Note: questo capitolo era in origine presente nella raccolta
'San Valentino'. L'ho revisionato leggermente per questa
ripubblicazione nella raccolta giusta e mi sono stupita enormemente nel
constatare che per la maggior parte era già scritto bene,
senza troppi orrori :D
Corrente
naturale
di ellephedre
14 febbraio 1997 - San Valentino
studiato
È il giorno dell'amore,
canticchiò tra
sé Makoto. Giorno di cioccolatini a forma di cuore.
Terminò di disegnare con la panna sulla torta di
cioccolato
fondente. Aveva scritto un solo numero sul dolce, in deliziose nuvole
di bianco gustoso.
1
Assaggiò la coda di panna rimasta attaccata al
beccuccio del
sacco decoratore. Era densa al punto giusto e pronta a
sciogliersi sulla
lingua, semplicemente perfetta. La torta del primo mattino era
pronta. La fece roteare sul piano girevole e corse a
prendere il
telefono.
Tornando in cucina col cordless già
attaccato all'orecchio, rimirò la propria crezione.
Dall'altra parte della linea immaginò Gen che
recuperava il cellulare dove lo aveva abbandonato, dentro il borsone da
lavoro.
«Ehi...» le rispose lui a bassa voce,
languido.
«Ciao,
Mako.»
«Buongiorno.» Erano le sette e mezza e lei
lo
aveva
svegliato: il tono di Gen era tanto roco e lussurioso solo di mattina,
quando lui era ancora
innamorato del sonno appena abbandonato.
Lo sentì rilasciare uno sbadiglio rigenerante.
«Buongiorno
anche a te» le disse.
Makoto lo vide nella propria mente con gli occhi gonfi, che
stiracchiava le
braccia con movimenti che da lenti diventavano energici, il pigiama
ancora caldo del letto. Si pentì di non
aver imparato a
teletrasportarsi. «Scusa per l'ora, ma ero impaziente di
sentirti. Sai cos'ho qui per te?»
«Hmm... no.»
«Un dolce al cioccolato. Vorrei che iniziassi la
giornata
assaggiandolo, quindi mi chiedevo... Posso portartelo all'incontro col
gruppo di studio, vero?» Verovero? Aveva
imparato
che se concludeva in quel modo una frase, Gen non riusciva a dirle
di no.
«Eh?»
Lui non era ancora sveglio. «Oggi. So dove vi
incontrate per terminare il
progetto. Porto questa torta, ce n'è un po' anche per i tuoi
compagni di studio.»
«Ah... certo.» Il suono di
un
sorriso le
confermò che era tutto a posto. «Sei capitata a
proposito
con la chiamata, sai? Stavo lasciando suonare la sveglia, sarei
arrivato in ritardo. Vado a farmi una doccia, ci vediamo
là.»
«Okay!»
«Sono contento che vieni.»
Era naturale. «A dopo!»
Riattaccarono insieme.
Lei sarebbe stata stra-felicissima di incontrarlo di persona
nel giro di
un'oretta.
Era il
14 febbraio, San Valentino: stava insieme a Gen insieme da poco
più di due mesi. Avevano mancato di festeggiare a dovere il
secondo mesiversario per mancanza di tempo, ma si sarebbero rifatti
quel giorno. Lui non conosceva ancora il dettagliato programma
di sorprese che lei aveva in mente.
Ridacchiando inscatolò la
torta.
Nessun progetto di architettura l'avrebbe fermata!
«Davvero? Veramente oggi lui ha detto di non
essere
impegnato.»
Bastò quella dichiarazione a mettere in forse la
giornata di Makoto.
«Come?»
Posò la torta sul
tavolo della biblioteca dell'università, nell'angolo del
grande salone dedicato ai gruppi di studio e discussione.
Gen le aveva
fatto sapere che si sarebbe incontrato lì con i due compagni
di corso assieme a cui doveva terminare il progetto
necessario a superare l'esame; aveva menzionato che uno di loro
era una ragazza. Adesso Makoto l'aveva davanti, ma non
riusciva a ricordare il suo nome.
Prima le aveva detto... 'Ciao, io sono Makoto'. E
l'altra aveva ribattuto, 'Ciao, io sono Kimura' - ecco
il nome -
'Tu sei...?'
Per Makoto la risposta era stata immediata e felice. Io
sono la
ragazza di Gen Masashi.
In quel momento era arrivata la risposta che non capiva,
perciò se la ripeté in testa.
Veramente lui oggi ha detto di non essere
impegnato.
Cercò di dare un senso alla frase.
La ragazza - Kimura - le offrì un sorriso
interrogativo.
«Hajima si incontrerà con la
sua
fidanzata stanotte, ma per Masashi non c'erano problemi, lui
era libero.
Ha detto che dovevamo finire entro stasera e che poteva
restare tutto il tempo che ci voleva.» Scrollò le
spalle.
«Mah... si sarà dimenticato, no? A volte gli
uomini
sono
così.»
Makoto avrebbe sorriso malamente assieme all'estranea se non
avesse
notato il
modo in cui lei era tornata a sedersi, il gomito appoggiato sullo
schienale della sedia e le gambe incrociate sotto la gonna corta.
Kimura-san era una studentessa universitaria con la linea
degli occhi accentuata di nero e le labbra velate di un rossetto
chiaro. Lo sguardo era il suo punto di forza, intenso e sfrontato.
«O forse ha mentito di proposito»
continuò soddisfatta. «A volte gli
uomini fanno anche questo.»
Makoto era un'avida consumatrice di sceneggiati televisivi sin
dall'età di dodici anni, quando la sua cara nonna le aveva
fatto scoprire 'Amore per sempre', un drama di mezz'ora con cui si
intrattenevano durante la cena. Nelle puntate dell'ultima settimana la
protagonista Arisa aveva
cominciato a temere un tradimento da parte del fidanzato. Il
sospetto si era insinuato in lei nella puntata del lunedì e,
arrivato venerdì, Arisa aveva fatto di tutto - complottato
alle
spalle di lui per coglierlo in flagrante, spettegolato con mezza
famiglia allargata, contattato un'agenzia investigativa per
indagare sulla faccenda - senza venire a capo di niente.
Makoto preferiva metodi più
diretti. Aprì
la confezione della torta.
«Desideri un
po' di dolce?»
La sua avversaria rimase interdetta. Sbatté le
ciglia
ricoperte da due strati di mascara.
Makoto armeggiò tranquilla con piattini e posate di
plastica,
fino a servire una fetta di dolce già tagliata: era una
ragazza
previdente e organizzata. «Favorisci pure, è uno
dei miei
dolci migliori. L'ho preparato per tutti e tre.»
Kimura lanciò una lunga occhiata alla torta di
cioccolato,
poi cedette alla tentazione. Dopo averne assaggiato un po', fu
certa che non contenesse alcuna dose di veleno e lanciò
un'occhiata
affamata al resto del dolce - un grosso cuore a cui ora mancava un
pezzo.
Le sarebbe piaciuto che
quell'immagine
corrispondesse a come si sentiva lei, ma niente da fare.
«Buono, vero? Sto per aprire una
pasticceria.»
Si
accomodò sorridente davanti all'estranea, a braccia
incrociate.
«Ho conquistato Gen prendendolo per la gola.»
Alla menzione di lui, Kimura la fissò.
«Che dire? Gli piacciono le ragazze dolci che sanno
fare i
dolci.
A
volte mi fa i complimenti dicendo che profumo di panna e
fragola.
Di te
direbbe che hai il sapore di... un'insalata. Con tanto
aceto.»
Sorrise. «Ovviamente nei sogni in cui finite insieme e che
fai
solo
tu.»
Kimura aprì la bocca piena di cioccolato.
«Aspetta aspetta, ecco un'altra cosa che gli piace
di me: so
far uso di
violenza. Nell'ultimo anno sono arrivata al livello di un quarto dan di
karate. Pratico judo, mi diletto di kung fu... Mi piace menare le mani.
Mi permette di sfogare la rabbia, ho un problema di controllo. Un
attimo sono tranquilla e quello dopo...» Scosse la testa.
Kimura non si muoveva più, neppure sbatteva le
palpebre.
«Riesco a buttare a terra persino lui, capisci?
Tutti quei
muscoli e io» schioccò le dita, «lo
stendo come
niente. Ehh, ma gli
piace, è un tipo di particolare.» Si
alzò e
allegra indicò il dolce. «Penso che ci siamo
capite. Adesso
mi porto via un pezzettino della torta, va bene?»
La sua ex avversaria si limitò a boccheggiare.
Makoto non le badò più e
recuperò per
davvero una fetta del cuore di cioccolato, la più
grossa. La appoggiò su un fazzoletto pulito, quindi
sistemò per bene la borsa sulla spalla e si diresse verso
l'uscita.
Si fermò poco fuori le porte scorrevoli e attese,
paziente.
Gen arrivò un paio di minuti dopo.
«Ehi!» Allargò le braccia
felice e le
venne incontro.
«Ciao» gli rispose lei, mostrandogli il
palmo
aperto. «Guarda cosa ti
avevo portato.»
Lui adocchiò la torta, confuso. Con un
passo in avanti lei gliela spalmò tutta sulla
faccia.
Godette nel vederlo soffocare di cioccolato.
«I fazzoletti sono di là.»
Marciò via lapidaria,
rifiutandosi di ascoltare richiami attutiti da strati di pan di spagna.
Da bravo testardo Gen si pulì con una manata e
cominciò a inseguirla di corsa, ma, da guerriera
professionista, lei lo seminò con un unico salto laterale.
Dilettante.
Lo osservò prendere la direzione sbagliata.
Soffocando
uno stupido groppo alla gola, scese dall'albero in cui si era nascosta
e se ne andò.
Rispondi.
Col telefono attaccato all'orecchio Gen massaggiò
l'apertura
delle narici. Gli veniva da starnutire, nel naso gli era rimasto
del cioccolato. Afferrò il fazzoletto e si pulì
velocemente.
Il telefono dell'appartamento di Makoto continuava a squillare
a vuoto.
Hajima era arrivato in tempo per vederlo mentre tornava
indietro,
diretto verso il bagno degli uomini. Non aveva ancora smesso di ridere.
«Dimenticarsi di San Valentino... Come hai fatto
a non
vedere
le
pubblicità in giro?»
Gen strinse i denti. «Tu pensa al progetto, dobbiamo
finire oggi.
Io non ho pensato che a questo durante tutta la settimana, non ho visto
nessuna pubblicità. Oggi per me era mercoledì, il
14 del mese,
mancano ancora tre settimane al primo esame. Lavoravo di giorno,
studiavo di notte. Non mi ricordavo del dannato San
Valentino!» Si
zittì mentre premeva il bottone di fine comunicazione sul
telefono. Reinoltrò in automatico la chiamata.
Rispondi.
Makoto non poteva essere andata a scuola se era venuta a
trovarlo così presto di mattina, e senza uniforme. Dov'era
finita?
Hajima lo guardava solidale. «Non se la
sarà
presa tanto.
O si sarà sfogata con la torta.»
Kimura ebbe la decenza di guardare per terra. Le era
già mancato il buon senso di astenersi dal chiedere
una nuova fetta di dolce, oltre che il cervello per comportarsi con
dignità. Quando
all'inizio lo aveva visto entrare col collo striato di cioccolato,
aveva commentato 'Ma è un mostro!' e Gen aveva capito di non
avere due sorelle per niente: riconosceva puzza di guai da una sola
frase.
Si era fatto raccontare parola per parola tutto quello che
Kimura aveva
detto a Makoto. Non aveva nemmeno dovuto buttare minacce sul piatto: si
era sporto in avanti, le mani piantate sul tavolo, e Kimura aveva
confessato tutto tremando.
Il problema era più grave di una semplice
dimenticanza,
benché si trattasse del giorno San Valentino. Makoto era
convinta che lui avesse cercato di rendersi disponibile per un'altra
donna. O
no? Lei non poteva credere sul serio a una storia tanto ridicola.
Inoltre si
era fatta valere da dio - da dea - con Kimura.
Ma ora non rispondeva al
telefono, né a casa sua né al negozio, dove aveva
appena fatto installare la linea.
Gen non poteva muoversi da lì - doveva
terminare quel dannato progetto, dato che il giorno dopo ne aveva un
altro
ancora da portare avanti, con un altro gruppo di lavoro. Ma anche se
avesse potuto muoversi, cosa avrebbe risolto? Sarebbe andato in giro
per Tokyo a cercarla a vuoto?
Non esisteva un metodo per localizzarla senza sapere...
Fermò il pensiero e si alzò in piedi.
A volte essere legato a Giove aveva suoi vantaggi.
Fece scorrere sul tavolo i fogli che aveva tirato fuori, verso
Hajima
e Kimura. «Qui c'è la mia parte di lavoro,
studiatevela e
dite se vedete problemi. Vado a fare una chiamata.»
«Pronto?»
Gen tirò un sospiro di sollievo. «Ciao,
Kumada.
Puoi farmi
parlare con Hino?»
Ci fu un momento di silenzio. «Gen?»
«Sì.» Gli aveva detto che
preferiva
essere chiamato Masashi,
ma Yuichiro Kumada non lo ricordava mai.
«Ciao» disse lui.
«Ah...
perché?»
«Devo trovare Makoto.» Venne colpito da
un'idea.
«Non è
lì, giusto?»
«Non è qui. Voglio dire, non lo so. Anzi,
non
è
possibile che sia a casa. In realtà nemmeno io ci
sono.»
Aveva bevuto? «Stai rispondendo al
telefono.»
Kumada liberò una risata. «Sì!
Abbiamo
installato un aggeggio che direziona le chiamate da me quando in casa
non c'è nessuno. Basta premere un bottone, è
ingegnoso. Ha insistito Rei per comprarlo, dice che servirà
adesso che anche lei sarà sempre fuori. Per via
dell'università.»
Gen non aveva capito niente.
«Se sto ricevendo la chiamata io»
spiegò
Kumada,
«significa che il maestro sta meditando e Rei è
uscita.
Quindi Makoto non può essere a casa nostra. Hmm, l'hai
persa?»
«Sì.» Forse Makoto era con Hino?
«È San Valentino.»
«Ormai lo so.»
Kumada scoppiò a ridere. «E io che
pensavo
di
essere
l'unico ad
avere dei problemi. Comunque, per risolvere chiama Alexander.»
«Che me ne faccio di Golden Boy?»
«Niente, ma è San Valentino.
Sarà
assieme ad Ami.
Ed Ami ha-»
«Il suo computer. È vero,
grazie.»
Riattaccò.
Solo qualche secondo dopo si ricordò di non avere
il
numero di Alexander Golden Boy Foster.
Ritelefonò a Kumada e tre minuti dopo stava chiamando il
ragazzo di Mizuno.
«Pronto?»
«Sono Gen, mi servirebbe parlare con Ami.»
Da parte di Golden Boy vi fu un momento di silenzio.
«Chi
ti ha dato
questo
numero?»
«Kumada» strinse i denti Gen.
«Per
parlare con Mizuno. Di
Makoto.»
Altri due attimi muti.
«Se vuoi parlare con Ami, prima parli con
me.»
Dannazione. «Mizuno non è con te,
giusto?»
«No e per questo sono di cattivo umore. Noto che
sei nella
stessa
condizione, salute compare. Ora, vuoi continuare a perdere tempo o mi
dici cosa vuoi da lei?»
«Voglio che mi dica dov'è
Makoto.»
«Saltato l'appuntamento?»
Gen detestava dipendere dalle persone. Dipendere da Foster,
poi...
«Mi
ha frainteso su una cosa e ora ho bisogno di trovarla.»
«Questa è divertente. Che le hai fatto di
tanto
grave da
dover ricorrere a poteri Sailor per recuperarla?»
«Non sono affari tuoi.»
«Allora nemmeno il numero del telefono portatile di
Ami
sarà
affare tuo.»
Giusto, anche Mizuno ne aveva uno. Ormai era prezioso.
«Occhio per
occhio. Che le hai fatto tu?» Non si sarebbe umiliato da solo.
«Io niente, ci siamo imposti di
studiare
da settimane.
Sto studiando, sta studiando anche lei. Ci vedremo solo
stasera.»
Lo studio era una maledizione comune. «Makoto pensa
che io abbia
detto a
un'altra ragazza che non sono fidanzato. Credo. E si è
arrabbiata
perché mi sono dimenticato che era San Valentino.
Forse.»
«Cosa?»
La risata gli provocò un battito sordo dentro la
testa.
«Fuori il numero di Mizuno.»
«O hai detto a un'altra donna che non eri impegnato
o non
lo hai
fatto, non
ci sono vie di mezzo.»
C'erano! «Ho usato proprio quella parola,
'impegnato'! Mi
riferivo a
oggi, ho detto che non era impegnato oggi e
perciò avevo del tempo per studiare,
solo per questo. Sono stufo di parlarti della mia vita.»
«Sono sadico quando sono triste e solo. Uno che dice
di non
avere impegni
nella giornata di San Valentino sta sostenendo di essere
single.»
Gen si impose calma. «Sì. Ma Makoto non
ci crede
veramente.»
«Perché?»
Gli spiegò sinteticamente quello che lei aveva
detto a
Kimura, solo per non perdere altro tempo e ottenere il dannato numero
di Mizuno.
«Non hai ancora capito perché Makoto
è
arrabbiata?»
Golden Boy se la stava spassando.
«Non mi interessa quello che pensi.»
«Le hai rovinato San Valentino. Ti aveva preparato
una torta,
è venuta a portartela alle nove di mattina e ha trovato
un'altra tizia
che ti ronzava attorno e tu che nemmeno ricordavi che giorno
era.»
Gen fu costretto a riflettere.
«Il numero di Ami è... Hai da
segnare?»
«Sì.» Prese nota delle cifre.
«Grazie» bofonchiò
alla fine.
Seguì un sospiro. «Che l'amore sia con
te.»
Gen rimase con la cornetta attaccata al telefono.
«Per tutto
il tempo
hai
parlato come una ragazza. Quando sei depresso, perdi anche le
palle?»
Al telefono Golden Boy sorrise. «Fottiti.»
Ecco una conversazione da uomini, rise Gen.
Riattaccarono.
Alla fine si rivelò tutto inutile: Mizuno si
limitò a dirgli che Makoto era arrivata al negozio.
Gen scelse un approccio telefonico: se fosse andato di persona
avrebbe
perso due ore tra andata, spiegazioni e ritorno, col risultato di
togliere due ore alla serata che poteva ancora trascorrere insieme
assieme a Makoto.
Avrebbe finito entro le sette, lo giurò a se stesso.
Lo squillo della chiamata si interruppe e lei
rispose. «Ciao. Ho dato solo
a te questo numero.»
Gen l'aveva già sentita arrabbiata e Makoto non era
mai stata
tanto
tranquilla e... letale. «Ciao. Hai fatto bene a terrorizzare
Kimura. Era un'illusa.»
«Mi chiami per parlarmi di un'altra
ragazza?»
Era partito col piede sbagliato. «Mi ero
dimenticato che
giorno era
oggi, per questo ho detto a quei due che questo mercoledì
non avevo
impegni.»
«Va bene.»
«La torta era... buona.» Anche in
faccia a lui.
Makoto fece silenzio «Ci avevo
scritto sopra 'uno'.
Era il primo dei quattro dolci che volevo darti oggi. Sto mangiando il
numero due, sono dei biscotti. Te li avrei portati per merenda al
pomeriggio.»
Makoto che faceva fuori un dolce era all'apice della propria
ira - o
delusione. «Mi dispiace.»
Lei emise un suono confuso.
«Dispiacerà a
te. Il quarto dolce era solo crema di cioccolato. Pensavo di
lasciartela
mangiare dal mio stomaco.»
... cosa?
Makoto sbatté una mano contro una superficie dura.
«Sono
arrabbiata!»
«Sai che è tutta la settimana che ho in
testa
solo lo studio.»
«Lo so! E non mi interessa se non è colpa
tua, ma
oggi - a San
Valentino - non dovevo trovarmi davanti una stupida che mi
dice che ti sei dimenticato apposta di che giorno
è!»
«Lasciala perdere, l'ho messa al suo posto! Mi dispiace
se ti sei arrabbiata, non volevo-»
«Avevo tanti piani!» Makoto
abbassò di
colpo il tono della voce. «Avevo
preparato... tante cose. Era il nostro primo San Valentino...»
Oh no, non così. Non con quel tono affranto, quando
lui era
lontano e non poteva fare altro che usare le parole per farsi
perdonare.
«Abbiamo la serata, mi
libererò in
tempo. È una promessa.»
Il silenzio di lei non fu incoraggiante. «No, non
lavorare di
fretta.
Il resto non conta.»
Quella conversazione stava diventando come lo schianto di un
treno al
rallentatore. «Per favore, torna qui al pomeriggio, come
avevi
programmato.»
Makoto non disse niente.
«Se non fosse per questo dannato progetto, verrei io
da te e
staremmo
insieme ogni minuto che manca da qui e mezzanotte. Torna, voglio
vederti.»
«Gen... Non ti preoccupare. Pensa al progetto, ci
vediamo
stasera.»
Lei non lo aveva capito. «Non lo sto dicendo per te,
Makoto. Torna
indietro più tardi, seguiamo i tuoi piani. Se
è San Valentino, è anche il nostro
giorno.»
La breve risata di lei fu un suono di salvezza.
«Guarda che
non ti
lascio lo
stesso leccare il cioccolato via da me.»
«In pubblico? Anche io sono contrario.»
Il fragore della sua allegria mise tutto a posto.
«Nemmeno dalla bocca?» insistette lui.
«Neppure da quella» ribadì
Makoto, la
sua voce un invito a
provarci. «Allora...» Tornò insicura.
«Vengo
dopo?»
«Sì.»
Al telefono Gen udì un sospiro rapido, sollievo e
impazienza.
«Ciao.»
«Ciao.»
«Questo» Makoto baciò il
biscotto,
«è l'ultimo
rimasto.» Lo appoggiò sulla bocca di Gen, decisa a
salutarlo
solo in quel modo. I contatti erano vietati.
Lui addentò un pezzo della massa di farina e
cioccolato e le
prese la mano prima che lei potesse spostarla. Riuscì a
farle fare un passo nella sua direzione, ma Makoto
si ritrasse in tempo per evitare l'abbraccio.
Si trovavano in un angolo nascosto dell'ingresso del salone
studio,
dove quella mattina gli aveva macchiato il viso di cioccolato.
«Sei ancora arrabbiata?»
«No.» Adesso pensava a un gioco, una
sorta di
prova
di forza per
se stessa. Per tutti e due. «Mi dispiace per la
torta.»
Aveva esagerato. Si sarebbe scusata anche dieci volte se fosse stato
necessario.
«Te l'ho detto, era buona.»
«In faccia?»
Gen scrollò le spalle. «Era anche meglio
della
violenza con cui hai
minacciato Kimura.»
Sorrisero insieme.
«Non ho mai visto una rissa tra donne a causa
mia»
fantasticò lui.
«Non ci sarebbe stata nessuna rissa. Avrei vinto io
per
K.O. al
primo
colpo.»
«È vero.»
Makoto si ritrovò abbracciata, il respiro di Gen
sulla bocca e il
proposito della distanza svanito come neve al sole.
«L'avresti
distrutta» le surrussò lui.
Lei allontanò le
labbra in
tempo per evitare il bacio, ma non abbastanza in fretta per impedire un
contatto leggero che le infiammò i nervi della bocca.
Femminuccia. Va
bene essere dolce, ma non diventare così
malleabile.
Gen la guardò per un momento e capì
tutto quanto.
Le tenne ferma la testa con le mani - le dita che volevano scioglierle
i
capelli - e si prese quello che volevano entrambi.
Fu un bacio caldo, umido,
intenso come una carezza su tutto il corpo,
così piacevole da farla sciogliere.
Tirandosi indietro, Makoto quasi si pentì.
«Vado a
casa.» Si liberò dall'abbraccio e gli
lanciò un sorriso veloce.
Gen stava assaggiando il gusto rimasto sulle labbra.
«Va bene.
Arrivo alle
otto.»
«Al negozio, passa da lì.»
Si salutarono con uno sguardo.
Il problema era un non problema, concluse in serata Makoto.
Non ce
l'aveva con Gen per aver
attirato una piattola, né per essersi dimenticato di San
Valentino. Non ce l'aveva più con lui, semplicemente: capiva
le
circostanze, quanto lui fosse stato impegnato e con la testa
occupata durante l'ultima settimana.
Le era rimasto solo da chiedersi
perché fosse pronta a cadere ai
suoi piedi nel giro di pochi secondi, dopo appena qualche parolina
giusta - bella, certo, ma che non richiedeva molto sforzo.
A Gen piaceva che lei fosse dolce, ma anche forte. Anche lei
si piaceva di più quando si conquistava da sola
qualcosa.
Perciò, San Valentino mio, piani cambiati:
non
sarai un giorno di concessioni, ma di conquista.
Terminò di accendere la seconda candela rosa, il
fusto lungo
coordinato allo stile dei due piatti già serviti.
Il tavolo di
casa sua avrebbe creato un'immagine più romantica rispetto
al
tavolino nuovo del negozio, semplice e leggero, ma nel suo appartamento
sarebbero stati pericolosamente vicini al letto - un luogo troppo
invitante dopo
che aveva parlato a Gen della sua idea con la crema al cioccolato. Non
gli aveva detto che intendeva usarla anche su di lui, ma
quella
sarebbe stata solo un'altra delle esperienze che intendeva prendersi e
assaporare a tempo debito.
Il campanello nuovo del negozio suonò.
Dietro la porta di vetro Gen aveva inclinato la testa, le mani
infilate
in un paio di pantaloni diversi da quelli che aveva indossato durante
il pomeriggio, scuri e ben stirati. Anche la camicia e la giacca erano
spuntate fuori dal nulla.
Dove hai preso questi vestiti? Doveva
averglieli
portati all'università una delle sue sorelle; erano ragazze
generose e disponibili quando si chiedeva loro una mano.
Lei voleva esordire chiedendo a Gen com'era andato il
progetto, ma
quella era una domanda da Makoto quotidiana e aveva tanto tempo
per trovare risposta.
A sua volta indossava qualcosa di diverso dal solito,
un abito rosa pallido che le fasciava il corpo, bello da vedere anche
abbandonato a terra. Più tardi, da
un'altra parte.
Aprì la porta, appoggiandosi all'anta. «Benvenuto.»
Gen guardò il suo viso, poi tutto il resto di lei.
«Ciao» disse con riverenza.
Makoto gli indicò il tavolo. «La cena
è
servita.» Per
evitare il tocco della sua mano si mosse lungo un immaginario
cerchio, rimanendo inaccessibile e misteriosa.
Il tintinnio della porta che si chiudeva
regalò una nota di atmosfera alla penombra.
Spostò una sedia, invitandolo a
prendere
posto.
Lui sorrise. «Sei la padrona del
ristorante?»
Lei annuì. «Sei il primo ospite
stasera. Voglio
trattarti
molto bene.»
«Il primo?» Gen si accomodò,
seguendola con lo
sguardo come se la stesse già toccando - come se la stesse
già stringendo tra le braccia.
Makoto sentì un formicolio lungo tutta la schiena.
«Ci sono altri
pretendenti. Ma ho scelto di averti per primo, e se sarai il
migliore...»
Lui aveva appoggiato il mento sul palmo della mano.
«Lo sarò.»
Per concentrarsi Makoto guardò il cibo.
«Oggi la
casa offre
roastbeef inglese, purè di patate e insalata come contorno.
Una cucina esotica per un ospite speciale.»
Sistemò il
tovagliolo sulle gambe e usò il telecomando della
saracinesca, chiudendo
l'entrata. «Per un po' di privacy»
sorrise. «Il locale è
aerato da una finestra aperta nell'altra stanza.»
Lui guardò senza motivo il pavimento.
«Chiedo
scusa, mi
è caduta una cosa.» Si chinò di lato e
sparì col busto sotto al tavolo.
Makoto si sentì accarezzare su una gamba e
soffocò
una risatina.
Gen tornò su. «Recuperata»
sussurrò.
Lei cercò di mantenersi seria. «Cosa
avevi
perso?»
«Una persona. Sapevo che era ancora lì,
ma dovevo
sentirla.»
«Non ti preoccupare.» Strappò
delicatamente un petalo dalla
rosa rossa che svettava dentro il vaso sottile al
centro del tavolo. «Qui hai tutto
quello di
cui hai bisogno.» Soffiando forte fece volare via il petalo,
nella sua direzione.
«Ah, è arrivata la mia ragazza.
Ciao.»
Makoto sorrise. «Ciao.»
«Decorazioni rigide» commentò
Makoto,
mostrandogli i
risultati dei suoi sforzi pomeridiani, disposti su tutto il bancone nel
locale cucina.
Candele anche lì, notò Gen.
Makoto gli stava indicando delle formine bianche.
«Mi
serviranno
per i dolci
che esporrò in vetrina. Saranno quelli a presentarmi ai
miei clienti. Ho iniziato a fare qualche prova con questa pasta bianca
di
zucchero che si chiama Satin Ice. Oggi l'ho usata per
costruirci fiori e colombelle.»
A Gen venne da pensare: c'era qualcosa di sbagliato se trovava
sexy la
parola 'colombelle'? Forse era il modo in cui si erano mossi i capelli
di lei mentre parlava: la ciocca ondulata accanto alla sua
guancia gli chiedeva di intrecciarla attorno al dito e non
lasciarla più andare.
Makoto si chinò in avanti, donandogli la vista
della
schiena, il tessuto rosa e morbido che aderiva al suo corpo
abbracciandole le natiche rotonde.
Lei scoprì un vassoio al
centro del bancone. «Questa invece è la torta
numero tre,
quella che ho preparato per noi due. Da mangiare durante la
settimana»
sorrise. Non gli diede il tempo di commentare: afferrò uno
dei cuori rosa della decorazione e glielo infilò in bocca.
«Buono, vero?»
Vero sì. Vero tutto quello che
le sarebbe
uscito dalle labbra.
Makoto gli causò un lamento assaggiando il dito con
cui gli
aveva porto il dolce.
Districandosi senza sforzo dall'abbraccio che lui
cercò, fece un passo indietro.
«Non mi hai parlato del
tuo
progetto. Ora
l'hai finito?»
«Sì.» Dovette concentrarsi per
ricordare
i dettagli.
«Abbiamo mantenuto la struttura a stella. Romantico,
hm?»
Makoto sgranò gli occhi.
«Abbiamo?»
«Kimura non c'entra niente. Neanche Hajima. Ho
detto abbiamo
perché mi hanno corretto sui dettagli, ma il progetto
è mio.»
Lei sembrò stranamente sollevata.
«Struttura a
stella,
hm?»
«Dovevamo immaginare una città del
futuro. Tanto
valeva
essere creativi e audaci. È
stata una buona idea quella di riprendere il mio vecchio
disegno.»
Continuava a dirselo da solo, ma era fiero di quel lampo di genio.
«Pagherà in sede di valutazione finale.»
Makoto sorrise al nulla. «Sì, per
l'esame.»
«Cos'hai da ridere?» indagò
lui.
«Niente.» Makoto lo toccò sulle
spalle, indugiando nella carezza. «Mi
piaci molto con questi vestiti.»
Finalmente avevano finito di rincorrersi. Era stato un bel
gioco, ma il
premio
finale era migliore. «Mi stai facendo dire qualcosa di cui mi
pentirò, ma... amo il rosa. Su di te, almeno - è
la mia unica scusa.» Fece
scorrere la mano sulla gamba di lei, tirando su il tessuto.
Invece di socchiudere gli occhi, Makoto si morse un labbro.
«Attento,
è delicato.»
«Lo so.»
«No, è veramente delicato.
L'ho cucito
io, non
molto
bene.»
L'aveva fatto lei?
Makoto indicò l'abito.
«Era
più
lungo» sussurrò. «Liscio. Aveva uno
scollo diverso.» Si
toccò con reverenza il seno. «In questa
settimana
l'ho accorciato per creare queste piccole onde, poi mi sono messa a
pensare a come tagliarlo sul petto. Ho scelto di tenerlo su con una
spalla sola. Ne è valsa la pena, solo che...»
Finì col sorridere a bassa voce. «Poi rovino tutto
raccontandoti questi particolari e annoiandoti a morte.»
Costruttrice. Quando Makoto aveva un'idea,
buttava
giù le fondamenta e costruiva da sola quello che le serviva.
Se ancora non andava bene, lei la cambiava a piacimento.
Le accarezzò la parte nuda della schiena.
«Oggi non
abbiamo cenato a casa tua.»
Makoto esitò nel rispondere, poi gli concesse uno
spiraglio.
«Ho pensato che potesse essere diverso... qui.»
«Perché qui dobbiamo
aspettare?» Lei sapeva benissimo a cosa si
riferiva.
«Forse.» La vide scrollare le spalle,
trattenendo un sorriso
sull'angolo della bocca, dove sapeva di rossetto, cibo, zucchero e
Makoto.
Era furba, riconobbe lui. Geniale.
La intrappolò tra sé e il tavolo.
«E se
aspettiamo prima di rientrare a casa tua?»
Makoto comprese solo quando lui iniziò a spostare
via
gli
strumenti di lavoro dal bancone, dietro la sua schiena. Aveva
contribuito lui stesso al montaggio di quel piano da cucina,
perciò sapeva che
era solido e in grado di reggere il peso di entrambi.
«Hai avuto
l'idea di questo
posto, hai
preparato la cena, hai creato l'atmosfera... Lascia che
ora contribuisca.»
«Non hai pazienza.» Ma lei aveva
ricambiato la
sua stretta e ora stava cercando di sedersi sul tavolo.
«Non ti ho mai fatto vedere quanto posso andare
piano.
Sarà
questo il giorno.»
Le uscì un sorriso soffice.
Lui rimaneva conquistato quando lei non lo prendeva
sul serio: la loro esperienza era molto diversa nei numeri, ma identica
quando stavamo insieme. Ogni volta che voleva
spogliarla, toccarla dappertutto e privarla di ogni
ragione, cadeva
dentro la sua stessa trappola. Era la cosa migliore che gli fosse mai
capitata.
Makoto stava lasciando una scia di baci lenti lungo la sua
gola.
«Sai
che mi sono dimenticata di accendere una cosa?»
Accendere?
Lei afferrò un telecomando e
puntò un angolo della stanza. Partirono dei
suoni.
Musica. Altra atmosfera.
Gen fissò lo stereo posato sopra il piano cottura.
Makoto ridacchiò a bassa voce. «Ho
esagerato? Ma se mi dimostri che ci sai
fare anche in
quest'occasione, hai vinto tu.»
Gen abbassò lo sguardo su di lei. Makoto aveva le
guance
arrossate
nonostante l'audacia dimostrata. Era allegra, viva di fronte ad una
serata piena
di possibilità.
L'aveva giocato. «Sapevi che sarebbe finita
così.»
«Oh, no. Ma conosco i miei polli, i miei dolci e i
miei Gen.
So che
effetto possono farmi. Sono venuta preparata.» Lei si
sdraiò, i
capelli sparsi sul tavolo, gli occhi che brillavano.
Domani
ti dirò quanto sei bella.
«Sono al plurale?» le chiese. Si
chinò su
di lei.
«Sei tanti e uno solo.» Makoto lo
baciò.
«A
volte non ti ricordi di San
Valentino e sei insensibile. Spesso dici di non essere
romantico.» Gli diede un secondo bacio. «Ma mi
assecondi nelle mie sciocchezze. Dici di
essere
pratico e poi immagini città a stella.» Altro
bacio e una
risata. «Domani scoprirò una cosa nuova di te,
vero?»
«Vero sì.»
«Ora puoi amarmi?»
«Lo faccio già.»
Non parlarono più.
14 febbraio 1997 - San Valentino studiato - FINE
NdA originali del 16/02/2012 :
Olè, non sono finita nel rating Rosso! Forse
alcuni di voi lo avrebbero preferito :D Per questa storia dal titolo
originalissimo ho voluto provare a concentrarmi sul romanticismo
più puro.
Forse lo avrete intuito dalle conversazioni di Gen con
Yuichiro e
Alexander, ma avrei altre idee per questa giornata di San Valentino.
Sono ancora vaghe, quindi per ora dichiaro la storia chiusa. Quando
avrò tempo e ispirazione, dopo aver scritto cose
più importanti (Verso l'alba, cough) scriverò
perché Alexander è sadico e depresso e
perché Yuichiro
sente di avere problemi con Rei. Gli episodi avranno un sapore simile a
questo. Per Usagi e Mamoru è meglio che prima scriva la
fine di Verso l'alba, capirete in seguito ;)
Dimenticavo: qui ho inserito un importantissimo indizio futuro
che ho
in mente da un trilione di anni. Avrete ulteriore delucidazioni con
l'epilogo di Verso l'alba :)
Grazie di aver letto! Se avete un pensiero su questa storia
sarà un premio enorme per me!
ellephedre