E io sono il Principe
del Caos!!
Hahaha!! E ora… hihihi… ora me la sto
ridendo… “della
grossa”! Come
te!! Hahahah!!» Si strinse forte lo stomaco, nel timore che
potesse evadergli dalla bocca qualora avesse riso con forza maggiore.
Il
Kaiju però parve non condividere la stessa letizia di
Discord.
Ringhiò
con ferocia, e si rialzò in piedi cercando di scacciarlo con
uno schiaffo a palmo aperto.
Il
corpo di Discord divenne un ologramma privo di materia, lasciando che
la mano del ciclope lo attraversasse senza arrecargli alcun danno.
Il
mostro rimase per un momento stupito da quello sviluppo, e
latrò a bocca spalancata.
«Oh,
il bambino è nervosetto oggi! Troppo zucchero per
colazione?» Guardò il titano mentre preparava un
altro pugno. «Bene, vediamo allora se un giro sulle giostre
ti farà calmare un po’!» E quindi
schioccò le dita.
Il
Kaiju sentì qualcosa muoversi all’interno del
muro, come un rigonfiamento che poco per volta stava espellendo il suo
arto dalla trappola di mattoni, e riuscì solo a pensare che
da un momento all’altro nessuno gli avrebbe più
impedito di schiacciare quella strana creatura dal corpo disarmonico.
Quello che invece avvenne, fu che dai blocchi d’argilla
emerse un grande guantone da boxe, rosso scarlatto e attaccato a una
molla, che lo picchiò in pieno petto scagliandolo via dal
picco della montagna, e poi giù verso i livelli inferiori,
dove si districavano i resti diroccati della città.
Più
in basso, lo squadrone di grifoni capitanato da Gilda si vide
precipitare addosso gli oltre quaranta metri dell’immenso
nemico, quando ormai erano ad un battito d’ala dalla base del
picco.
«Oh
cazzo… VIA DA QUI, LEVIAMOCI DI TORNO!!»
Imprecò rumorosamente disperdendosi insieme agli altri
cadetti, trovando rifugio tra i comignoli dei palazzi.
Osservarono
poi il Kaiju atterrare disastrosamente sul dorso, a duecento metri
dalla loro posizione, tenendosi stretti a ogni appiglio disponibile per
fronteggiare lo spostamento d’aria scaturito
dall’impatto.
«Per…
gli Antichi… » esclamò un cadetto, che
insieme alla leader aveva scelto quello specifico tetto come riparo:
era lo stesso che poco prima aveva “fomentato” la
fuga dei suoi compagni. «Signora… c-che cosa
facciamo adesso?» Le chiese confuso.
Entrambi
avevano gli occhi congelati sull’enorme massa distesa al
suolo, che sembrava stesse soffrendo non poco per la rudezza della
caduta.
Gilda
allora studiò l’aria, e poco più in su
riconobbe il Deus Ex Machina di quell’imprevisto sviluppo,
e… non poté crederci. «Beh, pivello. Si
direbbe che ci hanno appena messo in panchina… »
concluse, rassegnandosi all’evidenza.
«YUHUU!!
Vai così, Discord! Picchialo!! Distruggilo!! FALLO A
PEZZI!!!»
Le
grida provennero da Fluttershy, che senza accorgersene aveva cominciato
a volteggiare per aria mimando senza remore mosse confusionarie di
qualunque disciplina marziale esistenze sul suolo Equestre.
Le
sue amiche la fissarono a bocca spalancata, Principesse comprese.
Quando
se ne accorse, emise un verso strozzato piombando subito in
giù e cercando di nascondersi tra i ciuffi della criniera.
«S-s-s-scusate… »
Discord
udì le esaltazioni della sua amica, a cui si unirono i cori
di applausi della popolazione di rifugiati, che lo fecero sorridere.
Per
lui fu come un’iniezione di fiducia, la prova inconfutabile
che finalmente i pony avevano deciso di credere nelle sue
capacità.
“Non
ti deluderò, cara Fluttershy… nessuno di
voi” pensò
tra sé e sé, mentre si preparava a scendere in
campo.
Il
muro di mattoni evaporò sotto le sue zampe in una nube di
calore e, sospeso a mezz’aria, il draconequus
cominciò a scendere giù dallo strapiombo come
percorrendo i gradini di un’invisibile scalinata.
Il
Kaiju raccolse le forze necessarie a risollevare le migliaia di
tonnellate che componevano il suo corpo e tornò in
carreggiata.
Irruppe
con una serie di ruggiti spaventosi, che non sortirono alcun effetto se
non di divertire ancora di più l’impavido spirito
del caos.
Ponendosi
alla stessa altezza del suo sguardo, Discord fece comparire sulla mano
sinistra una lima per unghie, che usò per darsi una
rifinitura agli artigli delle dita da leone. «E
così… tu saresti quello che deve portare rovina e
sciagure sul suolo dei pony?»
Il
Kaiju cominciò ad avanzare, barcollando per le ammaccature
subite e grugnendo col fiato pesante.
«Riconosco
che te la sai cavare bene, dico davvero. Sono persino tentato di
chiederti un autografo… » riprese, scrutandosi la
scena intorno «ma, vedi… per quanto sia da lodare
il tuo piccolo sforzo di portare il caos nel regno di Princess
Celestia, c’è un piccolo, insignificante
dettaglio che credo tu ti sia dimenticato di considerare.»
Lasciò cadere di mano la lima, la quale si
trasformò in un piccolo essere alato, che volò
via passandogli dinanzi alla faccia, ora severa e incendiaria.
«Portare il caos qui è il MIO
lavoro!»
Il
Kaiju ruggì nuovamente e avanzò verso
l’avversario. A passo lento, ma costante.
Discord
sollevò il braccio destro, quello più robusto, e
lo fece roteare nell’aria. Serrò il pugno in una
palla da demolizione perfettamente sferica e lo scagliò di
lato, facendolo svanire in un’invisibile fenditura
dimensionale nel mezzo del nulla.
Il
pugno riapparve allora dalla feritoia più alta di una delle
ultime torri rimaste in piedi nelle vicinanze, attaccato a un arto che
si allungava all’inverosimile verso la tempia del mostro.
Lo
investì sulla metà di destra del guscio oculare e
di nuovo il ciclope si ritrovò a stramazzare per terra
spiazzato e intontito, sconquassando la città.
Discord
volò alle sue spalle mentre questi si rialzava. Lo
toccò ripetutamente con l’indice
sull’enorme spalla corazzata. «Yo, fustacchione.
Sono qui, non mi vedi?»
Il
Kaiju si voltò di scatto, ma il draconequus era
già svanito. Riapparve nuovamente alle sue spalle e gli
sferrò un frontale sulle vertebre, che lo curvò
in avanti con violenza inesprimibile.
«Riprova
di nuovo!» Lo istigò.
Il
Kaiju contrattaccò con una gomitata che lo fece ruotare su
se stesso, ma Discord apparve alla sua sinistra e lo
schiaffò sul guscio. «Mancato!»
Allora
il gigante tentò un pugno verso quella direzione, e lo
spirito del caos ripeté lo stesso inganno, ma dal lato
destro. «Mancato ancora!»
Scomparve
nel nulla e si ripresentò al di sopra del mostro, impugnando
tra le mani un enorme martello che affondò sulla testa ovale.
Ampie
crepe si aprirono sulla punta del guscio, mentre l’utensile
veniva dissolto.
«Eddai
su, non ci stai nemmeno provando!» E si fece di nuovo
invisibile non appena ebbe finito di schernito.
Il
Kaiju soffrì il dolore mentre si leniva tra le mani le due
metà della palpebra ossea, con pezzi di scorza che si
staccavano dal guscio insieme al fluido nero delle sfere (o era il suo
sangue?) che defluiva dalle crepe.
Digrignò
i denti nello sforzo non indifferente di ignorare le fitte, percependo
che il suo occhio era ancora gonfio e pulsante, ora come non mai.
La
collera che lo aveva alimentato sino ad allora scoprì un
nuovo grado di frenesia mentre cercava di capire dove si fosse nascosto
quel piccolo essere tanto odioso.
Quando
Discord si ripresentò davanti al suo cospetto, stringendo
tra le mani due sconfinati piatti da batteria con i quali era pronto a
inebetirlo a suon di percussioni, il gigante era già
preparato ad anticiparlo con un folgorante cazzotto in piena faccia.
I
riflessi risposero in fretta, e lo spirito del caos riuscì a
intercettare il colpo arrestandolo tra i due piatti, che produssero
un’acuta vibrazione nell’aria.
«Fiù…
questa volta ci sei andato vicin… » stava per
commentare, e per poco non finì la frase che
qualcos’altro lo lanciò via, scaraventandolo
contro un palazzo; il Kaiju aveva previsto le sue mosse fin dal
principio, e aveva serrato per l’azione i pugni di entrambe
le mani: se il primo colpo era stato bloccato per appena un soffio, il
secondo, invece, andò pienamente a segno.
«Nooo!!»
Espressero un coro di lamenti dal punto d’osservazione della
torre Sud del castello.
Discord
si riprese dalla botta e vide le macerie intorno a sé.
Notò anche uno spaurito gruppo di pony che
dall’interno dell’edificio fissavano il suo corpo
ridotto in pezzi, rattrappiti dalla paura. Con un facile incanto
caotico li smaterializzò dalla stanza, assicurandosi di
trasferirli tra le fortificate mura del bastione, lontani e al riparo
dalla feroce battaglia che da lì a poco sarebbe esplosa.
Il
Kaiju camminò cautamente verso la sua direzione, conscio del
fatto che ci sarebbe voluto ben più di un banale cazzotto
per toglierlo di mezzo.
Il
draconequus, infatti, emerse subito dopo.
Il
suo corpo era ridotto in brandelli, infranto come le schegge di una
vetrata che era stata colpita da un masso pesante. Fece comparire in
una mano un voluminoso tubicino di colla, che usò per
ripararsi: da prima gli arti inferiori e poi il resto dei rimasugli.
«Dannazione,
questa la sentirò domattina…»
Borbottò tra sé e sé alzando lo
sguardo sull’enorme rivale.
Qualcosa
si staccò dalla bocca del draconequus e rotolò a
terra. Subito si accucciò per raccoglierlo ed esaminarlo, e
vide che era il suo canino sporgente.
«Ehi!»
Sbottò alzando il braccio, in modo che anche il Kaiju
potesse vederlo. «Questo era il mio dente preferito, lo
sai?!»
Ottenne
come risposta un energico ruggito, il cui tanfo lo poté
avvertire anche da laggiù.
«E
va bene, vuoi il gioco duro?!
Mettiamo a letto i puledrini!»
Detto
ciò, lanciò per aria il suo povero dente
estirpato, che si levò più in alto di qualsiasi
altra cosa presente in città.
Dalla
sua punta partirono una serie di saette, che avvolsero il Kaiju in una
maglia di lampi folgoranti.
Discord
compì uno strano movimento di braccia, e il voltaggio
raddoppiò d’intensità, emettendo
confusionari suoni di corrente che sprizzavano dalle carni della
creatura gigante.
Il
Kaiju brillò come una lampadina, mentre veniva bruciato sia
dall’interno che dall’esterno.
Discord
rideva con onnipotente veemenza, alzando via via sempre di
più la tensione che scaturiva dal canino.
Dall’altra
parte del ring il Kaiju contrasse le zanne, così forte che
alcuni incisivi gli saltarono via, sradicandosi dal palato. Richiamando
a sé la stessa tenacia con la quale aveva sottomesso i suoi
precedenti avversari, riuscì a fare in modo che i suoi
muscoli interni, il pettorale e tutta la regione che comprendeva il
retto addominale e gli obliqui s’isolassero dalla corrente
che scorreva sugli strati esterni della pelle (e fu solo per merito
della sua massa se questo gli fu possibile), abbastanza da permettergli
di gonfiare il ventre e lo sterno di aria, e sollevare poi la struttura
del collo per rovesciare contro la sorgente tutta la potenza dei suoi
ruggiti sonici.
Discord
dovette indossare delle cuffie anti-rumore per evitare di finirne
assordato, e tanto bastò al Kaiju per disciogliere
nell’etere la tempesta di corrente che si originava dal
canino.
Il
dente piovve a terra, e quando Discord compì il gesto di
farlo tornare a sé magicamente, si ritrovò la
carica del ciclope subito pronta a imbattersi su di lui.
Si
teletrasportò sulla sua spalla carbonizzata dalla corrente,
ma subito il Kaiju tentò di scacciarlo con un manrovescio di
quelli decisi.
Poco
più in là, uno sdraio da spiaggia blu, abbinato a
un ombrellone e righe rosso-bianche, si aprì sulla strada
diroccata, pronto ad accogliere il suo proprietario.
Discord
vi si distese, tenendo indosso un cappellino di paglia, gli immancabili
occhiali da sole e in mano un quotidiano girato sulle pagine del
cruciverba.
Volse
lo sguardo di lato, spiando di traverso la battaglia che nel frattempo
proseguiva a qualche centinaio di metri di distanza.
Era
fermo su una definizione della colonna delle orizzontali, intento a
scervellarsi sull’enigma della soluzione,
quand’ecco che il corpo malmenato di un altro draconequus,
una copia quasi perfetta di Discord, cadde vicino a lui affondando a un
metro dalla sponda sinistra dello sdraio, per poi sfumare come nebbia
sottile.
E
subito il Kaiju che si dirigeva verso di lui.
D’improvviso
gli balenò la soluzione, e si affrettò a riempire
di gran fretta le caselle, mentre il mostro si apprestava a un nuovo
attacco.
Fluttershy
guardava la scena tremando come una foglia. «Oh cielo, oh
cielo, oh santo cielo! Twilight… d-dobbiamo fare
qualcosa… dobbiamo aiutarlo…»
«Gran
bello spettacolo, non è vero?»
«DISCORD?!?»
Strillarono le sei Custodi, sorprese una più
dell’altra nel vederlo comparire lì accanto a loro.
«L’unico
e inimitabile da più di mille anni!»
«Bontà
celeste, sei ferito?! Qualcosa di rotto?! Sei stanco?! Hai sete?! Ti
porto del tè??» Lo assalì la pegaso
canarino tempestandolo di domande.
«È
tutto sotto controllo, rilassati! Quel coso non mi ha neanche toccato
ancora!»
Applejack
si accigliò «Aspetta un momento! Ma
quindi… se tu sei qui… chi sta combattendo contro
quello?!» Chiese, mentre più in basso boati e
fragori stavano intonando sonate da battaglia.
«Solo
un paio dei miei cloni personali da compagnia. Sapete anche voi quanto
sia difficile oggigiorno mantenere integra una messa in piega appena
fatta!» Si mise ad aggiustarsi quella che era palesemente una
finta parrucca bruna. «E poi, devo farmi bello per quando mi
accoglierete sul podio dell’eroe! Non vorrete mica che
sfiguri durante l’intervista?»
«Che
ne dici invece di darci un taglio e levarcelo di torno
definitivamente?!» Lo rimproverò Rainbow Dash, che
era la più collerica del gruppo, e a buone ragioni: furente
per il suo Elemento, per le vittime della giornata e per le delusioni
(o magari malsano orgoglio) affiorate nei confronti di Spitfire.
Avrebbe posto fine allo scontro lei stessa se solo non fosse stata
consapevole della sua completa impotenza.
«Tutto
a suo tempo, mie care. Non vorrete mica che il pubblico
si annoi?
E poi, non voglio dargli la soddisfazione di cavarsela con
così poco… deve pagare per tutto il male che vi
ha fatto!» Si sporse dall’ampia piattaforma
sospesa, godendosi con un binocolo lo spettacolo dello scontro in
città. «Aw, ma guardatelo, amore della mamma!
Sembra un cucciolo che gioca con gli amichetti immaginari!»
«Sarà…
ma per il momento sembra che il vantaggio ce l’abbia ancora
lui… » fece notare Twilight.
Il
Kaiju tenne stretta la copia-Discord sulla punta delle dita e la
portò all’altezza delle mascelle spalancate,
inarcando all’indietro il collo e lasciandovela cadere
dentro. Ingurgitandola, poi, in un sol boccone.
«Devo
proprio ammetterlo, ci sa fare l’amichetto…
» Commentò il vero draconequus calandosi dagli
occhi il binocolo.
«La
fuori è ancora pieno di gente, Discord! Eliminalo prima che
qualcun altro si faccia del male inutilmente! Smettila di
giocare!»
Discord,
malgrado detestasse farlo, fu costretto a dar credito alle parole della
Principessa dell’Armonia.
«E
va bene, visto che insistete tanto… ah! A proposito Cel. Mi
faresti un grande favore se spostassi il sole sulla linea
dell’orizzonte.» Disse, e concluso questo si
tuffò dallo strapiombo, attraversando senza alcuna
difficoltà la barriera della Muraglia.
Le
Custodi si voltarono per osservare Celestia, interrogandosi
sull’enigmatica richiesta di Discord.
Lo
spirito del caos trasformò le sue dita in un fischietto,
usandolo per richiamare l’attenzione del Kaiju.
Il
mostro lo vide scendere in picchiata, ancora in forze nonostante si
fosse ormai convinto di averlo sconfitto. Sfogò la sua
frustrazione infierendo sul paesaggio e balzò dinanzi a una
torre strappandone la metà superiore dal resto della
struttura.
Ruotò
su se stesso per tre volte per infondervi lo slancio, lanciandogliela
contro al compimento del quarto giro.
“Oh-ho…
cavolo!!” Discord
dovette inchiodare a mezz’aria e fare una rapida scansione
per verificare se qualcuno vi si stava rifugiando
all’interno. La vista gli divenne a raggi-X, e una volta
appurato che poteva contrattaccare senza rischiare di ferire nessuno,
usò l’unico incantesimo che gli venne in mente in
quel momento, trasformando il blocco della torre in liquido; succo
d’arancia, per la precisione, che liberò
nell’area un piacevole odore fruttato.
Discord
si riparò dietro un ombrello, levitando affianco a
sé un piccolo bicchiere di vetro, nel quale vi
strizzò il liquido assorbito una volta cessata la pioggia.
Vi
inserì una cannuccia e iniziò a bere.
«È stata proprio una bella partita.»
Disse al Kaiju mentre finiva. «Erano anni che non mi
divertivo così tanto, ma adesso la ricreazione è
finita. Da questo momento si fa sul serio!»
Il
ciclope si comportò come se lo avesse capito,
perché subito gli lanciò addosso un grugnito
iracondo. Prese a corrergli incontro, intenzionato a fermarsi solo e
unicamente al conseguimento del suo completo annientamento.
Discord
si trovò a osservare, attraverso i bordi umidi del
bicchiere, il riflesso del sole che Celestia aveva cominciato a
spostare sull’orizzonte del tramonto, esattamente
lì dove il draconequus voleva che fosse.
“E
brava Celestia. Vedo che ci capiamo al volo”.
Spostò
il bicchiere con calma, in cerca della giusta angolazione per
ciò che voleva fare.
«“Cameriere!”»
Parlò tra sé a gran voce.
«“C’è un problema con la mia
bistecca, io l’avevo ordinata ben cotta!”
“Oh, mi dispiace signore! Rimedio
subito!”» Si rispose in falsetto.
I
raggi del sole si concentrarono sul fondo del bicchiere, come
attraverso una lente d’ingrandimento, e un massiccio cono di
fuoco fluidificato si dipanò dal centro, indirizzandosi
contro il Kaiju.
Il
mostro si vide arrivare contro il getto, e nel poco spazio a
disposizione riuscì a fermarsi e quindi a incrociare le
braccia usandole come scudo.
Si
ritrovò in trappola, bloccato sul posto.
La
sua grande resistenza fu in grado di contrastare il flusso
d’energia che continuava a generarsi dal riflesso sul
bicchiere, ma a parte questo, era del tutto incapace di muoversi.
“Per
te è finita, te lo posso garantire!” Pensò
Discord, mentre saliva su una tavola da surf cavalcando
l’onda di fuoco.
Mutò
la sua testa in un’incudine e con esso tirò al
Kaiju una testata talmente violenta che la parte frontale del guscio
protettivo si crepò, aprendovi un altro reticolo di fratture.
Non
contento del risultato, Discord manifestò una grande torta
di panna che gli lanciò addosso con una mazza da baseball, e
con uno schiocco di dita la fece esplodere sulla sua faccia come una
bomba.
Il
guscio a quel punto si scoperchiò definitivamente, rivelando
il bulbo oculare contenuto all’interno.
Discord
indossò due guantoni da pugilato e li usò per
colpire il ventre del Kaiju con due potenti diretti. Il ciclope si
piegò in avanti e rigurgitò del liquido scuro,
non meglio identificato.
Discord
continuò con un montante a braccio teso, che fece sollevare
da terra il Kaiju e altri denti del mostro saltarono via, lasciandosi
dietro solo un inquietante sorriso crivellato di buchi.
Per
concludere, Discord voltò la testa da un lato, come per
ammiccare ad un’inquadratura che solo lui poteva vedere.
«E per finire: questa la dedico a tutti voi,
ragazzi!»
Tornò
a rivolgersi al Kaiju, che si sforzava di reggersi in piedi e
continuare a combattere, ma che in quel momento dava più
l’idea di un ebbro che c’era andato giù
pesante con la bottiglia.
Il
draconequus gonfiò il petto e strinse il ventre. Dalle corna
disambigue sprizzarono delle scintille di corrente statica; allora
aprì la bocca, cimentandosi nella formula che avrebbe
rappresentato il suo colpo di grazia.
«Fus…
Ro… DAHH!!»
Un
rombo di tuono deflagrò sulla montagna, e il Kaiju fu
spazzato via dall’ondata che si generò dalla
formula.
Cadde
di pancia, abbattendo altri due palazzi, come se fossero i due dobloni
che lo avrebbero accompagnato nel viaggio del trapasso, e quando il
fragore delle macerie si spense, seppellendo la salma del ciclope su
Canterlot, sulla città scesero finalmente la pace e il
silenzio.
«Ce
l’ha fatta!! SÌ CE L’HA FATTA!! CE
L’HA FATTA!!» Strillò la pegaso
canarino, in piena frenesia.
«Bontà
di Celestia, ci è riuscito davvero!»
Commentò Applejack.
«Ve
lo dicevo che ci poteva riuscire! L’ho sempre
detto!»
«Sì,
Fluttershy. Lo sappiamo.» Rispose Twilight sorridendo.
Più
in basso, anche i privilegiati che avevano assistito allo scontro
cominciarono a festeggiare e a diffondere in tutto il maniero notizie
sull’esito della battaglia.
Finalmente
un po’ di serenità sembrava aver fatto ritorno nei
loro animi.
La
Principessa del Sole si alzò in volo con impazienza, andando
a ordinare alle truppe della Muraglia di sospendere per il momento
l’immissione dell’incantesimo, quindi scese in
città, quando la cupola si era completamente dissipata
intorno al castello.
Le
Custodi la guardarono allontanarsi, senza avere bene in chiaro che cosa
sarebbe successo ora.
«Pensate
che sia… m-morto?» Chiese Fluttershy, in pena per
la sua sorte, nonostante tutto.
«Forse…
non ne ho idea. Magari è solo privo di sensi. Potrebbe
essere svenuto per le ferite, oppure… non saprei…
» tentò di risponderle Twilight con cautela,
perché sapeva che la sua amica non era mai stata
d’accordo nel spingersi fino a quel punto pur di sconfiggere
i Kaiju. Andavano fermati, e su questo non vi erano dubbi, ma la sua
politica ad oltranza continuava a sostenere
l’inutilità di provocarne la morte.
«Lasciamo che sia Celestia a decidere cosa farne di
lui.» Taglio corto alla fine, sospirando.
Flutershy
deglutì nervosamente.
Per
superare il momento si aggrappò alla fiducia che riponeva in
Discord, e alla consapevolezza che fino a quel momento mai nessuno
aveva perso la vita per mano sua, nemmeno ai tempi in cui le sue azioni
erano votate al male.
«Non
c’è posto per entrambi, qui ad Equestria. Non te
lo scordare la prossima volta!» Disse il draconequus,
puntando un dito insolente al corpo disteso della bestia.
«Discord!»
Lo
spirito del caos, sentendosi chiamare, si girò, trovandosi
di fronte la Principessa. «Oh cara Celestia! Sei venuta per
stringere la mano al nuovo paladino del regno?»
«Non
in questo momento. Qual è lo stato del Kaiju?»
Chiese lei, in ansia.
Discord
tirò fuori uno stetoscopio e prese a misurargli il battito
cardiaco da un punto a caso del tallone destro. «Hmm,
pulsazioni deboli e rallentate. Sarà fuori combattimento
fino al prossimo plenilunio. Basterà dire a Luna di
regolarsi di conseguenza.»
Celestia
annuì all’antifona e fu invitata
dall’impulso a voltarsi per guardare intorno a sé
le conseguenze dello scontro, ma non ne ebbe il coraggio.
Osservare
dall’alto la sua amata città cadere a pezzi una
struttura alla volta era stato un tormento già di per
sé insopportabile. Come avrebbe fatto ora a fissare con gli
stessi occhi l’inferno che si dispiegava tra quelle strade,
tra le fiamme alte che lambivano i cieli e i raggi del
tramonto che tracciavano contorni sugli scheletri di ciò che
restava di Canterlot? Per non parlare dei cadaveri; tutti quei corpi
privi di vita che ora sarebbe spettato a loro prelevare e seppellire?
Per
evitare di cedere all’impulso, fissò la terra
davanti a sé per un lasso indefinito, ripiombando in quella
specie di trance che le aveva tenuto compagnia anche in un tempo
precedente.
Discord
decise di farsi avanti. Sperò così di liberarla
da quello stato catatonico. «Allora... ehm, che cosa ne
facciamo di lui?»
Gli
occhi della Principessa tremolarono, cercando di contenersi dallo
stimolo di scoppiare in lacrime. «N-non lo so…
»
Il
draconequus si passò la mano tra i peli della lunga barba
caprina. «E va bene… »
rifletté «forse se mi metto d’impegno
potrei riuscire a trasferirlo in qualche dimensione alternativa. Un
posto privo di vita dove potrà divertirsi a buttar
giù le cose senza far male a nessuno, o magari…
»
«Uccidilo…
»
L’ordine
arrivò rapido e doloroso, impulsivo come un arresto cardiaco.
Si
mise a fissarla con diffidenza, per nulla convinto della sua decisione.
«Se permetti, non è lo stile che preferisco. Avete
l’occasione, per la prima volta da mesi, di risparmiare la
vita a uno di loro. Non vorrai macchiarti di una colpa di
quest… »
«LORO
NON HANNO MAI AVUTO PIETÀ PER NESSUNO DI NOI!!»
Gli tuonò contro con la Voce Regale. Il peso delle vittime
si accumulava sui suoi zoccoli come incudini da fabbri, facendola
accasciare a terra. «Non… non comprendo
perché noi d-dovremo… agire
diversamente… » Disse tra i singhiozzi.
Il
suo volto iniziò a essere rigato da piste di lacrime calde e
angosciate.
Discord
le si avvicinò e si accucciò davanti a lei,
facendo quello in altre circostanze non avrebbe mai osato fare: la
strinse tra le sue braccia, lasciando che le sue emozioni fluissero
fuori dal corpo.
«S-sono
morti… la mia gente… l-lì ha uccisi
tutti… deve pagare… »
«Shh,
fatti coraggio, su. Capisco l’odio che stai covando, ma
abbassarsi al suo livello non porterà l’armonia
che ora manca nel tuo cuore, e fidati: se te lo dice uno spirito del
caos, vuol dire che è vero.»
Vide
le sue labbra accennare un leggero sorriso, e questo lo
rallegrò.
«P-puoi
fare qualcosa per… »
Capì
al volo cosa stava cercando di chiedergli. «Purtroppo no, la
mia magia è in grado di portare solo lo scompiglio. Non sono
in grado di aggiustare le cose che altri hanno distrutto…
»
Udì
i suoi singulti ricominciare e farsi progressivamente più
forti. Si morse le labbra per la risposta che le dette, ma in fondo,
pensò, si era limitato a dirle la verità.
Il
Kaiju li ascoltava mentre parlavano nella loro lingua, filtrando il
suono delle voci tra i tanti rumori di fondo e i fischi di dolore che
gli strillavano da dentro la sua testa-occhio.
La
vista gli era oscurata, da quella posizione poteva scrutare soltanto la
pavimentazione crepata sotto il peso del suo corpo, e i resti di quello
che erano gli edifici sui quali era caduto.
Respirava
a fatica, schiacciato dalla sua stessa massa, si sentiva i muscoli
indolenziti, con gli avambracci che divampavano di bruciore per tutti
gli attacchi magici contro i quali si era difeso. Gli sembrava che ogni
metro cubo del suo corpo stesse evocando richieste d’aiuto,
ma forse era l’effetto dell’Armonia, che superava
le sue difese corporee penetrando nei tessuti e corrodendoli da dentro.
Provò
rabbia, un’ardente ira, frenata dalle ferite e dallo stato
attuale delle cose. Se in quel momento si fosse alzato per tentare di
attaccarli ancora, con ogni probabilità la creatura caotica
lo avrebbe nuovamente rispedito al tappeto, negandogli così
ogni possibilità di riprovarci di nuovo.
Come
sempre, se davvero voleva vincere contro quel temibile nemico,
così pieno di risorse, doveva servirsi
dell’astuzia, l’arma più potente che
ancora gli restava nell’arsenale.
Se
soltanto avesse potuto servirsi dei globi assorbi-magia,
l’esito sarebbe stato sicuramente diverso, ma non erano
questi tra le sue opzioni: attualmente, il gonfiore
all’occhio continuava ad ostruirne i dotti, bloccandone
così la secrezione dei fluidi. Senza la
possibilità di secernerli non poteva avviare il processo di
emulsione che generava la miscela, e senza miscela, non poteva sperare
di generare altri globi.
Se
anche ci avesse riprovato, l’esito non avrebbe prodotto gli
effetti sperati…
“Oppure
sì?” Si chiese d’improvviso.
Ponderando
attentamente il pensiero, si rese conto che nel fremito della battaglia
non aveva mai avuto l’occasione di concedersi del tempo per
tentare, ma adesso che era lì, disteso lungo a terra, si
disse che l’opportunità era propizia e invitante.
Evitando
di muoversi, per non destare l’allerta nei confronti dei suoi
avversari, contrasse i muscoli oculari responsabili
dell’espulsione del fluido.
Fu
difficile, e in definitiva, apparentemente vano avviare la miscelazione
dei vari composti, ma dopo qualche secondo qualcosa successe.
Insistette,
e gli ci vollero due minuti di pazienza e sterili contrazioni per
riuscire a produrre una sola goccia abbastanza pesante da scendere
giù dall’occhio per poi condensarsi prima di
infrangersi sul pavimento.
Il
globo era denso e di forma irregolare, in parte
“sporcato” dalla presenza di umori corporei
estranei, ma anche così era idoneo allo scopo.
Quello
che doveva fare, adesso, era lasciarlo libero di agire, tenendosi
pronto per quando si sarebbe dovuto rialzare.
Celestia
si separò dall’abbraccio di Discord, attonita,
considerando che non si sarebbe mai immaginata di ricevere conforto da
uno come lui, ma in quel momento, osservandone il viso che sorrideva
malinconicamente mentre aspettava che lei si riprendesse,
capì con assoluta certezza che finalmente, dopo anni di
lotte e catene sempre più corte per tenerlo a bada, poteva
finalmente vedere nei suoi occhi gli occhi di un amico leale. Un
compagno pronto a difenderli contro le difficoltà del futuro.
Il
Kaiju era stato sconfitto, e presto avrebbero dovuto decidere cosa
farne di lui, ma altri lo avrebbero rimpiazzato, e come sosteneva
Twilight, sarebbero stati più forti e vendicativi.
Più abili e subdoli.
Il
sole riportato al tramonto si nascondeva, un raggio per volta, dalla
loro vista, inabissandosi nei misteri della retta lontana. Su Canterlot
calava la tetra notte, che tentava di coprire ai loro sguardi gli
orrori della morte.
Celestia
si rimise sugli zoccoli, e fece in modo di restituire alla volta blu
del cielo qualche ora del suo astro solare, allungando de facto la
durata del dì. In altre occasioni non lo avrebbe mai
consentito; Madre Natura non era un giocattolo, e gli equilibri che
bilanciavano le sue creature erano fragili e delicati. Ma
c’era molto da fare, e gli incendi della città non
erano sufficienti per illuminare le operazioni delle squadre di
soccorso che si sarebbero presto messe in moto, una volta che i due
avrebbero fatto rientro al castello.
In
più, se la Principessa si era spinta a tal gesto, un motivo
era anche da ricercare nel significato simbolico che quella notte
avrebbe portato con sé: dopo tutto quello che gli sventurati
pony di Canterot avevano passato, piombare in una notte lunga,
macchiata dal cremisi dei loro cari defunti, era l’ultima
cosa che Celestia desiderava per loro.
Quando
il corno si spense, subito dopo aver compiuto il suo peccato, la
Principessa abbassò il capo posandosi su Discord.
“È il momento di decidere.” Era la frase
che attendeva di pronunciare. L’ardua sentenza nei confronti
del ciclope.
Forse
non era tardi per prendere in esame la proposta del draconequus. Col
senno di poi, il loro karma ne avrebbe giovato.
E
fu propria in quel momento che la vide, grande e ignota, più
lenta delle sue compagne precedenti, ma in egual misura inesorabile: la
sfera del Kaiju.
«Dietro
di te, attento!» Urlò allo spirito del caos, che
subito si girò verso la ragione di quel chiassone improvviso.
“Pft,
sarà un gioco da puledri” concluse
tra sé e sé, convinto di poter prendere in mano
la situazione. «Stammi dietro, Cel. E ammira il Maestro
all’opera!»
Davanti
ai due si generò un ampio bersaglio circolare formato da
anelli concentrici di fasce gialle e nere, simile a quelli abitualmente
utilizzati per il gioco delle freccette, con un piccolo centro sopra il
quale una dicitura testuale recitava a chiare lettere “Hit
here”.
Rimasero
quindi ad attendere che il globo si schiantasse contro di esso, senza
sospettare minimamente che qualcosa potesse andare storto.
«Facile
come ingannare un cane stana-diamanti!» Commentò
Discord sogghignando.
Non
poteva certo immaginare che la sfera assorbi-magia sarebbe penetrata
attraverso il bersaglio da parte a parte, scomponendone la struttura
caotica di cui era composto, e vanificando così lo sforzo di
deviarla.
Il
globo del Kaiju, che in principio era destinato a Celestia,
colpì Discord sul petto, in un twist che mai nessuno avrebbe
reputato possibile.
Lo
spirito del caos finì a terra in preda a convulsioni
terribili, sotto gli occhi esterrefatti della Principessa.
«Oh
no… DISCORD!» Sì chinò per
sostenerlo, mentre i tremori cessavano.
Il
draconequus si massaggiò prima la fronte e poi le corna,
lamentando malessere. «Questa non me
l’aspettavo…»
«Dobbiamo
ricondurti a palazzo! Forse abbiamo di ancora un po’ di tempo
prima che la tua magia svanisca del tutto!»
Poi
arrivò il ruggito, quello che tutti speravano di non udire
mai più, e il Kaiju che si rimetteva in piedi pronto per il
round finale.
«Non
ti agitare bella, la mia magia sta benone!» Disse
rialzandosi. «Ci vuole ben altro che un bestione con la
congiuntivite per sbattermi al tappeto!»
La
spinse via, andando poi molto vicino ai piedi del Kaiju, squadrandolo
dal basso verso l’alto, fissandolo dritto sul vasto bulbo
oculare scoperchiato.
«Scommetto
che ti senti forte con i tuoi quaranta metri di altezza, vero? Grande,
grosso e spaccone! Bene, vediamo allora se sarai altrettanto bravo con
un nemico della tua taglia… »
*Snap*
Le
dita schioccarono con un eco prolungato nell’ambiente, ma a
parte questo, nient’altro successe. Né il Kaiju si
vide ridimensionale la sua stazza, né Discord si
sentì ingigantire il corpo.
Le
sue orecchie calarono in giù per la paura, mentre gli
sembrava che il ciclope stesse perfino mettendosi a ridendo di lui.
Poi
venne il mal di testa, forte e lancinante, che lo costrinse a gemere e
a stringere con forza i denti: il sintomo comune agli altri unicorni,
che presagiva l’annullamento della magia.
«Ook…
rimandami a palazzo… » Chiese, e Celestia non se
lo fece ripetere oltre.
Il
draconequus fu avvolto da un’aura di magia che lo
rispedì subito al castello, lasciando a quel punto i due
rimasti a reggere da soli il confronto.
Il
Kaiju era visibilmente distrutto da tutti gli scontri che aveva
combattuto durante la giornata, ferito e debole, ma con la rabbia
ancora abbastanza forte per sostenerlo in quell’ultima e
feroce battaglia.
Anche
l’alicorno era furente ed esausta; rabbiosa per tutto il male
che aveva fatto ai suoi amici, stanca di vederlo rialzarsi dopo ogni
tentativo di toglierlo di mezzo.
Contro
di lui avevano usato ogni genere di arma a loro disposizione, senza che
nessuna di queste bastasse a fermarlo. Cos’altro potevano
fare ora che anche Discord era fuori dai giochi?
“Che
stupida che sono stata!” Si
recriminò, pensando alle tante occasioni in cui avrebbe
potuto impedire l’avverarsi di tutto ciò.
La
sua rabbia divenne fuoco, e il fuoco si trasformò in un
incendio. La criniera dai limpidi colori del cielo assunse una
colorazione rossastra, come una tempesta di plasma solare che si
distende nel vuoto cosmico.
I
calzazoccoli si arroventarono, cominciando a fumare dai bordi.
La
Principessa spiegò le ali, liberando un getto di calore che
deformò l’aria tutt’intorno. Dagli occhi
s’irradio una luce candida e intensa.
Allora
urlò, scaricando addosso al Kaiju una vampata di vento
solare, che lo fece arretrare.
«VIA!»
L’arena
divenne accecante, il ciclope si protesse il volto con gli avambracci.
«VIA!!»
Gli scaricò addosso un altro potente getto di plasma magico
arroventato, che lo ferì cauterizzando i suoi muscoli
pettorali.
«VATTENE…
VIA… DA… QUI!!!» Distese le zampe e le
ali, pronta ad investirlo con tutto il potere da alicorno che
possedeva. Era disposta a morire tra quelle rovine, pur di sconfiggerlo
e liberare per sempre la città dalla sua piaga.
Il
Kaiju invece riuscì a precederla come al solito, spalancando
la bocca e ricoprendola col miasma del suo fiato e il furore del suo
ruggito sonico.
Erano
così vicini che Celestia non poté fare altro che
lasciarsi travolgere dall’ondata, lasciandosi sottomettere
dal suo furore.
Sbatté
le ali più forte che poté, facendo il possibile
per non essere spazzata via, ma la sua mente era in fermento, sconvolta
da milioni di vibrazioni deboli e forti che le trapassavano la pelle,
come le lame di un attrezzo agricolo.
Tutta
la grinta del momento le morì dentro, lasciando di essa solo
un cerino bruciacchiato, troppo fragile per resistere alle aggressioni
del mostro.
Due
globi di massiccia materia oscura piovvero sul Kaiju, distratto dal suo
urlo per avere il tempo di scansarli.
Lo
colpirono esplodendo in nubi oscure, che avevano i colori del cosmo e
anche la stessa temperatura. Il Kaiju non poté fare altro
che arretrare, allontanandosi da quell’ennesima intromissione.
Celestia
fu liberata dalla trappola sonica che la aveva quasi annientata, ma
troppo stordita per mantenersi in equilibrio in quota. Si
lasciò cadere a terra senza neanche tentare di compiere un
atterraggio delicato.
Qualcuno
la prese per la spalla e aiutò ad adagiarla, chiamandola per
nome, ma per lungo tempo lei non riuscì a sentir niente, a
parte un acuto fischio dentro le orecchie, e per fortuna
l’organismo degli alicorni era molto più
resistente di quello di un pony comune, altrimenti a quel punto si
sarebbe ritrovata cronicamente sorda.
Le
ci volle più di un minuto per accorgersi che a salvarla era
stato proprio sua sorella.
Luna
le parlava, incitandola a tenere duro. Frasi del tipo «Ti
prego, resisti!» Che lei coglieva solo a sprazzi.
La
sostenne fino a quando non fu sicura di poterla lasciare a reggersi da
sé. «Come stai?? C’è qualcosa
che non va?? Cel?!» La schiaffò un paio di volte.
Alla
terza, la zampa dell’alicorno del sole la fermò.
«S-sì… sto bene ora… sto
bene… »
Ma
non era certa di poterlo ripetere tra cinque minuti: le due sorelle
alicorno si voltarono, attratte dai passi del ciclope che –
per l’ennesima volta – stava tornando da loro.
Il
Kaiju stava già gonfiando il ventre e il petto contusi.
Questa
volta il suo ruggito le avrebbe schiacciate a terra, distruggendole. E
anche se si fossero sollevate in volo per allontanarsi dalla zona, non
avrebbero mai volato abbastanza in fretta da riuscire ad evitarlo. In
aggiunta, era anche fuori questione pensare di fare ritorno al castello
con il teletrasporto, o il rischio che il gigante decidesse di
risalisse il fianco della montagna per tornare a minacciare i
superstiti barricati era troppo elevato perché tentassero
l’azzardo.
Erano
insomma, condannate a restare sul posto, dove dovevano tenerlo a bada,
nella fioca speranza che in questo modo potessero guadagnare del tempo
prezioso.
Celestia,
in uno sforzo di concentrazione, riuscì a sollevare uno
scudo difensivo personale, che si aggiunse in forza a quello eretto da
Luna. Le sorelle, poi, si strinsero l’una accanto
all’altra e si guardarono negli occhi tenendosi per zoccolo,
pregandosi a vicenda che le loro difese avrebbero retto
all’ondata.
In
lontananza si udì lo strillo di un’aquila.
«Forza
pivelli, sbattete quelle ali! Non siamo venuti fin qui per una gita di
piacere, coraggio!»
Gilda
superò la coppia di cadetti che la stavano precedendo in
volo, avvicinandosi alla giovane grifona dal piumaggio vinaccia che
guidava la testa dello stormo.
La
toccò con una gomitata, richiamando la sua attenzione.
«Sei pronta per farlo?» Le chiese, pronunciando la
domanda con intento retorico.
La
ragazza deglutì, annuendo poi con titubanza.
«C-credo di sì… »
Come
ricompensa, ricevette una frecciata dal volto corrugato e appuntito di
Gilda. «È in ballo la vita delle Principesse. Non
ti permetto di avere delle esitazioni durante l’operazione!
Allora, sei PRONTA
o NO?!»
«S-sì…
sono pronta… SÌ!»
«Molto
bene, allora preparati, e appena ti do il segnale spara a quel
bastardo!»
Si
allontanò, facendo dei cenni agli altri grifoni per
coordinare la formazione.
Davanti
a loro, alcuni isolati di distanza, erano ben visibili sia il Kaiju che
le due Principesse alicorno, bloccate a terra con solo una bolla
protettiva di magia a separarle dalla creatura.
“Ora
gli mostrerò io che cazzo succede a mettersi contro di
me!”
«Prendi
la mira sull’occhio e fai fuoco esattamente al mio
tre!» Comunicò alla grifona vinaccia, che le
rispose con un gesto affermativo.
Gilda
allora prese le misure del tempo, preparandosi alla conta.
«Tre… due… uno… OOORAAA!!!»
Il
dardo affondò su un lato del bulbo, mancando purtroppo di
parecchio la piccola pupilla sulla parte centrare
dell’organo. L’azione comunque conseguì
l’effetto voluto, e il Kaiju dovette abbandonare i suoi
propositi offensivi.
Gridò,
sì, ma questa volta fu un grido di disperazione, unito ai
rauchi gemiti dei litri di aria che gli erano andati di traverso in
fondo alla gola.
«Non
male, bel lavoro ragazza!» Si complimentò la
Sergente con la giovane cadetta.
La
parte più oscura di lei avrebbe desiderato rimproverarla per
non aver centrato in pieno il bersaglio, ma la voce del suggeritore era
tornata per intimarle il contegno: “Ha
agito bene, diamole atto.”
Il
Kaiju estrasse il piccolo dardo, lasciando sprizzare fuori
dall’occhio dei getti di sangue nero, che subito si
arrestarono.
I
quattro grifoni della formazione gli volarono contro, con
l’esplicito ordine di distrarlo mentre Gilda scendeva in
picchiata verso le Principesse.
«Maestà,
venite con me, presto!» Ordinò in modo conciso, e
le alicorno la seguirono senza fiatare.
Volarono
al suo seguito, con Luna che aiutava la sorella durante la prima tratta
del percorso, per poi lasciarla fare da sé su sua diretta
richiesta.
Atterrarono
sulla cima di un edificio, abbastanza distante dal pericolo.
Gilda
diede un’ultima controllata alla propria lancia-dardi, mentre
attendeva che le due sovrane si riprendessero dal momento di panico.
«La
situazione non era delle migliori. Scusateci se ci abbiamo messo
tanto!» Disse, sentitamente affranta «spero che
nessuna si sia fatta male?»
Si
rivolse ad entrambe, ma era chiaro che il soggetto della domanda era
Celestia: fisicamente a posto, a parte i calzazoccoli e il resto dei
gioielli fusi e deformati per la forte esposizione al calore, non
c’erano segni evidenti che lasciassero presagire che avesse
subito dei danni, tuttavia, anche ad un occhio disattento appariva fin
da subito stanca e debilitata, ed era questo, in particolare, a destare
preoccupazioni alla grifona.
«Mi
riprenderò.» Rassicurò invece
l’alicorno «Vi siamo enormemente grati per
l’aiuto che ci avete dato. Io e Luna vi dobbiamo la
vita.»
«Ci
avevano detto che eravate… dispersi.»
Disse l’altra Principessa, preferendolo al vocabolo
“morti”.
«Già,
è il motto del giorno. Ha fatto fuori tutta la mia squadra e
gran parte del secondo squadrone, quelli che vedete laggiù
sono quello che rimane delle unità del Sergente Maggiore
Scratch… è morto anche lui…
» ripensarci
le riempì il cuore di malinconia, ma la ingurgitò
come un grumo di catarro addensato.
«Comunque
non è questo il punto: il fatto è che stiamo
sbagliando tutto! L’attacco è arrivato talmente in
sordina che ci ha mandato ai quattro venti mesi e mesi di preparazione
come se niente fosse! Non vinceremo mai se continuiamo ad attaccarlo
con strategie isolate! Dobbiamo riorganizzarci e partire tutti insieme,
così come prevedeva il protocollo originale!»
«Abbiamo
un problema, non so se ti hanno informata, ma non possiamo
più contare sugli Elementi
dell’Armonia.» La avvisò Luna,
rammaricata.
Gilda
si accigliò. Stava per esplodere, e riuscì a
contenersi solo grazie alla disciplina militare. «Le Custodi
sono… ?»
Celestia
la rassicurò con un gesto del capo. «Sono salve.
Ma non possono più accedere alla magia che attiva
l’emissione degli Elementi.»
La
grifona sospirò, sollevata dallo scoprire che almeno Rainbow
Dash era sfuggita all’ecatombe.
«Voi
avete notato niente dalla vostra azione? Qualcosa che possiamo usare
contro di lui? Un punto debole magari?» Chiese Luna.
A
Gilda le ci volle poco per pensarci e rispondere. «Beh, il
suo occhio sembra la nostra migliore opzione.» Guardarono per
qualche secondo lo squadrone di grifoni che gli svolazzavano intorno
mentre il trio parlava. «È l’unico punto
che sembra fargli del male se viene colpito. Credo che sia
più di un specie di organo visivo. Non mi stupirei di
scoprire che dentro ci tenga anche il cervello e chissà
cos’altro. E meno male che il vostro mastino del caos gli ha
aperto un bel buco nel mezzo, altrimenti sarebbe stato un vero casino
arrivarci.»
«Io
e Luna potremo attaccarlo con i nostri corni se riuscissimo ad evitare
che si protegga… »
«Siamo
qui per questo, no? Ah, in più vi suggerisco di prendere di
mira anche il collo: non ha alcuna corazza in quel punto.
Chissà, magari riuscite a inventarvi qualcosa.»
Princess
Luna ebbe un sussulto. «Possiamo provare con la “Lama
di Luce”!»
suggerì alla sorella.
Celestia
ci pensò attentamente e scosse la testa. «Dovremmo
approssimarci a lui per compierla, e inoltre… è
troppo violenta. Doverlo uccidere è già di per
sé un atto estremo. Non voglio spingermi oltre.»
Dopo
di questo le tre rimasero ferme a fissarsi in silenzio. Un silenzio
illusorio, rotto dai rumori che si avvertivano in giro,
tutt’altro che quieti.
Gilda
alzò un pugno. «Si direbbe che abbiamo un piano,
no? Portiamo a termine allora! Questa sera, se mi permettete, vorrei
mangiare la mia razione comodamente seduta su uno sgabello!»
«Sei
sicura che il Kaiju si concentrerà su di voi? Chi ci dice
che non ci prenderà di mira una volta che saremo
scese?» Chiese ancora Luna, bloccata dal dubbio.
«Ho
lottato con lui abbastanza da capire che è un tipetto che
serba i rancori, e io ho un conto in sospeso con lui. Non vi
attaccherà a patto che ve la giochiate bene: abbiamo
preparato una manovra, i miei ragazzi ve la spiegheranno. Tenetevi a
distanza fino ad allora, e appena abbasserà la guardia
fatene uovo alla coque di quello stramaledetto occhio!»
Le
due sovrane si consultarono a vicenda.
«Te
la senti di provare?» Domandò premurosamente la
Principessa della Notte.
«Mi
sento molto meglio adesso. Sono pronta a sostenere lo sforzo.»
«Andiamo
allora, quel figlio di cavalla ha vissuto anche troppo per i miei
gusti… » fece per tuffarsi la grifona, ma prima di
balzare, si fermò rivolgendosi alle due regnati:
«… chiedo scusa per il linguaggio.»
Disse loro, volando poi via.
Poteva
funzionare, sì.
Era
un piano improvvisato sul momento, in un gruzzolo di minuti, ma aveva
del potenziale. Se sarebbero riuscite a imbrogliarlo allo stesso modo
in cui lui aveva imbrogliato loro, quell’ultima azione
avrebbe segnato il punto della vittoria.
Le
Principesse si tenevano a distanza, in linea con quanto concordato,
mentre la Sergente si riuniva ai suoi aviatori.
Lasciò
partire un colpo contro la bestia; non aveva importanza dove si sarebbe
conficcato, l’importante era richiamare la sua attenzione.
Il
dardo si fermò sopra la clavicola destra del mostro,
penetrando a malapena attraverso lo strato cutaneo superficiale.
Sarebbe stato un miracolo se avesse avvertito un leggero pizzicore, ma
chissà perché, bastò alla grifona per
farsi notare.
«Ehi,
culo rotto, ti ricordi di me?!» Lo prese in giro, volandogli
intorno alla faccia.
Il
Kaiju si accorse che tra i piccoli moscerini che erano tornati a
infastidirlo vi era la stessa creatura alata che qualche ora prima
aveva creduto di aver sconfitto.
Immediatamente
si dimenticò di tutti gli altri assalitori, concentrandosi
solo su di lei, come se fosse appena diventata il suo nuovo obbiettivo.
Sprigionò
dei pugni rapidi e incontrollati, che buttarono giù ogni
cosa, ma anche troppo imprecisi per incutere timore a Gilda.
La
Sergente gridò un segnale, così com’era
stato concordato in precedenza, e i cadetti si allontanarono, lasciando
solo lei in prima linea.
Uno
dei cadetti – Grizelda non capì chi –
pagò il prezzo di una distrazione di troppo, cadendo vittima
di una percossa del mostro. I suoi compagni lo lasciarono cadere,
consapevoli che per lui la giornata finiva lì.
Gilda,
con i riflessi in pieno fermento, fece in modo che il Kaiju
focalizzasse tutta la sua attenzione su di lei. Virava in risposta ad
ogni suo tentativo di colpirla, destreggiandosi con fulminei riflessi
tra le voluminose dita che tentavano di afferrarla nella morsa; avrebbe
anche voluto provare a scoccare un dardo alla maledetta pupilla nera
del mostro, non fosse che questo lo avrebbe messo sulle difensive,
minando così le loro speranze di fermarlo una volta per
tutte.
Lontano
da lì, le Principesse e il trio di grifoni superstiti
pianificarono la prossima mossa, sapendo esattamente come comportarsi.
I
grifoni formarono una piccola SkyArrow di soli tre elementi e
iniziarono a volare verso i due sfidanti.
Gilda
continuava a muoversi, tenendo d’occhio sia il mostro che al
contempo la squadra, in attesa del momento giusto per battere in
ritirata, ma fino ad allora doveva accertarsi che il nemico non
prevedesse la loro strategia.
Schivò
i colpi, cangiò nell’aria e si lanciò
persino in un paio di colpi volutamente a vuoto, attingendo dai cinque
dardi che le rimanevano in fondina, al solo fine di mantenere la sua
guardia abbassata.
La
SkyArrow arrivò sufficientemente vicino, e a quel punto la
leader si levò di torno.
Tre
frecce furono scoccate quasi in simultanea, ma non presero di mira
l’occhio: sapevano benissimo che il ciclope si sarebbe
protetto il viso con una mano, e difatti così accadde.
I
colpi invece sprofondarono sul collo, il secondo punto debole in ordine
d’importanza.
La
manovra non fu letale per la creatura, ma sicuramente inaspettata in
quel momento. Grugnì con un verso strozzato, come se
qualcuno lo avesse accoltellato alla trachea, ledendo così
le sovrasollecitate corde vocali.
Portò
la mano libera all’altezza della laringe per sfilarseli, ma
evidentemente non ebbe il coraggio di scoprirsi il bulbo oculare,
preoccupandosi di che cos’altro poteva succedere se vi si
fosse arrischiato per guardare.
Per
Celestia e Luna era la miglior occasione per tornare in scena. A
conferma di ciò anche l’ordine di Gilda, che in
barba ai gradini sociali, sbraitò: «ora o mai
più, muovetevi!!»
Le
due sovrane annuirono l’una sull’altra e iniziarono
a volare verso il Kaiju in perfetta sinergia, affiatate in una danza di
movimenti perfetta come non si vedeva da secoli, da quando avevano
affrontato e sconfitto insieme minacce come il Re Sombra e il
“fu-malvagio” Discord.
I
loro corni frizzarono ciascuno della propria magia. Dalla punta di
Celestia schizzarono scintille stellari, che incontrarono le nubi di
materia oscura della sorella. Insieme si amalgamarono, divenendo una
nebulosa cosmica di polvere di stelle e Vuoto assoluto. Una spirare che
si trasformò in qualcosa di simile a un piccolo buco nero
che ruotava sul suo asse e che levitava su un campo gravitazionale
prodotto dalle stesse alicorno mentre volavano.
Celestia
lo alimentava con la sua magia di luce, ed esso la assorbiva unendolo
ai poteri di Luna, crescendo, raccogliendola nel suo centro. Quando fu
abbastanza grande da eguagliare l’altezza delle sovrane, esso
liberò la sua energia: un raggio sia di luce che di buio,
che oscurava lo spazio mentre al contempo lo irradiava di scintille
zampillanti. La massima espressione del potere delle Principesse.
Sarebbe
potuta essere la fine del Kaiju, il momento tanto atteso, e
l’istante in cui la sua piaga avrebbe cessato di lordare la
montagna.
Il
ciclope avvertì l’ondata di energia che stava per
investirlo, la sentiva bruciare ancor prima di arrivargli contro,
attraverso le sue ferite, nel mezzo della spaccatura
dell’occhio, ovunque, e sapeva che questa volta per lui non
c’era alcuno scampo.
Poté
solamente stendere un braccio di fronte al raggio, mentre
l’altro insisteva a difendere l’occhio.
L’onda
di magia incontrò l’ostacolo del suo palmo,
rallentando di botto. Le dita si strinsero sul fascio di materia oscura
e luce, affondandovi dentro, prima di finire sbriciolate
dall’enorme potere dell’Armonia.
Le
falangi si consumarono poco per volta, poi toccò alla mano,
e quando anche la mano finì liquefatta, avanzò su
tutto il resto del braccio, consumandolo lentamente, metro per metro.
Urlò,
il Kaiju, piantando i piedi sul terreno. Grugnì e si
lamentò, sbavando.
Il
raggio s’indeboliva via via, ma l’arto continuava a
evaporare un pezzo alla volta.
Le
Principesse strinsero i denti, attingendo alle loro ultime riserve di
energie per donare all’incantesimo la forza necessaria a
distruggerlo. Il raggio si potenziò, disancorando il Kaiju e
spingendolo a urtare contro l’ennesimo palazzo.
Ancora
poco e ce l’avrebbero fatta, ancora poco e…
Il
palazzo crollò, e su di esso il Kaiju, uscendo dalla linea
del raggio, che poco dopo si esaurì.
Troppa
potenza, troppa fretta di eliminarlo, e nessun controllo da parte di
quei corni divenuti sempre più cocenti per
l’emissione della magia.
Del
braccio del ciclope non rimaneva che un piccolo moncherino annerito,
con un rimasuglio di osso carbonizzato al centro e dei coaguli di
materia nera a coronarlo.
«Non
è possibile che si sia salvato ancora!! Non di
nuovo!!» Gridò Princess Luna, che non era certo
l’unica a condividere quel pensiero, ma l’unica ad
avere la forza di esprimerlo a gran voce.
Il
ciclope si resse per un momento ai resti della costruzione che lo aveva
salvato, e la sua espressione mutò in qualcosa di diverso.
Era follia? Panico? Dolore?
Disperazione
forse, esaurimento.
Lui
e le sue prede erano in stallo. Aveva vinto molte battaglie, ma anche
subito ferite gravissime, dalle quali non si sarebbe mai più
ripreso. Era morto, sebbene camminasse ancora, ma non avrebbe concesso
loro l’ultima mossa.
C’era
ancora qualcosa che poteva fare. Non aveva conseguito
l’obbiettivo della sua missione, ma avrebbe ugualmente
spianato la strada ai fratelli che presto lo avrebbero rimpiazzato.
Avrebbe reso loro le cose più facili in futuro.
Si
rimise in piedi respirando faticosamente e corse via dal campo di
battaglia, spiazzando tutti.
“Il
castello…” «Sta
cercando di tornare al castello! Dobbiamo fermarlo!!» Gilda e
con essa i suoi grifoni agirono d’istinto, parandosi di
fronte per cercare di sbarrargli la strada, ma dopo aver scoccato
qualche freccia invano, colpendolo anche in punti in apparenza
sensibili, finirono invece travolti uno per uno dalla carica del folle
mostro, disperdendosi ovunque, inghiottiti dalle strade di Canterlot.
In
poco tempo il gigante raggiunse le pendici del picco.
Armato
di un solo braccio, non poté arrampicarsi come poche ore
prima, ma questo non ostacolò minimamente i suoi intenti:
c’era un sentiero che poteva percorrere, era relativamente
stretto rispetto alla sua taglia, soprattutto nella prima parte della
tratta, e fatto di corsa era reso ancora più impervio e
pericolante dal terreno accidentato ai bordi del precipizio, ma neanche
questo bastava a fermarlo.
Celestia
planò su di lui, cercando di dissuaderlo dal continuare.
Gli
lanciò conto diversi attacchi magici, dolorosi, certo, ma
nulla in confronto a quello contro cui era appena sfuggito.
L’alicorno
dal manto bianco si comportava come se ogni legamento dei suoi muscoli
si sforzasse di obbedire alla sua volontà, ma
sfortunatamente, era sfibrata dall’incantesimo precedente.
Senza considerare la paura che avvertiva al pensiero che presto il
Kaiju avrebbe nuovamente raggiunto la cima, e stavolta, senza
più Discord pronto a proteggere i superstiti.
Un
errore di troppo, unito alla stanchezza, e la Principessa non si
accorse della frustata che le vibrò contro la mano gigante,
scaraventandola via.
Princess
Luna volò in soccorso della sorella, lasciando al Kaiju
strada spianata.
Ci
risiamo. Stava per succedere di nuovo.
Il
primo pensiero di Twilight Sparkle, che osservava la situazione dal
balcone degli alloggi privati delle regnanti, fu di unirsi alla
Principessa della Notte per accertarsi delle condizioni della sua
Mentore colpita a bruciapelo.
Ma
non poteva farlo.
Lo
voleva, certo. Non desiderava altro, e le avrebbe fatto se soltanto la
sua ragione non avesse preso il sopravvento sui sentimenti personali.
Discord
era ai piani inferiori, privato dei suoi poteri, come anche le sue
amiche.
Gli
abitanti erano devastati, emotivamente e fisicamente.
E
il Kaiju stava per tornare, senza che nessuno fosse pronto a prendere
il controllo della situazione, senza Spitfire che coordinasse le
squadre di terra e aria per dire loro come comportarsi; era sparita da
quando il Kaiju aveva urtato la Muraglia dell’Armonia, e
nessuno da allora aveva più saputo fornire notizie sul suo
fato.
Allora
Twilight capì che doveva essere lei quella che avrebbe preso
in zoccolo le redini del comando.
Era
una Principessa, una giumenta che godeva di un certo prestigio tra i
suoi simili, e che sapeva ispirare autorità nel momento del
bisogno. Lo aveva già dimostrato in passato, in situazioni
più tranquille a Ponyville, e ora che Cantelot le stava
chiedendo aiuto, non potuto negarglielo.
Volò
in cerca degli ufficiali che avevano al comando le unità
della Muraglia, che si erano disorganizzati dopo la sospensione, dando
ad ognuno l’ordine di ripetere l’incantesimo.
Si
teletrasportò da una parte all’altra del
perimetro, ripetendolo le stesse parole a tutti, e intimando loro di
sbrigarsi.
Il
Kaiju raggiunse infine la cima. Nuovamente.
Sebbene
la sua vista non fosse più efficiente come lo era
all’inizio, riconobbe il significato di quei raggi di magia
che s’innalzavano nel rossore del tramonto pomeridiano: le
sue prede si stavano nuovamente fortificando, pronte a resistergli.
No!
Non era giusto! Non doveva permettergli di riuscirci di nuovo!
Si
lanciò contro la Muraglia, che si era appena richiusa,
affondando le gambe tra i flutti del lago artificiale.
Iniziò
a battere sulla parete incantata con l’unico pugno che gli
rimaneva, propagando sulla cupola increspature ad anello.
«Tenete
duro! Non lasciatelo passare per nessuna ragione al mondo!!»
Urlò la Principessa dell’Armonia, pur rendendosi
conto che le sue parole erano vacue e prive di significato. Se anche
gli avessero resistito, cos’altro potevano fare a questo
punto?
I
colpi del Kaiju piovevano a ripetizione, e più insistevano,
più gli unicorni si affaticavano a tenere in funzione
l’incanto.
Qualcuno
cadde a terra sfinito, anticipando solo di poco i colleghi che ben
presto li avrebbero seguiti.
Il
Kaiju batteva, e batteva ancora, in un duello di sfinimenti che si
sarebbe concluso solo con la sconfitta plateale di una delle due
fazioni.
Ma
a un certo punto si fermò, in apparenza senza una
ragione…
Una
goccia di fluido oculare era caduta sull’avambraccio,
provocandogli fastidio nelle profondità delle ferite.
Lui
la fissò, intensamente, perdendosi nell’abisso,
come se stesse ragionando su qualcosa, architettando un nuovo e
machiavellico piano.
Fu
colto da un’intuizione, un’idea bizzarra che non
faceva parte dei suoi schemi comportamentali, ma che forse poteva
consentirgli di ribaltare la situazione a suo vantaggio.
Per
farlo dovette aprirsi per l’ultima volta quel che rimaneva
del guscio protettivo del suo occhio.
I
pony lo guardarono, inquietati da quello strano comportamento.
Il
ciclope premette il palmo della mano aperta sul grosso bulbo oculare,
che era di un arancione rossastro per le varie infiammazioni che si
erano estese sul suo contorno, e lo strizzò tra gemiti di
fastidio e latrati, permeandolo del liquido denso e scuro di cui si
serviva per produrre le sfere assorbi-magia.
Allontanò
a quel punto la mano, osservando il fluido che ora imbeveva le sue dita
segmentate, e quindi la allungò con grande incertezza verso
la Muraglia, curioso di scoprire se l’intuito non lo avesse
ingannato.
Non
tutti i pony compresero in anticipo quali fossero le sue reali
intenzioni, ma chiunque fosse stato abbastanza perspicace da collegare
le due cose, iniziò a correre in giro, invocando aiuto alla
Provvidenza.
Il
palmo del gigante si adagiò alla parete convessa, scatenando
una reazione chimica che grazie al fluido oculare prese a consumare la
magia della cupola.
Twilight
incitò gli unicorni a potenziare le difese, ma la Muraglia
si assottigliava sempre di più cedendo il passo alla
pressione del mostro.
La
Principessa decise quindi di contribuire di persona; conosceva la
formula utilizzata dalle unità, ed era anche sicura che con
i suoi poteri li avrebbe aiutati a riconquistare terreno.
Lanciò
verso il tetto una scia di luce violetta, che fortificò la
cupola respingendo la mano del mostro.
«Brava,
Twilight, bravissima!!» Le sembrò di udir
pronunciare dalla voce di una delle sue amiche, ma quale che fosse, non
riuscì a riconoscerla da quella distanza.
Il
Kaiju batté un paio di volte il pugno nel lago, sollevando
schizzi d’acqua alti alcuni metri. Era accecato dalla rabbia
e stanco di essere respinto.
A
quel punto, sarebbe
ricorso a qualunque espediente pur di annientarli… QUALUNQUE
espediente!
Aveva
capito che poteva servirsi del suo fluido per fare breccia nella cupola
nemica, perciò compì il gesto più
drastico che mai si sarebbe arrischiato: spinse in avanti la testa,
affondando lo stesso occhio contro la barriera magica.
La
sofferenza fu immane, pari se non superiore agli attacchi
più micidiali inferti dai suoi nemici. Era come guardare
attraverso l’acido, mentre si nuotava per cercare di uscirne.
Sanguinò
dai contorni del bulbo, ma proseguì incrollabile, spingendo
e gridando fino a superare l’ultimo strato della Muraglia,
aprendo finalmente una via tra lui e lo spazio interno.
Subito
ci infilò il braccio, cercando di strappare i legami che
tenevano salda la cupola, mentre gli unicorni affogavano nel
loro stesso sudore nello sforzo epico d’impedirgli di entrare.
Ma
non sarebbero durati a lungo. Pochi secondi ancora, un minuto al
massimo – a seconda della loro volontà di vivere
– e tutta la struttura sarebbe crollata su se stessa.
“Sei
proprio sicura di volerlo fare?” domandò
la voce del suggeritore di Gilda, con un tono che voleva essere apatico
e distaccato.
«Hai
altre idee? A questo punto non mi rimane
nient’altro.» Rispose lei, come se si trovasse di
fronte a una persona in penne e ossa.
“Non
finirà bene.” Aggiunse
lui.
«Lo
so.»
“Va
contro tutto quello che Scratch ti ha sempre insegnato.”
«LO.SO!»
“Ma
questo non ti dissuade?”
«No
di certo! E anche se dovessi fallire, fanculo! Non voglio vivere col
rimorso di essermi arresa, quando invece c’era ancora
qualcosa che potevo tentare!»
Il
suggeritore si ammutolì, pensando a come ribattere.
Ma
la verità è che era la stessa Gilda a voler
cercare altre strade alla soluzione che stava maturando.
Si
reggeva a fatica su tre delle quattro zampe. L’ultima, la
posteriore sinistra, si era fratturata durante la caduta, e ora
strisciava a terra da sotto la sua bardatura da combattimento,
ammaccata e ormai inservibile, se non allo scopo di ricordarle
l’ennesimo fallimento.
La
balestra si era staccata, e se anche fosse riuscita ad aggiustarla,
facendo leva sulle poche conoscenze di meccanica che disponeva, il
meccanismo di rilascio dei dardi si era piegato su se stesso a tal
punto da renderle impossibile eseguire alcuno scocco.
E
non aveva idea di dove fosse finito il resto dello squadrone.
In
poche parole, era disarmata e inutile, a parte per i suoi artigli, che
invece erano ancora integri e frementi dalla voglia di affondarsi nelle
carni del Kaiju.
Allora
aveva pensato: “Se
deve finire così, allora sarà così che
finirà…”
Si
era sfilata con adagio l’attrezzatura lancia-dardi, provando
subito una sensazione di benessere nel non dover più portare
con sé quel carico extra, ma per garantirsi le massime
prestazioni in volo aveva capito che doveva liberarsi anche da
qualunque altra zavorra avesse indosso. Si era perciò tolta
anche la corazza, serrando il becco per non dover urlare alle
ribellioni della zampa rotta, che le pulsava da sotto la pelliccia
nocciola.
Il
Kaiju aveva ancora la forza di lottare dopo tutto quel tempo, e lei non
voleva essere da meno.
Comunque,
per ciò che aveva in mente, non le servivano altro che un
paio di ali, e quelle, sebbene ammaccate e prive di qualche piuma,
erano ancora robuste e capaci di sostenerla.
Ora
che anche l’ultimo pezzo dell’armatura venne via
picchiando il suolo, si sentì libera e leggera, come una
foglia che nel fresco dell’autunno abbandona la sicurezza del
suo albero per viaggiare verso mete lontane.
Princess
Luna ritrovò sua sorella distesa all’interno di un
piccolo cratere perfettamente rotondo.
Celestia,
richiamando a sé i residui della sua forza, era riuscita a
proteggersi generando uno scudo protettivo che l’aveva
salvata dalla caduta.
La
aiutò a rialzarsi da terra e insieme volsero la testa sul
picco della montagna, lassù, dove il Kaiju stava tentando di
penetrare nel perimetro del castello.
«La
Lama di Luce, Cel, dobbiamo farlo… » Insistette la
Principessa della Notte, pronta a discutere qualora l’altra
avesse tentato di protestare di nuovo. Ma Celestia rimase muta, il suo
volto faceva tradire ogni genere di pensiero oscuro. I suoi occhi erano
vuoti, ma le sopracciglia corrugate all’ingiù,
come se fosse furente. Le sue labbra invece tremavano, attendendo di
piangere, ma allo stesso tempo, apparivano calme e rassegnate.
La
Principessa del Sole spostò lo sguardo da un’altra
parte, credendo di aver scorto qualcosa con la coda
dell’occhio.
Incuriosita,
Luna la imitò, e insieme si misero a seguire in silenzio il
grifone che da sopra la città volava verso la roccaforte.
Mentre
s’issava nella penombra del tramonto, reso un poco
più luminosa dall’azione di Celestia, Gilda
avvertì di nuovo i rapaci della ragione che le ricordavano a
suon di stridii le lezioni di Feather Scratch: il lavoro di squadra,
tanto per cominciare, con il quale poteva essere superato ogni genere
di ostacolo, il rispetto delle regole impartite dai guerrieri anziani,
in secondo luogo, e per finire l’obbedienza agli ordini, come
quello che il Sergente Maggiore le avevo imposto prima di morire.
“Vai
con Rogue. Salvati. Obbedisci!”
Ma
Feather Scratch non era più con lei, e i suoi occhi
d’argento non c’erano più. Il protocollo
che doveva garantire la loro vittoria… era fallito.
Restava
solo l’antico istinto dei grifoni, e la sicurezza che questa
volta NON avrebbe fallito.
“Gli
eroi si elogiano sulle tombe dei loro sepolcri…”
L’occhio
era il suo obbiettivo, lo era stato dal principio. Lo scopo della sua
vita, che si sarebbe compiuto con il realizzarsi della sua ultima
azione.
Sarebbe
stata un’azione suicida, contraria agli insegnamenti che lei
stessa impartiva ai suoi cadetti, con un conto troppo alto da pagare in
un’unica rata, ma costi quel che costi… avrebbe
ricorso a qualunque espediente pur di annientarlo…
QUALUNQUE… ESPEDIENTE!
Salì
in volo il picco della montagna, volando cautamente mantenendo le
distanze dal Kaiju.
Il
braccio della creatura che affondava nella cupola dei pony per cercare
di sfondarla.
Per
completare la manovra – che sul momento pensò
scioccamente di battezzare col nome “Il
cerchio della vita”, ridendo
tra sé e sé per la sua stessa idiozia
– la
grifona iniziò a volare a ridosso dell’anello
descritto dalla Muraglia (quasi slittandovi sopra), servendosi delle
correnti d’aria che vi rimbalzavano contro per accumulare la
forza cinetica necessaria per terminare l’azione.
Inoltre,
sperava così che il Kaiju non si sarebbe accorto di lei fino
a un istante prima del punto di non ritorno.
Qualcuno,
da dentro la Muraglia, notò cosa stava facendo, e
cominciò a inseguirla con lo sguardo mentre percorreva
l’equatore della circonferenza. Tra questi vi era Rainbow
Dash, che riconobbe all’istante
l’identità dell’amica. Quello che di
certo non poteva immaginare era l’intenzione che la stava
animando, ma presto l’avrebbe scoperta.
A
centottanta gradi dal punto d’inizio della manovra, Gilda
distese in avanti le zampe anteriori, avendo cura di rivolgere gli
artigli aquilini verso l’esterno, come per prepararsi a
prendere al volo qualcosa, oppure… a compiere un placcaggio,
e sbatté le ali più forte che poté per
non lesinare neanche sul più piccolo residuo di
velocità che ancora poteva sommare.
“Questo
è per tutto il male che hai fatto, brutto
stronzo… per Scratch… per i nostri
ragazzi… per ” «…
TUTTIII!!!!!»
Avvenne
in un lampo. Di lei il ciclope riconobbe soltanto un’ombra
sfocata, che compiva la curva dal lato sinistro della cupola.
Agii
d’impulso, chiudendo le placche ossee che gli proteggevano
l’occhio, ma… forse sarà stata la
stanchezza, o le ferite che il contributo di tutti gli avevano causato,
il dolore pattuito dalle ustioni degli Elementi dell’Armonia,
e il prurito dei dardi che gli si erano conficcati addosso, oppure per
il sangue, perduto a ettolitri insieme al braccio troncato …
fatto sta che si dimenticò della spaccatura che Discord gli
aveva aperto sul davanti… e pagò nel modo
più grave le conseguenze di quella svista.
Chi
dal basso fissava con sgomento l’esito dell’azione
vide il Kaiju piegare all’indietro l’occhio,
colpito dalla grifona esattamente nelle pupilla.
Da
quel momento, nessuno si sarebbe più dimenticato
l’ululato di sofferenza che la creatura emise nel momento in
cui, alla fine, Gilda riuscì ad accecarlo.
La
grifona affondò nella fessura della pupilla, trovandosi
subito avvolta da una massa scura e inconsistente di gelatina e materia
organica.
Nemmeno
un filo di aria riusciva a passare attraverso quel miscuglio di liquidi
e odori soffocanti. Fin da subito si rese conto di non poter respirare,
e non udiva altro suono al di fuori degli schiocchi della massa
gelatinosa e le vibrazioni che provocavano le grida della creatura.
Provò
paura, ma non si lasciò travolgere dal panico.
A
quel punto non contava più a nulla se ne sarebbe uscita viva
oppure no.
Sguainò
gli artigli e cominciò ad affondarli alla rinfusa su tutto
ciò che la circondava, strappando tessuti e affogando sempre
di più nei liquidi e nell’oscurità.
Tempo
qualche fendente e le sembrò di non ricordare più
niente della sua vita precedente, pensava solo al momento, e al dover
continuare a infierire sullo spazio fintanto che avrebbe avuto le forze
per continuare.
Il
volto di un grifone anziano, che per qualche ragione lei sentiva che le
era stato vicino, le si manifestò di fronte agli occhi per
un breve lasso di tempo, per poi finire divorato dalla notte.
Qual
era il suo nome? Perché d’improvviso non se lo
ricordava?
Non
aveva importanza, doveva continuare.
Graffiò.
Strappò. Si fece spazio nella gelatina, solo per ritrovarsi
ancora più immersa negli umori.
Si
rese conto che non stava respirando, poi si ricordò che, in
effetti, non poteva farlo.
Allora
stava per morire? Era così che sarebbe andata? Asfissiata
dentro uno spazio buio nel quale non ricordava come c’era
finita?
Una
luce si accese alle sue spalle, illuminandola da dietro. Forse qualcuno
la stava aiutando? Le stavano dando una seconda possibilità?
Oppure no… ?
La
luce tornò a essere buio, e qualcosa di gigantesco e crudele
la raggiunse afferrandola con forza.
Rainbow
Dash fissò, ormai completamente pallida in volto, il Kaiju
che estraeva dal bulbo oculare il corpicino della sua vecchia amica.
La
teneva stretta tra le dita, come una mosca presa per le ali, e non era
facile capire da quella distanza se fosse cosciente o priva di sensi.
La
pegaso arcobaleno guardò la mano del gigante rovesciarsi
all’insù, ponendovi il corpicino sul palmo, che a
quel punto si chiuse a pugno, schiacciandola al suo interno.
La
reazione di Dash, a quel punto, fu talmente isterica che le sue amiche
dovettero afferrarla per gli zoccoli e costringerla a terra, per timore
che altrimenti si sarebbe lanciata in qualche azione sconsiderata.
Le
due regnanti erano troppo distanti dalla cima della montagna per
cogliere limpidamente i fatti che si erano appena svolti nei pressi
della Muraglia.
«Cos’è
successo?! Che ha fatto?!» Fu chiesto da Luna, che non vedeva
altro spettacolo al di fuori dei lamenti del gigante.
Solo
qualche ora dopo, ossia quando tutta quella storia sarebbe finita,
qualcuno le avrebbe informate di quale sacrificio si era addossata la
grifona che rispondeva al nome di Gilda.
«Credo
che lo abbia accecato! Non vedo altre spiegazioni!»
«Cosa?!?
Ma questo significa che… »
«Sì,
Luna… possiamo attaccarlo!»
Le
sorelle si osservarono per qualche secondo, in un arco di tempo in cui
il volto di Celestia si fece grave. «Facciamolo…
» Disse lapidaria la Principessa del Sole.
Risalirono
il picco di gran fretta, alimentate da nuove motivazioni.
Quando
videro il Kaiju farsi imponente dinanzi alla cupola, faticarono a
credere che quello che avevano di fronte era lo stesso nemico che fino
a poco prima aveva dato loro tanto filo da torcere.
Esso
si dimenava come un ossesso, provando maldestramente a orientarsi in
quello scenario che adesso non era più in grado di gestire.
La
sua mole, che una volta gli garantiva il vantaggio su tutto, ora
influiva su di lui come un handicap, rendendolo goffo e lento,
tremendamente maldestro.
Qualche
volta riusciva a urtare (con la sua mano o con altre parti del corpo)
la forma della Muraglia, ma quando questo succedeva era solo per merito
di una coincidenza fortuita, e non di certo, per la sua
volontà di ritornare all’attacco. Privato della
sua vista, oramai travolto dagli eventi, non era più in
grado di ragionare con la dovuta lucidità.
Celestia,
per prima cosa, era intenzionata ad allontanarlo dal castello, per dare
così agli unicorni la possibilità riposarsi.
Si
pose davanti al mostro, sprigionandogli contro un potentissimo colpo
dirompente, infierendo ancora di più sull’occhio,
che esplose cospargendo il territorio di poltiglia viscosa.
Intervenne
a quel punto Luna, che invece prese di mira la ferita cauterizzata sul
petto, facendogli ancora più male.
Il
Kaiju si ritrovò in ginocchio, e tentò di
colpirle a casaccio con una spallata fallace.
L’alicorno
blu scuro decise che era giunto il momento di attivare
l’incantesimo che chiamava Lama di Luce: sulla sua testa si
generò un cono di magia che si estendeva per più
di un metro oltre la punta del corno.
Volò
verso il braccio sollevato, ruotando in avanti con tutto il corpo e
sferzando il bicipite con un fendente che purtroppo non
conseguì l’effetto che avrebbe voluto.
Indietreggiò,
facendo ritorno dalla sorella. «Non va bene, la sua corazza
è ancora troppo spessa! Non riesco ad andare oltre allo
strato esterno del carapace!»
«Dovremmo
concentrarci sul collo, così come hanno suggerito i
grifoni!»
«Il
problema è che non sta fermo un attimo! Rischiamo di
finirgli dritti in bocca se non stiamo attente!»
L’urlo
sonico venne rapido e improvviso, così come la sorpresa
delle Principesse. Il Kaiju questa volta non pareva mirare a una
direzione precisa, accontentandosi di scatenarlo un po’ dove
capitava.
Parte
dell’onda d’urto si disperse nel vuoto e altra
andò a scontrarsi contro la cupola di magia, le regnanti
invece ne dovettero incassare solo una piccola parte, scombussolandosi
più per il frastuono che non per altro.
Incespicando
in movimenti privi di coordinazione, si cimentò in una fuga
disperata verso la prima rotta che scelse a caso, rischiando
più volte di ruzzolare su se stesso mentre si dibatteva.
«Te
lo puoi scordare questa volta!!» Urlò Celestia,
lanciandosi all’inseguimento. Attivò a sua volta
il suo incantesimo di Lama (più lungo di mezzo metro
rispetto a Luna), con il quale recise con un unico rovescio i tendini
tra tibia e perone che si legavano all’ossatura del piede
destro.
Il
Kaiju si ritrovò subito atterrano, incapace di muoversi.
Princess
Celestia infierì ancora con alcune potenti sfere di magia, e
il titano provò a respingerla mirando semplicemente a
casaccio in qualunque verso gli capitasse, ma per una serie di
circostanze sfavorevoli, l’alicorno rischiò di
essere travolta dall’arto in movimento.
Arrivò
Luna a prestarle assistenza, facendo qualcosa che ai suoi occhi parve
fin da subito piuttosto insolito. Volò sotto
l’ascella del mostro, conficcando il corno tra i segmenti del
braccio e il resto del corpo, stimolando alcune terminazioni nervose
del mostro, che paralizzarono l’arto dai suoi intenti
offensivi.
“Vediamo
se così funziona…” pensò
tra sé e sé, mentre concentrava sul corno una
carica esplosiva.
La
magia detonò, e la Principessa della Notte fu scaraventata
al suolo, da dove si rialzò frastornata e zoppicante.
D’impulso Celestia pensò di calare di quota per
raggiungerla e vedere come stava, ma venne arrestata dalla stessa, che
rapidamente sollevò le zampe facendole segno di
“NO”. «Non pensare a me, vai adesso,
FINISCILO!!»
Il
braccio del Kaiju, infatti, era stato reciso, seppur con metodi poco
ortodossi, dalla base del tronco, e adesso pendeva di lato come un ramo
d’arbusto spezzato.
“D’accordo…”
«Rimani
al sicuro, da qui in poi me ne occuperò io!» Disse
la Principessa del Sole, tornando spedita dal nemico.
Il
ciclope, completamente bloccato a terra, adesso non aveva
più modo per sfuggire alla sorte riservatagli dal destino,
eppure occorreva ancora qualcosa per permettere all’alicorno
di terminare lo scontro.
Colpì
ripetutamente quel che restava del guscio oculare, sperando in questo
modo di rovesciargli all’indietro la testa scoprendo
così la muscolatura del collo, ma la tenacia del Kaiju non
la deluse neppure stavolta.
Quello
che fece ebbe dell’incredibile, considerato che al suo posto
qualunque altra creatura non avrebbe avuto altra scelta se non di
arrendersi all’inevitabile, lui invece nascose la testa tra
le ginocchia, rannicchiandosi in posizione fetale.
Presa
dal panico, e col timore di vedersi fallire anche
quest’ennesima chance di vittoria, la Principessa del Sole lo
bombardò con ciò che restava della sua magia
residua. “Scopri
quella dannata testa, maledetto demonio! Tirala fuori!!” Non
si accorse che così stava assecondando il gioco del mostro,
vuotando un colpo alla volta le riserve del suo potere. E quando queste
si sarebbero esaurite, il Kaiju si sarebbe inventato qualcosa per
rovesciare le regole ancora una volta.
Lo
stallo sarebbe continuato, e lo scontro si sarebbe protratto, forse
all’infinito.
Princess
Luna incedette di qualche passo portando se stessa a una vicinanza che
si augurò potesse bastare.
Non
era solo sfinita per lo scontro, ma anche esausta dalla giornata e
gravata dal debito di diverse ore di sonno arretrato.
Diede
moto al suo ultimo incantesimo, sapendo che alla fine ne sarebbe
svenuta.
Mentre
il corno si avvolgeva nella sua aura, implorò la sorella
affinché al momento giusto trovasse la forza per imporre il
suo giudizio.
Celestia
riconobbe nelle sfumature blu notte del velo che calò sul
Kaiju, l’incantesimo cosmico che la sorella minore utilizzava
ogni sera per issare nel cielo il satellite lunare, e pensò
che fosse impazzita nel volersene servire – un incantesimo
così delicato – per lo scopo cui stava aspirando.
Se
solo il ciclope avesse tentato di ribellarsi in qualunque maniera
– scenario che oramai era diventata per loro la prassi
– la levitazione si sarebbe infranta svuotandola delle forze
e lasciandole entrambe con un pugno di mosche sullo zoccolo.
Ma
il gigante pareva ormai prosciugato dalla volontà di
lottare, e dopo averlo issato di una decina di metri da terra, il suo
capo venne portato allo scoperto rivelando così anche
l’inarrivabile collo.
Celestia,
dunque, si apprestò ad adempiere al suo dovere.
La
Lama di Luce si sguainò sul suo corno, e lei chiuse gli
occhi mettendosi a ruotare su se stessa come un’elica, sempre
più veloce via via che i giri aumentarono.
Divenne
così rapida, a un certo punto, che la sua sagoma non era
quasi più distinguibile all’interno del disco, ma
solo come sfumatura immateriale, delle tonalità lucenti.
“Fai
presto, Cel… non so per quanto riuscirò a
resistere…” strinse
i denti Luna, cercando di convincersi che lo sforzo sarebbe durato solo
per pochi secondi ancora.
La
grande Lama circolare iniziò a muoversi nel vuoto,
spostandosi sul collo del Kaiju. Da prima affondò sul
muscolo tiroideo, recidendogli i legamenti anteriori, e quindi
ruotò tutto intorno, scardinandogli la testa-occhio, e con
essa le palpebre ossee, dal resto del corpo.
Come
supposto dai grifoni, non vi era alcun rivestimento a proteggere quella
parte specifica dell’organismo, e Celestia riuscì
a completare il giro, atterrando di brusco sul prato della discesa non
lontano da lì.
Luna,
dunque, interruppe l’incantesimo accasciandosi a terra,
sperando di ritrovare al suo risveglio una città pronta a
risorgere.
Sul
volto senza vita del Kaiju si era disegnata una smorfia indefinibile,
che rimase tale anche quando la testa rotolò via, fuggendo
dal suo tronco.
Brevi
spasmi animarono ancora la carcassa mentre il picco si tingeva di nero.
Il suo sangue, scuro come la pece, non era simile a niente che fosse
mai esistito su suolo Equestre.
Solo
allora la Principessa Celestia ebbe la possibilità di
riprendere fiato.
Era
finita, il Kaiju era morto per davvero. Pensarci le riusciva difficile,
come temendo che risvegliandosi da un lieto sogno, scoprisse che il
mostro stava ancora incombendo sugli abitanti.
A
quel punto si ricordò del debito che aveva lasciato in
sospeso con la sua città.
Volò
adagio, fino ad approssimarsi sul ciglio dello strapiombo, con il corno
che grondava del nero del sangue, e mentre recuperava le forze,
annaspando in cerca della preziosa aria, si costrinse a prendere nota
di ogni singola colonnina di fumo, di ogni rogo e di ogni tetto
scoperchiato o palazzo demolito.
Un
pensiero le fece rivoltare lo stomaco, dandole la nausea: non era una
vittoria quella che il tramonto su Canterlot stava cercando di
suggellare ai superstiti della montagna. Certo, avevano sconfitto il
loro nemico, e probabilmente adesso stavano sospirando abbracciandosi
tra loro e piangendo lacrime di commozione, ma a quale prezzo?
Era
giusto parlare di vittoria, quando la capitale era ridotta in cenere e
le vittime attendevano solo il loro momento per essere celebrate e
sepolte?
Per
giunta, ciò che la fece stare più male fu la
consapevolezza di sapere che l’incubo non era ancora finito.
Era
soltanto il quarto attacco quello che avevano affrontato quel giorno.
Questo significava che presto ne sarebbero arrivati altri; forse,
chissà, molto prima di quanto potevano mai immaginare.
Per
troppo tempo lei e Luna avevano promosso l’accettazione
di
quella realtà, convinte che la vita dei pony avrebbe potuto
continuare allo stesso modo di sempre, come se niente fosse.
Ma
si erano sbagliate, e per questo molti avevano patito e sofferto.
“È
stata colpa mia. Non doveva finire così.”
I
sensi di colpa erano tornati a ricadere sul suo garrese.
Allora
andò dalla sorella, e la caricò in dorso
portandola alle porte del castello, dove ricevette assistenza medica
dalle squadre di soccorso. Poi si rifugiò nella sua stanza,
sentendo il bisogno di passare un po’ di tempo da sola,
estraniata da Equestria e dal resto del mondo.
Trascorse
il resto di quelle ore a piangere, mentre cercava un modo per prevenire
la distruzione
che
avanzava alle loro porte.
La
caduta del suo regno era stata soltanto rimandata.
CONTINUA…
Ed
ora, ragazzi, concedetemi un momento per parlare insieme :)
Con
la fine di questo primo atto, si conclude per me un’epoca.
Ricordo
i tempi quando ancora fantasticavo sull’idea di crossare un
film come Pacific Rim ai pony. Erano tempi strani, se visti con gli
occhi di adesso. Tempi in cui tutto quello che avete letto erano solo
pensieri fumosi in una testa che non riusciva a convincersi che un
giorno li avrebbe scritti. Ma così è stato, e se
questa prima parte dell’epopea è stato possibile,
lo devo anche a tutte le persone che su più livelli hanno
preso parte a questo progetto, aiutandolo a crescere.
Come
non citare Nightflyer22,
che
mi ha aiutato (e voi non potete capire quanto la faccio patire
^^’) e lo fa tuttora nella realizzazione degli artwork
più importanti? Ma non dimentico neanche l’utente Big
panzer 91 (un
nome che è tutto un programma, fidatevi ;D), che oltre ad
essere uno dei miei amici più cari, non disdegna talvolta di
darmi anche qualche importante dritta dal punto di vista prettamente
tecnologico (anche se ancora si è visto poco), come anche Laura
(non
ha ancora un’iscrizione, ma tranquilli, riuscirò
prima o poi a convincerla a farlo :P), la mia ragazza, che sebbene
legga con la velocità di un nudibranco in stato criogenico,
mi mette al corrente di molti di quei refusi grammaticali che non
capisco proprio come io faccia a schivare (errare humanum est)
La
lista però potrebbe dilungarsi all’infinito.
Potrei per esempio nominare Stargazer,
che
oltre a sopportarmi ogni giorno in chat mi da anche stimoli, con la sua
grande abilità da scrittore, per migliorarmi sempre di
più, o Jakrat,
con
la sua stupenda recensione che ha elogiato ER mettendomi
però anche in evidenza alcune pecche che giustamente non ho
evitato di commettere (perseverare è ovest XD).
Qui
però devo aggiungere tutti voi, i miei lettori,
che
in ultima analisi siete per me le persone più importanti, il
mio primo pensiero quando mi seggo sulla mia scomoda sedia, e
l’ultima quando distacco i miei occhi infiammati dalle
radiazioni del laptop.
Di
voi ricordo e cito elmdor
(sei
stato il primo a commentarmi, e quello che più di tutti
continua a farlo), everytmeMR.P
(giuro
che mi sono commosso quando ho saputo che hai iniziato a scrivere per
mia ispirazione), The
Fallen (tranquillo,
nessun rancore se fatichi a starmi al seguito. Lo sappiamo entrambi che
Rim è lunga un anno luce e mezzo), ma non pensate che mi sia
dimenticato di Larissa
Grifondoro ed
Haytam.
Di
voi non ho più avuto notizie, e non so se avete
più continuato a leggere, ma poco male, lo avete comunque
fatto per un breve tempo, e già per questo ve ne sono grato.
E
per inciso, è naturale che rivolgo un ringraziamento a TUTTI
i miei lettori, non soltanto questi. Ma che pretendete da me? Non
commentando non ho modo di conoscervi :P
Ora
che c’ho dato un taglio con le smancerie, spendo ancora
qualche frase veloce per mettervi al corrente sulle mie intenzioni
rispetto al futuro di Equestria Rim:
Come
abbiamo già detto, l’ATTO 1 è finito.
Prendete quest’affermazione come se vi avessi appena detto
che è la fine di un vero e proprio libro 1. Con esso vi ho
introdotto alle fondamenta della storia, dandovi l’incipit
per proseguire poi con il resto del ciclo, che per certi versi si
discosterà leggermente da ciò che avete visto
finora.
La
trama assumerà le sue reali sembianze, e chi non vedeva
l’ora di cominciare a scoprire il VERO cross con
l’opera di Del Toro, avrà presto grano per i suoi
denti!
Prima
di partire, però, è mia intenzioni avvisarvi che
mi prenderò una breve
pausa dalla scrittura.
Lo
faccio per darmi la possibilità di lavorare anche su altro,
ripassandomi nel mentre i punti salienti dell’ATTO 1 per
collegarmi in modo dinamico al 2, come se a tutti gli effetti dovessi
cominciare a strutturare una nuova storia (cosa che di fatto, non si
discosta poi tanto dalla realtà).
Per
questo, vi avviso che l’ATTO 2 non arriverà sui
vostri schermi almeno almeno almeno fino a primavera 2016,
tempo durante il quale ho però intenzione di farvi dono di
un’altra fan-fic, distaccata da questa, e sulla quale
mantengo per ora il riserbo più assoluto, limitandomi solo a
stuzzicarvi l’hype ;)
Con
questo termino quindi le note finali, invitandovi a commentare
(commentare,
commentare
e
commentare,
e
mi sembra giusto, considerando la sbatta a cui ogni mese ho incorso per
presentarvi i capitoli!), inviarmi, se volete, le vostre artwork
(prometto
che troverò sempre il modo di metterle da qualche parte nel
thread!) e magari, perché no se ve la sentite, scrivere
qualche spin-off,
what-if et
similia, che io sarò sempre felice di leggere e quindi
proporre a tutti gli altri!
Grazie
ancora per tutto il vostro affetto, e a prossimamente per i nuovi
capitoli!
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