Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Terre_del_Nord    16/11/2008    21 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
*
HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
*
VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
*
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Habarcat - I.005 - Il Debito

I.005


Alshain Sherton
Amesbury, Wiltshire - merc. 13 gennaio 1971

    Tic... tic... tic...

Sentii quel rumore scendere dalle scale e aprii gli occhi. La prima cosa che notai, con lo sguardo impastato dal sonno, fu il turbinio di fiocchi che volteggiavano nella notte. Rabbrividii. Non poteva essere più tardi delle 4 del mattino: nevicava ancora, era da quasi due settimane che non smetteva più.

    Tic... tic...

riecco il suono sottile, tesi l’orecchio, senza però comprendere cosa fosse: mi misi seduto nel letto, cercando di non svegliare Dei, e sperando di capire senza dovermi alzare, ma era impossibile, allora scivolai fuori controvoglia, avvolgendomi nella vestaglia e socchiudendo la porta della nostra stanza, senza fare rumore. Salii le scale, il passo leggero, raggiunsi la mansarda, aprii la finestra, e a quel punto al ticchettio si aggiunse il grido acuto del gufo che reclamava riparo, a squarciare definitivamente il silenzio della casa: il gufetto malandato e l’urgenza della missiva notturna rendevano inutile leggere la firma, perciò pregai in cuor mio che nonostante il baccano Dei stesse ancora dormendo. Invano.

    “L’ha colpita di nuovo, vero? Salazar, quel dannato mostro!”.

Trovai Dei seduta sul letto, combattiva ed intenzionata a perorare la sua causa: era l’unico argomento su cui da un pò di tempo non eravamo d’accordo. Mi vestivo, rapido, sia per il freddo, sia per chiudere quella discussione che sapevo già non avrebbe portato a nulla di buono, misi la giacca di lana sopra il gilet e la camicia di flanella, mi chiedevo se nonostante il pesante mantello il tutto sarebbe stato sufficente ad affrontare la tormenta: conoscevo tutti gli usi babbani, e non avevo problemi ad imitarli con successo, ma consideravo il loro modo di vestire del tutto inadeguato, sia esteticamente che sul piano pratico.

    “Calmati Dei, vuole solo parlarci.”.
    “Parto subito!”.
    “Sei pazza? Guarda che tempo! Vado io, se anche mi vedesse, suo marito non capirebbe chi sono, al contrario conosce te. Riuscirò facilmente a parlarle con un pretesto e farò quanto è necessario”.
    “Non puoi stregare quel bambino! Non ne hai il diritto, Alshain...!”.
    “Questo può deciderlo solo sua madre... e comunque quell' incantesimo è reversibile, Deidra, sappiamo farlo entrambi. Se fosse necessario, andremo nei prossimi mesi, una volta per settimana, per assicurarci che vada tutto per il meglio...”.
    “Ma lo sai anche tu che ci sono dei rischi! Non glielo devi nemmeno proporre, chiaro?... ”.
    “Sentiamo, per cosa credi che ci abbia contattato, allora? Che altro possiamo fare per lei secondo te, che non sappia fare anche da sola?“.

La voce le si abbassò di colpo, con un tono cospiratorio che le avevo già sentito.

    “Magari vuole che l’aiutiamo a liberarsi del babbano...”.

Mi sfuggì un verso di stizza, sapevo che saremmo arrivati a questo.

    “E perchè, di grazia, avrebbe bisogno di noi, per questo? Ti ricordi quanto era brava a preparare infusi, pozioni e veleni? Inoltre può denunciarlo o prendere suo figlio e andarsene, può difendersi, in mille modi, magici e non. Noi ... La mia famiglia non si sporca le mani con la feccia, Dei, soprattutto se non è necessario. Ed ora … non siamo noi ad essere in pericolo, o sbaglio?”.

Ecco. Me ne pentii all'istante. A forza d distrarmi c’ero caduto, questo era il terreno su cui Dei mi voleva attirare.

    “Ti sei già scordato cosa ha fatto quella donna per me, vero? Io no. So cosa avrei perso senza il suo aiuto. Io sono legata a quella donna da un debito: se mi chiedesse la mia stessa vita, io gliela darei. E tu? Credi davvero di non doverle nulla? Se la tua nobile morale te lo impedisce, Alshain, lo farò io, non c’è problema!”
    “Sai bene che ringrazio gli dei tutti i giorni per il suo aiuto, ma non toccherò un babbano, mai! E non permetterò nemmeno che lo faccia tu o chiunque altro della mia famiglia.”

Si sporse sul letto e con le mani nervose arpionò il lembo della giacca, mentre mi ero avvicinato per baciarla e salutarla: i suoi occhi erano un verde mare tempestoso.

    “La feccia non merita clemenza, Alshain, quando lo capirai? E quell’uomo meno di tutti gli altri. Perseguita il suo stesso sangue perché è come noi, è lo stesso odio che quasi distrusse la tua famiglia, secoli fa! Non è più tempo dei princìpi, non se c’è in gioco uno di noi”.

Le presi le mani, con dolcezza e decisione: anche se si trattava di lei, della donna che aveva dato un senso alla mia vita, non avrei mai piegato la mia volontà per nessuno. E Deidra lo sapeva.

    “Non è uno di noi, Deidra, ma un mezzosangue! Non scordartelo. Se sua madre, per prima, non avesse macchiato il suo onore legandosi ad un babbano, non esisterebbero questi problemi. Ora devo andare… ”.
    “Spero che tu sappia cosa stai facendo,Alshain.Scoppierà una guerra, lo sai, tutti i segni lo gridano, e prima o poi, dovrai schierarti anche tu. Abraxas ha ragione, non puoi continuare …”
    “Abraxas? Abraxas? Salazar ci scampi! Tempi cupi ci attendono se mia moglie arriva a dar ragione a un Malfoy! Non ho altro da aggiungere Dei! Riguardati e bacia Meissa per me!”.

Le diedi un bacio fugace, ma evitò le mie labbra, guardandomi come per accusarmi di orrendi crimini, e io mi chiusi in me, nel gelo che quando volevo, sapevo ancora crearmi benissimo, come tanti anni prima, nel mio cuore.

    “Vedrai, arriverà il momento che mi darai ragione”.
    “Quando accadrà, continuerò a seguire il mio istinto, Dei. A quanto pare è l'unica cosa che, finora, non mi ha mai tradito.”.

Con uno schiocco secco mi smaterializzai, mentre già i singhiozzi sordi di mia moglie impregnavano la stanza, in risposta alla durezza delle mie parole. C’era sempre stata armonia tra noi, e non le avevo mai dato motivo di piangere, ma negli ultimi tempi... Ero turbato, avevamo appena parlato di morte, di guerra. E avevamo parlato di Malfoy. Un brivido mi attraversò la schiena e sapevo che non dipendeva dal freddo. C’era qualcosa di diverso in quella casa quella notte, qualcosa di buio e gelido che mi era entrato nell’anima e le aveva tolto la gioia. Non bastava più l'amore tra noi? Se solo fosse già finito l'inverno! Dovevamo tornare a Herrengton al più presto, era l’unico posto dove eravamo felici, l’unico posto dove non si parlava di ammazzare qualcuno. L’unico posto dove nessuna guerra poteva toccarci.

*

Alshain Sherton
XX, località sconosciuta - merc. 13 gennaio 1971

Mi rimaterializzai nel boschetto che ricordavo. Nessuno in giro, era ancora presto e soprattutto era dannatamente freddo. Avevo girato il mondo in lungo e in largo arrivando alla conclusione che non esistesse un luogo più deprimente di quello, un ammasso di grigie case allineate, senza un’anima, con un monumentale rudere fatiscente che incombeva su tutto, ricordando a quei poveri diavoli il loro destino di inutili pedine intercambiabili. Attraversai il parco immerso nella neve e mi avviai come un disgraziato qualsiasi per le vie della città che si svegliava in quel momento. Avevo l’abitudine di portare sempre in tasca del denaro babbano, e Merlino solo sapeva se quella mattina mi avrebbe fatto comodo: avevo decisamente bisogno di un caffè nero e bollente, e magari, perché no, di un’abbondante fetta di torta di mele. Non discutevo mai con Dei, non ce n’era motivo, ma quando capitava era sempre per qualcosa di importante: in quei momenti arrivavano i dubbi, mi chiedevo se avessi mai conosciuto davvero chi era al mio fianco. Restavo sconnesso da me stesso per ore, a volte per giorni, e avevo bisogno di stupide forme di gratificazione elementari per superare quei momenti di depressione. Quando poi tornavo in me, sapevo di nuovo di non aver fatto nessun errore: Dei impersonava semplicemente il mio lato oscuro, nei momenti critici, perché mi mantenessi saldo sulla strada che avevamo scelto, insieme, tanti anni prima. Naturalmente non sapevo se fosse la verità, ma dovevo convincermene per riuscire ad andare avanti.
Entrai in un bar, mi sedetti ad un tavolo di formica bianca, che al solo tocco appiccicoso mi suggerì l’idea di andarmene, mi venne incontro una ragazzotta ammiccante nel suo trucco bistrato, l’abitino succinto che mostrava troppa carne e un odioso biascicare gommoso che insultava la lingua di Shakespeare. Avrebbe di certo ghignato come una deficiente appena m avesse dato le spalle, per i miei capelli lunghi, con la sua degna compagna. Mi strinsi ancora di più nel mio caldo mantello, quasi a farmi scudo, le ordinai secco il mio caffè e la mia fetta di torta, per togliermela subito dalla vista, mi appoggiai appena sul sedile di finta pelle arancione, usando il pastrano per evitare sgraditi contatti con le superfici immonde e alzando il bavero quasi fino alle labbra. Naturalmente, non tolsi i guanti. Guardavo oltre le vetrate del locale l’insulsa umanità di corsa, immersa nella neve, perso nei miei pensieri: era davvero necessario agire drasticamente con quel disgraziato? E perché io? Se era così esasperata dalla sua vita, perché lei, una strega capace, non era già arrivata da sola a quell’epilogo? La sua anima era tanto piegata all'uomo che aveva sposato da non riuscire a difendere nemmeno suo figlio? O tutto questo accadeva semplicemente perché era tempo di pagare? Una vita per una vita, anzi, una vita più la mia coscienza: poteva dirsi un prezzo equo per aver salvato mio figlio, senza tra l’altro averne l'obbligo. La torta non era oscena, forse perché, viste le premesse, ero rassegnato al peggio, bevvi il caffè, il calore mi rinfrancò e lasciate quelle luride monetine sul tavolo, affrontai la tormenta con maggior vigore. Erano le 6,30 del mattino, qualsiasi operaio, se non era già uscito per andare al lavoro, stava per farlo.
Benché quelle stramaledette costruzioni fossero tutte uguali, ricordavo bene quale fosse la casa, era proprio alla fine della "stecca": un tempo all’ingresso c’era un giardinetto curato, mi chiedevo se le sofferenze di quegli anni avessero inaridito il suo cuore e il suo giardino allo stesso modo. O se almeno una parte della sua fierezza fosse rimasta intatta. A Hogwarts era sempre stata magnifica ad erbologia, come a pozioni, ero ammirato dalla sua maestria nel distillare e dar vita a tutte quelle sostanze che mandavano in estasi il buon vecchio Slughorn. Ero stato persino invidioso di lei: era una purosangue certo, ma di natali ben lontani dall’essere nobili come i miei, eppure, proprio attraverso il suo esempio, quando era riuscita a superarmi in pozioni, la disciplina che era il vanto di Sherton e Meyer da generazioni e generazioni, appresi che a volte il sangue e la nobiltà non sono tutto. Arrivai al fiume proprio mentre il bastardo usciva di casa, arcigno e rubicondo, sbattendo la porta, mani in tasca e berretto calato sugli occhi, il corpo ricurvo su se stesso. Come aveva fatto a perdersi per un relitto come quello? Accesi un sigaro e aspettai sul ponte, mi passò vicino, l’olezzo di alcolici di bassa qualità m' intorpidì le narici, avrei voluto schiantarlo all’istante, rielaborargli il cervello e rimetterlo in libertà: così era già un’ameba, magari riuscivo a trasformarlo per lo meno in un essere umano! Il pullman che doveva portarlo al lavoro lo inghiottì rapidamente, dopodiché io attesi impaziente che sparisse all’orizzonte. Schiacciai nella neve fresca il sigaro e percorsi i metri che mi dividevano dalla casa: avevo esteso attorno a me un leggero "confundus", che intorpidiva per qualche istante la mente di chiunque m' avesse incrociato, non era propriamente legale, ma non era buona cosa neppure che c fosse in giro qualcuno col ricordo del mio passaggio. L’abitazione era come la ricordavo, con il vialetto tenuto in ordine, il tappeto con scritto “BENVENUTI” all’ingresso, le tendine di pizzo alle finestre. Tolsi i guanti e bussai. La via era quanto di più atrocemente babbano esistesse, ma oltre quella porta, rannicchiato, impaurito, forse ferito, c’era un bambino, e questo provocò un brivido nella mia coscienza: per quanto fosse solo un mezzosangue, una voce nella mia mente urlava che, prima di tutto, quello era un bambino dell’età di mia figlia. E alla fine, quando dopo una certa esitazione la mia mano, su cui erano impresse le nobili rune del Nord, toccò quella misera porta, avevo ormai chiaro quale fosse il mio compito, fin dove sarei arrivato perché quel ragazzino riuscisse a compiere il proprio destino.
La donna, ancora stretta nella sua vestaglia, l’aspetto sfatto di chi ha passato l’ennesima notte insonne, mi aprì, trattenendo a stento la sorpresa di vedermi; m' invitò a entrare con un cenno, ed io non mi tirai indietro, aveva ripreso a nevicare ferocemente, e il marito poteva essere non al lavoro ma nella bettola più vicina, a sbronzarsi per poi tornare da un momento all’altro, ancora più violento del solito. La seguii nell’angusto soggiorno che aveva visto tempi migliori, il mobilio rovinato, graffiato, le stoffe lacere e sporche. Su un sudicio ripiano cottura un bricco ribolliva di caffè pastoso, mi ripromisi subito di non accettare altro che acqua, poi ricordando malattie dovute alla sporcizia che avevano sterminato tanti babbani inglesi, pensai che forse avrei fatto bene a rifiutare anche quella. Mi accomodai su una sedia attorno al tavolo, dove ancora campeggiavano i resti della colazione dell’uomo: un bicchiere olezzante di whisky e una bottiglia scolata. La donna si affrettò a togliere tutto e ripulire il tavolo così che non mi sporcassi.

    “Il ragazzo?”.
    “E' di sopra, in camera sua, credo che si sia addormentato”.
    “Bene, possiamo parlare, allora.”

Annuì e si sedette di fronte a me, speranzosa e al tempo stesso a disagio. M' imposi di non guardarmi più intorno, né di indugiare su di lei: era stata una ragazza orgogliosa e suscettibile, nulla a quei tempi faceva presumere che potesse ridursi a quel modo. Si strinse ancora di più la pesante vestaglia addosso, con la mano tremante si aggiustò una ciocca corvina dietro l’orecchio, gli occhi bassi. Io allungai la mano per prendere quella che teneva abbandonata sul tavolo, a ricordo della vecchia confidenza che ci legava, lei, dopo un attimo di esitazione, mi lasciò fare.

    “Io... speravo che Dei mi avrebbe aiutata, quando avesse trovato tempo, ma… non avrei mai osato sperare che addirittura tu… e disturbarti addirittura fin qui, ora, con questo tempo! Per me!”.
    “Non dire sciocchezze, sai bene che basta un cenno… Inoltre questa storia è durata anche troppo, non riesco a capire come puoi…”.

Alzò su di me quegli occhi scuri che a volte mi avevano turbato, a Hogwarts: non era mai stata bella, ma avevo subito il suo fascino, il fascino ruvido di chi non ti adula nonostante il tuo nome, di chi non cede mai, meritando il tuo rispetto. Alla fine mi aveva persino teso una mano, sinceramente, quando ero stato io ad avere bisogno. E di questo, neppure Orion, il mio amico più caro, sapeva niente.

    “Eppure tu sei l’unico che potrebbe capire, Alshain, hanno bollato anche te come un pazzo!”.
    “Salazar! Anche alla pazzia c’è un limite, cosa credi? E ormai non siamo più dei ragazzini! Se non hai la forza di farlo per te stessa, dovresti almeno chiederti se è questo il meglio che puoi offrire a tuo figlio! Lui merita tutto questo? Non credo proprio!”.

Deglutì, sbiancandosi appena, e ritrasse la mano come le avessi dato uno schiaffo, tornando a stringere con tutte le dita il colletto della vestaglia.

    “E’ per lui che vi chiedo aiuto, infatti…”.

Inghiottii a stento, eravamo al punto; avrei dovuto prendere la decisione fondamentale, lì e subito, scegliere su quale lato del fronte volevo stare: si rimandano le decisioni fondamentali in eterno e poi di colpo, basta un solo gufo in piena notte... Mi alzai, estrassi un sigaro dal panciotto, lo accesi, raggiunsi la finestra e sollevai la tenda.

“… Preferisci che mi occupi di tuo figlio o di tuo marito?”.
"Non lo so, basta che lui non debba più sentirsi in obbligo di difendermi, non deve più accadere... ".

Rimasi alla finestra, dandole le spalle, così che non vedesse la mia espressione.

    “Potresti alterare la percezione e la volontà di tuo marito: potresti chiederlo al Ministero, testimoniando quanto è violento col ragazzo. Oppure potresti farlo da te, in certi casi non si può definirlo propriamente illegale, anche se va contro il trattato di non interferenza; e tu conosci le pozioni mi pare….”.
    “Non voglio che qualcuno al Ministero sappia, è già umiliante così... e … Salazar, che vergogna! La verità è che non pratico più, sono anni ormai, per paura… è come se una parte di me…”.
    “…si fosse spenta… Ora capisci cosa intendevo quando ti ho detto che ci rubano la nostra essenza, riducendoci a vuote larve ?”.

Mi voltai, era indifesa come 15 anni prima, quando in lacrime, a Temple Church, a Londra, mi aveva detto di essere stata cacciata di casa da suo padre anche lei, perché si era innamorata di un babbano. Quel giorno le avevo parlato da amico, perché era questo che eravamo diventati negli anni, ora però mi chiedevo se non avessi commesso un grave errore, l'evidenza dei fatti mi diceva che avrei dovuto fare di più per dissuaderla. Mi avvicinai di nuovo e l’abbracciai: Merlino se era magra, sembrava un cucciolo denutrito. Non eravamo mai più stati così vicini da quando al San Mungo mi avevano confermato che Mirzam era fuori pericolo, in seguito quello che più ci aveva uniti, era ciò che ci aveva allontanati silenziosamente tanto che, quando nacque, vidi in suo figlio solo un mezzosangue. E la cosa peggiore fu che non me ne resi nemmeno conto, né riuscii mai a spiegarmelo, completamente.

    “Farò tutto quello che mi chiederai. E Perdonami, se puoi”.

Si sollevò e m guardò, turbata, riprendendosi subito dal momento di debolezza.

    “Di cosa dovrei perdonarti? Hai detto la verità, mio figlio sta pagando per i miei errori”.
    “Non sono stato un buon amico, e tu questo lo sai, non mi sono mai preoccupato del ragazzo, non ho fatto nulla quando mi sono giunte voci, ho permesso che quell’uomo si approfittasse di te. Dovevo dissuaderti dallo sposarlo, è questa la verità!”.
    “Se mi avessi dissuaso, ora non avrei mio figlio, e lui è tutta la mia vita…”.

Annuii, sapevo cosa voleva dire, conoscevo quell’amore che t fa accettare tutto, io stesso avrei dato tutto quello che possedevo per un attimo di vita in più accanto ai miei figli.

    “Tu m hai sempre dato ottimi consigli, Alshain, sono io che non li ho ascoltati. Ed ho aspettato, per vergogna, per sfiducia, temendo che non saresti venuto. Tu invece saresti stato subito al mio fianco, proprio come hai fatto oggi”.
    “L’importante adesso è che tuo figlio non paghi ancora colpe che non sono sue, quanto a noi, renderemo conto a tempo debito dei nostri errori, ne sono certo”.

Ma non mi ascoltava più, si era staccata da me come colpita al volto, pallida, gli occhi allarmati.

    “Tu sei un mago, un mago vero, non è così?”.

Una voce nasale, intimidita, mi gelò all’istante, mi voltai e vidi nello specchio rotto dietro d me il riflesso di un ragazzino esile, ancor più smagrito nel suo pigiama slabbrato, nascosto dietro la porta che conduceva al piano d sopra; sulla sua faccia, pallida e impaurita, campeggiava un grosso livido a deturpargli la guancia sinistra. Salazar, come poteva definirsi uomo chi colpiva così il proprio figlio? Aveva gli occhi neri di sua madre, la stessa espressione acuta e sospettosa. Avrei preferito non incontrarlo, questo avrebbe complicato le cose, lo sapevo, ma ormai era andata.

    “Sì, sono Alshain Sherton, un amico di tua madre. Ora per favore torna d sopra con la mamma, lei ti dirà tutto quello che vuoi sapere. E per favore, promettile di non dire mai a nessuno, nemmeno a tuo padre, di avermi visto qui, oggi”.

Il ragazzino fece una smorfia di disgusto sentendo nominare il babbano, ma si capiva che la paura e la timidezza combattevano alla pari con una viva curiosità: non doveva avere molte occasioni per confrontarsi con gente che non fosse feccia, e probabilmente, dalla luce che aveva animato il suo sguardo, sua madre doveva avergli parlato di me e delle leggende che legavano la mia famiglia a Salazar stesso. Sparì per le scale controvoglia, seguito da sua madre a cui avevo fatto un cenno: stava a lei decidere cosa dire e cosa tacere, io avevo una semplicissima pozione da preparare, anche se mi ritrovai a distrarmi spesso. Mi tolsi il mantello e la giacca, estrassi le ampolle e gli ingredienti dalla tasca porta tutto del pastrano e per circa due ore trafficai nella cucina, dopo aver gettato un paio d incantesimi "muffliato" a porte e finestre. Quando la pozione fu pronta, non dissi nulla, non salutai nemmeno, magari ora che avevano di che sperare, erano tranquilli e finalmente si erano addormentati. Lasciai due righe di spiegazione sul filtro, con la promessa che io o Deidra saremmo tornati già durante la settimana, per prepararne ancora e per vedere se faceva il giusto effetto, o se era necessario potenziarlo. Quindi ripulii la cucina, feci sparire tutti i segni del mio passaggio e mi rivestii, uscendo in silenzio di nuovo nella tormenta.
Nel giro di pochi istanti, Eileen e Severus Snape mi videro dissolvermi nel volteggiare dei fiocchi di neve dalla finestra del piano d sopra.


*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).

Valeria



Scheda
Immagine
  
Leggi le 21 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Terre_del_Nord