That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.005
- Il Debito
Alshain
Sherton
Amesbury, Wiltshire - merc. 13 gennaio 1971
Tic... tic... tic...
Sentii quel rumore scendere dalle scale e aprii gli occhi. La prima
cosa che notai, con lo sguardo impastato dal sonno, fu il turbinio di
fiocchi che volteggiavano nella notte. Rabbrividii. Non poteva essere
più tardi delle 4 del mattino: nevicava ancora, era da quasi
due settimane che non smetteva più.
Tic... tic...
riecco il suono sottile, tesi l’orecchio, senza
però comprendere cosa fosse: mi misi seduto nel letto,
cercando di non svegliare Dei, e sperando di capire senza dovermi
alzare, ma era impossibile, allora scivolai fuori controvoglia,
avvolgendomi nella vestaglia e socchiudendo la porta della nostra
stanza, senza fare rumore. Salii le scale, il passo leggero, raggiunsi
la mansarda, aprii la finestra, e a quel punto al ticchettio si
aggiunse il grido acuto del gufo che reclamava riparo, a squarciare
definitivamente il silenzio della casa: il gufetto malandato e
l’urgenza della missiva notturna rendevano inutile leggere la
firma, perciò pregai in cuor mio che nonostante il baccano
Dei stesse ancora dormendo. Invano.
“L’ha colpita di
nuovo, vero? Salazar, quel dannato mostro!”.
Trovai Dei seduta sul letto, combattiva ed intenzionata a perorare la
sua causa: era l’unico argomento su cui da un pò
di tempo non eravamo d’accordo. Mi vestivo, rapido, sia per
il freddo, sia per chiudere quella discussione che sapevo
già non avrebbe portato a nulla di buono, misi la giacca di
lana sopra il gilet e la camicia di flanella, mi chiedevo se nonostante
il pesante mantello il tutto sarebbe stato sufficente ad affrontare la
tormenta: conoscevo tutti gli usi babbani, e non avevo problemi ad
imitarli con successo, ma consideravo il loro modo di vestire del tutto
inadeguato, sia esteticamente che sul piano pratico.
“Calmati Dei, vuole solo
parlarci.”.
“Parto subito!”.
“Sei pazza? Guarda che tempo!
Vado io, se anche mi vedesse, suo marito non capirebbe chi sono, al
contrario conosce te. Riuscirò facilmente a parlarle con un
pretesto e farò quanto è necessario”.
“Non puoi stregare quel
bambino! Non ne hai il diritto, Alshain...!”.
“Questo può
deciderlo solo sua madre... e comunque quell' incantesimo è
reversibile, Deidra, sappiamo farlo entrambi. Se fosse necessario,
andremo nei prossimi mesi, una volta per settimana, per assicurarci che
vada tutto per il meglio...”.
“Ma lo sai anche tu che ci
sono dei rischi! Non glielo devi nemmeno proporre, chiaro?...
”.
“Sentiamo, per cosa credi che
ci abbia contattato, allora? Che altro possiamo fare per lei secondo
te, che non sappia fare anche da sola?“.
La voce le si abbassò di colpo, con un tono cospiratorio che
le avevo già sentito.
“Magari vuole che
l’aiutiamo a liberarsi del babbano...”.
Mi sfuggì un verso di stizza, sapevo che saremmo arrivati a
questo.
“E perchè, di
grazia, avrebbe bisogno di noi, per questo? Ti ricordi quanto era brava
a preparare infusi, pozioni e veleni? Inoltre può
denunciarlo o prendere suo figlio e andarsene, può
difendersi, in mille modi, magici e non. Noi ... La mia famiglia non si
sporca le mani con la feccia, Dei, soprattutto se non è
necessario. Ed ora … non siamo noi ad essere in pericolo, o
sbaglio?”.
Ecco. Me ne pentii all'istante. A forza d distrarmi c’ero
caduto, questo era il terreno su cui Dei mi voleva attirare.
“Ti sei già
scordato cosa ha fatto quella donna per me, vero? Io no. So cosa avrei
perso senza il suo aiuto. Io sono legata a quella donna da un debito:
se mi chiedesse la mia stessa vita, io gliela darei. E tu? Credi
davvero di non doverle nulla? Se la tua nobile morale te lo impedisce,
Alshain, lo farò io, non c’è
problema!”
“Sai bene che ringrazio gli
dei tutti i giorni per il suo aiuto, ma non toccherò un
babbano, mai! E non permetterò nemmeno che lo faccia tu o
chiunque altro della mia famiglia.”
Si sporse sul letto e con le mani nervose arpionò il lembo
della giacca, mentre mi ero avvicinato per baciarla e salutarla: i suoi
occhi erano un verde mare tempestoso.
“La feccia non merita
clemenza, Alshain, quando lo capirai? E quell’uomo meno di
tutti gli altri. Perseguita il suo stesso sangue perché
è come noi, è lo stesso odio che quasi distrusse
la tua famiglia, secoli fa! Non è più tempo dei
princìpi, non se c’è in gioco uno di
noi”.
Le presi le mani, con dolcezza e decisione: anche se si trattava di
lei, della donna che aveva dato un senso alla mia vita, non avrei mai
piegato la mia volontà per nessuno. E Deidra lo sapeva.
“Non è uno di noi,
Deidra, ma un mezzosangue! Non scordartelo. Se sua madre, per prima,
non avesse macchiato il suo onore legandosi ad un babbano, non
esisterebbero questi problemi. Ora devo andare… ”.
“Spero che tu sappia cosa stai
facendo,Alshain.Scoppierà una guerra, lo sai, tutti i segni
lo gridano, e prima o poi, dovrai schierarti anche tu. Abraxas ha
ragione, non puoi continuare …”
“Abraxas? Abraxas? Salazar ci
scampi! Tempi cupi ci attendono se mia moglie arriva a dar ragione a un
Malfoy! Non ho altro da aggiungere Dei! Riguardati e bacia Meissa per
me!”.
Le diedi un bacio fugace, ma evitò le mie labbra,
guardandomi come per accusarmi di orrendi crimini, e io mi chiusi in
me, nel gelo che quando volevo, sapevo ancora crearmi benissimo, come
tanti anni prima, nel mio cuore.
“Vedrai, arriverà
il momento che mi darai ragione”.
“Quando accadrà,
continuerò a seguire il mio istinto, Dei. A quanto pare
è l'unica cosa che, finora, non mi ha mai
tradito.”.
Con uno schiocco secco mi smaterializzai, mentre già i
singhiozzi sordi di mia moglie impregnavano la stanza, in risposta alla
durezza delle mie parole. C’era sempre stata armonia tra noi,
e non le avevo mai dato motivo di piangere, ma negli ultimi tempi...
Ero turbato, avevamo appena parlato di morte, di guerra. E avevamo
parlato di Malfoy. Un brivido mi attraversò la schiena e
sapevo che non dipendeva dal freddo. C’era qualcosa di
diverso in quella casa quella notte, qualcosa di buio e gelido che mi
era entrato nell’anima e le aveva tolto la gioia. Non bastava
più l'amore tra noi? Se solo fosse già finito
l'inverno! Dovevamo tornare a Herrengton al più presto, era
l’unico posto dove eravamo felici, l’unico posto
dove non si parlava di ammazzare qualcuno. L’unico posto dove
nessuna guerra poteva toccarci.
*
Alshain
Sherton
XX, località sconosciuta - merc. 13
gennaio 1971
Mi rimaterializzai nel boschetto che ricordavo.
Nessuno in giro, era ancora presto e soprattutto era dannatamente
freddo. Avevo girato il mondo in lungo e in largo arrivando alla
conclusione che non esistesse un luogo più deprimente di
quello, un ammasso di grigie case allineate, senza un’anima,
con un monumentale rudere fatiscente che incombeva su tutto, ricordando
a quei poveri diavoli il loro destino di inutili pedine
intercambiabili. Attraversai il parco immerso nella neve e mi avviai
come un disgraziato qualsiasi per le vie della città che si
svegliava in quel momento. Avevo l’abitudine di portare
sempre in tasca del denaro babbano, e Merlino solo sapeva se quella
mattina mi avrebbe fatto comodo: avevo decisamente bisogno di un
caffè nero e bollente, e magari, perché no, di
un’abbondante fetta di torta di mele. Non discutevo mai con
Dei, non ce n’era motivo, ma quando capitava era sempre per
qualcosa di importante: in quei momenti arrivavano i dubbi, mi chiedevo
se avessi mai conosciuto davvero chi era al mio fianco. Restavo
sconnesso da me stesso per ore, a volte per giorni, e avevo bisogno di
stupide forme di gratificazione elementari per superare quei momenti di
depressione. Quando poi tornavo in me, sapevo di nuovo di non aver
fatto nessun errore: Dei impersonava semplicemente il mio lato oscuro,
nei momenti critici, perché mi mantenessi saldo sulla strada
che avevamo scelto, insieme, tanti anni prima. Naturalmente non sapevo
se fosse la verità, ma dovevo convincermene per riuscire ad
andare avanti.
Entrai in un bar, mi sedetti ad un tavolo di formica bianca, che al
solo tocco appiccicoso mi suggerì l’idea di
andarmene, mi venne incontro una ragazzotta ammiccante nel suo trucco
bistrato, l’abitino succinto che mostrava troppa carne e un
odioso biascicare gommoso che insultava la lingua di Shakespeare.
Avrebbe di certo ghignato come una deficiente appena m avesse dato le
spalle, per i miei capelli lunghi, con la sua degna compagna. Mi
strinsi ancora di più nel mio caldo mantello, quasi a farmi
scudo, le ordinai secco il mio caffè e la mia fetta di
torta, per togliermela subito dalla vista, mi appoggiai appena sul
sedile di finta pelle arancione, usando il pastrano per evitare
sgraditi contatti con le superfici immonde e alzando il bavero quasi
fino alle labbra. Naturalmente, non tolsi i guanti. Guardavo oltre le
vetrate del locale l’insulsa umanità di corsa,
immersa nella neve, perso nei miei pensieri: era davvero necessario
agire drasticamente con quel disgraziato? E perché io? Se
era così esasperata dalla sua vita, perché lei,
una strega capace, non era già arrivata da sola a
quell’epilogo? La sua anima era tanto piegata all'uomo che
aveva sposato da non riuscire a difendere nemmeno suo figlio? O tutto
questo accadeva semplicemente perché era tempo di pagare?
Una vita per una vita, anzi, una vita più la mia coscienza:
poteva dirsi un prezzo equo per aver salvato mio figlio, senza tra
l’altro averne l'obbligo. La torta non era oscena, forse
perché, viste le premesse, ero rassegnato al peggio, bevvi
il caffè, il calore mi rinfrancò e lasciate
quelle luride monetine sul tavolo, affrontai la tormenta con maggior
vigore. Erano le 6,30 del mattino, qualsiasi operaio, se non era
già uscito per andare al lavoro, stava per farlo.
Benché quelle stramaledette costruzioni fossero tutte
uguali, ricordavo bene quale fosse la casa, era proprio alla fine della
"stecca": un tempo all’ingresso c’era un
giardinetto curato, mi chiedevo se le sofferenze di quegli anni
avessero inaridito il suo cuore e il suo giardino allo stesso modo. O
se almeno una parte della sua fierezza fosse rimasta intatta. A
Hogwarts era sempre stata magnifica ad erbologia, come a pozioni, ero
ammirato dalla sua maestria nel distillare e dar vita a tutte quelle
sostanze che mandavano in estasi il buon vecchio Slughorn. Ero stato
persino invidioso di lei: era una purosangue certo, ma di natali ben
lontani dall’essere nobili come i miei, eppure, proprio
attraverso il suo esempio, quando era riuscita a superarmi in pozioni,
la disciplina che era il vanto di Sherton e Meyer da generazioni e
generazioni, appresi che a volte il sangue e la nobiltà non
sono tutto. Arrivai al fiume proprio mentre il bastardo usciva di casa,
arcigno e rubicondo, sbattendo la porta, mani in tasca e berretto
calato sugli occhi, il corpo ricurvo su se stesso. Come aveva fatto a
perdersi per un relitto come quello? Accesi un sigaro e aspettai sul
ponte, mi passò vicino, l’olezzo di alcolici di
bassa qualità m' intorpidì le narici, avrei
voluto schiantarlo all’istante, rielaborargli il cervello e
rimetterlo in libertà: così era già
un’ameba, magari riuscivo a trasformarlo per lo meno in un
essere umano! Il pullman che doveva portarlo al lavoro lo
inghiottì rapidamente, dopodiché io attesi
impaziente che sparisse all’orizzonte. Schiacciai nella neve
fresca il sigaro e percorsi i metri che mi dividevano dalla casa: avevo
esteso attorno a me un leggero "confundus", che intorpidiva per qualche
istante la mente di chiunque m' avesse incrociato, non era propriamente
legale, ma non era buona cosa neppure che c fosse in giro qualcuno col
ricordo del mio passaggio. L’abitazione era come la
ricordavo, con il vialetto tenuto in ordine, il tappeto con scritto
“BENVENUTI” all’ingresso, le tendine di
pizzo alle finestre. Tolsi i guanti e bussai. La via era quanto di
più atrocemente babbano esistesse, ma oltre quella porta,
rannicchiato, impaurito, forse ferito, c’era un bambino, e
questo provocò un brivido nella mia coscienza: per quanto
fosse solo un mezzosangue, una voce nella mia mente urlava che, prima
di tutto, quello era un bambino dell’età di mia
figlia. E alla fine, quando dopo una certa esitazione la mia mano, su
cui erano impresse le nobili rune del Nord, toccò quella
misera porta, avevo ormai chiaro quale fosse il mio compito, fin dove
sarei arrivato perché quel ragazzino riuscisse a compiere il
proprio destino.
La donna, ancora stretta nella sua vestaglia, l’aspetto
sfatto di chi ha passato l’ennesima notte insonne, mi
aprì, trattenendo a stento la sorpresa di vedermi; m'
invitò a entrare con un cenno, ed io non mi tirai indietro,
aveva ripreso a nevicare ferocemente, e il marito poteva essere non al
lavoro ma nella bettola più vicina, a sbronzarsi per poi
tornare da un momento all’altro, ancora più
violento del solito. La seguii nell’angusto soggiorno che
aveva visto tempi migliori, il mobilio rovinato, graffiato, le stoffe
lacere e sporche. Su un sudicio ripiano cottura un bricco ribolliva di
caffè pastoso, mi ripromisi subito di non accettare altro
che acqua, poi ricordando malattie dovute alla sporcizia che avevano
sterminato tanti babbani inglesi, pensai che forse avrei fatto bene a
rifiutare anche quella. Mi accomodai su una sedia attorno al tavolo,
dove ancora campeggiavano i resti della colazione dell’uomo:
un bicchiere olezzante di whisky e una bottiglia scolata. La donna si
affrettò a togliere tutto e ripulire il tavolo
così che non mi sporcassi.
“Il ragazzo?”.
“E' di sopra, in camera sua,
credo che si sia addormentato”.
“Bene, possiamo parlare,
allora.”
Annuì e si sedette di fronte a me, speranzosa e al tempo
stesso a disagio. M' imposi di non guardarmi più intorno,
né di indugiare su di lei: era stata una ragazza orgogliosa
e suscettibile, nulla a quei tempi faceva presumere che potesse ridursi
a quel modo. Si strinse ancora di più la pesante vestaglia
addosso, con la mano tremante si aggiustò una ciocca corvina
dietro l’orecchio, gli occhi bassi. Io allungai la mano per
prendere quella che teneva abbandonata sul tavolo, a ricordo della
vecchia confidenza che ci legava, lei, dopo un attimo di esitazione, mi
lasciò fare.
“Io... speravo che Dei mi
avrebbe aiutata, quando avesse trovato tempo, ma… non avrei
mai osato sperare che addirittura tu… e disturbarti
addirittura fin qui, ora, con questo tempo! Per me!”.
“Non dire sciocchezze, sai
bene che basta un cenno… Inoltre questa storia è
durata anche troppo, non riesco a capire come
puoi…”.
Alzò su di me quegli occhi scuri che a volte mi avevano
turbato, a Hogwarts: non era mai stata bella, ma avevo subito il suo
fascino, il fascino ruvido di chi non ti adula nonostante il tuo nome,
di chi non cede mai, meritando il tuo rispetto. Alla fine mi aveva
persino teso una mano, sinceramente, quando ero stato io ad avere
bisogno. E di questo, neppure Orion, il mio amico più caro,
sapeva niente.
“Eppure tu sei
l’unico che potrebbe capire, Alshain, hanno bollato anche te
come un pazzo!”.
“Salazar! Anche alla pazzia
c’è un limite, cosa credi? E ormai non siamo
più dei ragazzini! Se non hai la forza di farlo per te
stessa, dovresti almeno chiederti se è questo il meglio che
puoi offrire a tuo figlio! Lui merita tutto questo? Non credo
proprio!”.
Deglutì, sbiancandosi appena, e ritrasse la mano come le
avessi dato uno schiaffo, tornando a stringere con tutte le dita il
colletto della vestaglia.
“E’ per lui che vi
chiedo aiuto, infatti…”.
Inghiottii a stento, eravamo al punto; avrei dovuto prendere la
decisione fondamentale, lì e subito, scegliere su quale lato
del fronte volevo stare: si rimandano le decisioni fondamentali in
eterno e poi di colpo, basta un solo gufo in piena notte... Mi alzai,
estrassi un sigaro dal panciotto, lo accesi, raggiunsi la finestra e
sollevai la tenda.
“… Preferisci che mi occupi di tuo figlio o di tuo
marito?”.
"Non lo so, basta che lui non debba più sentirsi in obbligo
di difendermi, non deve più accadere... ".
Rimasi alla finestra, dandole le spalle, così che non
vedesse la mia espressione.
“Potresti alterare la
percezione e la volontà di tuo marito: potresti chiederlo al
Ministero, testimoniando quanto è violento col ragazzo.
Oppure potresti farlo da te, in certi casi non si può
definirlo propriamente illegale, anche se va contro il trattato di non
interferenza; e tu conosci le pozioni mi pare….”.
“Non voglio che qualcuno al
Ministero sappia, è già umiliante
così... e … Salazar, che vergogna! La
verità è che non pratico più, sono
anni ormai, per paura… è come se una parte di
me…”.
“…si fosse
spenta… Ora capisci cosa intendevo quando ti ho detto che ci
rubano la nostra essenza, riducendoci a vuote larve ?”.
Mi voltai, era indifesa come 15 anni prima, quando in lacrime, a Temple
Church, a Londra, mi aveva detto di essere stata cacciata di casa da
suo padre anche lei, perché si era innamorata di un babbano.
Quel giorno le avevo parlato da amico, perché era questo che
eravamo diventati negli anni, ora però mi chiedevo se non
avessi commesso un grave errore, l'evidenza dei fatti mi diceva che
avrei dovuto fare di più per dissuaderla. Mi avvicinai di
nuovo e l’abbracciai: Merlino se era magra, sembrava un
cucciolo denutrito. Non eravamo mai più stati
così vicini da quando al San Mungo mi avevano confermato che
Mirzam era fuori pericolo, in seguito quello che più ci
aveva uniti, era ciò che ci aveva allontanati
silenziosamente tanto che, quando nacque, vidi in suo figlio solo un
mezzosangue. E la cosa peggiore fu che non me ne resi nemmeno conto,
né riuscii mai a spiegarmelo, completamente.
“Farò tutto quello
che mi chiederai. E Perdonami, se puoi”.
Si sollevò e m guardò, turbata, riprendendosi
subito dal momento di debolezza.
“Di cosa dovrei perdonarti?
Hai detto la verità, mio figlio sta pagando per i miei
errori”.
“Non sono stato un buon amico,
e tu questo lo sai, non mi sono mai preoccupato del ragazzo, non ho
fatto nulla quando mi sono giunte voci, ho permesso che
quell’uomo si approfittasse di te. Dovevo dissuaderti dallo
sposarlo, è questa la verità!”.
“Se mi avessi dissuaso, ora
non avrei mio figlio, e lui è tutta la mia
vita…”.
Annuii, sapevo cosa voleva dire, conoscevo quell’amore che t
fa accettare tutto, io stesso avrei dato tutto quello che possedevo per
un attimo di vita in più accanto ai miei figli.
“Tu m hai sempre dato ottimi
consigli, Alshain, sono io che non li ho ascoltati. Ed ho aspettato,
per vergogna, per sfiducia, temendo che non saresti venuto. Tu invece
saresti stato subito al mio fianco, proprio come hai fatto
oggi”.
“L’importante adesso
è che tuo figlio non paghi ancora colpe che non sono sue,
quanto a noi, renderemo conto a tempo debito dei nostri errori, ne sono
certo”.
Ma non mi ascoltava più, si era staccata da me come colpita
al volto, pallida, gli occhi allarmati.
“Tu sei un mago, un mago vero,
non è così?”.
Una voce nasale, intimidita, mi gelò all’istante,
mi voltai e vidi nello specchio rotto dietro d me il riflesso di un
ragazzino esile, ancor più smagrito nel suo pigiama
slabbrato, nascosto dietro la porta che conduceva al piano d sopra;
sulla sua faccia, pallida e impaurita, campeggiava un grosso livido a
deturpargli la guancia sinistra. Salazar, come poteva definirsi uomo
chi colpiva così il proprio figlio? Aveva gli occhi neri di
sua madre, la stessa espressione acuta e sospettosa. Avrei preferito
non incontrarlo, questo avrebbe complicato le cose, lo sapevo, ma ormai
era andata.
“Sì, sono Alshain
Sherton, un amico di tua madre. Ora per favore torna d sopra con la
mamma, lei ti dirà tutto quello che vuoi sapere. E per
favore, promettile di non dire mai a nessuno, nemmeno a tuo padre, di
avermi visto qui, oggi”.
Il ragazzino fece una smorfia di disgusto sentendo nominare il babbano,
ma si capiva che la paura e la timidezza combattevano alla pari con una
viva curiosità: non doveva avere molte occasioni per
confrontarsi con gente che non fosse feccia, e probabilmente, dalla
luce che aveva animato il suo sguardo, sua madre doveva avergli parlato
di me e delle leggende che legavano la mia famiglia a Salazar stesso.
Sparì per le scale controvoglia, seguito da sua madre a cui
avevo fatto un cenno: stava a lei decidere cosa dire e cosa tacere, io
avevo una semplicissima pozione da preparare, anche se mi ritrovai a
distrarmi spesso. Mi tolsi il mantello e la giacca, estrassi le ampolle
e gli ingredienti dalla tasca porta tutto del pastrano e per circa due
ore trafficai nella cucina, dopo aver gettato un paio d incantesimi
"muffliato" a porte e finestre. Quando la pozione fu pronta, non dissi
nulla, non salutai nemmeno, magari ora che avevano di che sperare,
erano tranquilli e finalmente si erano addormentati. Lasciai due righe
di spiegazione sul filtro, con la promessa che io o Deidra saremmo
tornati già durante la settimana, per prepararne ancora e
per vedere se faceva il giusto effetto, o se era necessario
potenziarlo. Quindi ripulii la cucina, feci sparire tutti i segni del
mio passaggio e mi rivestii, uscendo in silenzio di nuovo nella
tormenta.
Nel giro di pochi istanti, Eileen e Severus Snape mi videro dissolvermi
nel volteggiare dei fiocchi di neve dalla finestra del piano d sopra.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine
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