CAPITOLO 6
“Divisi”
L’ambiente tutto attorno a loro
roteava come quando si è sotto effetto di alcolici, eppure essi rimanevano
tranquillamente seduti, sempre con la testa verso l’alto e i piedi ben fissati
al pavimento. Ovviamene il suddetto ambiente non si discostava molto da quello
visto finora: tunnel larghi il giusto per far passare senza intoppi l’enorme
sfera, con qualche neon ad illuminare il tutto. Ogni tanto il percorso era
alternato da discese e salite e, per tutte e cinque le coppie, aveva un termine
comune: si apriva una porta ad ante scorrevoli da ambo le parti e, una volta
entrata, la sfera terminava il proprio moto in conche identiche a quella
lasciata alla partenza.
“Siamo arrivati!” osservò Andrea,
mente saltava via dal sedile ed usciva da quel particolare mezzo di
trasporto.
“Io mi chiedo dove saranno finiti
gli altri…” chiese preoccupato Tommaso.
“Di certo non qui. Di altri
percorsi come quello della nostra sfera non ne vedo spuntare dai muri, quindi ci
si deva arrangiare da noi, bimbo!” gli rispose con una frecciatina finale
Lupo.
“Ma piantala! Con gente come te
non voglio avere niente a che fare!” gli urlò contro Orsi.
Il ladro stava per controbattere
quando la sua attenzione, insieme a quella del calciatore, venne catturata da un
rumore che si stava facendo via via sempre più forte. Non era certo facile
capire a pieno da cosa esso derivasse, ma di certo era prodotto da più oggetti
insieme.
In effetti, osservando
attentamente la stanza, di altri percorsi identici a quello appena effettuato
dalla sfera gigante, non vi era traccia ma, i muri metallici della struttura,
presentavano comunque delle identiche porte formate da due ante simmetriche.
Quando il rumore che traspariva dalle pareti si fece più intenso che mai, le
porte si decisero a schiudersi.
“Merda! E quelli che diavolo
sono?” chiese Andrea mentre aguzzava la vista su degli oggetti che, in gran
numero, stavano rotolando dentro la stanza.
“Sembrano proprio… palloni!” gli
rispose entusiasta Tommaso Orsi.
Infatti, gli oggetti che avevano
appena fatta la loro comparsa, ricordavano direttamente tali oggetti di svago,
se non che presentassero una lieve peluria sulla propria superficie.
“Non saranno mica pericolosi?” fu
il quesito dello sportivo.
“Beh nel dubbio direi di tornare
nella sfera” concluse l’altro che balzò subito verso la dichiarata meta, per
trovarla chiusa davanti a sé.
“E dai apriti stronza!” la
minacciava inutilmente il delinquente, battendogli contro entrambi i pugni per
poi, visto che questa attività fisica non portava alcun risultato, passare alle
maniere forti estraendo la propria pistola e sparando un colpo. Questo atto fece
sobbalzare e poi voltare verso il proprio compagno Tommaso, ma la pallottola
appena sparata rimbalzò sul vetro della sfera e schizzò via.
“Ma che stai facendo?” interrogò
il suo compagno dal grilletto facile, Tommaso.
“Niente da fare, siamo chiusi
fuori” spiegò tranquillamente l’uomo, riponendo l’arma da fuoco e accendendosi
una sigaretta.
Le palle, che avevano come
ulteriore particolarità di essere multicolori, si avvicinavano sempre di più ai
due e, in particolare, una rossa sgargiante era a pochi metri dal capitano del
Team 2000. Il giovane seguì l’istinto e calciò via di destro la possibile
minaccia da lui.
“Non è esplosa…” osservò nella
sua mente Andrea mentre Tommaso gli ripeteva la domanda “Cosa facciamo adesso?”.
Poi dipinse sul suo volto un sorriso beffardo.
“Beh bimbo, come dicono in
America…” balzò nuovamente sul freddo pavimento di metallo “calcia qualche
culo!” e, detto questo, cominciò a colpire con i propri piedi ogni globo gli
capitava a tiro.
“Fantastico!” esclamò Tommaso che
non se lo fece ripetere due volte.
Davvero strano a vedersi ma
questa punizione, o inizialmente presunta tale, stava diventando un vero e
proprio divertimento per i due uomini tanto che, qualche volta, Tommaso
evidenziava le proprie prodezze atletiche con frasi del tipo “Guarda Andrea! Sia
di destro che di sinistro! E pure di tacco!”
“Grazie al cielo siamo arrivati!”
esclamò finalmente Sciullo, che stava letteralmente sudando freddo finché la
sfera non si fermò definitivamente.
“È tutto ok, signore?”si accertò
dello stato di salute del compagno, Sarti.
“Sì soldato, ma ora usciamo
immediatamente da questo affare!” rispose Marco scappando via dalla sfera
gigantesca.
“Signore non sia così avventato
nelle sue azioni! Non si dimentichi che siamo comunque in un territorio ostile”
lo ammonì Simone.
“Mi sembra che finora minacce
vere e proprie non siano visibili, soldato…” spiegò il giovane imprenditore
dalla evidente erre moscia, mentre dava un’occhiata a tutto l’ambiente. Una
stanza nettamente più ristretta rispetto a quella in cui erano impegnati Andrea
e Tommaso e, soprattutto, con un'unica porta ancora chiusa al momento ma che, di
lì a breve, si aprì completamente.
Solo allora fu udibile un rumore
ben più chiaro rispetto al precedente. Si trattava senza alcun dubbio di passi.
Passi davvero molto pesanti.
Marco Sciullo era rimasto
atterrito da tutto ciò, mentre Simone Sarti estraeva il suo fucile da
combattimento. Poi un’ombra a poco a poco li sovrastò. Avevano davanti a loro
niente meno che un enorme uomo verde. Superava abbondantemente i 2 metri ed il
fisico era ben scolpito sulla pelle di color verde scuro. L’unica cosa che gli
copriva il corpo massiccio erano dei calzoncini marroni, posti ovviamente
attorno alla zona del bacino.
“Oh mio dio! Ma questo è Hulk?!”
fu sorpreso dalla minacciosa apparizione Marco.
“Qualunque cosa sia, prepariamoci
alla battaglia!” avvertì il compagno Simone, mentre caricava il fucile.
“Battaglia? Nelle battaglie che
faccio io non sono previste le armi!” polemizzò Sciullo.
“Bene allora sia pronto ad
imparare!” tagliò corto il tenente maggiore Sarti che esplose un colpo verso
l’essere.
Lo sparo era andato perfettamente
a segno: all’altezza del cuore.
Stranamente il proiettile era
rimasto conficcato e ben visibile nella pelle del mostro.
“Ma che cosa?” esclamò Simone,
sorpreso dalla resistenza dell’energumeno, quando quest’ultimo emise un forte e
terrificante urlo alzando le braccia al cielo metallico.
Dopo questo, la creatura si mosse
a grandi passi verso il soldato che, preso per la prima volta alla sprovvista,
cercava di ricaricare il più velocemente possibile la sua arma, ma l’avversario
gli era già addosso. Il giovane alzò la testa per vedere con i propri occhi
impauriti, memori di tante vittime, l’orco prendergli violentemente dalle mani
il fucile e, con una facilità davvero mostruosa, spezzarglielo in due pezzi,
ormai certo che a lui sarebbe stata riservata la medesima fine. Quando qualcosa
attirò l’attenzione della creatura. Essa si girò e vide Marco Sciullo
conficcargli con entrambe le mani un coltello, davvero di pregevole fattura, sul
fianco.
Il ragazzo ansimando chiese
all’altro “Tutto bene, soldato?”.
“Sì signore, ma ora scappi via!
Questo è un nemico davvero troppo forte!” gli urlò Simone.
Lui seguì il consiglio ed
indietreggiò di qualche passo per vedere il mostro che, mossa l’enorme testa per
visualizzare dov’era conficcato il coltello, lo estrasse senza alcuna smorfie di
dolore e lo lanciò via nella stanza. Poi sembrò ignorare la sua possibile
vittima e si diresse verso la sfera, mentre Sarti, approfittando di ciò,
raggiunse Sciullo. La stanza non proponeva alcuna via di fuga, visto che la
stessa porta da cui era entrata la cosa si era rapidamente richiusa alle sue
spalle.
Il mostro, una volta raggiunta la
sfera, la prese ai lati con le sue enormi mani e, questa volta forse con un po’
di fatica, la sollevò sopra il suo capo, voltandosi nel contempo nuovamente
verso i due.
A lunghi passi era ormai davanti
a loro con la sfera che, ben sollevata sopra di lui, era pronta ad essere
scagliata. I due ragazzi, quasi coetanei, sapevano che la loro breve vita stava
per essere terminata in quell’assurdo luogo dove, senza alcuna possibilità di
scelta, si erano ritrovati.
“Sei preoccupata tesoro?” chiese
Roberto, mentre la sfera viaggiava ancora nel suo tracciato obbligatorio.
“Stai zitto!” fu la risposta di
Rosa.
Una porta si spalancò davanti a
loro e la sfera terminò il suo moto sulla ormai classica conca.
“Ehi piccola…” Roberto cercò di
afferrare la ragazza mentre, quest’ultima, era scappata via da dentro la sfera
appena aveva potuto “Questo tuo comportamento non è utile, visto che siamo
entrambi intrappolati in questo casino!”.
“Ascoltami bene Roberto, non ho
alcuna voglia di essere protetta da una persona che lo fa solamente per poi
magari finire a letto con me!” gli gridò addosso la giovane attrice.
“Eh no! Questo non puoi dirlo…
ok, ho visto qualche tuo film, ma cerco di proteggerti solamente perché è il mio
dovere come poliziotto! Beh, se poi può nascere qualcosa, non mi dispiacerebbe
affatto…” la controbatté lui, sorridendogli malizioso.
Lei scosse il capo guardando il
pavimento poi, rialzando la testa, lo guardò con occhi che, ammirandoli soltanto
su pellicola, non avrebbero incantato così tanto e gli disse “Se vuoi amarmi
qui…” indicando con l’indice della mano destra la lampo dei jeans “Devi prima
amarmi qui” mettendosi una mano poco sopra il seno sinistro.
Roberto rimase immobile
nell’ammirare la giovane donna che aveva di fronte, quando un lieve ronzio gli
fece alzare lo sguardo davanti a sé. La parete metallica presentava una parte di
un emisfero che, lentamente ma costantemente, si stava aprendo e, una volta
terminata l’operazione, presentò alla coppia un emisfero leggermente più ridotto
quasi esclusivamente di colore bianco, con l’eccezione di un cerchio nero che si
trovava al centro di esso. Mentre erano ancora sorpresi dell’accaduto, i due
notarono che il cerchio scuro si mosse per andarsi a posizionare in linea d’aria
di fronte ai due umani. In realtà a muoversi era stato lo stesso emisfero, Rosa
e Roberto scoprirono presto di avere di fronte una riproduzione gigantesca di un
occhio umano.
“Ma cos’è? “Ai confini della
realtà”?” osservò ironico Santucci.
“Magari! Non mi dispiacerebbe
interpretare qualche telefilm di fantascienza…” gli rispose ironica anche
lei.
Al centro del cerchio nero
cominciò a brillare un ulteriore cerchio, più piccolo e di colore rosso e,
mentre i due continuavano ancora la propria osservazione, partì da esso un
raggio laser che, nella sua traiettoria diretta, sfiorò la gamba destra di Rosa
Simone poco sotto il ginocchio dal lato esterno, provocando l’immediata
bruciatura dei pantaloni.
“Ah!” gridò istintivamente la
ragazza.
“Oh no, Rosa! Sei ferita?”
domandò immediatamente Roberto Santucci, soccorrendola.
La signorina Simone stette per un
attimo in silenzio, nel quale il tutore dell’ordine si accertò che l’unico danno
era stato riportato dagli indumenti della giovane ragazza, poi, con le lacrime
che gli rigavano le soffici guance, esplose “Brutto bastardo hai rovinato i miei
jeans!”.
Ma l’occhio non sembrò
assolutamente dispiaciuto dell’accaduto, allora Roberto decise che era il loro
turno di attaccare. Sfoderò la pistola e, con gran rapidità, prese la mira e
sparò. L’occhio s’illuminò nuovamente, questa volta l’obbiettivo era la
pallottola stessa appena sparatagli contro. Il raggio colpi pienamente il
proiettile di cui, in pochi attimi, non rimase che una minuscola pozzanghera
grigia bollente nel pavimento della stanza.
“Qui qualcuno ci vuole morti,
Rosa…” spiegò l’uomo alla ragazza, mentre abbassava impotente l’arma da
tiro.
“Aspetta Roby, possiamo sempre
nasconderci dietro la sfera…” propose Rosa senza farsi prendere dal panico.
Ma, come se qualcuno li avesse
sentito, il loro particolare mezzo di trasporto riprese il suo cammino di
ritorno, mentre la porta si richiuse dietro di essa.
I due si voltarono verso la sfera
fuggitiva per poi, una volta sparita la loro unica speranza di salvezza, tornare
a fissare il loro destino. Che in questo caso aveva le sembianze di un enorme
occhio che riprendeva a brillare minacciosamente.
La sfera si fermò e i due
scesero.
“Niente di nuovo. Ancora un’altra
stupida… stanza… di… metallo” osservò Sara, scandendo bene l’ultima parte della
frase.
“Non che le mie aspettative
fossero tanto diverse…” cercò di tranquillizzarla Oscar.
“Beh personalmente ne ho piene le
scatole di questo stupido gioco idiota!” la bionda non si calmava.
“Signorina, immagino che tutti
noi non sopportiamo più questa nuova e, per quanto mi riguarda almeno, inedita
situazione in cui ci troviamo coinvolti” proseguì nella sua opera Testa.
I due allora cominciarono a
guardarsi attorno, nel timore che nuove minacce sarebbero apparse
all’improvviso. Ma tutto era calmo.
Passarono qualche minuto con la
situazione sempre identica e Silvestri decise di rilassarsi un po’, andandosi a
stiracchiare con la schiena appoggiata alla grande sfera. Osservava la persona
con molti anni in più di lei e, ripensando al passato, sorrise rivelando “Sai…
io avevo un ragazzo che si chiamava Oscar…”.
L’esperto politico si voltò verso
di lei e disse “Ne sono onorato, signorina. Anche se, devo ammettere, mi sembra
davvero un nome particolare su un ragazzo giovane. Ora non ha più rapporti con
lui?”
“Ah beh… ecco…” farfugliò Sara,
sorpresa della curiosità dell’onorevole, quando si bloccò sentendo un suono
metallico.
Anche Oscar si voltò verso il
resto della stanza dove, in molte parti del pavimento, si cominciarono ad aprire
delle specie di botole, le quali servivano per l’entrata di nuove minacce.
Queste creature, oltre ad essere
in numero nettamente maggiore, erano forse anche più inquietanti rispetto
all’enorme uomo verde di prima. Si trattava infatti di scheletri umani armati da
spade, elmi e scudi visibilmente arrugginiti. I loro occhi rossi erano tutti
rivolti verso la sfortunata coppia.
“E questi da dove vengono fuori?”
chiese Sara, che si era rimessa in posizione eretta, pronta a difendere la
propria vita.
“Non saprei signorina, spero solo
che non sia giunta infine l’apocalisse” accennò una risposta uno spaventato
Oscar.
“Magari sono solo infuriati della
propria dieta…” ci scherzò su Sara che iniziò a tirar calci a destra e sinistra,
mandando in pezzi molti scheletri guerrieri che, dalla loro, non avevano certo
la resistenza fisica.
Oscar Testa, dal canto suo, era
riuscito ad appropriarsi di una spada e di uno scudo e, come un gladiatore
veterano, si faceva onore abbattendo più scheletri possibili. Purtroppo però,
gli avversari cominciarono ad essere davvero troppi per loro due.
“Sara cerca di resistere il più
possibile. Questi demoni continuano ad aumentare sempre più!” gridò alla giovane
donna l’anziano uomo.
La ragazza si voltò un istante
verso Oscar che, ormai, era completamente circondato da quei mostri, ma questo
fu per lei una rischiosa disattenzione. Di fatti, uno dei suoi avversari riuscì
quasi a sfiorarle il collo, riuscendo solo a tagliarle parte della maglia, da
cui ora si riusciva ad intravedere la spallina del reggiseno.
“Brutti figli di puttana!” urlò
con tutto il suo fiato Sara Silvestri.
“Non credevo che qualcuno fosse
così avanti per quanto riguarda la scienza robotica! Insomma Carla, hai visto
anche te quella donna robot poco fa: movimenti del corpo decisamente molto
fluidi, capacità di interagire con le persone attraverso l’emissione vocale,
nessuna alimentazione esterna tramite cavi o simili, un ottimo cervello
elettronico e poi… vabbe’, devo riconoscere che era dotata anche di una più che
ottima riproduzione del corpo umano femminile…” conclamò Stefano, in piena
eccitazione.
“Non capisco Stefano come puoi
essere così entusiasta di una tale macchina infernale!” sbottò violentemente
Carla.
“Beh sai, fa parte del mio
lavoro, Carla… diciamo deformazione professionale” le sorrise l’uomo.
“Io spero solo che gli altri
stiano e bene e che, il prima possibile, riusciamo ad uscire da questa orrenda
struttura!” disse spazientita la dottoressa.
La sfera intanto stava rotolando
verso l’entrata di una stanza dove, al suo interno, faceva bella mostra di sé un
enorme console. I due scesero e andarono diretti verso tutti quei pulsanti.
Notarono subito che, sopra di essi, vi erano quattro enormi schermi, dentro cui
riconobbero subito delle figure ormai familiari a loro. Nel primo display
Tommaso e Andrea erano sommersi fino ormai alle ginocchia da strane palle
pelose, nel secondo Marco e Simone se la vedevano con un gigantesco uomo
muscoloso che presentava un particolare colorito verde, nel terzo Rosa e Roberto
erano di fronte ad un enorme occhio che riusciva ad emanare un potente raggio
laser ed infine, nel quarto ed ultimo schermo, Sara e Oscar erano circondati da
scheletri armati come cavalieri. La prima cosa che i due appresero è che,
purtroppo per loro, non stavano sognando ma che i propri nuovi compagni erano
realmente in difficoltà contro l’assurdo.
“Oh dio misericordioso! Cosa sta
succedendo?” esclamò Wilson, sull’orlo delle lacrime.
“Sono i nostri amici, Carla, e
sono nei casini!” gli spiegò Noro, continuando ad assistere impotente allo
spettacolo.
“È una prova! Non avete ancora
capito stolti, è una prova!”
La voce che aveva appena parlato
non apparteneva né a Carla Wilson né a Stefano Noro e, accortisi subito di
questa particolarità, i due si voltarono, visibilmente preoccupati di ciò che
sarebbero andati ad affrontare.
Un vecchio, con la barba ed i
capelli bianchi spettinati, vestito solo di stracci ed appoggiato ad un bastone
di metallo era dietro di loro. Entrambi cacciarono un acuto grido di spavento,
forse addirittura Stefano ne emise uno ancora più acuto di quello della
terrorizzata Carla.
La donna però riprese coscienza
di sé e domandò al terzo soggetto “Chi sei te?”.
“Non è il momento per queste
domande, sciocchi! Pensate piuttosto a salvare i vostri compagni!” li redarguì
l’anziano.
“E come possiamo fare?” chiese
Noro, tremante e con le lacrime sul viso.
“Vi è un tasto blu sulla
tastiera?” rispose con una domanda il vecchio.
“Ma come sarebbe a dire un tasto
blu? Eri qui prima di noi e non l’hai cercato?” lo aggredì anche fisicamente
l’uomo di scienza.
“Non capisci Stefano…” lo bloccò
Carla, indicandogli poi gli le pupille dello sconosciuto “Questo pover’uomo è
cieco”.
“Oh… mi scusi…”porse delle timidi
scuse Stefano che poi, ricordandosi dei suoi amici in difficoltà e delle domanda
del vecchio, si voltò di scatto verso la tastiera e, dopo una rapida ricerca
visiva, indicò un punto della console gridando “Ecco il bottone!”.
Il pulsante era in effetti di
colore blu scuro ma presentava un problema logistico: si trovava infatti sulla
sommità della gargantuesca tastiera, ed arrivarci non era di certo impresa
semplice. Inoltre, tutti e tre i presenti non presentavano, nelle proprie
caratteristiche, un’altezza ragguardevole.
“Tiratemi su che vado a
premerlo!” ordinò improvvisamente Noro.
“Aspetta Stefano, non è meglio
che vada io, dato che sono più leggera…” cercò di convincerlo Wilson.
“No Carla, potrebbe essere
pericoloso. Forza, aiutatemi a salire” Stefano era più che mai convinto di
quello che faceva.
Né Carla né tantomeno il vecchio
opposero ulteriori obbiezioni e, seppur con molta fatica, riuscirono ad issare
Stefano sul piano inclinato della tastiera, mentre quest’ultimo si sosteneva ad
essa aggrappandosi alle fila di tasti presenti. Nonostante fosse quasi del tutto
sdraiato sopra di essa, non riusciva ancora a raggiungere il tasto
specifico.
“Ancora una spinta e ci sono!”
urlò ai suoi aiutanti sotto di lui.
I due, il cieco aiutato anche
dalla dottoressa, presero posto ognuno vicino alle suole delle scarpe di Noro e
spinsero con quanta forza avevano ancora in corpo. Il tasto fu premuto.
Il flusso dei palloni pelosi
smise, il mostro verde si bloccò con la sfera gigante tenuta dalle sue possenti
braccia sopra di lui, l’occhio si spense richiudendosi e gli scheletri armati
seguirono la stessa sorte del mostro.
Dopo un attimo di riposo, ad
occhi chiusi ed ansimante come se avesse affrontato una maratona, Stefano si
lasciò scivolare giù ed atterrò morbidamente sul pavimento metallico.
Dopo qualche attimo, qualcosa
tornò a balenargli in testa ed iniziò a parlare “A proposito, cos’era quella
faccenda della prova, ve…” ma s’interruppe perché l’anziano, a cui voleva
rivolgere questa domanda, non era più tra loro. Scomparso.
Nel mentre, in tutte e i cinque
le stanze, si aprirono delle uscite e le cinque coppie si avviarono verso di
esse: Tommaso e Andrea portandosi con loro qualche palla pelosa, Marco andandosi
a riprendere il suo coltello di famiglia, Rosa lamentandosi ancora dei suoi
jeans rovinati, Sara lamentandosi della sua maglietta tagliata e Stefano e Carla
chiedendosi dove potesse essere scomparso il loro reale salvatore.
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