Capitolo 8
Passarono due giorni, Ville
stette parecchio a casa di
Paula, dato che aveva ripreso a lavorare al progetto insieme a Lauri,
così io
ne approfittai per poter passare del tempo con la mia amica, che avevo
trascurato quest’ultimo periodo, troppo intenta a cercare
delle risposte
impossibili. Avevo proprio bisogno di lei, di una figura femminile che,
come
una sorella, mi guidasse passo dopo passo, pronta ad affrontare
qualsiasi
pericolo. Era preziosa più del diamante più
costoso e meraviglioso che si
potesse trovare in natura. Nonostante la presenza di Paula, nel mio
corpo
continuava a regnare il caos, le due grandi entità a volte
mi davano un momento
di respiro, acquietando le loro forze irrequiete per un istante, per
poi
scatenarla in maniera più violenta, senza alcuna
pietà per il mio povero animo,
troppo stanco per sopportare ancora. Stetti poco insieme a Ville, anche
perché
avevo ancora bisogno della nostra intimità, nonostante Lauri
e Paula avessero
capito tutto, volevo conservare gelosamente il fatto che ci vedevamo,
come
un’adolescente che nasconde ai proprio genitori la sua prima
infatuazione e
anche perché la ragione, superiore e brutale, mi faceva
ricordare tutte le
sofferenze recatomi, facendomi sempre più male.
Quella sera me ne stavo seduta
sulla sedia della sala da
pranzo, intenta a chiacchierare del più e del meno con Paula
e Lauri, entrambi
abbracciati sul divano, quando ad un tratto ricevetti una chiamata da
Ville,
che mi diceva di scendere dato che era venuto a prendermi. Salutai i
miei amici
ed uscii di casa. Lo vidi dentro la macchina, con una mano fuori dal
finestrino, in cui teneva una sigaretta fumante. Salii in macchina,
senza dire
nulla e lui fece lo stesso. Non riuscivo a capire cosa stesse
accadendo, una
confusione enorme si impossessò di me, riuscendo per un
attimo a placare il
combattimento interiore. Arrivammo a casa sua, Ville prese le chiavi ed
aprì la
porta. Vidi sopra il tavolinetto, posto davanti al divano in pelle
bianca, due
bicchieri di vetro riempiti con del Jack Daniel’s. Sembrava
avesse programmato
un qualcosa di cui io, come sempre d’altronde, non ne ero a
conoscenza, la
misteriosità che lo contraddistingueva però mi
aveva sempre affascinata e fatto
innamorare come non mai. Ville mi precedette, sedendosi sul divano, con
la sigaretta
ancora in bocca, fece cenno con la mano di avvicinarmi a lui.
Sinceramente
avevo paura, non potendo nemmeno immaginare che cosa avesse in mente,
sentivo
il cuore battermi in gola e il mio corpo iniziò a tremare
tutto, impedendomi
qualsiasi movimento netto e deciso, la mia mente fu pervasa da mille
possibilità, centinaia di domande infastidivano il mio animo
che cercava in
tutti i modi di raggiungere la tranquillità tanto agognata.
Per la forza di
inerzia, riuscii a muovere i primi passi, raggiungendolo sul divano.
Senza dire
una parola mi porse il bicchiere pieno di liquore, mentre con
l’altra mano
buttava via un po’ di cenere, facendola cadere elegantemente
dentro al
posacenere. Avvicinò il suo bicchiere al mio, facendoli
sbattere insieme delicatamente
per poi portarselo verso la bocca e bere un po’ di Jack.
Rimasi immobile, non
avevo neppure la forza di avvicinarmi il bicchiere, ero troppo agitata
per bere
e rilassarmi, volevo sapere a cosa dovevo tutto questo. Ville spense la
sigaretta dentro il posacenere, buttando fuori l’ultima
coltre di fumo, poggiò
il calice sul tavolinetto e mi guardò. I suoi occhi di
ghiaccio mi lacerarono
la carne, aprendo una ferita che difficilmente si stava rimarginando,
fui
catapultata indietro nel tempo, al giorno cui mi confessò il
suo tradimento e
tutto quel contesto sembrava essere talmente reale da far lacrimare i
miei
occhi ancora una volta. Posai il bicchiere sopra il tavolo e feci per
andarmene, se non fosse per il fatto che Ville mi afferrò
per un braccio e mi attirò
a sé, stringendomi tra le sue braccia, come volesse
proteggermi, ma purtroppo
ora non ero in grado di vederlo come l’uomo capace di
regalarmi la
tranquillità, in mente mi era ritornata la figura
dell’assassino che aveva
ucciso il mio cuore e se aveva ora intenzione di farlo di nuovo, che lo
facesse
all’istante.
-Perché cerchi
sempre di evitarmi? Non riesci ancora a
capirlo che più ti nascondi da me, più il tuo
cuore batte più faticosamente?
–domandò poggiando le mani sulle mie guance,
alzando il volto verso di lui.
Notò i miei occhi bagnati ed arrossati, con i pollici li
asciugò, accennando un
leggero sorriso.
-Ville … -esclamai
staccandomi dalla sua presa, abbassando
lo sguardo, sfuggendo da quegli occhi di ghiaccio che continuavano a
fissarmi
con fare interrogativo, cercando di capire perché mi stessi
nascondendo.
Il cuore mi implorava di
rilassarmi, di stargli accanto,
poiché aveva bisogno di ossigeno e linfa per poter adempire
ai proprio compiti,
mentre il cervello mi avvertiva di stargli lontana, mi stuzzicava tutti
i
lividi segnati sul mio animo, supplicandolo di smettere, tanto era il
dolore e
la pena che stavo provando.
-Ho paura … paura
che tu possa ancora farmi del male
–risposi prendendo coraggio, sfiorando i suoi occhi, che mi
penetravano sempre
più fin dentro le viscere –cerco sempre in tutti i
modi di poter vivere questo
agognato presente, di rilassarmi il più possibile, ma
puntualmente i pensieri
riaffiorano, ricordandomi quanta sofferenza ho provato …
-proseguii con voce
tremante. Stavo piangendo di nuovo e mi maledii ancora,
perché non volevo farlo
davanti a lui.
Il ragazzo si
avvicinò a me, facendomi indietreggiare sul
divano, fino a che non fui bloccata dal bracciolo. Ero in trappola,
qualsiasi
tentativo di fuga fu vano. Sentii il respiro di Ville sopra di me, il
suo corpo
sopra il mio, la sua bocca a un centimetro dalla mia fronte.
Carezzò la
guancia, scendendo fino alle spalle, i fianchi, si spostò
verso la pancia
assente, andò sotto la mia maglia, salendo fino al cuore,
dove poggiò la mano.
Sorrise.
-Perché ti rifiuti
sempre di ascoltarlo? Hai bisogno della
mia presenza per far sì che lui batta senza nessuna fatica
–avvicinò la bocca
alle mie labbra, senza toccarle –Ary mettitelo bene in testa,
sei stata
affidata a me ed ogni volta che cerchi di evitarmi, diventi debole
istante dopo
istante, perché tu hai bisogno di me, tu …
-proseguì poggiando l’altra mano
sotto la mia maglia –non potrai mai smettere di amarmi
–concluse baciandomi.
Colpita. Stesa. Affondata
ancora una volta. La ragione
continuava ad essere dalla sua parte, mostrando di nuovo la sua
superiorità.
Dannazione perché non poteva sbagliare almeno una volta?
Perché doveva
conoscere tutti i miei pensieri così bene? Più lo
odiavo e più l’amore nei suoi
confronti accresceva sempre di più, raggiungendo livelli
estremi. Ero
totalmente schiava del suo volere, imprigionata nel vortice del suo
amore,
senza nessuna via di fuga. Una passione immensa e incessante, coinvolse
entrambi i nostri corpi, facendoci alzare dal divano, senza rompere
quell’armonia, che si creava ogni volta che le nostre bocche
si sfioravano,
acquietando il dominio della ragione, lasciando libero sfogo al cuore e
al
desiderio. Eravamo totalmente estranei dal mondo terreno, catapultati
in un
universo tutto nostro. Senza neppur renderci conto ci ritrovammo in
camera da
letto. Ville mi adagiò sul letto, togliendomi i pantaloni,
mentre io gli
sfilavo la maglia, in meno di un secondo eravamo già nudi,
pronti ad unirci di
nuovo. Il ragazzo poggiò il suo bacino contro il mio,
portando la sua bocca
accanto al mio orecchio, mentre con una mano mi carezzava la fronte.
-Sei mia, ricordalo
–mi sussurrò dolcemente, sorridendo.
Non ci furono più
parole, tutta la magia che veniva
creandosi era animata dal movimento dei nostri corpi che si dimenavano
insieme,
ubbidendo alla passione loro padrona, che li guidava nel tortuoso
cammino del
desiderio. Gli ansimi leggeri e delicati andavano rompendo il silenzio
della
stanza, colorando sempre di più quell’atmosfera di
pace che finalmente era
riuscita a mostrarsi, dopo un caos incessante, in tutta la sua essenza.
I
pensieri smisero di tormentarmi, completamente abbandonata
all’amore e alla
passione, mi dimenticai del male subito, del fatto che Jonna sarebbe
tornata
tra pochissimi giorni. Nulla, non mi importava più di nulla.
Fare l’amore con
lui mi faceva dimenticare ogni cosa, riuscivo solo a ricordare quanto
stessi
bene, quanto fosse essenziale per me sentirlo sul mio corpo, viverlo.
Le ferite
si rimarginavano, il dolore si placava, tutto quanto riacquistava forza
e
vigore, come tanti anni fa.
Dentro di me regnava la pace
perpetua, il conflitto tra le
grandi potenze sembrava essere cessato, interrotto dalla passione che
con la
sua saggezza e forza riusciva a trovare un compromesso tra le due.
Stirai le
mie piccole e corte gambe, intrecciandole con quelle chilometriche di
Ville che
mi guardò sorridendo, mentre con la mano sinistra giocava
con i miei ricci
castano ramato, intrecciandovi le dita come se fosse un bambino. Gli
carezzai
il braccio completamente tatuato con l’indice, mentre con la
coda dell’occhio
scrutavo il suo esile corpo, caratterizzato da un eccessiva magrezza,
non che
il mio fosse da meno in quest’ultimo periodo, dato che volevo
raggiungere i
canoni fisici di una ballerina. Il ragazzo sorrise, socchiudendo
leggermente
gli occhi. Avvicinò il volto al mio petto ancora scoperto,
poggiandovi
delicatamente.
-Ary, l’unico modo
per uscire da queste ansie è fidarti di
me –esclamò poggiando la mano destra sul mio seno
sinistro –la ragione, non
volendo essere messa da parte, cercherà sempre di ricordati
tutto il dolore e
le ferite che ti avevo provocato e che, purtroppo, so che sanguinano
ancora
–proseguì cingendomi i fianchi con le braccia
–sappi che non voglio farti del
male, non potrei mai perdonarmelo –mi strinse a
sé, dandomi un leggere bacio
sul ventre.
Per la prima volta, sentii la
sincerità in quelle parole,
entrandomi in testa e facendomi ricordare quanto io lo amassi alla
follia. Ora
come ora, l’unica cosa da fare era quella di accettare il
fatto di essere sua,
di appartenergli ormai fino alla morte, cercando di viverlo al meglio
in questo
arco di tempo, provvedendo dopo a leccare le nuove ferite che mi
sarebbero
state inflitte. Sì era certo che avessi sofferto di nuovo,
perché Jonna sarebbe
tornata a tormentare la mia vita, schiacciandomi sotto la sua
prepotenza, ma mi
resi conto che preferivo morire dal dolore piuttosto che non poter
vivere al
suo fianco in queste due settimane che il destino mi aveva regalato,
quasi che
iniziavo davvero a crederci a tutti questi concetti metafisici. Mi
stirai le
braccia, per sciogliere un po’ la tensione, mi accoccolai
vicino a lui,
sentendo il suo odore entrarmi nelle vene, il quale cullava ogni parte
vitale
fino ad addormentarla. Ville mi diede un delicato bacio sulla fronte,
facendomi
leggermente rabbrividire, tanto era la freddezza delle sue labbra, per
poi
stringermi in un abbraccio, poggiando il suo mento sopra la mia testa.
-Buonanotte Darling
–disse per poi chiudere gli occhi
assieme a me.
Fu la notte più
bella che avessi mai passato assieme a lui,
stretta al suo corpo perfetto, accoccolata in quell’abbraccio
che non si
sciolse fino al mattino. Ero riuscita a contare i suoi respiri, i
battiti
incessanti del suo cuore, che a volte sembrava battesse in sincronia
con il
mio, il quale appagato e soddisfatto, stava riacquistando tutta
l’energia di
cui aveva bisogno. Era tutto così perfetto, tutta
l’atmosfera profumava di una
vicenda già vissuta, che rinsaviva il mio animo, cullandolo
nelle dolci braccia
del passato, così lontano da poter raggiungere di nuovo. Il
giorno seguente mi
sveglia rilassata, poggiai una mano nella parte del letto dove dormiva
Ville,
per accertarmi della sua presenza. Vuoto, probabilmente si era
già alzato. Feci
un enorme sbadiglio e mi sgranchii le gambe, allungandole quanto
più potevo.
Girai lo sguardo verso il comodino, trovandovi una tazza di
caffè latte, ancora
fumante. Sorrisi felice, soffiai sulla bevanda e ne bevvi un sorso.
Avvertii un
leggero strimpellio di chitarra provenire dal salone, accompagnato da
una voce
cupa e penetrante che mi entrava in testa, risvegliando le viscere
più
profonde. Mi alzai dal letto, rivestendomi con i miei soliti jeans ed
una
maglia rossa bordeaux a maniche lunghe. Presi la tazza dal comodino e
raggiunsi
Ville in cucina. Lo ritrovai seduto sul divano, a dorso nudo, vestito
solo un
paio di pantaloni neri strettissimi. Le sue mani carezzavano le corde
della
chitarra con estrema decisione, ricercando l’accordo
più perfetto per la sua prossima
composizione. Non era solo, Bam era venuto a fargli visita, intento ad
ascoltare con precisione la nuova melodia. Vestito sempre con i suoi
jeans
larghi ed una maglia a maniche lunghe grigia, dove la centro vi era
raffigurato
un Heartagram. Alzò lo sguardo verso di me, non sorpreso di
vedermi lì,
sorridendo.
-Buongiorno splendore!
–esclamò salutandomi con la mano.
Ville girò il capo in mia direzione, augurandomi il
buongiorno con un soave
sorriso che fece vibrare ogni parte del mio corpo, perfino le
più piccole
cellule in fase di duplicazione. Bam si alzò in piedi e,
facendo come fosse a
casa propria, andò in cucina per poi tornarsene con due
bottiglie di birra
ghiacchiate. Una ne tenne in mano e l’altra la
posò sul tavolinetto per Ville.
Ancora mi chiedevo come facevano a bere alcol a prima mattina, al solo
pensiero
mi saliva la nausea.
-Qualcosa non va,
Ary?–chiese Bam annuendo alla smorfia
apparsa sul mio volto. Ville per tutta risposta si mise a ridere,
prendendo la
bottiglia, sorseggiandone un po’.
-Lascia stare, è una
leggerina –esclamò scherzando
–è una
creatura delicata lei, ha bisogno del suo bel latte e caffè
caldo e fumante, al
solo vedere un goccio di birra la mattina, le se attorcigliano i
visceri,
facendola quasi vomitare –concluse guardandomi di nuovo,
colpendomi con quegli
occhi.
Maledettamente ragione, di
nuovo. Mi conosceva davvero
troppo bene, non avevo ormai più segreti per lui, ricordava
perfino le piccole
gesta quotidiane che caratterizzavano il mio vivere. Per tutta risposta
sorrisi, mi faceva piacere il fatto che rimembrasse ancora le cose
più
semplici, che non mi avesse mai dimenticato? Non potevo saperlo, non ne
ero in
grado, troppo ancorata al mondo della razionalità meschina.
Ville appoggiò la
chitarra ad un bracciolo del divano, si
alzò in piedi e, venendomi vicino, mi strinse in un
abbraccio, come per
aiutarmi a svegliarmi, ancora troppo assonnata. Bastò essere
di nuovo tra le
sue braccia per scacciare un altro nuovo dubbio dalla mia mente,
facendo
respirare il mio animo. Il mio corpo era totalmente rilassato,
abbandonato in
quella stretta che sembrava non allentarsi mai. Le sue labbra gelide si
posarono sulla mia fronte, marcandomi con un delicato bacio, segnando a
vita la
mia appartenenza a lui.
-Buongiorno Darling
–esclamò con la sua voce cupa e
penetrante, svegliando pian piano anche le parte più
dormienti del mio corpo.
-Ciao Ville –gli
risposi sfiorandogli il naso, potendo
avvertire il suo respiro ed il suo odore, tanto piacevoli quanto
pericolosi
allo stesso tempo.
La tranquillità,
quanto l’avevo cercata ed era davvero
incredibile che riuscissi a raggiungerla solo accanto a lui,
all’uomo che mi
uccideva e mi faceva sentire viva allo stesso tempo. Era tutto
così strano, ma
maledettamente perfetto, tanto da dimenticare che non fosse mio,
ritornando
indietro nel tempo, quando la mattina Bam si precipitava a casa nostra,
facendo
colazione con noi, interrompendo sempre la nostra intimità,
ma a noi non
importava, perché sapevamo che non lo faceva con cattiveria,
consapevoli del fatto
che avremmo recuperato una volta andato via. Mi fece male ricordare
però,
affacciarmi ad un passato ormai troppo lontano ed irrecuperabile, pieno
di
ricordi che mi logoravano dentro, facendomi sentire sempre
più sola. Pianse il
mio animo, esausto, pregandomi di smetterla. Voleva pace, almeno ora
che Ville
mi stava accanto.
Bevvi un altro po’ di
caffè latte, che nel frattempo si era
freddato, per cercare di rompere un groppo alla gola che si era creato
a causa
di quei pensieri assassini. Mi avvicinai ai ragazzi, poggiando la tazza
sopra
il tavolinetto, guardando Ville dritto negli occhi.
Bam
si alzò dalla
poltrona, prendendo con sé la bottiglia di birra, non
l’avrebbe lasciata lì per
nessun motivo al mondo.
-Beh ragazzi, vi lascio, mi
raccomando non mancate stasera,
devo darvi un ultimo abbraccio prima che parta, so che non resisterete
senza di
me–rise salutandoci con la mano, uscendo dalla porta.
Quella sera dovevamo andare
alla festa di addio di Bam,
organizzata nel pub della città, dove passavamo le nostre
serate. Il giorno
dopo sarebbe dovuto partire per gli Stati Uniti. Avrebbe lasciato un
grande
vuoto, ma finalmente era riuscito a realizzare il suo sogno, andare
nella
grande Mela per potersi misurare con altri skater del suo livello,
perfezionando sempre più la sua tecnica, diventando il
migliore. Mi sarebbe
mancato, perché nonostante la sua pazzia era un ottimo
amico, sempre pronto a
dedicarmi del tempo, a strapparmi un sorriso, convincermi che sarebbe
andato
tutto bene anche quando dentro mi sentivo di morire. Ricordo ancora il
giorno
in cui venni a conoscenza del tradimento di Ville, nonostante fosse un
idolo
per lui, Bam provò un odio immenso, una rabbia davvero
incontenibile, più
grande della mia delusione e sofferenza. Da lì capii che
dietro a quel giullare
si nascondeva in realtà un ragazzo sensibile, che mi voleva
davvero molto bene.
Ville riprese la chitarra,
ricominciando a strimpellare
qualche nota, mentre canticchiava qualche verso. Io mi feci una
sigaretta con
quel poco di tabacco che mi era rimasto, aprii la porta finestra ed
uscii in
giardino. Il sole baciò il mio volto, irradiandomi di tutto
il suo splendore.
Portai la sigaretta alla bocca, mentre osservavo le piante del giardino
di
Ville, che rappresentavano la perfezione assoluta, come lo era lui del
resto.
Non sarei mai voluta andarmene da quella casa, volevo marcire il resto
dei miei
giorni lì dentro, solo che non era possibile
perché un ostacolo troppo grande
mi impediva la convivenza con quell’uomo, una barriera di cui
non ero a conoscenza
e che avrei tanto voluto buttar giù. Il cervello si rimise
maledettamente in
moto, facendomi ripensare al ritorno di Jonna, al fatto che lui ora era
suo,
alle mille ferite che, se prima avevano smesso di buttare,
ricominciavano a
sanguinare rapidamente, togliendomi sempre più energia per
poter vivere il
presente. Perché proprio ora che ero finalmente riuscita ad
ascoltare il cuore,
la ragione, offesa e gelosa, doveva ricordarmi la potenza e supremazia
che
aveva su di me, obbligandomi a mettere in moto il sistema nervoso che,
incessantemente, partoriva domande su domande, sommergendo il presente,
del
tutto invivibile. Tremavo, ero agitata, cercavo di aspirare quanta
più nicotina
possibile per ricercare un minino di tranquillità nel fumo,
ma niente, era
tutto inutile. D’un tratto uscì fuori Ville, con
una sigaretta fumante in
bocca. Poté avvertire il mio stato d’angoscia, gli
occhi sgranati, cercavo di
fare degli enormi respiri per impedire al mio animo di morire da un
momento
all’altro.
-Fidati di me, è
l’unico modo –si limitò a dire, senza
toccarmi. Udendo quelle parole, mosso da non so cosa, il mio cuore
iniziò a
battere più velocemente, placando l’ira della
ragione funesta. Solo con la sua
presenza era in grado di dimostrare la sua forza.
Bene cari
lettori, ecco qui un nuovo capitolo!!
Sì,
lo so, sono un disastro, ma tra i vari impegni ho davvero poco tempo
per scrivere e ciò mi fa davvero innervosire :(
Ringrazio
come sempre chiunque leggerà la mia storia e vi prometto
solennemente che non appena l'università mi
concederà un po' di respiro, provvederò a
scrivere!!
Un bacio a
tutti e buona lettura :)