Un tempo ci sono stati geni che hanno fatto la storia delle fiabe raccontate in tutto il mondo, per poi tramandarle di madre in figlio.
Ora mi chiedo: per quale dannatissimo motivo, ho avuto la brillante idea di mettermi a confronto con questi geni della fantasia? Perché non ho raccontato a mio figlio una semplice storia come quella di Alice nel paese delle meraviglie, Rosaspina, o perché no, Cappuccetto Rosso?
No. Dovevo per forza accontentare la mia mente che brama ormai da tutta una vita di sfogare ciò che tiene svogliatamente assopito, e cioè: la fantasia; raccontando a quel genietto di mio figlio la storia dell'Angelo dai capelli rossi.
È un peccato aver cancellato dalla mia mente quella scorbutica del mio avatar, ché sicuramente mi avrebbe mandata a quel paese con aggettivi a dir poco dispregiativi.
In verità non ho bisogno di lei per capirlo benissimo, quindi lo dico da me: sono un'idiota!
È normale aver pensato, quattro anni fa, che la storiella di Cappuccetto Rosso aveva rotto le scatole persino a Charles Perrault, facendo rivoltare innumerevoli volte le sue ossa nella tomba. E va bene che la fantasia dei bambini è così espansiva che credono a tutto ciò che sentono; però, caspita! Solo io da bambina mi chiedevo se Cappuccetto Rosso era una grandissima idiota miope? In fin dei conti una coperta e una cuffietta non servono granché come travestimenti!
Va bene credere all'evidente cazzata dell'evoluzione e cioè che discendiamo dalle scimmie ( anche se cazzata non lo è. A dire la verità ero molto titubante su questo fatto, ma mi sono ricreduta quando un giorno, a scuola, entrai in bagno e scoprii, involontariamente, e vi giuro che ne avrei fatto a meno, la grande Ambra con un pantalone di pelliccia, per poi scoprire che erano le sue gambe non depilate da non so quanto tempo ), ma cara Cappuccetto Rosso: porca miseria, non vedi che è un lupo? E mi sono sempre chiesta: non è che per caso quelle domande idiote di "che bocca grande che hai...", non erano altro che prese per il culo nei confronti dell'animale? E Lupo, se avevi fame, invece di fare tutta quella manfrina: ingannare la bambina per arrivare primo alla casa della nonna, non potevi mangiartela in quel momento stesso? Così avresti potuto risparmiarti di essere squartato e riempito come un insaccato per poi essere buttato nel fiume. Se fossi stata in te, mi sarei accontentata della focaccia.
È per questo che non ho voluto dire questa emerita cazzata al bambino, perché ogni volta che il gangster la raccontava, non a me ma a Kiki, finiva con la solita morale, e cioè che le bambine devono sempre ascoltare ciò che dicono i propri genitori ( anche se adesso che ho venticinque anni non sono ancora riuscita a concepire: a chi cavolo doveva stare attento il cagnaccio? ). Quello che invece ho capito io: la morale non è rivolta ai bambini, ma al lupo. È il lupo che deve stare attento a ciò che fa, perché non bisogna esagerare, ma accontentarsi di ciò che si ha.
E dopo aver pensato a questa lunga stronzata, nel mentre che guardo Castiel, mi sto chiedendo: perché non mi sono accontentata anche io di raccontare una semplice storia invece di inventarne un'altra? Ed ecco il risultato.
Ora sono veramente messa all'angolo. Lui mi fissa con attenzione, i suoi occhi sembrano penetrare inesorabilmente i miei come per leggermi direttamente nel pensiero e scoprire cosa nascondo.
Sono immobile, impietrita e allo stesso tempo smarrita.
<< Perché non rispondi? >> chiede dopo un po' spezzando il silenzio e facendomi trasalire.
<< N-non capisco di cosa... >>
<< Non azzardarti a continuare la frase! Sai benissimo di cosa parlo. Perché raccontavi di me a tuo figlio? Armin lo sapeva? >>
<< Castiel... >> sospiro << ...hai ragione. Io non ti ho mai dimenticato... Ma non so dirti il motivo per il quale raccontavo quella storia a Etienne, non lo so >> rispondo incerta fissandolo negli occhi, e sperando che non ricominci con le sue domande.
Dal canto suo, mi guarda sospettoso, alzando un sopracciglio.
<< Sarà meglio tornare di sotto... >> soggiungo dopo un po' passandogli di fianco. Prontamente lui mi afferra per un gomito trattenendomi.
<< Non so perché >> sussurra sbuffando un sorriso << ma... Per un momento ho creduto che... >>
Non continua, ma i miei muscoli si irrigidiscono lo stesso, forse percependo quella frase interrotta, quelle parole non dette.
Mi lascia il braccio sbuffando. Abbasso il capo accennando un sorriso malinconico e senza aggiungere altro, scendo le scale lentamente per ritornare in soggiorno, dove Kim e Etienne stanno finendo il presepe. La prima mi guarda inarcando le sopracciglia, si alza avvicinandosi.
<< Che succede? >> chiede.
<< Nulla >> rispondo alzando le spalle.
<< Dov'è Castiel? >>
<< Di sopra >>
<< Perché sei così breve di parola? >>
<< Cosa vuoi che ti dica? >>
Non risponde, la vedo alzare lo sguardo verso le scale.
<< Castiel, che succede? >> chiede. Mi giro vedendo il rosso scendere velocemente con in mano il cellulare.
<< Scusatemi, ma io devo andare >> risponde preoccupato.
<< Perché? >> chiedo, e quella domanda mi esce d'istinto.
<< A-Alain... >>
<< Cos'ha? >> scatto iniziando a preoccuparmi.
<< Mi hanno chiamato dall'ospedale... Devono operarlo di urgenza >>
<< Ma non era prevista per domani l'operazione? >>
<< Ha avuto un'altro attacco >> risponde tutto d'un fiato << E questa volta più forte >>
Strabuzzo gli occhi incredula. Castiel mi fissa, forse cercando di comprendere la mia preoccupazione; poi lo vedo recarsi alla porta aggiungendo un semplice e frettoloso saluto.
<< Castiel! >> esclamo senza accorgermene. Lui si gira << Cosa c'è? >> chiede.
<< I-io... Voglio venire con te! >> esclamo decisa dopo un momento di esitazione.
Lui mi guarda scettico, poi accenna un sorriso annuendo con il capo << ti aspetto fuori, fa presto >> aggiunge con voce flebile.
Mi volto verso Kim e non ho bisogno di parlare, che lei subito afferra Etienne per mano. Quest'ultimo mi guarda e mi dice di tornare presto. Annuisco stampandogli un forte bacio sulla fronte. Poi velocemente salgo le scale per prepararmi.
Viaggiare in silenzio è sempre stato uno dei modi migliori per permettere alla mente di rilassarsi, almeno questo vale per me; purtroppo, in questo preciso istante sto avendo un ripensamento.
Il silenzio che regna nell'auto, mi rende nervosa e alquanto imbarazzata, non riesco a girare la testa per vedere il volto di Castiel. Vorrei tanto sapere che espressione ci alberga; ma d'altronde non mi serve, dato che è la quinta volta che lo sento sbuffare.
<< Cos'hai? >> chiedo prendendo il coraggio a due mani per spezzare questo assordante silenzio.
<< Secondo te? >> mormora.
<< Vedrai che andrà tutto bene >> aggiungo con l'intento di tranquillizzarlo.
<< Perché invece sento che è troppo tardi? >> chiede quasi sibilando.
Questa frase detta con tanta sicurezza, mi fa sobbalzare dal sedile e voltarmi per guardarlo.
<< Che stai dicendo? >> chiedo tremante.
<< Ho detto che è troppo tardi! >> risponde spazientito.
<< Non dire cazzate, Castiel... >>
<< Ma lo vuoi capire che quell'idiota ha fatto passare troppo tempo?! >> urla accelerando.
<< Si salverà! Non puoi pensare al peggio proprio adesso! >> ribatto a tono.
<< Maledizione >> sussurra a denti stretti, girando il volante verso destra, rallentando per poi fermarsi.
<< Che fai? >> chiedo curiosa, mentre lui scende dalla macchina, sbatte lo sportello e si appoggia ad esso. Rimango allibita dal suo gesto, così scendo anche io, piazzandomi di fronte a lui che nel frattempo si è acceso una sigaretta.
<< Che diavolo fai? Tuo cugino dovrà operarsi e tu ti fermi per fumare una fottuta sigaretta?! >>
<< Sta zitta... >> sussurra strofinandosi gli occhi.
<< Tu sta zitta a me non lo dici! >> esclamo stizzita non solo da quelle parole, ma anche dal suo comportamento. Scatto in avanti strappandogli la sigaretta dalle mani e gettandola con un gesto violento a terra.
Lui termina il gesto con le dita allontanandole dagli occhi, ed è li che vedo, oltre a un barlume di tristezza, due specchi d'acqua.
<< Stai piangendo? >>
<< Non dire stronzate! >> risponde dandomi le spalle, mettendo le braccia incrociate sulla cappotta dell'auto e poggiandovi sopra il mento.
Mi avvicino lentamente allungando una mano per sfiorargli la spalla destra, ma esito, e non ne capisco il motivo. Scendo la mano lungo il fianco e la stringo a pugno.
<< Perché deve andare così? >> chiedo triste.
<< Che dici? >> ribatte lui senza voltarsi.
<< Perché non può essere come prima? >>, stringo gli occhi per resistere al bruciore delle lacrime << Castiel... I-io... >> balbetto accennando due passi verso di lui. Riallungo le mani, e questa volta mi spingo oltre senza alcuna esitazione: gli accarezzo le spalle, per poi affondare il mio corpo sul suo, sentendolo trasalire sotto il mio tocco.
<< I-io non ce la faccio... >> sibilo sicura che lui non mi abbia sentita.
<< Ho paura >> lo sento dire, in contrapposizione alle mie parole.
Distacco subito il viso da lui, fissando sbalordita le sue spalle. È la prima volta in tanti anni che lo sento dire una cosa del genere.
<< Castiel... >>
<< È come quando te ne andasti quella sera, lasciandomi per sempre >> aggiunge con voce roca. Indietreggio lentamente.
<< È come quando vidi venirti incontro Etienne dopo averti chiamata mamma... >> continua voltandosi verso di me, e anche se la sua voce lo nasconde bene, i suoi occhi non ci riescono: sta piangendo.
<< È come quando sento si perdere ciò che più amo... Ho paura, Rea >> conclude afferrandomi le spalle, e abbracciandomi.
Poggio l'orecchio sul suo petto, sentendo il cuore battergli all'impazzata.
<< È la prima volta che dici una cosa così >> sussurro permettendo agli occhi di lasciare cadere qualche lacrima.
<< Non lasciarmi Rea... Non farlo anche questa volta >> continua stringendomi forte. Non rispondo e ricambio quella stretta. Chiudo gli occhi inebriandomi del suo travolgente profumo.
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