That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.006
- Dissapori
Regulus
Black
12, Grimmauld Place, Londra - ven. 15 gennaio 1971
Gli Sherton arrivarono sul presto, via metro
polvere, un pomeriggio stranamente tiepido e soleggiato, tale da
rendere ariosa e luminosa persino la nostra austera dimora: casa Black
era una vera reggia, racchiusa in un palazzo di città,
bellissima, ricca e nobile, ma un po’ seria, persino per me
che facevo dei dettami dei miei genitori i pilastri su cui muovere ogni
passo della mia esistenza. Quando apparvero dal caminetto del Salone
dell’Arazzo, la luce naturale che filtrava
dall’esterno attraverso i velluti e i broccati che
addobbavano le finestre, sembrò intensificarsi, donando a
tutte le cose, alla mia famiglia e a me una maggiore vita. Sapevo dalle
storie di mio padre che la magia di Herrengton andava al di
là di quella tradizionale, qualcosa che aveva a che fare
strettamente con le forze della natura e il sangue degli
“eletti”, e mi chiesi se magari anche quella luce
fosse non soltanto una mia fantasia, ma l’effettiva
espressione del loro potere, tanto ero affascinato da quelle leggende.
Mia madre, in trepidante attesa, era andata subito loro incontro,
abbracciando e baciando Deidra e sorridendo civettuola ad Alshain, poi,
dopo aver preso per mano un’incerta Meissa, li aveva invitati
ad accomodarsi per un the. Mio fratello ed io li attendevamo in piedi
dietro alla poltrona su cui era seduto nostro padre, accanto al
caminetto: come ci aveva insegnato papà, ci avvicinammo
eleganti e aggraziati, nei nostri vestiti nuovi e più belli,
Sirius in un completo blu, io vestito di grigio antracite, e rendemmo
loro omaggio, facendo galantemente il baciamano alle nostre ospiti,
sotto gli occhi orgogliosi dei nostri genitori e quelli divertiti di
Sherton e sua moglie. Con mio fratello eravamo scesi già da
oltre un’ora per essere istruiti di nuovo su ciò
che avremmo potuto e dovuto fare e dire e, soprattutto Sirius, su
ciò che mai e poi mai avremmo dovuto fare. Non capivo il
perché, ma delle tante visite che ricevevamo, quella pareva
innervosire seriamente mia madre, come se non avessimo invitato gli
amici di papà, ma qualcuno che fosse più
importante persino del Ministro della Magia. E notoriamente mia madre
nemmeno di lui aveva alcuna soggezione! Inoltre gli Sherton in quel
periodo erano venuti spesso a casa nostra, l’unica differenza
era che quel giorno, per la prima volta, la figlia avrebbe accompagnato
i genitori. Ed era impossibile che mia madre avesse timore di una
ragazzina! Quale che fosse la ragione, da quando avevamo ricevuto il
gufo in cui ci confermarono la loro presenza per quel
venerdì, il pensiero degli Sherton divenne
un’ossessione al 12 di Grimmauld Place. La mamma era
diventata veramente maniacale nel curare i nostri aspetti, portandoci
dalla sarta per provare vari vestiti nuovi e, a casa, facendoci sedere
su più divani in più stanze, fino a scegliere
quello accanto alla finestra del Salone degli Arazzi come scenario per
quell’incontro: sembrava quasi che dovesse mostrarci nella
luce migliore, come fossimo merce da vendere. E se nostra madre, in
fondo, era sempre stata un po’ strana e ci aveva abituato a
quelle scene surreali, questa volta nostro padre sembrava condividere
le sue bizzarrie, arrivando a voler assistere alla prova dei vestiti in
sartoria e dando personalmente suggerimenti e direttive su come voleva
che ci presentassimo ai suoi ospiti. E ora finalmente eravamo tutti
lì.
In un primo momento rimanemmo insieme nel salone, ma dopo un rapido
scambio di chiacchiere e complimenti, nostro padre e il suo amico si
ritirarono nello studio per parlare e fumare per conto proprio. Noi
ragazzi, la signora Deidra e nostra madre rimanemmo nella stanza: io e
mio fratello, come da accordi, ci sedemmo sul divano posto tra la
finestra e l’arazzo, di lato a quello più lungo
posto a guardare la parete su cui si accomodarono Meissa e sua madre.
La mamma si arroccò di fianco alla signora Sherton, con la
scusa di ammirare il bambino, ma probabilmente per avere una posizione
privilegiata da cui sbirciare meglio l’aspetto, le azioni e
le impressioni della ragazzina. Già a un primo colpo
d’occhio le tre streghe erano una meravigliosa espressione
della bellezza purosangue: mia madre era superba in un abito blu
semplice ed elegante, che ne esaltava il fisico a dir poco perfetto ed
era impreziosita come sempre dai suoi gioielli più belli; la
signora Sherton aveva un magnifico abito ampio, verde smeraldo,
elegante e sobrio, a stringere le forme ancora generose per la recente
gravidanza e i capelli raccolti in uno chignon morbido, che metteva in
risalto il candore della sua pelle e il collo da cigno, su cui faceva
bella mostra di sé un medaglione con le serpi
d’argento e smeraldo di casa Sherton. Sua figlia infine, come
avevo già intuito la notte di Yule, sembrava un angelo, con
i capelli raccolti in una treccia corposa, corvina, e il fisico minuto
chiuso in un bell’abito borgogna. Per evitare di fare
figuracce osservandola con insistenza, finsi di studiare
l’arazzo che era appeso alla parete accanto a me:
quell’intreccio di nomi, volti e date era la dimostrazione di
come, benché ormai alla lontana, fosse il sangue, nobile e
puro, oltre all’amicizia, a legare saldamente le nostre
famiglie. Eppure non riuscivo a mantenere a lungo i miei proponimenti,
non riuscivo a fare a meno di guardarla, di sottecchi o apertamente, e
sentivo che le guance mi diventavano color rubino ogni volta che
intercettavo i suoi occhi o che qualcuno nella stanza sembrasse intuire
i miei pensieri. Il fatto era che non avevo mai visto una ragazzina
così bella, certo le figlie di zia Druella erano giovani
donne meravigliose, Bellatrix in maniera particolare era, secondo me,
una gioia per gli occhi e forse la figlia di Sherton mi aveva colpito
proprio perché aveva gli stessi colori della mia cugina
più grande. Con, in più, quegli straordinari
occhi verdi da cui a fatica riuscivo in quel momento a staccare lo
sguardo.
Meissa si era seduta in silenzio sul divano di fianco al nostro
guardandosi attorno curiosa, osservando attentamente noi, ma attratta
soprattutto dall’arazzo su cui era ricamato
l’albero genealogico della mia famiglia: immaginavo come
dovesse sentirsi di fronte alla manifestazione della purezza e della
nobiltà dei Black, anche se sapevo benissimo che la sua
famiglia era una delle pochissime in Gran Bretagna a essere al nostro
livello. Quando ci guardavamo, io cedevo sempre per primo, mentre lei
sembrava sostenere tranquillamente il mio sguardo con aria impassibile,
anche se avrei scommesso che volesse sorriderci, persino a Sirius, che
aveva la solita faccia da idiota e non capivo se volesse deriderla,
mettendo tutti quanti noi in imbarazzo, o per una volta avesse trovato
chi suscitasse anche in lui l’orgoglio di essere un Black,
che pareva non attecchisse mai in quella sua mente malata. A dire il
vero ultimamente mio fratello sembrava essersi dato una calmata, e
questo, unito al fatto che ora avevo una stanza tutta mia, aveva
significato per me lunghe settimane di pace lontano dai guai che creava
lui. Certo, non averlo più accanto, notte e giorno,
significava anche annoiarsi più spesso e sentirsi a volte
più soli, ma alla lunga era un prezzo equo per la
tranquillità che ne avevo guadagnato: era meraviglioso
sapere che non sarei più stato punito a causa sua! Smisi di
preoccuparmi di mio fratello, che al momento manteneva quel basso
profilo che nelle ultime settimane gli aveva garantito
l’impunità, parlando solo se interpellato,
lanciando sorrisi e fugaci occhiate interessate alla ragazzina, forse
aspettandosi di riceverne a sua volta, invano.
La mamma in quel momento stava chiedendo a Meissa se trovava il
Wiltshire bello come la sua Scozia e la ragazzina, abbastanza
impacciata, non riusciva a essere convincente affermando che si stava
divertendo. Sembrava proprio a disagio quando nostra madre la guardava
e le rivolgeva la parola, e questo pareva mortificarla parecchio, ma io
sapevo che persino alcuni adulti si sentivano in difficoltà
con Walburga Black, e se solo fosse stata una cosa opportuna, le avrei
detto apertamente di non preoccuparsi di nulla, perché tutti
noi, in quella stanza, la trovavamo semplicemente deliziosa. Non
potendo farlo mi limitai a sorriderle, ricevendo a sorpresa un sorriso
come risposta: era bellissima, era davvero un angelo sceso a Grimmauld
Place per rendere ancora più meravigliosa la mia vita
già perfetta. Fu allora che voltandomi verso mio fratello mi
accorsi della sua espressione strana, lo conoscevo abbastanza bene da
capire che ne stava studiando una delle sue e mi si gelò
letteralmente il sangue: avendo per anni subito ogni serie di dispetto,
sapevo quale mente bacata si nascondesse dietro quell’aria da
bravo ragazzino, e purtroppo, a parte i miei genitori che
l’avevano inquadrato perfettamente, nessuno riusciva a
credere che fosse una tale calamità. Piccoso
com’era, c’era da aspettarsi che stavolta tirasse
un brutto scherzo alla piccola Sherton, mettendoci tutti in ridicolo e
magari mandando a monte la vacanza in Scozia, solo perché
lei aveva sorriso a me e non a lui. Così, quando nostra
madre e la signora Sherton ci diedero il permesso di invitare Mey a
giocare con noi nella stanza a fianco, mi preparai al peggio.
“Se vuoi puoi venire di sopra,
il tempo che andiamo a prendere i giochi!”.
Aveva già fatto quattro o cinque gradini e la guardava con
occhi invitanti, la tipica faccia con cui in genere abbindolava chi non
lo conosceva, ma Meissa restava nell’ingresso, sembrava
perplessa.
“Ma Sirius, non
possiamo…”.
“Non badare al moccioso, dai,
vieni!”
Sirius sapeva bene quanto me che non avevamo il permesso di invitare
nessuno di sopra, né tanto meno mi sembrava conveniente che
Meissa si avventurasse in casa d’altri senza il permesso di
sua madre. La ragazzina sembrava combattuta, si guardò un
paio d volte attorno, rivolgendo l’attenzione allo studio da
cui arrivavano le risate di mio padre e di Alshain, e
all’ingresso della sala in cui avevamo lasciato le nostre
madri. E soprattutto aveva guardato poco entusiasta il portaombrelli
all’ingresso e la cupa scalinata da cui facevano capolino
ritratti di antenati e teche, in cui erano conservati, lei non poteva
ancora saperlo, le teste mozzate di numerosi elfi che avevano servito
la famiglia Black. Fu probabilmente il ghigno canzonatorio di Sirius a
convincerla, perché all’improvviso, senza dire una
parola, iniziò a salire i primi gradini: a quanto pareva non
era il tipo che lasciasse cadere le sfide, o che volesse farsi
etichettare come una ragazzina paurosa. A quel punto, poiché
ormai tutto stava andando a favore di mio fratello, invece di far
intervenire la mamma, decisi di raggiungerli e con un paio d balzi,
dopo essermi portato al suo fianco, la sorpassai di qualche gradino,
così che se davvero Sir aveva in mente qualcosa, sarei
riuscito a interferire. Non che mi preoccupassi dei guai in cui poteva
cacciarsi, ma non volevo assolutamente che Meissa pensasse male di
tutti noi. Inoltre, se davvero mio fratello avesse fatto il matto, come
temevo, se avessi subito al posto di Mey la pazzia di Sirius, sarei
apparso agli occhi di tutti come un eroe, e questo mi avrebbe ripagato
ampiamente anche dal prendermi un pugno sul naso o sopportare uno
qualsiasi degli stupidi scherzi di quella canaglia. Iniziai a
rallentarla e distanziarla da mio fratello, facendo il cicerone e
raccontandogli qualche aneddoto buffo su alcuni dei nostri antenati che
stavano russacchiando nelle loro cornici dorate, avendo ben cura che
mai il suo sguardo finisse su qualche orrida testa d’elfo:
fui talmente bravo, per un po’, che non solo riuscii a
catturare la sua attenzione, ma di fronte alla trisavola Ursula e al
vecchio Phineas, che dormivano letteralmente a bocca aperta, finimmo
col ridere sonoramente, allietando la cupa scalinata, disturbando parte
del parentame dipinto, e probabilmente facendo infuriare ancora di
più mio fratello, che stava ormai un piano più in
alto rispetto a noi.
Mi sentivo il più felice della terra, Meissa oltre a essere
graziosa era anche simpatica e gentile ed io iniziai a lanciarmi nei
sogni che ormai dalla notte di Yule caratterizzavano completamente le
mie giornate. Come figlio di Orion e Walburga Black a dieci anni io
avevo già tutto, ricchezza, bellezza, purezza, fama,
reputazione. Sfruttando l’amicizia che ci legava agli
Sherton, sapevo che un giorno, se solo l’avessi voluto e
chiesto, mio padre avrebbe potuto intercedere per me presso il suo
migliore amico ottenendo la mano di sua figlia per me. Era
così che avveniva nelle famiglie come la nostra. E lei, la
ragazzina che era già ora nelle mire e nei sogni di
metà delle famiglie purosangue del mondo magico, a quel
punto sarebbe stata al mio fianco per tutta la mia vita, rendendola
meravigliosa, proprio com’era meraviglioso quel preciso
istante. Nulla rendeva quel sogno privo di fondamento, vero, ma
esisteva un unico, semplice e inesorabile dettaglio che poteva
vanificare tutto, e in quel momento si trovava dieci scalini avanti a
me: mio fratello, Sirius Black. Era lui il maggiore, quindi era lui
l’erede della nobile casata dei Black, e questo era
già un ostacolo non da poco, inoltre, se crescendo non
avesse migliorato il pessimo carattere che si ritrovava, poteva
costituire una specie di bomba a orologeria per la reputazione di tutti
noi.
Fu così che mi distrassi. Pensando ai danni che poteva fare
mio fratello al mio futuro. E proprio allora Sirius mi
chiamò dal pianerottolo di sopra, io m sporsi, Meissa si
voltò per vedere cosa volesse mio fratello e finì
col trovarsi accanto al muro all’altezza
dell’antenato Arcturus, che urlava smodatamente quando vedeva
estranei avventurarsi fino al suo cospetto senza essergli prima stati
presentati degnamente. A peggiorare il tutto, il ritratto era posto di
fronte a una testa di elfo particolarmente orrida, Rubidius,
sacrificato alle ire di mia madre poco prima della mia nascita. Tutto
avvenne in pochi istanti, lo zio dal ritratto ululò,
costringendo Mey a passare vicino all’elfo decapitato: la
vidi sorpresa e sconvolta dalle urla, mettere a fuoco gli orridi resti
del domestico e farsi pallida, incapace di pronunciare una qualsiasi
parola. Al contrario di quanto temevo, non urlò isterica,
né si mise a piangere, spaventata, era solo pietrificata
dallo shock. Non riuscii a far altro che sussurrarle un timido
“Scusa”, che forse nemmeno sentì,
perché subito mia madre e la nostra ospite si affacciarono
per capire cosa stesse accadendo e immediatamente la mamma m
incolpò per aver attirato l’ospite lungo le scale,
benché non ne avessi il permesso, mettendomi così
in imbarazzo con Deidra e suo marito che era uscito, allarmato a sua
volta, dallo studio di mio padre.
Intanto mio fratello era sceso dalla sua stanza con la scatola degli
scacchi, si era avvicinato a Meissa, lanciandomi un’occhiata
trionfale che sembrava dirmi “bravo il mio piccolo
idiota!”, le aveva offerto la mano sorridente e la stava
aiutando a tornare di sotto; mi si gelò il sangue quando
vidi che lei gli sorrideva, anche se parecchio intimidita. Quando alla
fine scesi a mia volta, sotto lo sguardo spietato di mia madre e quello
sorpreso e forse deluso degli Sherton, trovai Mey seduta sul divano,
ancora pallida e sovrappensiero, e Sirius seduto sul tappeto di fronte
a lei, che cercava di corromperla dando fondo alla sua scorta di ciocco
rane e tutti gusti +1. Mi avvicinai pentito e le chiesi nuovamente
scusa, ricevendo un sorriso incoraggiante, che m risollevò
dai 5 metri sottoterra in cui ero sprofondato: ora avrei potuto
affrontare con coraggio e speranza anche la sala delle torture di mio
padre, se ne avesse avuta una.
Il resto del pomeriggio trascorse così, ero in stato
confusionale e mi vergognavo, ma nella mia mente iniziava a formarsi
un’immagine; appena gli ospiti tornarono a casa, m preparai
alla punizione e, infatti, rimediai da mio padre, ancora sconvolto per
la figuraccia che gli avevo causato, quasi una settimana di confino in
camera. Mio fratello mi guardò serafico, con una strana luce
negli occhi mentre filavo per le scale, diretto in camera, dove mi
tuffai nel mio baldacchino lasciando scorrere i miei pensieri. No, non
era stato un caso, anche se nessuno poteva immaginarlo, la
verità era che Sirius se l’era studiata da tempo,
quella giornata: era cambiato, si era tranquillizzato dopo che io
l’avevo colpito, lui non si era vendicato, né m
aveva denunciato, mi aveva anzi ignorato per settimane. Ma solo uno
stupido poteva pensare che fosse finita lì. Ed io ero stato
uno stupido. No, Sirius me l’aveva fatta pagare, nel modo che
finora non avevamo sperimentato mai, aveva giocato non di muscoli, come
suo solito, ma d’astuzia, m aveva usato per i suoi giochetti
e aveva fatto ricadere le sue colpe su di me. Era stato maledettamente
bravo, non c’era niente da dire. Finita la punizione, lo
vidi, dal modo in cui m squadrava di sottecchi, voleva capire se avevo
intuito, ma non gli diedi soddisfazioni, mi mostrai un agnellino in
balia della sua follia, confuso e incredulo, ma avevo ben chiaro il suo
gioco.
E nei miei sogni, ora, accanto a Meissa, volava il demone della
vendetta.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine
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