Occhiblu8
Livio apre gli occhi di scatto. Ha fatto un brutto sogno, un sogno in
cui cercava di afferrare un capello dorato troppo sottile perfino per
essere visto. Non sa bene perché quel sogno ha inquietato,
comunque non si sente bene. Non a posto. Ancora più incasinato
del solito, se possibile. Si alza, va a sciacquarsi il viso e scende in
sala. Suo padre sta fissando con insistenza un punto imprecisato della
parete, a metà fra una brutta riproduzione di un Mirò e
il diploma di sua madre alla scuola per estetiste. Si torce le mani
febbrilmente, mentre il resto del corpo è irrealmente immobile,
congelato in una posizione apparentemente normalissima. No, non
è fuori di testa, non è pazzo, ne altro. È solo
tormentato dal senso di colpa, una colpa che non hai mai confessato e
che Livio non riesce ad immaginare. Una colpa abbastanza forte da
impedirgli di dormire la notte e costringerlo al tremore, solo
parziale. Non è la prima volta che lo vede così, anzi.
È una tacita abitudine. Livio non chiede, suo padre non
risponde. Tutto sommato la cosa funziona.
-Livio?-
-Dimmi papà-
-Come stai?-
-In che senso?-
-Ti senti bene?-
-Non lo so papà, ma che razza di domanda è?-
-Mi interessa la risposta-
-Beh sto bene-
-Non ci credo-
-…-
-Si vede che c’è qualcosa che ti tormenta, Livio. Si vede da lontano, si vede in tutto-
-Papà…-
-Io ti vedo Livio. Anche se non sembra, ti guardo. E non sono d’accordo con quello che fai, ti stai perdendo-
-Forse a me va bene così-
Suo padre nemmeno risponde, si limita a ricominciare a fissare il muro,
ma stavolta non trema più. Pensa a suo figlio, quel suo figlio
così ombroso, così nascosto, così indecifrabile e
solo, così simile a lui. Spera che non diventerà mai
padre, se gli somiglia davvero così tanto non ne sarà
capace. Che palle. Gli dispiace per Livio, non lo vorrebbe così,
ma in fondo, visto da dove proviene,non si sarebbe aspettato
nient’altro. Proprio niente di diverso.
-Numa secondo te sto male?-
-Beh, oddio ‘sti pantaloni fanno un po’ cagare, però
vabbé…la maglia non è proprio tanto brutta-
-Intendevo psicologicamente-
-Da quando in qua tu hai una psiche?-
-Lascia stare-
-Ma che ti sei incazzato?-
-No, Numa, no. Sul serio-
Da quando in qua tu hai una psiche? A questo punto anche Livio comincia
a chiederselo. Ha un’interiorità, una sfera emotiva che
vada oltre ai quattro sentimenti standard del resto delle persone?
Insomma, il suo cervello va da qualche parte? Non riesce a darsi una
risposta…non ci riesce proprio. Pensa. Pensa pensa.
Pensapensapensapensapensa. Chi può saperlo? Ah, giusto. Lei.
-Ciao. Sono Livio-
Lungo silenzio
-Livio- cinque lettere assaporate una ad una, come un torta magnifica
che non sapevi fosse lì per te, come un libro ritrovato che non
ricordavi fosse così bello.
-Sì…cioè…secondo te sto male?-
-Non saprei, è tanto che non ti vedo-
-Ma come mi trovavi di solito?-
-Criptico-
-Quindi per te io soffro…-
-Credo di sì, ma non deve essere poi così tremendo se nemmeno te ne accorgi-
-Magari sono assuefatto-
-Magari-
Lungo, estenuante silenzio. Entrambi respirano lentamente, contenendo l’emozione
-Senti, perché mi hai chiamata così, dal niente?-
-Non lo so, Elettra-
La sua voce non era sempre stata così musicale. Le sue parole
non erano mai state così misurate. Non era possibile che fosse
ancora lui, ancora Livio - chioma di grano - occhi blu verdi. Le
persone non cambiano voce in sei mesi. Sei mesi. Così tanto
tempo senza di lui. Così tanto tempo a dirsi che l’aveva
dimenticato. Scema, illusa e stupida. Se potesse si fionderebbe fuori
dalla porta a rincorrere il suo sogno, quello abbandonato su una
terrazza un paio di stagioni prima. Va in camera e rovista fra gli
abiti, con impazienza. Alla fine trova il suo vestito azzurrino, quello
della festa. Quanto tempo sprecato per cercare di essere più
bella. E quel bacio così puro, davanti al cancello della scuola.
E il suo sorriso alla fermata della metro. E tutto il resto. E Claudia?
Dov’è lei ora? Elettra si accascia sul letto. Dio, quanto
lo vorrebbe lì con lei. In un momento decide che se lo
andrà a prendere, chissenefrega di dov’è e di cosa
vuole. Ha abbastanza volontà per due. Compone in un attimo il
suo numero di telefono e si fa spiegare dove abita. Salta sul primo
tram e si precipita sotto casa sua. Appena allunga il dito per suonare
il campanello, la porta si apre e ne esce un ragazzo che Elettra non
può dimenticare di avere amato. È proprio lui,
invecchiato come solo un diciottenne con troppi sentimenti e troppe
poche parole può essere, forse un po’ più
trasandato. Ancora più bello di quello che si ricordava. Ma
capisce cosa intendeva quando le aveva chiesto se secondo lei lui stava
male. È vero che non va tutto bene. C’è
un’ombra poco rassicurante nei suoi occhi. Si fissano e si
rifissano, senza smettere un secondo, annegando l’uno
nell’altra, ripescandosi, poi perdendosi di nuovo, ritrovandosi
per l’ennesima volta. Non una sillaba, non un movimento. Zero.
C’è una tale tensione tale fra loro che potrebbe
incenerire chiunque si trovasse a passare tra loro. Poi Elettra cede e
lo abbraccia con tutta la forza di cui è capace, tutta quella
che ha in corpo e anche dell’altra che non sa dove ha trovato.
Lui non la respinge e ricambia con trasporto. Scoppia a piangere
incontrollabilmente. Si sgonfia e scoppia e singhiozza come i bimbi
piccoli, come i deboli e i vili. Senza ritegno. Elettra crede di non
poterlo amare più di così, nemmeno se sapesse di essere
ricambiata. Semplicemente il suo sentimento va oltre lei.
Così lo bacia.
Lui non la manda via.
Continuano.
Lei dovrebbe andare.
Continuano.
Fuori fa un freddo cane.
Continuano.
I loro genitori non sanno che sono lì.
Continuano.
Forse lui non la ama.
Continuano.
Forse non si possono amare più di così.
Continuano.
MIO SPAZIO:
scusate la brevità, ma allungarlo mi sembrava come appesantirlo…spero che ve lo godiate lo stesso!!!!
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