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Autore: J85    14/10/2014    1 recensioni
Senza un apparente motivo, 10 persone, 7 maschi e 3 femmine, con caratteristiche totalmente differenti tra di loro e completamente all'oscuro l'uno dell'altro, si ritroveranno improvvisamente dentro un'enorme stanza dalle pareti metalliche.
Nessuno di loro ricorda come abbia fatto a finire lì dentro e, ancora meno, è a conoscenza delle difficili prove che insieme dovranno affrontare per procedere verso un'insperata libertà.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6

“Divisi”

 

 

 

L’ambiente tutto attorno a loro roteava come quando si è sotto effetto di alcolici, eppure essi rimanevano tranquillamente seduti, sempre con la testa verso l’alto e i piedi ben fissati al pavimento. Ovviamene il suddetto ambiente non si discostava molto da quello visto finora: tunnel larghi il giusto per far passare senza intoppi l’enorme sfera, con qualche neon ad illuminare il tutto. Ogni tanto il percorso era alternato da discese e salite e, per tutte e cinque le coppie, aveva un termine comune: si apriva una porta ad ante scorrevoli da ambo le parti e, una volta entrata, la sfera terminava il proprio moto in conche identiche a quella lasciata alla partenza.

 

“Siamo arrivati!” osservò Andrea, mente saltava via dal sedile ed usciva da quel particolare mezzo di trasporto.

“Io mi chiedo dove saranno finiti gli altri…” chiese preoccupato Tommaso.

“Di certo non qui. Di altri percorsi come quello della nostra sfera non ne vedo spuntare dai muri, quindi ci si deva arrangiare da noi, bimbo!” gli rispose con una frecciatina finale Lupo.

“Ma piantala! Con gente come te non voglio avere niente a che fare!” gli urlò contro Orsi.

Il ladro stava per controbattere quando la sua attenzione, insieme a quella del calciatore, venne catturata da un rumore che si stava facendo via via sempre più forte. Non era certo facile capire a pieno da cosa esso derivasse, ma di certo era prodotto da più oggetti insieme.

In effetti, osservando attentamente la stanza, di altri percorsi identici a quello appena effettuato dalla sfera gigante, non vi era traccia ma, i muri metallici della struttura, presentavano comunque delle identiche porte formate da due ante simmetriche. Quando il rumore che traspariva dalle pareti si fece più intenso che mai, le porte si decisero a schiudersi.

“Merda! E quelli che diavolo sono?” chiese Andrea mentre aguzzava la vista su degli oggetti che, in gran numero, stavano rotolando dentro la stanza.

“Sembrano proprio… palloni!” gli rispose entusiasta Tommaso Orsi.

Infatti, gli oggetti che avevano appena fatta la loro comparsa, ricordavano direttamente tali oggetti di svago, se non che presentassero una lieve peluria sulla propria superficie.

“Non saranno mica pericolosi?” fu il quesito dello sportivo.

“Beh nel dubbio direi di tornare nella sfera” concluse l’altro che balzò subito verso la dichiarata meta, per trovarla chiusa davanti a sé.

“E dai apriti stronza!” la minacciava inutilmente il delinquente, battendogli contro entrambi i pugni per poi, visto che questa attività fisica non portava alcun risultato, passare alle maniere forti estraendo la propria pistola e sparando un colpo. Questo atto fece sobbalzare e poi voltare verso il proprio compagno Tommaso, ma la pallottola appena sparata rimbalzò sul vetro della sfera e schizzò via.

“Ma che stai facendo?” interrogò il suo compagno dal grilletto facile, Tommaso.

“Niente da fare, siamo chiusi fuori” spiegò tranquillamente l’uomo, riponendo l’arma da fuoco e accendendosi una sigaretta.

Le palle, che avevano come ulteriore particolarità di essere multicolori, si avvicinavano sempre di più ai due e, in particolare, una rossa sgargiante era a pochi metri dal capitano del Team 2000. Il giovane seguì l’istinto e calciò via di destro la possibile minaccia da lui.

“Non è esplosa…” osservò nella sua mente Andrea mentre Tommaso gli ripeteva la domanda “Cosa facciamo adesso?”. Poi dipinse sul suo volto un sorriso beffardo.

“Beh bimbo, come dicono in America…” balzò nuovamente sul freddo pavimento di metallo “calcia qualche culo!” e, detto questo, cominciò a colpire con i propri piedi ogni globo gli capitava a tiro.

“Fantastico!” esclamò Tommaso che non se lo fece ripetere due volte.

Davvero strano a vedersi ma questa punizione, o inizialmente presunta tale, stava diventando un vero e proprio divertimento per i due uomini tanto che, qualche volta, Tommaso evidenziava le proprie prodezze atletiche con frasi del tipo “Guarda Andrea! Sia di destro che di sinistro! E pure di tacco!”

 

“Grazie al cielo siamo arrivati!” esclamò finalmente Sciullo, che stava letteralmente sudando freddo finché la sfera non si fermò definitivamente.

“È tutto ok, signore?”si accertò dello stato di salute del compagno, Sarti.

“Sì soldato, ma ora usciamo immediatamente da questo affare!” rispose Marco scappando via dalla sfera gigantesca.

“Signore non sia così avventato nelle sue azioni! Non si dimentichi che siamo comunque in un territorio ostile” lo ammonì Simone.

“Mi sembra che finora minacce vere e proprie non siano visibili, soldato…” spiegò il giovane imprenditore dalla evidente erre moscia, mentre dava un’occhiata a tutto l’ambiente. Una stanza nettamente più ristretta rispetto a quella in cui erano impegnati Andrea e Tommaso e, soprattutto, con un'unica porta ancora chiusa al momento ma che, di lì a breve, si aprì completamente.

Solo allora fu udibile un rumore ben più chiaro rispetto al precedente. Si trattava senza alcun dubbio di passi. Passi davvero molto pesanti.

Marco Sciullo era rimasto atterrito da tutto ciò, mentre Simone Sarti estraeva il suo fucile da combattimento. Poi un’ombra a poco a poco li sovrastò. Avevano davanti a loro niente meno che un enorme uomo verde. Superava abbondantemente i 2 metri ed il fisico era ben scolpito sulla pelle di color verde scuro. L’unica cosa che gli copriva il corpo massiccio erano dei calzoncini marroni, posti ovviamente attorno alla zona del bacino.

“Oh mio dio! Ma questo è Hulk?!” fu sorpreso dalla minacciosa apparizione Marco.

“Qualunque cosa sia, prepariamoci alla battaglia!” avvertì il compagno Simone, mentre caricava il fucile.

“Battaglia? Nelle battaglie che faccio io non sono previste le armi!” polemizzò Sciullo.

“Bene allora sia pronto ad imparare!” tagliò corto il tenente maggiore Sarti che esplose un colpo verso l’essere.

Lo sparo era andato perfettamente a segno: all’altezza del cuore.

Stranamente il proiettile era rimasto conficcato e ben visibile nella pelle del mostro.

“Ma che cosa?” esclamò Simone, sorpreso dalla resistenza dell’energumeno, quando quest’ultimo emise un forte e terrificante urlo alzando le braccia al cielo metallico.

Dopo questo, la creatura si mosse a grandi passi verso il soldato che, preso per la prima volta alla sprovvista, cercava di ricaricare il più velocemente possibile la sua arma, ma l’avversario gli era già addosso. Il giovane alzò la testa per vedere con i propri occhi impauriti, memori di tante vittime, l’orco prendergli violentemente dalle mani il fucile e, con una facilità davvero mostruosa, spezzarglielo in due pezzi, ormai certo che a lui sarebbe stata riservata la medesima fine. Quando qualcosa attirò l’attenzione della creatura. Essa si girò e vide Marco Sciullo conficcargli con entrambe le mani un coltello, davvero di pregevole fattura, sul fianco.

Il ragazzo ansimando chiese all’altro “Tutto bene, soldato?”.

“Sì signore, ma ora scappi via! Questo è un nemico davvero troppo forte!” gli urlò Simone.

Lui seguì il consiglio ed indietreggiò di qualche passo per vedere il mostro che, mossa l’enorme testa per visualizzare dov’era conficcato il coltello, lo estrasse senza alcuna smorfie di dolore e lo lanciò via nella stanza. Poi sembrò ignorare la sua possibile vittima e si diresse verso la sfera, mentre Sarti, approfittando di ciò, raggiunse Sciullo. La stanza non proponeva alcuna via di fuga, visto che la stessa porta da cui era entrata la cosa si era rapidamente richiusa alle sue spalle.

Il mostro, una volta raggiunta la sfera, la prese ai lati con le sue enormi mani e, questa volta forse con un po’ di fatica, la sollevò sopra il suo capo, voltandosi nel contempo nuovamente verso i due.

A lunghi passi era ormai davanti a loro con la sfera che, ben sollevata sopra di lui, era pronta ad essere scagliata. I due ragazzi, quasi coetanei, sapevano che la loro breve vita stava per essere terminata in quell’assurdo luogo dove, senza alcuna possibilità di scelta, si erano ritrovati.

 

“Sei preoccupata tesoro?” chiese Roberto, mentre la sfera viaggiava ancora nel suo tracciato obbligatorio.

“Stai zitto!” fu la risposta di Rosa.

Una porta si spalancò davanti a loro e la sfera terminò il suo moto sulla ormai classica conca.

“Ehi piccola…” Roberto cercò di afferrare la ragazza mentre, quest’ultima, era scappata via da dentro la sfera appena aveva potuto “Questo tuo comportamento non è utile, visto che siamo entrambi intrappolati in questo casino!”.

“Ascoltami bene Roberto, non ho alcuna voglia di essere protetta da una persona che lo fa solamente per poi magari finire a letto con me!” gli gridò addosso la giovane attrice.

“Eh no! Questo non puoi dirlo… ok, ho visto qualche tuo film, ma cerco di proteggerti solamente perché è il mio dovere come poliziotto! Beh, se poi può nascere qualcosa, non mi dispiacerebbe affatto…” la controbatté lui, sorridendogli malizioso.

Lei scosse il capo guardando il pavimento poi, rialzando la testa, lo guardò con occhi che, ammirandoli soltanto su pellicola, non avrebbero incantato così tanto e gli disse “Se vuoi amarmi qui…” indicando con l’indice della mano destra la lampo dei jeans “Devi prima amarmi qui” mettendosi una mano poco sopra il seno sinistro.

Roberto rimase immobile nell’ammirare la giovane donna che aveva di fronte, quando un lieve ronzio gli fece alzare lo sguardo davanti a sé. La parete metallica presentava una parte di un emisfero che, lentamente ma costantemente, si stava aprendo e, una volta terminata l’operazione, presentò alla coppia un emisfero leggermente più ridotto quasi esclusivamente di colore bianco, con l’eccezione di un cerchio nero che si trovava al centro di esso. Mentre erano ancora sorpresi dell’accaduto, i due notarono che il cerchio scuro si mosse per andarsi a posizionare in linea d’aria di fronte ai due umani. In realtà a muoversi era stato lo stesso emisfero, Rosa e Roberto scoprirono presto di avere di fronte una riproduzione gigantesca di un occhio umano.

“Ma cos’è? “Ai confini della realtà”?” osservò ironico Santucci.

“Magari! Non mi dispiacerebbe interpretare qualche telefilm di fantascienza…” gli rispose ironica anche lei.

Al centro del cerchio nero cominciò a brillare un ulteriore cerchio, più piccolo e di colore rosso e, mentre i due continuavano ancora la propria osservazione, partì da esso un raggio laser che, nella sua traiettoria diretta, sfiorò la gamba destra di Rosa Simone poco sotto il ginocchio dal lato esterno, provocando l’immediata bruciatura dei pantaloni.

“Ah!” gridò istintivamente la ragazza.

“Oh no, Rosa! Sei ferita?” domandò immediatamente Roberto Santucci, soccorrendola.

La signorina Simone stette per un attimo in silenzio, nel quale il tutore dell’ordine si accertò che l’unico danno era stato riportato dagli indumenti della giovane ragazza, poi, con le lacrime che gli rigavano le soffici guance, esplose “Brutto bastardo hai rovinato i miei jeans!”.

Ma l’occhio non sembrò assolutamente dispiaciuto dell’accaduto, allora Roberto decise che era il loro turno di attaccare. Sfoderò la pistola e, con gran rapidità, prese la mira e sparò. L’occhio s’illuminò nuovamente, questa volta l’obbiettivo era la pallottola stessa appena sparatagli contro. Il raggio colpi pienamente il proiettile di cui, in pochi attimi, non rimase che una minuscola pozzanghera grigia bollente nel pavimento della stanza.

“Qui qualcuno ci vuole morti, Rosa…” spiegò l’uomo alla ragazza, mentre abbassava impotente l’arma da tiro.

“Aspetta Roby, possiamo sempre nasconderci dietro la sfera…” propose Rosa senza farsi prendere dal panico.

Ma, come se qualcuno li avesse sentito, il loro particolare mezzo di trasporto riprese il suo cammino di ritorno, mentre la porta si richiuse dietro di essa.

I due si voltarono verso la sfera fuggitiva per poi, una volta sparita la loro unica speranza di salvezza, tornare a fissare il loro destino. Che in questo caso aveva le sembianze di un enorme occhio che riprendeva a brillare minacciosamente.

 

La sfera si fermò e i due scesero.

“Niente di nuovo. Ancora un’altra stupida… stanza… di… metallo” osservò Sara, scandendo bene l’ultima parte della frase.

“Non che le mie aspettative fossero tanto diverse…” cercò di tranquillizzarla Oscar.

“Beh personalmente ne ho piene le scatole di questo stupido gioco idiota!” la bionda non si calmava.

“Signorina, immagino che tutti noi non sopportiamo più questa nuova e, per quanto mi riguarda almeno, inedita situazione in cui ci troviamo coinvolti” proseguì nella sua opera Testa.

I due allora cominciarono a guardarsi attorno, nel timore che nuove minacce sarebbero apparse all’improvviso. Ma tutto era calmo.

Passarono qualche minuto con la situazione sempre identica e Silvestri decise di rilassarsi un po’, andandosi a stiracchiare con la schiena appoggiata alla grande sfera. Osservava la persona con molti anni in più di lei e, ripensando al passato, sorrise rivelando “Sai… io avevo un ragazzo che si chiamava Oscar…”.

L’esperto politico si voltò verso di lei e disse “Ne sono onorato, signorina. Anche se, devo ammettere, mi sembra davvero un nome particolare su un ragazzo giovane. Ora non ha più rapporti con lui?”

“Ah beh… ecco…” farfugliò Sara, sorpresa della curiosità dell’onorevole, quando si bloccò sentendo un suono metallico.

Anche Oscar si voltò verso il resto della stanza dove, in molte parti del pavimento, si cominciarono ad aprire delle specie di botole, le quali servivano per l’entrata di nuove minacce.

Queste creature, oltre ad essere in numero nettamente maggiore, erano forse anche più inquietanti rispetto all’enorme uomo verde di prima. Si trattava infatti di scheletri umani armati da spade, elmi e scudi visibilmente arrugginiti. I loro occhi rossi erano tutti rivolti verso la sfortunata coppia.

“E questi da dove vengono fuori?” chiese Sara, che si era rimessa in posizione eretta, pronta a difendere la propria vita.

“Non saprei signorina, spero solo che non sia giunta infine l’apocalisse” accennò una risposta uno spaventato Oscar.

“Magari sono solo infuriati della propria dieta…” ci scherzò su Sara che iniziò a tirar calci a destra e sinistra, mandando in pezzi molti scheletri guerrieri che, dalla loro, non avevano certo la resistenza fisica.

Oscar Testa, dal canto suo, era riuscito ad appropriarsi di una spada e di uno scudo e, come un gladiatore veterano, si faceva onore abbattendo più scheletri possibili. Purtroppo però, gli avversari cominciarono ad essere davvero troppi per loro due.

“Sara cerca di resistere il più possibile. Questi demoni continuano ad aumentare sempre più!” gridò alla giovane donna l’anziano uomo.

La ragazza si voltò un istante verso Oscar che, ormai, era completamente circondato da quei mostri, ma questo fu per lei una rischiosa disattenzione. Di fatti, uno dei suoi avversari riuscì quasi a sfiorarle il collo, riuscendo solo a tagliarle parte della maglia, da cui ora si riusciva ad intravedere la spallina del reggiseno.

“Brutti figli di puttana!” urlò con tutto il suo fiato Sara Silvestri.

 

“Non credevo che qualcuno fosse così avanti per quanto riguarda la scienza robotica! Insomma Carla, hai visto anche te quella donna robot poco fa: movimenti del corpo decisamente molto fluidi, capacità di interagire con le persone attraverso l’emissione vocale, nessuna alimentazione esterna tramite cavi o simili, un ottimo cervello elettronico e poi… vabbe’, devo riconoscere che era dotata anche di una più che ottima riproduzione del corpo umano femminile…” conclamò Stefano, in piena eccitazione.

“Non capisco Stefano come puoi essere così entusiasta di una tale macchina infernale!” sbottò violentemente Carla.

“Beh sai, fa parte del mio lavoro, Carla… diciamo deformazione professionale” le sorrise l’uomo.

“Io spero solo che gli altri stiano e bene e che, il prima possibile, riusciamo ad uscire da questa orrenda struttura!” disse spazientita la dottoressa.

La sfera intanto stava rotolando verso l’entrata di una stanza dove, al suo interno, faceva bella mostra di sé un enorme console. I due scesero e andarono diretti verso tutti quei pulsanti. Notarono subito che, sopra di essi, vi erano quattro enormi schermi, dentro cui riconobbero subito delle figure ormai familiari a loro. Nel primo display Tommaso e Andrea erano sommersi fino ormai alle ginocchia da strane palle pelose, nel secondo Marco e Simone se la vedevano con un gigantesco uomo muscoloso che presentava un particolare colorito verde, nel terzo Rosa e Roberto erano di fronte ad un enorme occhio che riusciva ad emanare un potente raggio laser ed infine, nel quarto ed ultimo schermo, Sara e Oscar erano circondati da scheletri armati come cavalieri. La prima cosa che i due appresero è che, purtroppo per loro, non stavano sognando ma che i propri nuovi compagni erano realmente in difficoltà contro l’assurdo.

“Oh dio misericordioso! Cosa sta succedendo?” esclamò Wilson, sull’orlo delle lacrime.

“Sono i nostri amici, Carla, e sono nei casini!” gli spiegò Noro, continuando ad assistere impotente allo spettacolo.

“È una prova! Non avete ancora capito stolti, è una prova!”

La voce che aveva appena parlato non apparteneva né a Carla Wilson né a Stefano Noro e, accortisi subito di questa particolarità, i due si voltarono, visibilmente preoccupati di ciò che sarebbero andati ad affrontare.

Un vecchio, con la barba ed i capelli bianchi spettinati, vestito solo di stracci ed appoggiato ad un bastone di metallo era dietro di loro. Entrambi cacciarono un acuto grido di spavento, forse addirittura Stefano ne emise uno ancora più acuto di quello della terrorizzata Carla.

La donna però riprese coscienza di sé e domandò al terzo soggetto “Chi sei te?”.

“Non è il momento per queste domande, sciocchi! Pensate piuttosto a salvare i vostri compagni!” li redarguì l’anziano.

“E come possiamo fare?” chiese Noro, tremante e con le lacrime sul viso.

“Vi è un tasto blu sulla tastiera?” rispose con una domanda il vecchio.

“Ma come sarebbe a dire un tasto blu? Eri qui prima di noi e non l’hai cercato?” lo aggredì anche fisicamente l’uomo di scienza.

“Non capisci Stefano…” lo bloccò Carla, indicandogli poi gli le pupille dello sconosciuto “Questo pover’uomo è cieco”.

“Oh… mi scusi…”porse delle timidi scuse Stefano che poi, ricordandosi dei suoi amici in difficoltà e delle domanda del vecchio, si voltò di scatto verso la tastiera e, dopo una rapida ricerca visiva, indicò un punto della console gridando “Ecco il bottone!”.

Il pulsante era in effetti di colore blu scuro ma presentava un problema logistico: si trovava infatti sulla sommità della gargantuesca tastiera, ed arrivarci non era di certo impresa semplice. Inoltre, tutti e tre i presenti non presentavano, nelle proprie caratteristiche, un’altezza ragguardevole.

“Tiratemi su che vado a premerlo!” ordinò improvvisamente Noro.

“Aspetta Stefano, non è meglio che vada io, dato che sono più leggera…” cercò di convincerlo Wilson.

“No Carla, potrebbe essere pericoloso. Forza, aiutatemi a salire” Stefano era più che mai convinto di quello che faceva.

Né Carla né tantomeno il vecchio opposero ulteriori obbiezioni e, seppur con molta fatica, riuscirono ad issare Stefano sul piano inclinato della tastiera, mentre quest’ultimo si sosteneva ad essa aggrappandosi alle fila di tasti presenti. Nonostante fosse quasi del tutto sdraiato sopra di essa, non riusciva ancora a raggiungere il tasto specifico.

“Ancora una spinta e ci sono!” urlò ai suoi aiutanti sotto di lui.

I due, il cieco aiutato anche dalla dottoressa, presero posto ognuno vicino alle suole delle scarpe di Noro e spinsero con quanta forza avevano ancora in corpo. Il tasto fu premuto.

Il flusso dei palloni pelosi smise, il mostro verde si bloccò con la sfera gigante tenuta dalle sue possenti braccia sopra di lui, l’occhio si spense richiudendosi e gli scheletri armati seguirono la stessa sorte del mostro.

Dopo un attimo di riposo, ad occhi chiusi ed ansimante come se avesse affrontato una maratona, Stefano si lasciò scivolare giù ed atterrò morbidamente sul pavimento metallico.

Dopo qualche attimo, qualcosa tornò a balenargli in testa ed iniziò a parlare “A proposito, cos’era quella faccenda della prova, ve…” ma s’interruppe perché l’anziano, a cui voleva rivolgere questa domanda, non era più tra loro. Scomparso.

 

Nel mentre, in tutte e i cinque le stanze, si aprirono delle uscite e le cinque coppie si avviarono verso di esse: Tommaso e Andrea portandosi con loro qualche palla pelosa, Marco andandosi a riprendere il suo coltello di famiglia, Rosa lamentandosi ancora dei suoi jeans rovinati, Sara lamentandosi della sua maglietta tagliata e Stefano e Carla chiedendosi dove potesse essere scomparso il loro reale salvatore.

 

  
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