CAPITOLO 14
“Sogni
d’oro”
La stanza dove erano appena
entrati era notevolmente più piccola rispetto alle precedenti. Sembrava fatta
apposta per una decina di persone e non di più.
“Siamo finiti in un loculo?”
ironizzò sarcastico Andrea mentre, come gli altri, osservava le pareti tutte
attorno.
In sua risposta, dagli ormai
tristemente conosciuti buchi sulle pareti, iniziò a fuoriuscire il letale gas
verde. Il gruppo andò nel panico.
Marco Sciullo batteva
violentemente le mani contro la porta, che ormai si era richiusa alle loro
spalle, gridando “Aprite! Vi prego!”.
Tutti cercarono di tamponarsi le
proprie vie respiratorie, inutilmente. Sette uomini e tre donne caddero in un
sonno profondo.
Sara sognò un volto che non
vedeva da tanto.
“Oscar! Ciao amore, come stai?”
gli corse felice tra le braccia.
I due si baciarono
appassionatamente.
“Io bene e tu, tesoro?” le
domandò il giovane, appena staccatosi dalle sue labbra.
“Benissimo, ora che sei qui con
me!” la bionda era al settimo cielo “E gli altri come stanno?”.
“Stanno tutti bene. Sai ti
stavano aspettando per…” ma le sue parole vennero bloccate da una nuova
voce.
“Fai presto a dimenticare le
persone che davvero hai amato, Sara!”.
Lei si voltò e vide un altro
ragazzo, vestito con un logoro impermeabile marrone, che la fissava furioso.
“B-Bruno! C-Che ci fai tu
qui?”.
“È un piacere rivederti anche per
me, biondina! Guarda dove ti ho portato…” le disse, indicandogli un punto da
guardare.
La ragazza si girò verso di esso
e vide un lugubre ed oscuro fabbricato aziendale.
Tommaso sognò i suoi compagni
dell’oratorio impegnati, insieme a lui, nella più classica delle loro illimitate
partite.
“Tom” richiamò l’attenzione
dell’attaccante, uno di loro “C’è della gente che vuole parlarti”
Il giovane, sorpreso, si diresse
verso la coppia di persone, entrambe vestite in maniera molto elegante.
“È lei il signor Orsi? Piacere di
conoscerla. Noi siamo degli osservatori del Futbol Club Barcelona e siamo qui
per proporle un contratto con la nostra squadra”.
“Sul serio?” chiese allibito
l’interessato.
“Assolutamente! Se vuole può
firmare il contratto anche subito. Così poi partiamo direttamente per la
Catalogna”.
In un attimo, il calciatore si
trovò ad indossare la gloriosa maglia blaugrana, inserendosi alla perfezione nel
loro stile di gioco, denominato “Tiqui-Taqua”. Grazie a ciò vinse anche il
Pallone d’Oro.
Come giusta conseguenza, fu
convocato in nazionale, tra le congratulazioni di quella che doveva essere la
sua compagna di vita.
“Mi raccomando, ti affido le
sorti della squadra!” lo spronò il C.T., mettendogli personalmente la fascia di
capitano al braccio.
In una combattuta finale contro
la Germania, con lo stadio gremito fino all’inverosimile, riuscirà infine ad
alzare al cielo la Coppa del Mondo.
Andrea sognò di sudare freddo,
sotto un passamontagna nero, mentre metteva tutta la sua concentrazione nel
disinnesco di un allarme antifurto. Dopo minuti che sembravano ore, la
moltitudine di sottili raggi laser rossi si spense all’unisono.
“Fiu…” tirò un sospiro di
sollievo il ladro.
“Eh bravo il mio Lupo!”.
A causa di quella voce
improvvisa, l’interessato sobbalzò vistosamente. Di scatto si voltò, trovandosi
davanti una bellezza mozzafiato, dai folti capelli ramati e il seno estremamente
prosperoso.
Rimasto notevolmente colpito da
lei, il fuorilegge si tolse l’indumento dal viso “Che ci fai qui,
Federica?”.
“Ma come? È da tanto che non mi
vedi e mi accogli così freddamente?” s’incupì lei.
“Beh, se non altro, vedo che sei
ancora in forma” disse l’uomo, indugiando con lo sguardo sul suo generoso
decolleté.
“Certo, cucciolone! Sennò dove
potrei mettere questo bel diamante?” lo provocò, mostrandogli il suo stesso
prezioso obiettivo e, come anticipatogli, infilandoselo trai suoi seni sodi.
“Non preferiresti metterci
qualcos’altro, tra quelle tue boccione?” le propose il delinquente, sempre più
eccitato.
“Mmmm… magari un’altra volta. Ora
è meglio che alzi le mani, invece”.
“Eh? Cosa? Perché?”.
Improvvisamente, l’allarme si
mise a risuonare rumorosamente. Nel giro di qualche secondo, tutto il salone fu
pieno di poliziotti.
“Metti le mani in alto, Lupo!”
Ordinò urlando l’agente Roberto Santucci.
Mentre obbediva alle forze
dell’ordine, Andrea apostrofò Federica Minieri con un “Brutta puttana!”.
Roberto sognò, a differenza della
sua nemesi, tutta un’altra ambientazione. Era infatti al giorno del suo
promozione ad agente di polizia.
“Congratulazioni, signor
Santucci!” diceva entusiasta il suo superiore, mentre gli stringeva
vigorosamente la mano.
“È un onore, signore!” rispose
fiero il neo sbirro.
“Questa se l’è davvero meritata!”
sentenziò il maestro di cerimonie, mentre gli consegnava l’arma d’ordinanza.
Per festeggiare, l’uomo si recò
al bar gay dove aveva alcune conoscenza, assolutamente solo a livello
platonico.
“Dai Robertuccio... fai come
fanno i cowboy!” lo invitava un'euforica Maria.
L’interpellato, divertito egli
stesso, fece roteare la pistola sul suo dito indice, facendo perno con
l’occhiello del grilletto. Tale azione fece urlare di giubilo tutti i travestiti
e transessuali presenti nel locale. Senza che il piedipiatti se ne accorgesse,
un uomo di colore gli si fece vicino.
“Mr. Santucci, noi la vogliamo
nella nostra squadra” gli rivelò il tipo, con un forte accento americano.
A capo della sua nuova squadra
internazionale, l’italiano si trovò subito a dover salvare, da una banda di
terroristi, una sua connazionale: la giovane attrice Rosa Simone.
Con un’azione furtiva, tutti i
malviventi furono arrestati.
Infine, l’agente speciale andò a
liberare l’ostaggio “Sei salva ora, Rosa!”.
“Oh grazie, Roberto!” la donna
gli si gettò tra le braccia in lacrime “Non sai che paura di morire ho avuto!
Come potrò mai sdebitarmi?”.
“Beh…” l’uomo ci pensò un po’ su
“che ne dici se, intanto, mi fai palpare un po’ questo tuo bel seno!”.
“Porco!” lo schiaffeggiò
violentemente al volto l’artista.
In pochi attimi, il nostro eroe
si trovò di colpo accusato di molestie sessuali ai danni di una personalità del
mondo dello spettacolo. Ciò provocò la sua incarcerazione immediata, con molti
detenuti pronti a fargli la festa.
Rosa sognò di essere al giorno di
presentazione nella sua vecchia scuola di cinema, ben lontana da cellule
terroristiche e poliziotti maniaci.
“Ciao a tutti! Io mi chiamo
Alessandro Ania!” esordì un giovane nelle sue vicinanze “Sono qui perché, dato
che pratico da molti anni il karate, pensavo di lavorare come stuntman e poi,
grazie al vostro corso di recitazione, poter diventare un vero e proprio attore
di film sulle arti marziali”.
In effetti, come notò anche
l’interessata, quel ragazzo aveva davvero un bel fisico.
“Buonasera a tutti” Proseguì un
altro ragazzo “Mi chiamo Nicola Coralli e sono appena rientrato da sei mesi di
studio alla Scuola d’Arte di New York. Perciò, spero di poter mettere la mia
preziosa esperienza a vostra completa disposizione”.
La Simone, nonostante seguisse
l’esempio di tutti ed applaudisse, rimase particolarmente schifata dalla
spocchiosità dell’ultima persona che aveva appena parlato.
“S-salve a t-tutti…” iniziò una
ragazza con cui, poco prima, la
stessa Rosa aveva chiacchierato, nell’attesa che fossero tutti convocati
nell’aula magna “I-il mio n-nome è Francesca Masini e-e sono qui perché il mio
sogno è sempre stato quello di recitare. Anche se sono molto emozionata e
riconosco di aver molte lezioni di dizione da fare...” confessò, sorridendo
timidamente, queste ultime parole.
Per tutto il tempo della sua
presentazione, quest’ultima aveva tenuto le dita di entrambe le mani strette,
come quasi a strozzarle, sugli orli delle maniche della sua maglietta
celeste.
Poi fu finalmente il turno della
nostra protagonista.
“Buonasera a tutti! Io sono Rosa
Simone e diventerò una stella!” proruppe la giovane, creando tutto attorno a sé
una luce ultraterrena che la illuminava radiosa.
Scattò un’enorme standing ovation
da parte di tutti i presenti.
Carla sognò di essere tranquilla
nel suo appartamento. Fuori dalla finestra la pioggia batteva ritmicamente sul
vetro, mentre lei si scaldava le mani afferrando saldamente una tazza piena di
cioccolata calda. Nell’attesa, si fissò a guardare le foto dei suoi parenti
inglesi attaccate con una calamita al frigorifero.
Di colpo, il suo gatto saltò sul
tavolino accanto al quale era seduta la donna, facendola sobbalzare dallo
spavento.
“Ah! Sei tu, micio…” sospirò
lei.
Il felino, come per risponderle,
miagolò dolcemente.
La giovane sbuffò “Uff… non
sopporto proprio le giornate piovose!”.
“A me invece non dispiacciono
affatto!”.
L’infermiera sgranò gli occhi,
per comprendere meglio da dove fosse provenuta quella voce improvvisa. Eppure
era certa di essere sola in casa.
“C-Chi ha parlato?”.
“Secondo te, chi può essere
stato?”.
Wilson scattò indietro con la
sedia, il più lontano possibile dal ripiano dove, con uno sguardo flemmatico, il
micio la osservava tranquillo.
“T-Te s-sai parlare?” tentò un
nuovo approccio l’umana.
“Certo. Tutti quelli della mia
banda lo sanno fare”.
“D-Di che banda stai
parlando?”.
“Della mia. Ci facciamo chiamare,
anche se con poca originalità, I Gatti. E siamo ben quarantaquattro”.
Carla rimase un attimo
perplessa.
“Ma mi stai prendendo in
giro?”.
“Affatto! Se vuoi ti posso
raccontare tutta la nostra storia…”
“Perché no! Tanto non ho niente
da fare al momento”.
“Benissimo! Gradisci per caso un
topolino?”.
Simone sognò di essere nuovamente
nella base militare che, da almeno cinque anni, lo ospitava. Gli era appena
stato comunicato che un suo collega, Carlo Vullo, lo stava cercando con una
certa urgenza, molto probabilmente per assegnarli una nuova rischiosa missione
in qualche parte del globo.
“Soldato Sarti, benvenuto” lo
accolse il biondo ufficiale.
“Mi ha fatto chiamare, Signore?”
chiese subito il nuovo arrivato.
“Affermativo. Ho scelto lei per
una missione con un alto livello di rischio”.
“Di che si tratta, Signore?”.
“In sintesi, nelle prossime
settimane dovrà occuparsi della protezione di un soggetto, la cui morte potrebbe
mettere in pericolo la sicurezza nazionale, che ora si trova esattamente alle
sue spalle” nel dire queste ultime parole, il militare indicò all’altro di
voltarsi.
Sarti, molto sorpreso dal non
aver nemmeno percepito la presenza di una terza persona nella stanza, rimase
sbigottito da ciò che si trovò davanti. Una ragazzina, circa sui 15-16 anni, di
chiare origini asiatiche, che stava tranquillamente trafficando con il suo
cellulare.
La scena si ripeté.
“Soldato Sarti, benvenuto” lo
accolse nuovamente il biondo ufficiale.
“Mi ha fatto chiamare, Signore?”
chiese nuovamente il nuovo arrivato.
“Affermativo. Ho scelto lei per
una missione con un alto livello di rischio”.
“Aspetti un attimo… un’altra
missione?”.
“Affermativo. Lei è il nostro
uomo migliore”.
“Di che si tratta, Signore?”.
“In sintesi, abbiamo appena
ultimato la progettazione della più completa tuta mimetica che potesse essere
mai creata. Perciò, vogliamo che ora sia lei a testarla. Trova l’equipaggiamento
attaccato al muro alle sue spalle”.
Sarti si voltò, trovandosi
davanti l’enorme costume di una mascotte da parco giochi, nello specifico
un'inquietante talpa antropomorfa.
Stefano sognò la realizzazione
del suo più grande desiderio.
Dopo ore nel più tetro dei
laboratori scientifici che si possa immaginare, l’uomo urlò “Ce l’ho
fatta!”.
Sdraiata su di un tavolo, vi era
una donna con un corpo pressoché perfetto. Ad una più attenta osservazione,
però, ci si accorgeva che la sua pelle aveva un che di artificiale.
“Perfetto! Unità Marialis,
attivati!” ordinò serio lo scienziato.
Non accadde nulla. Noro rimase
immobile ad attendere.
Spazientito, ripeté l’ordine
“Unità Marialis, attivati!”.
L’androide spalancò di colpo gli
occhi, prendendo quasi in contropiede lo stesso creatore. Rapidamente si mise a
sedere sul tavolo.
L’ometto le si fece vicino “M-Mi
senti, Marialis?”.
Come se si fosse appena accorto
della sua presenza, il cyborg si girò di scatto verso di lui.
“Sai chi sono io, vero?”.
Lei ruotava il viso, tenendo
sempre le pupille fisse sull’essere umano.
“Sei uno stronzo?”.
La persona appena offesa rimase
allibita.
“N-No io sono Stefano, cioè il
dottor Noro, il tuo creatore” cercò di correggerla.
Il robot continuava ad osservarlo
senza proferire altre parole. Improvvisamente, gli si lanciò contro,
abbracciandolo forte.
“Dottore sei il mio eroe!”.
Il dottore si godé felicemente
quell’abbraccio, nonostante il corpo femminile di Marialis non fosse stato
caratterizzato fin nei minimi dettagli.
Oscar sognò di essere tornato
all’università di medicina, dove aveva trascorso i primi anni successivi al
diploma, prima di scegliere la vita politica. In un attimo, lo scenario mutò in
una gigantesca tavola rotonda. Seduta attorno ad essa, vi era tutta una serie di
personaggi, uno più assurdo dell’altro.
“Il governo ci tratta tutti come
automi!” esclamò un robot.
“Preghiamo per le loro anime”
invitò un prete.
“E perché dovremo? Ci stanno
dissanguando!” protestò un vampiro.
“E ora che cominciamo a fare la
parte dei leoni!” sentenziò un uomo, caratterizzato proprio della faccia di un
leone.
“Ai miei tempi, certe cose non
capitavano” ricordò un anziano, vestito con l’inconfondibile uniforme da gerarca
nazista.
“Signori, vi prego, uno alla
volta!” s’intromise Testa “Possibile che troviate le energie soltanto per
protestare? Dovreste, invece, utilizzare tutte le vostre forze per cercare di
cambiare questo mondo che non va”.
“Perché allora non ci dai una
mano tu?” gli domandò una donna con i capelli, gli occhi, il rossetto ed il
vestito scollato tutti del medesimo colore: rosso fuoco.
“Sono contento che me lo abbia
chiesto, signorina. Ebbene, io sono pronto a schierarmi con qualsiasi giovane
volenteroso, che abbia inoltre le giuste idee”.
La signora, come reazione a
quelle parole, gli sorrise smagliante e, aprendo le proprie braccia, s’infuocò e
spiccò il volo.
Il sogno di Marco era decisamente
il peggiore, soprattutto per lui medesimo. L’imprenditore era totalmente avvolto
dall’oscurità.
“Aiuto!” urlava disperato “Vi
prego, aiutatemi ad uscire di qui!”.
Ogni tanto, ad illuminare
brevemente il buio, comparivano dei lampi di luce azzurrognola.
“Aiuto! Aiuto! Aiu…”.
Alla fine, in suo soccorso,
arrivò un calcio sferratogli da Lupo.
“Idiota! Ti decidi a
svegliarti?”.
“Fermati Andrea!” lo allontanò
Wilson “Come stai Marco? Hai avuto un incubo?”.
“Decisamente” le rispose un
ancora assonnato Sciullo.
“Questa francamente non l’ho
capita…” esclamò Silvestri.
“Io spero solo che non ci abbiano
fatto nulla mentre eravamo addormentati” esclamò Rosa.
“Comunque sia andata, preparatevi
perché ci dobbiamo muovere” ordinò Santucci, mentre insieme agli altri nove
attendeva il termine dell’apertura della porta.
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